Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6232 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 18 Giugno 2008, n. 16445. Est. Ruggiero.


Tributi erariali diretti - Imposta sul reddito delle persone fisiche (I.R.P.E.F.) (tributi posteriori alla riforma del 1972) - Base imponibile - Redditi prodotti in forma associata - Associazione in partecipazione - Differenze dalla società di persone - Imputabilità degli utili prodotti in forma associata a fini fiscali al solo associante - Sussistenza - Esclusione.



In tema di imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, gli utili di impresa prodotti ed accertati per l'attività commerciale della associazione in partecipazione vanno, interamente ed esclusivamente, imputati all'associante, non essendo applicabili all'associazione in partecipazione i principi di imputazione del reddito propri delle società di persone, che implicano la presenza di un autonomo patrimonio comune, sulla base delle indicazioni di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente -
Dott. RUGGIERO Francesco - Consigliere -
Dott. ZANICHELLI Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. MARINUCCI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
- ricorrente -
contro
Cuomo Elia, in proprio e quale erede di Cilento Giuseppe, Cilento Carlo, Cilento Loredana, Cilento Patrizia, Cilento Filomena, Cilento Antonio, tutti nella qualità di eredi di Cilento Giuseppe, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Buco Francesco e Carmela De Franciscis, in virtù di mandato a margine, elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avv. Buco Francesco in Santa Maria Capua Vetere, via A. Mazzocchi n. 114;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 125, depositata il 3-4-2002.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9-4- 08 dal Relatore Cons. Dott. Francesco Ruggiero;
Udito l'Avv. Gen. dello Stato Daniela Giacobbe, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;
Udito l'Avv. Carmela De Franciscis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del primo motivo ed il rigetto del secondo.
FATTO
L'Ufficio Distrettuale II.DD. di Sessa Aurunca emetteva nei confronti del signor Cilento Giuseppe, titolare di ditta individuale l'avviso di accertamento, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis, con cui, ai fini IRPEF ed ILOR per l'anno 1985, determinava il reddito d'impresa derivante dall'attività di trasformazione e vendita di prodotti del latte.
La Commissione Tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere (con la sentenza n. 120/03/94) accoglieva parzialmente il ricorso dei contribuenti Cilento Giuseppe e della moglie Cuomo Elia, determinando il reddito tassabile ai fini IRPEF ed ILOR per il 1985 nella misura definita ai fini IVA.
Avverso questa decisione proponeva gravame l'Ufficio, formulando due motivi: con il primo chiedeva che il reddito determinato dai giudici di primo grado fosse imputato alla ditta individuale Cilento Giuseppe e non all'associazione in partecipazione, costituita ai sensi degli artt. 2549 e segg. c.c. tra l'associante Cilento Giuseppe e gli associati Cilento Luigi, Cilento Carlo e Cilento Filomena; con il secondo chiedeva che tale reddito fosse esattamente quantificato.
I contribuenti proponevano appello incidentale. La Commissione Tributaria Regionale (con la sentenza in epigrafe indicata) accoglieva parzialmente l'appello principale dell'Ufficio. Così motivava in ordine al primo motivo (disatteso) circa l'imputazione del reddito: per l'anno 1985, l'attività di caseificio era stata svolta da Cilento Giuseppe in collaborazione con il fratello Luigi ed i figli di quest'ultimo Cilento Carlo e Cilento Filomena in virtù del contratto di associazione in partecipazione registrato il 19-4-85, come risultava dall'art. 1 dell'allegato contratto; l'art. 4 del medesimo contratto prevedeva che gli utili conseguiti e le perdite subite dovevano essere divisi o reintegrati in parti uguali, corrispondenti al 25%; secondo quanto disposto dagli artt. 2549 e segg. c.c. non era possibile negare agli associati la partecipazione all'utile dell'impresa; andavano, pertanto, ripartiti tra gli associati, nella concordata misura del 25%, gli utili dell'esercizio del 1985, cui dovevano aggiungersi i ricavi evasi. In ordine al secondo motivo (accolto), riconosceva la fondatezza della censura circa la mancata quantificazione del reddito, rilevando che:
le due imposte, IVA ed IRPEF, sono autonome ed i relativi redditi devono essere distintamente indicati; il reddito d'impresa relativo al 1985 doveva essere imputato ai quattro consociati in parti uguali, ciascuna del 25%.
