Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26283 - pubb. 11/12/2021

Rivendica nel fallimento di beni mobili venduti con patto di riservato dominio

Cassazione civile, sez. I, 24 Novembre 2021, n. 36541. Pres. Cristiano. Est. Ferro.


Fallimento – Rivendica – Onere della prova – Vendita con patto di riservato dominio



Il terzo che rivendichi la proprietà di beni mobili venduti con patto di riservato dominio, non è tenuto - nemmeno dopo la scadenza del termine di rateazione del prezzo - a fornire altra prova, oltre quella del contratto dedotto a fondamento della propria domanda, mentre spetta a chi resiste all'opposizione (nel caso di specie il curatore del fallimento) di provare che il pagamento del prezzo è integralmente avvenuto e che, pertanto, la vendita ha prodotto l'effetto reale del trasferimento della proprietà della cosa al compratore. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Fatto

1. FALLIMENTO (*) s.r.l. (FALLIMENTO) impugna il decreto Trib. Napoli 21.4.2015, n. 903/2015, in R.G. n. 4452/2014 con cui è stata parzialmente accolta, nella relativa procedura, l'opposizione allo stato passivo di TOYOTA MOTOR ITALIA s.p.a. (TMI) diretta a rivendicare un lotto di autovetture, gravate di riserva di proprietà e per le quali il competente giudice delegato aveva rigettato la corrispondente insinuazione al passivo;

2. il tribunale, per quanto qui di interesse, ha premesso che: a) TMI assumeva di essere proprietaria di autoveicoli lasciati nella disponibilità della concessionaria (*), rivendicandone il relativo diritto, e dunque la restituzione, in base a contratto registrato, salvo che per un mezzo, del cui controvalore monetario chiedeva l'ammissione al passivo, perché non rinvenuto dal curatore nel sopravvenuto fallimento; b) il rigetto del g.d. era motivato per l'inidoneità probatoria dei documenti, per la formazione di patti ricognitivi in epoca vicina al concordato, in periodo sospetto, nonché in ragione dell'applicazione degli artt. 1525-1526 c.c., con conseguente diritto della fallita alla restituzione dell'eventuale prezzo pagato, e dell'avvenuto rilascio di fidejussione a TMI per Euro 600 mila, importo maggiore del valore dei beni; c) a sostegno della domanda di rivendica l'opponente insisteva sull'agevolazione probatoria del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11, comma 3, che stabilisce che alla definizione scritta della riserva di proprietà fatta in via preventiva consegua la efficacia contro i creditori delle conferme nelle singole fatture delle successive forniture registrate in contabilità;

3. il tribunale ha ritenuto fondata la rivendica in quanto: a) il contratto tra le parti - di data certa 14.9.2010 - andava qualificato contratto-quadro, reggente l'obbligo per il concessionario di promuovere la rivendita di prodotti fornitigli da TMI mediante la stipulazione di singoli contratti d'acquisto alle condizioni prefissate nell'accordo iniziale; b) la natura innovativa del citato art. 11, in attuazione della Direttiva 29.6.2000 n. 2000/35/CE, realizzava l'intento di rendere opponibile al fallimento la clausola di riserva della proprietà concordata per iscritto, se confermata nelle singole fatture aventi data certa anteriore; c) non era di ostacolo all'accoglimento della rivendica la mancata descrizione degli estremi delle auto nel contratto-quadro, poiché esse figuravano richiamate nei patti ricognitivi conclusi tra concessionario e TMI prima del fallimento e parimenti dotati di data certa, così come nelle fatture, richiamanti il patto di riservato dominio e riprese nelle scritture contabili vidimate; d) andava respinta, per genericità, l'eccezione di revocatoria dei predetti patti sollevata dal curatore;

4. il giudice del merito ha invece rigettato la domanda di ammissione del credito corrispondente al controvalore di un'autovettura non rinvenuta dal curatore, e dunque non stimabile, nonché quella di rivendica di due ulteriori vetture, nella disponibilità della fallita per finalità espositive, per mancanza di prova di titolo dominicale in capo alla richiedente;

