Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6243 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 23 Aprile 2007, n. 9569. Est. Genovese.


Società - Trasformazione - Effetti - In genere - Nascita di un nuovo soggetto giuridico - Esclusione - Mutazione formale dell'organizzazione societaria - Configurabilità anche in caso di trasformazione regressiva - Conseguenze - Riduzione del soggetto a persona fisica - Esclusione.



Il principio secondo cui la trasformazione di una società di persone in società di capitali non dà luogo ad un nuovo ente, ma integra una mera mutazione formale di un'organizzazione, che sopravvive alla vicenda della trasformazione senza soluzione di continuità, trova applicazione anche al fenomeno inverso (trasformazione, c.d. regressiva, di società di capitali in società di persone), ed anche ai mutamenti intervenuti nell'ambito di ognuno dei due tipi di società, come nell'ipotesi di trasformazione di una società in accomandita semplice in una società che, essendo rimasta ferma l'identità e l'integrità dell'impresa commerciale già gestita nella forma precedente, deve qualificarsi come irregolare, ancorché nel relativo atto sia stata qualificata "semplice", dovendo escludersi, in ogni caso, la possibilità di equiparare il soggetto risultante dalla trasformazione ad una persona fisica, in quanto tale assimilazione comporterebbe uno stravolgimento dei principi che regolano la diversità dei soggetti di diritto e dei relativi statuti. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SACCUCCI Bruno - Presidente -
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio - Consigliere -
Dott. MARIGLIANO Eugenia - Consigliere -
Dott. DI BLASI Antonino - Consigliere -
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Azienda Agricola Re.E.E. di Zambello Antonella e C. S.S., in persona dei soci, elettivamente domiciliata in Roma, in Largo Somalia, 64, presso lo studio dell'avv. Rita Gradara, e rappresentata e difesa, giusta delega in atti, dall'avv. Amedeo Grassotti del Foro di Mantova;
- ricorrente -
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze e Agenzia delle entrate;
- intimati -
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 81/02/00 depositata il 17 maggio 2000;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/3/2007 dal Relatore Cons. Dott. GENOVESE Francesco Antonio;
uditi gli avv. Grassotti e Urbani Neri;
udite le conclusioni del P.M., in persona del PG Dott. MACCARONE Vincenzo, il quale ha concluso per l'accoglimento del I motivo, assorbiti i restanti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La società semplice, Azienda Agricola RE.E.E. di Zambello Antonella e C. S.S., costituitasi in data 1^ dicembre 1983 con il nome di Azienda Agricola RE.E.E. di Dall'Oca Renato e De Togni Angiolina S.d.F., avente ad oggetto la conduzione di fondi agricoli e l'allevamento e del bestiame, comunicava, all'inizio della propria attività l'esercizio dell'opzione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 34, ultimo comma, allo scopo di non avvalersi del regime di deduzione forfettaria dell'Iva e di fruire di quello c.d. ordinario.
Le quote della società originaria, con scritture private del 30 ottobre 1985 e 9 novembre 1985, veniva ceduta dai suoi soci, rispettivamente, alla signora Antonella Zimbello (da parte del dante causa, signor Renato Dall'Oca) e, in parte, alla stessa e, in altra parte, alla signora Giovanna Zimbello (dal secondo dante causa, la signora Angiolina De Togni).
Tali variazioni, unitamente al cambio di sede e di denominazione, venivano comunicate all'Ufficio Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35.
Proceduto all'acquisto di bestiame bovino da allevare, la società effettuava la detrazione dell'Iva, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, maturando un credito di cui chiedeva il rimborso, in considerazione che ancora non erano state effettuate vendite perché i capi allevati non erano ancora cresciuti secondo l'obiettivo programmato.
L'Ufficio Iva di Verona disconosceva il credito e annullava il rimborso, procedendo a rettifica per l'anno d'imposta 1985, ritenendo erronea ed arbitraria la detrazione ordinaria dell'Iva, in luogo di quella forfetaria, atteso che la società sarebbe stato un soggetto nuovo rispetto a quello precedente e che essa non avrebbe potuto formalizzare l'opzione per il regime ordinario;
perciò irrogava le sanzioni di legge.