Per la cassazione di questa decisione l'Amministrazione Finanziaria ha proposto ricorso, articolando due mezzi. Hanno resistito con controricorso Cuomo Elia, in proprio e quale erede di Cilento Giuseppe, e tutti gli altri resistenti, in epigrafe indicati, quali eredi di Cilento Giuseppe.
DIRITTO
- 1 - Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, la violazione degli artt. 2549 e segg. c.c., D.P.R. n. 597 del 1973, art. 49, comma 3, lett. c e art. 52 e la falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 6 ed, in subordine, l'omessa o comunque insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, ed, in modo specifico, ha lamentato che, ignorando completamente la censura dell'Ufficio appellante circa la non applicabilità all'associazione in partecipazione dei principi di imputazione del reddito propri della società di persone o, quanto meno, disattendendola illegittimamente in modo implicito e cioè senza motivazione, la Commissione Tributaria Regionale aveva senz'altro dato per scontato che l'imputazione del reddito dichiarato fosse corretta così come operata e che, quindi, anche quella del maggior reddito accertato dovesse seguire gli stessi criteri. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 112 c.p.c., per extrapetizione, ovvero del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4 e 5, censurando, innanzitutto, che i giudici regionali illegittimamente, oltre che senza alcuna motivazione, avevano avallato una riduzione del maggior reddito accertato, che non era stata mai richiesta in primo grado e, quindi, non rientrava nel petitum; rilevando, in subordine,, che era sta recepita una doglianza avversaria, che avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile perché nuova, in quanto proposta per la prima volta in appello.
- 1.1 - I controricorrenti, oltre a replicare in ordine ai rilievi ex adverso sollevati sostenendone l'infondatezza, in via preliminare eccepivano il difetto di legittimazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, e dell'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, assumendo che per quest'ultima mancava la delibera autorizzativa a promuovere il ricorso e che, in realtà, l'unica legittimata e la sola controparte era l'Agenzia delle Entrate di Teano, che non era parte in questo giudizio.
- 2 - Il ricorso dell'Amministrazione Finanziaria deve essere accolto.
- 2.1 - Innanzitutto, va disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione attiva, come innanzi prospettata dai controricorrenti. Il ricorso de quo (notificato il 25-11-2004) viene proposto - come si legge nell'epigrafe dell'atto - per il "Ministero dell'Economia e delle Finanze ... ed occorrendo Agenzia delle Entrate", in persona del legale rappresentante pro tempore.
Trattandosi di giudizio introdotto successivamente al 1 gennaio 2001 (data in cui è divenuta operativa la istituzione delle Agenzie delle Entrate) la legittimazione esclusiva a proporre ricorso per cassazione appartiene all'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore (Cass. Sez. Trib., 14-2-2006, n. 3116). Si aggiunga che non è necessaria una specifica procura di conferimento di incarico difensivo all'Avvocatura Generale dello Stato (Cass. Sez. Trib., 14-2-2006, n. 3118).
- 2.2 - Il primo motivo è fondato.
Deve partirsi dall'individuazione del quadro normativo di riferimento, civilistico e fiscale.
La nozione di associazione in partecipazione è fornita dall'art. 2549 c.c., secondo cui con il relativo contratto "l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto". I rapporti con i terzi vengono regolati dall'art. 2551 c.c., nel senso che costoro acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l'assodante". Quanto alla divisione degli utili e delle perdite, in forza dell'art. 2553 c.c. salva contraria pattuizione, "l'associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili", ma la partecipazione alle perdite non può superare "il valore del suo apporto".
