Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27138 - pubb. 14/04/2022

Fallimento in estensione di colui che abbia agito per conto dell'associazione

Tribunale Catania, 22 Novembre 2021. Pres. Sciacca. Est. De Bernardin.


Associazione – Fallimento – Estensione al rappresentante – Esclusione – Società occulta



La responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 c.c. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, il che impedisce che il rappresentate dell'associazione sia come tale dichiarato fallito come nel caso del socio illimitatamente responsabile delle società di persone.

Il fondamento giuridico della domanda di estensione del fallimento a colui che con regolarità ha speso il nome e agito per conto dell’associazione può piuttosto rinvenirsi attraverso l'indagine se:

- da un lato, la sentenza dichiarativa di fallimento ha appurato l’espletamento di attività commerciale da parte dell’associazione con conseguente riqualificazione della natura di tale ente quale società irregolare, perché non iscritta nel registro delle imprese (onere cui soggiace l’imprenditore commerciale ex art. 2195 c.c.);

- dall’altro lato che - in difetto di assunzione di una delle vesti societarie che consenta di schermare la responsabilità dei soci - chi partecipa dell’attività sociale ricopre nella sostanza  la qualità di socio di fatto di una società in nome collettivo irregolare. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Il Tribunale (*).

Visto il ricorso per la dichiarazione di fallimento proposta dalla curatela del fallimento Associazione Casa Cristo Re nei confronti di A. C., già legale rappresentante e presidente del consiglio direttivo della medesima associazione;

rilevato che la resistente è rimasta contumace malgrado la regolarità della notifica eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. e perfezionatasi il 10/10/2021 (deposito presso la casa comunale il 20/09/2021 e udienza ex art. 15 l.f. tenutasi il 09/11/2021);

rilevato che nel ricorso viene sostenuta la tesi secondo cui la resistente dovrebbe fallire ex art. 147 l.f. in quanto soggetto illimitatamente responsabile ex art. 38 cc per tutte le obbligazioni contratte dall’associazione come sostenuto da alcune pronunce della Corte di Cassazione e, segnatamente: Cass. Civ. Sez. I, n. 5305 del 16.03.2004 secondo cui: L’estensione del fallimento al soggetto corresponsabile ex art. 38 c.c. trova il suo fondamento proprio nell’art. 147 LF, che prevede l’estensione ai soci del fallimento della società con soci illimitatamente responsabili.”... è l’esistenza di una responsabilità illimitata concorrente con la responsabilità dell’impresa collettiva, nel caso in esame ex art. 38 c.c., a rendere applicabile l’art. 147 LF, che appunto presuppone, non fonda, la responsabilità illimitata del soggetto cui il fallimento deve estendersi” e - più diffusamente -: Corte di Cassazione, Sez. I, n. 9589 del 1993);

ritenuto che la ricostruzione offerta non appare condivisibile;

ritenuto - infatti - che la regola generale del diritto civile è quella della responsabilità col proprio patrimonio solo per le obbligazioni personalmente assunte, di tal che la responsabilità per debiti altrui si profila come un’eccezione che deve essere espressamente prevista dal legislatore;

ritenuto che l’art. 38 c.c. prevede la responsabilità per le obbligazioni dell’associazione di chi ha agito in nome e per conte dell’associazione;

rilevato che l’art. 38 c.c. non connota quale illimitata la responsabilità del soggetto che agisce in nome e per conto della società, e ciò a significativa differenza di quanto espressamente avviene nella descrizione della responsabilità dei soci delle società di persone che rispondono di tutte le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c. per i soci della società in nome collettivo; art. 2313 c.c. per i soci accomandanti delle società in accomandita semplice, art. 2320 co. 1 c.c. ultimo periodo per il socio accomandante abbia violato il divieto di immistione negli atti di gestione);

ritenuto che una siffatta differenza lessicale lascia intendere un diverso regime di responsabilità per debiti altrui:

da un lato, quella del socio di società di persone per tutte le obbligazioni contratte dalla società senza alcuna limitazione;

dall’altro, quella di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione che risponde delle sole obbligazioni personalmente contratte;

ritenuto che - sulla stessa linea interpretativa - si pone anche la prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte: Cassazione civile sez. III, 14/05/2019, n. 12714 secondo cui: la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta: - non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, ma all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (...); - non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione stessa; ne consegue che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per l’ente è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege’, assimilabili alla fideiussione, ed è disposta a tutela dei terzi, che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro (...)” e la giurisprudenza di legittimità ivi a sua volta richiamata;

ritenuto che il fondamento giuridico della domanda di estensione del fallimento a colei con regolarità ha speso il nome e agito per conto dell’associazione deve piuttosto rinvenirsi nella duplice considerazione per cui: da un lato, la sentenza dichiarativa di fallimento ha appurato l’espletamento di attività commerciale da parte dell’associazione C. C. R., con conseguente - pur se implicita - riqualificazione della natura di tale ente quale società irregolare, perché non iscritta nel registro delle imprese (onere cui soggiace l’imprenditore commerciale ex art. 2195 c.c.); dall’altro, nella circostanza che - in difetto di assunzione di una delle vesti societarie che consenta di schermare la responsabilità dei soci - chi partecipa dell’attività sociale ricopre - nella sostanza - la qualità di socio di fatto di una società in nome collettivo irregolare;

ritenuto che - nella specie - sono stati offerti quali elementi di prova:

i. Le informazioni acquisite dal curatore presso una ex dipendente da qui emergeva che la resistente: prendeva le decisioni riguardanti assunzioni, licenziamenti e organizzava il lavoro e demandava la signora C. M. (figlia di C. A.) il controllo in ordine all’esecuzione delle istruzioni impartite dipendenti” (...) chi si occupava quotidianamente dell’acquisto di beni e servizi era la signora C. A., la quale, oltre a riscuotere le rette dei pazienti, provvedeva al pagamento di noi dipendenti” (cfr. dichiarazioni di G. L. del 12.02.2020, doc. 4);

ii. la circostanza per cui contratti di c/c bancari, aperti in favore dell’associazione ed intrattenuti con Banca Nuova (oggi Banca Intesa San Paolo) chiusi nel 2016 e nel 2018, sono stati sottoscritti dalla resistente (doc. 7);

iii. la circostanza per cui la resistente ha sottoscritto con la ditta E. un contratto di noleggio per una lavastoviglie (doc. 5);

ritenuto che - per la loro sistematicità e pervasività nella vita della società dell’attività compiuta - gli elementi offerti dalla curatela ricorrente consentono di affermare la qualità di amministratore di fatto in capo alla resistente, qualità - quella di amministratore - che nelle società di persone non può che essere attribuita ai soci (cfr. art. 2257, 2266, 2297, 2318 cc);

ritenuto, in conclusione, che la domanda può essere accolta;

omissis