2. Avverso tale atto insorgeva la società, con ricorso diretto alla C.T. di Verona, che l'accoglieva, in base alla considerazione che la variazione dei soggetti del sodalizio non avrebbe fatto venir meno la società originaria.
3. L'Ufficio Iva di Verona proponeva appello avanti alla C.T.R. di Venezia che riformava la decisione di prime cure, così motivando:
"l'attività di allevamento di bestiame, risalente all'ultima parte dell'anno 1985, costituisce il momento di inizio dell'attività d'impresa della contribuente. Prima di allora, le opzioni... non potevano assumere rilevanza agli effetti Iva, in quanto compiute dalla contribuente società semplice, in veste di semplice privato... Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, equipara esplicitamente all'imprenditore individuale le società semplici... La dichiarazione anno 1984, essendo provenienti da soggetto non imprenditore... non influiscono sugli adempimenti a carico di colui che ebbe ad iniziare effettivamente l'attività di imprenditore agricolo nel dicembre dell'anno 1985, previsti ex novo proprio per effetto della sua immutata struttura di società semplice, che come si è visto la normativa sull'Iva equipara all'imprenditore individuale".
4. Tale sentenza è stata impugnata dalla società con ricorso per cassazione, affidato a quattro mezzi, contro cui resistono il Ministero delle Finanze e l'Agenzia delle entrate, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2), la società ricorrente deduce che la C.T.R. avrebbe pronunciato la sentenza impugnata extra petita. Infatti, l'appello dell'Ufficio avrebbe censurato l'errore del primo giudice in ordine al fatto che l'opzione era stata esercitata da una società ormai estinta e che la nuova non avrebbe potuto, in mancanza di altra istanza, fruire della detrazione ordinaria dell'Iva. La C.T.R., invece, avrebbe deciso il caso sostenendo che la società, fino dall'inizio dell'attività di allevamento aveva avuto la natura di semplice privato, non imprenditore, e che, pertanto, fino a quando la società non aveva iniziato l'attività, con l'acquisto del bestiame, essa non sarebbe stata un vero e proprio imprenditore.
Secondo la ricorrente, in tal modo, il giudice di appello avrebbe travisato la domanda e deciso ben oltre le richiese
dell'appellante.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione ed errata applicazione degli artt. 2082, 2135 e 2249 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 4 e 34), la società ricorrente deduce che la C.T.R. avrebbe errato nel non riconoscere lo statuto di imprenditore agricolo alla società, anche quando la stessa svolgeva solo l'attività (agricola) di coltivazione del terreno.
Infatti, la sentenza non contesterebbe la unicità del soggetto società, ne' l'esercizio dell'attività di coltivazione del fondo, ma riterrebbe tale ultima attività non sufficiente ad integrare una vera e propria impresa (ma, in suo luogo, la semplice attività d'un privato).
Secondo la ricorrente, però, in tal modo si violerebbe l'art. 2135 c.c., perché può essere imprenditore sia la persona fisica sia il soggetto collettivo, e perché costituisce attività d'impresa anche la semplice coltivazione del fondo. Pertanto, l'attività svolta dalla società semplice sarebbe stata quella d'una impresa agricola e l'opzione da essa esercitata sarebbe stata pienamente valida, lecita ed efficace. Onde il suo diritto ad ottenere il rimborso del credito d'imposta per l'anno 1985 e l'invalidità od infondatezza dell'avviso di rettifica. Del resto, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, inserirebbe, nell'ambito dell'attività d'impresa, anche quella agricola, a prescindere dal fatto che il soggetto effettui o meno le cessioni dei prodotti elencati nella tabella A della stessa legge. 1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta la motivazione illogica e contraddittoria), la società ricorrente deduce che la C.T.R. avrebbe motivato la sua decisione in modo illogico e contraddittorio.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8), la società ricorrente deduce che la C.T.R. avrebbe dovuto disapplicare d'ufficio le sanzioni tributarie per obiettiva incertezza. 2. Appare opportuna la trattazione congiunta dei primi tre motivi di ricorso, considerato che la breve motivazione, contenuta nella sentenza impugnata, mescola assieme sia l'accertamento in fatto sia la sua qualificazione giuridica, con convergenti argomentazioni, circa la natura del soggetto collettivo esercente l'attività agricola e di allevamento, il momento iniziale di questa e i conseguenti obblighi stabiliti ai fini applicativi dei vari regimi Iva.