Dalla riportata disciplina civilistica emerge che nella associazione in partecipazione il punto di riferimento è l'associante (imprenditore).
Passando alla disciplina fiscale, va subito evidenziato che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (che regolamenta le imposte sui redditi delle persone fisiche e giuridiche) con la norma fondamentale dell'art,5, che si occupa specificamente dei "redditi prodotti in forma associata", prevede l'imputazione del reddito a ciascun socio soltanto con riferimento alle "società semplici, in nome collettivo e in accomandata semplice" (comma 1). Prevede anche l'imputazione a ciascun familiare, ma solo con riferimento ai "redditi di impresa familiare" (comma 4), che sono certamente entità diverse dalla associazione in partecipazione.
Il successivo art. 41, lett. c, citato D.P.R. disciplina il reddito derivante all'associato come "reddito di capitale" e non come partecipazione agli utili. Ed ancora il successivo art. 49, comma 3, citato D.P.R., per l'ipotesi che l'apporto sia di natura lavorativa, disciplina il reddito come "reddito di lavoro autonomo". Quindi, tornando al caso che ci occupa, gli utili di impresa dovevano essere dichiarati integralmente dall'assodante ed a questi esclusivamente imputati, in quanto la forma di dichiarazione disciplinata dal D.P.R. 26 settembre 1973, n. 600, art. 6, poteva essere utilizzata solo dalle società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate". Quest'ultima "equiparazione" non può essere estesa alla associazione in partecipazione, non emergendo dalle indicazioni del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5. Questa norma, infatti, restringe la previsione dei "redditi prodotti in forma associata" soltanto alle "società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice" (comma 1) ed include, tra le altre ipotesi, quella delle "imprese familiari" (comma 4), che è forma di collaborazione certamente diversa dalla associazione in partecipazione.
In sintesi, l'associazione in partecipazione non è assimilabile ad una società e la mancata previsione da parte della disciplina fiscale ha l'univoco significato di una esclusione, dal momento che le espressioni normative testuali militano per la tesi della tassatività della regolamentazione e, dunque, della esegesi applicativa restrittiva.
In conclusione deve affermarsi che gli utili (prodotti ed accertati) dell'attività commerciale della associazione in partecipazione andavano, interamente ed esclusivamente, imputati all'associante, non essendo applicabili all'associazione in partecipazione i principi di imputazione del reddito propri delle società di persone. Perciò, nella specie concreta il reddito determinato doveva essere imputato alla ditta individuale Cilento Giuseppe e non all'associazione in partecipazione.
- 3 - È, altresì, fondato il secondo motivo di ricorso, articolato sotto un duplice profilo.
- 3.1 - Sussiste il profilo precipuamente attinente all'eccepita ultrapetizione, perché i giudici regionali riconoscevano una riduzione del maggiore reddito accertato, che non era stata richiesta in primo grado con il ricorso introduttivo davanti alla Commissione Tributaria di primo grado di Santa Maria Capua Vetere e, dunque, non faceva parte del thema decidendum. Il quesito veniva introdotto per la prima volta in sede di gravame, in particolare nell'appello incidentale davanti alla Commissione Tributaria di secondo grado di Santa Maria Capua Vetere.
Perciò, stante la novità della questione, la censura doveva essere dichiarata, d'ufficio, inammissibile.
- 3.2 - Ricorre anche il vizio motivazionale, specificamente dedotto come omessa motivazione, perché tale riconoscimento di riduzione del reddito non veniva supportato da alcuna motivazione. - 4 - In definitiva, per le argomentazioni svolte, in accoglimento del ricorso proposto dall'Amministrazione, la decisione gravata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione del giudice a quo, che provvedere anche in ordine alle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia, anche per le spese ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 9 aprile 2008. Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2008