5. il ricorrente propone sei motivi di ricorso, cui si oppone TMI con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi

1. con il primo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame della circostanza del pagamento del prezzo delle autovetture rivendicate da TMI, anche sotto forma di acconti o compensazione con altre partite debitorie della concessionaria, tenuto conto che la Deutsche Bank aveva rilasciato fidejussione per 600 mila Euro, nell'interesse della fallita e a favore della creditrice, somma superiore al valore dei veicoli oggetto del procedimento e che risultava documentalmente la cessione del credito (alla Toyota Kreditbank GmbH) e così il soddisfacimento della cessionaria per via della escussione della garanzia;

2. con il secondo motivo si assume la violazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11, per avere erroneamente il tribunale trascurato che era necessaria la preventiva indicazione, già in contratto-quadro, dei singoli beni gravati della riserva di proprietà, in assenza della quale nessun valore poteva essere attribuito ai richiami contenuti nelle fatture, documenti non negoziali;

3. con il terzo motivo si contesta la nullità del decreto, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sull'eccezione di inefficacia dei patti ricognitivi secondo la L. Fall., art. 64;

4. con il quarto motivo viene riproposto l'errore del decreto, questa volta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed in via gradata rispetto al motivo precedente, assumendo che il tribunale non ha esaminato l'eccezione di cui alla L. Fall., art. 64;

5. il quinto motivo lamenta la violazione ancora della L. Fall., art. 64, posto che, essendo i patti stati stipulati nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, null'altro doveva provare la curatela, discendendo l'inefficacia direttamente dalla natura gratuita degli stessi;

6. con il sesto motivo il ricorrente chiede sia confermata la reiezione delle domande di TMI di ammissione al passivo per il controvalore dell'autovettura non rinvenuta e di restituzione di quelle per le quali non è stata fornita la prova della proprietà;

7. il primo motivo è inammissibile in molteplici profili; la stessa produzione di una copia di documento bancario (richiesta di escussione della fidejussione del 29.1.2014, successiva alla sentenza di fallimento di (*)) non appare compatibile con i limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione, avendo il Fallimento omesso sia di indicarne l'inserimento tempestivo e rituale nel processo di merito (Cass. 28184/2020), sia di chiarirne la rilevanza probatoria, stante il principio per cui la denuncia in di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 16812/2018; 19150/2016);

8. il ricorrente lamenta che del pagamento il giudice non abbia trattato, evitando però di confrontarsi con l'esigenza, posta dalla natura della doglianza, di una prova solutoria certa, di cui non c'e' traccia nemmeno tra gli atti riportati in ricorso; essi infatti evidenziano, con la traslazione del rischio economico da TMI al fidejussore bancario, che a quest'ultimo era stato richiesto di provvedere, ma manca la dimostrazione, ricadente come onere proprio sulla curatela (attenendo a un'eccezione di avvenuto adempimento del contratto e non di sua opponibilità al fallimento), che ciò sia effettivamente avvenuto e che le somme, in tesi, incassate dalla creditrice siano state imputate proprio al prezzo delle autovetture oggetto di rivendica;

9. opera invero nella materia il principio, desumibile dall'applicazione diretta del sistema probatorio dell'art. 621 c.p.c., quale richiamato nella L. Fall., art. 103, per cui "il terzo opponente, il quale reclami la proprietà dei beni pignorati deducendo di averli venduti al debitore esecutato... con patto di riservato dominio, non è tenuto - nemmeno dopo la scadenza del termine di rateazione del prezzo - a fornire altra prova, oltre quella del contratto dedotto a fondamento dell'opposizione, e spetta a chi resiste all'opposizione di provare che il pagamento del prezzo è integralmente avvenuto e che, pertanto, la vendita ha prodotto l'effetto reale del trasferimento della proprietà della cosa al compratore" (Cass. 2240/1976, 1176/1974, 2430/1971); nella vicenda, oltre tutto, il fallimento, per come riportato nelle stesse sue difese, si è limitato ad invocare il "dubbio" di un possibile epilogo solutorio, senza darne la prova (come visto) e al contempo invocando un'eccezione quale parte del rapporto contrattuale, essendo rimasta del tutto generica, ai fini di causa, l'evocazione della propria terzietà;