2.1. Nella sostanza, la motivazione della decisione, non perfettamente lineare, compie le seguenti affermazioni:
a) la società ceduta, una società semplice, non avendo svolto attività commerciale, avrebbe avuto la veste di un semplice privato (l'equiparazione sarebbe prevista da una Relazione Governativa);
b) essa non avrebbe potuto effettuare utilmente alcuna opzione in ordine al regime Iva, non avendo acquistato la qualità d'imprenditore;
c) la dichiarazione di inizio attività, con l'esercizio dell'opzione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, andava, pertanto, ripetuta da parte della nuova compagine societaria, anche a seguito dell'inizio d'una nuova attività, costituita dall'allevamento del bestiame.
2.2. Tale motivazione, cerca, suo malgrado, di rispondere - più o meno adeguatamente, adesso non importa stabilire - alla seguente domanda, posta nel corso del giudizio di appello, da parte dell'Ufficio Iva di Verona: se una società che sia stata rilevata da persone fisiche diverse da quelle originarie, che l'abbiano acquisita a questo solo scopo, consenta ai nuovi soci di poter esercitare utilmente le detrazioni ordinarie dell'imposta assolta sugli acquisti, nell'ultimo dei tre anni d'imposta in cui permaneva il regime di irrevocabilità (per un triennio) della scelta, salvo poi a passare, nell'anno nuovo (a fine del precedente triennio), al diverso regime di detrazione forfettaria, essendosi esaurito il vincolo triennale precedente. In sostanza, secondo il quesito posto dall'Ufficio, sarebbe stato illegittimo ed abusivo l'acquisto di una sorta di "scatola vuota", utilizzabile da nuovi soci allo scopo di massimizzare il regime delle detrazioni d'imposta, prima (a seguito degli acquisti di bestiame) in misura ordinaria, e subito dopo qualche mese, proprio in ragione della scadenza del vincolo triennale al regime ordinario, in misura forfetaria, inaugurando un nuovo regime fiscale, utile solo, al fine di recuperare denaro o credito verso il Fisco.
2.3. Così posta la questione nel giudizio di appello, ben si comprende come le affermazioni contenute nella sentenza impugnata acquistano una qualche intelleggibilità ma, non per questo, si sottraggono alle censure poste dal ricorso, con i primi tre motivi, qui congiuntamente trattati, per la loro complessiva fondatezza.
2.3.1. Infatti, attraverso l'acquisto delle quote sociali, la società semplice ha conosciuto un mutamento della sua compagine, lasciando in piedi, però, lo stesso soggetto giuridico che, nel suo patrimonio, aveva già acquistato alcuni diritti ma anche alcuni doveri.
Tra queste situazioni giuridiche soggettive, ovviamente, rientra anche il diritto alle detrazioni per la volontaria adesione al ed. regime d'imposta ordinario, in luogo dell'altro ed. forfetario, compiuto dalla compagine prima del suo mutamento soggettivo. Ma, ecco il primo errore, compiuto nella motivazione della decisione impugnata: nonostante tale mutamento, non v'è dubbio che (impregiudicata la questione dell'abuso del diritto, postulato dall'appellante con l'atto d'impugnazione) la società sia rimasta lo stesso soggetto, nonostante il mutamento dei suoi soci e, pertanto, così titolare del diritto ad avvalersi del regime ordinario di detrazione dell'Iva.
A tal proposito, questa Corte ha già affermato (nella sentenza n. 4270 del 1999, ma si vedano anche quelle nn. 16500 del 2004, 17066 del 2003) che, così come nel caso di trasformazione di società di persona in società di capitali, la trasformazione non da luogo ad un nuovo ente, ma integra una mera mutazione formale di un'organizzazione, che sopravvive alla vicenda della trasformazione senza soluzione di continuità, lo stesso deve dirsi nel caso di mutamento inverso (trasformazione, cosiddetta regressiva, da società di capitali a società di persone), ed anche nei casi di mutamento nell'ambito di ognuno dei due tipi di società, come nell'ipotesi di trasformazione di una società in accomandita semplice in una società, la quale, essendo stata lasciata ferma l'identità ed integrità dell'impresa commerciale già gestita nella forma precedente, deve qualificarsi come "irregolare", ancorché nel relativo atto sia stata qualificata "semplice".
Analogamente la decisione n. 3713 del 1992, secondo cui la trasformazione della società in nome collettivo in società in accomandita semplice comporta soltanto il mutamento formale di un'organizzazione societaria già esistente, senza la creazione di un nuovo soggetto distinto da quello originario.
2.3.2. Erra, quindi, la C.T.R. a sostenere il contrario e ad affermare che tale società poi, addirittura, equivalesse ad un privato, ossia ad una persona fisica, poiché una tale affermazione, sul piano logico giuridico, è errata e costituisce uno stravolgimento dei principi che regolano la diversità dei soggetti di diritto e la diversità dei relativi statuti. Nè può seriamente sostenersi che l'inattività di una società (salvo a valutarne gli aspetti e la qualificazione come "società di comodo") possa dar luogo al suo perimento in un soggetto persona fisica, poiché tale degradazione delle figure soggettive (quasi una sorta di reviviscenza della romanistica figura della capitis deminutio) non trova posto nel nostro ordinamento. 2.3.3. Del resto, con particolare riferimento alle aziende agricole, al di là della loro titolarità, da parte di soggetti persone fisiche o di enti, questa Corte, con la sentenza n. 12872 del 1995, ha sostenuto che, anche con riferimento all'azienda agricola (nozione da rapportare a quella di imprenditore agricolo delineata dall'art. 2135 cod. civ.) è configurabile il trasferimento di azienda ai sensi dell'art. 2112 cod. civ. ogni qualvolta venga a mutare soltanto la persona del titolare (qualunque sia lo strumento tecnico - giuridico utilizzato per ottenere tale sostituzione), permanendo l'oggetto dell'attività e la struttura organica dell'azienda (o del suo ramo autonomo separatamente alienato), come quando avviene il passaggio all'impresa subentrante del complesso dei beni e degli strumenti inerenti all'impresa cedente.
2.3.4. E tale principio mostra anche l'erroneità
dell'affermazione, pure contenuta nella decisione impugnata, riguardante la riduttiva nozione di imprenditore agricolo. Infatti, è imprenditore agricolo non solo colui che alleva il bestiame, ma anche e soprattutto colui che sì dovesse limitare a coltivare la terra, atteso che, ai sensi dell'art. 2135 c.c., la coltivazione del fondo e la silvicoltura, sono attività agrarie per intrinseca natura e, quindi, individuano di per sè il carattere agricolo dell'impresa.
All'opposto, la Corte sovente ha dovuto occuparsi del problema riguardante i limiti dell'attività agricola consistente nell'allevamento, svolto con tali modalità e mezzi che, ai sensi dell'art. 2135 c.c., comma 1, a prescindere da vincoli di connessione con il terreno, possa costituire esercizio di impresa non agricola ma industriale, ove, appunto, non sussista il legame di connessione con l'attività di coltivazione del fondo, nel senso che l'allevamento del bestiame (non compreso nel primo comma dell'art. cit.) non risulti vincolato alla raccolta dei prodotti della terra, destinati all'alimentazione dello stesso, e non partecipi quindi dei rischi relativi all'andamento della produzione agricola. (Cassazione, sent. n. 1571 del 1985). 2.4. In conclusione, la questione posta nel giudizio di appello, è stata risolta sulla base di argomenti giuridici e motivazionali erronei ed illogici che impongono l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza, con il conseguente rinvio della causa ad altra sezione della C.T.R. del Veneto perché, oltre a regolare le spese di questa fase del giudizio, compia un nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra richiamati. P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo e terzo motivo del ricorso, per quanto di ragione, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinviala causa, anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della C.T.R. del Veneto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, dai magistrati sopraindicati, il 5 marzo 2007. Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2007