10. il secondo motivo è inammissibile per plurime concorrenti ragioni; il D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11, comma 3, innovativamente (già per Cass. 3990/2010) e con disposizione applicabile alla fattispecie ratione temporis (punto non contestato), stabilisce che La riserva della proprietà di cui all'art. 1523 c.c., preventivamente concordata per iscritto tra l'acquirente ed il venditore, è opponibile ai creditori del compratore se è confermata nelle singole fatture delle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture contabili; appare in realtà pacifico, per acquisizione giurisprudenziale risalente e qui non contestata ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1, che, in primo luogo, la riportata nozione di opponibilità trova applicazione anche nei confronti della procedura fallimentare (scriminata solo sotto il profilo temporale, in Cass. 13759/2009), in quanto l'opponibilità erga omnes della riserva di proprietà è proprio l'in sé della disposizione, idonea a reagire oltre il rapporto bilaterale tra venditore e compratore e, appunto perciò, a regolare il conflitto anche con i terzi, come il fallimento;

11. in secondo luogo, correttamente il tribunale, nel far propria la ratio della Direttiva 29 giugno 2000 n. 2000/35/CE, ne ha condiviso l'impronta volta a dover riconoscere nelle norme domestiche attuative il segno della (agevolata) conservazione della proprietà in capo al venditore fino al pagamento integrale, una volta che, nei rapporti commerciali, sia stata concordata in via preventiva e di programmazione del rapporto di durata la clausola di riserva, demandando alle specificazioni documentali successive, mediante il richiamo al patto iniziale, la più esatta identificazione dei beni, via via che essi vengono consegnati o divengono oggetto dei nuovi ordini; si tratta di lettura cui anche questo Giudice intende attenersi, secondo le univoche indicazioni protettive del credito del venditore quali declinate nella citata normativa unionale ai considerando 20 e 21 ove si auspica di garantire ai creditori una posizione tale da poter esercitare la riserva di proprietà su base non discriminatoria in tutta la Comunità;

12. inoltre, il motivo non investe l'accertamento del tribunale, che ha basato il proprio convincimento su una sequenza coerente delle indicazioni dei beni, per loro natura ancora non registrati (perché non immatricolati), ma ben individuati con altri identificativi propri, sia nei "patti ricognitivi" firmati dalle parti, anch'essi di data certa, sia nelle fatture successive, a loro volta rinvianti al contratto-quadro originario (di data certa), menzionate nelle scritture contabili vidimate ed anche nei citati patti;

13. il terzo, quarto e quinto motivo, invocati in sequenza, vanno trattati insieme e sono inammissibili; in primo luogo, non corrisponde a quanto emerge in decreto che la contestazione di inefficacia dei patti ricognitivi non sia stata esaminata, avendo piuttosto il tribunale tacciato di genericità la doglianza; tale giudizio, a sua volta e per quanto sintetico, riflette - con l'esame della difesa di merito - una obiettiva assenza di articolazione argomentativa e di supporto fattuale, essendosi limitata la curatela ad invocare nella sostanza la mera collocazione temporale dei patti nel biennio anteriore al fallimento, dando per implicito ogni altro elemento storico e giuridico della eccezione; la curatela, in realtà, ha mancato anche solo di allegare quale consistenza patrimoniale propria essi avessero disposto, né è dato scorgere quale sia la ratio sottesa all'eccezione di loro gratuità, qualità dell'attribuzione patrimoniale indispensabile almeno per comprenderne l'ingresso nel perimetro della norma pur sbrigativamente invocata;

14. il sesto motivo è inammissibile, afferendo a capo del decreto non impugnato da TMI e per il quale dunque manca l'interesse all'impugnazione della ricorrente, che difetta di soccombenza rispetto alla decisione;

il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alle spese del procedimento di legittimità, liquidate come meglio in dispositivo; va riconosciuta la sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

 

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in 14.000 Euro, oltre a 200 Euro per esborsi, nonché al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2021.