Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19313 - pubb. 11/01/2018

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Cassazione civile, sez. I, 16 Giugno 1994, n. 5821. Est. Grieco.


Concordato preventivo - Mancata omologazione - Conseguente dichiarazione di fallimento - Sentenza dichiarativa - Impugnazione - Proposizione da parte del legale rappresentante della società fallita - Spese ed onorari del difensore nominato all'atto della impugnazione - Debito della massa - Esclusione - Conseguenze



L'impugnazione contro la sentenza dichiarativa di fallimento conseguente alla mancata omologazione del concordato preventivo, proposta dal legale rappresentante della società dichiarata fallita, con il ministero di un difensore nominato all'atto dell'impugnazione, si colloca al di fuori dell'ambito della procedura fallimentare, in quanto non autorizzata dal giudice delegato, con la conseguenza che il debito contratto dalla società fallita, per spese ed onorari, verso il predetto difensore non è riferibile, ne' opponibile alla "massa" ed il relativo credito del difensore non può essere soddisfatto in prededuzione, ne' pagato in via privilegiata. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Giancarlo MONTANARI VISCO Presidente

" Renato SGROI Consigliere

" Angelo GRIECO Rel. "

" Giovanni OLLA "

" Simonetta SOTGIU "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

DEMARIA GIOVANNI JR, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria 5, c-o l'Avv. Gustavo Romanelli che lo rappresenta e difende con l'Avv. Giorgio De Nova per delega a margine del ricorso;

Ricorrente

contro

FALLIMENTO DELLA SOC. ICI - Istituto Chemioterapico Italiano, SpA,

Intimato

Avverso la sentenza n. 484-91 della Corte d'Appello di Milano dep. il 23.4.91.

È comparso per il ricorrente l'Avv. Romanelli.

Il Consigliere, Dr. Angelo Grieco svolge la relazione;

La difesa del ricorrente chiede l'accoglimento del ricorso. Il P.M. Dr. Giovanni Lo Cascio conclude per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il ricorso è proposto avverso la sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano rigettò la impugnazione dell'Avv. Giovanni De Maria jr. contro la pronuncia del Tribunale di Lodi che aveva respinto la domanda di insinuazione tardiva al passivo, in prededuzione, o in via privilegiata, del suo credito per prestazioni professionali. Tali prestazioni erano state rese nel giudizio di impugnazione della sentenza che non aveva omologato il concordato preventivo e, quindi, dopo la dichiarazione di fallimento che era seguita.

La Corte territoriale ritenne che l'incarico, in quanto conferito dal "fallito" non poteva dar luogo ad un credito insinuabile nella "massa". Nè l'obbligazione assunta poteva - secondo la Corte territoriale - giustificarsi in forza del diritto del "fallimento" alla difesa. Pur volendo attribuire al processo di appello carattere di continuazione del processo di omologa - estendendo, così, il contratto d'opera al periodo successivo al fallimento - non per questo il credito era opponibile ai creditori concorsuali attesto che, ex art. 167 LF, esso - in quanto determinato da atto di straordinaria amministrazione, compiuto senza autorizzazione del GD - era inefficace nei confronti dei creditori. Non era, inoltre, analogicamente applicabile, ai debiti contratti "da o per" l'imprenditore, la disciplina secondo cui i debiti per l'amministrazione e la continuazione dell'impresa vanno pagati in prededuzione, in deroga alla "par condicio creditorum". In particolare, con riferimento al "deposito" previsto dall'art. 163 n. 4 LF, la Corte sottolineò che esso non era previsto per assicurare la disponibilità dei fondi necessari al pagamento dei crediti professionali dell'Avvocato incaricato della difesa tecnica nel giudizio di cui all'art. 183 LF potendo il fallito far fronte alle spese ditale giudizio: a) con il ricorso al gratuito patrocinio; b) con beni sottratti al fallimento; c) con rinvio del pagamento al momento del ritorno "in bonis".

Quel credito professionale, poi, non avrebbe potuto essere ammesso al "passivo" in via privilegiata in applicazione dell'art. 2751 bis n. 2 cc. atteso che, trattandosi di credito posteriore alla data della dichiarazione di fallimento, esso avrebbe potuto esser fatto valere solo dopo che fosse cessata la destinazione dei beni al soddisfacimento dei creditori.

L'Avvocato De Maria jr. ricorre per la cassazione della sentenza, con due "mezzi". V'è memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di legge (artt. 11, 44, 181, 183, 184 LF; artt. 1709, 2751 bis n. 2 cc), in relazione all'art. 360 n. 3 cpc. Deduce, in particolare, che "il legale rappresentante" della società ICI era legittimato ad impugnare - ex art. 183 LF - la sentenza del Tribunale che, non omologando il concordato, aveva dichiarato il fallimento della società; che il legale rappresentante, in quanto "parte" nel giudizio di omologa in sede di appello, per compiere efficace attività processuale, doveva necessariamente (art. 82 cpc) ricorrere al ministero di un difensore; che dalla innegabile validità del mandato conferito, e dalla sua onerosità, derivava l'obbligazione del Curatore di soddisfare il credito del difensore in prededuzione o in via privilegiata. Con il secondo motivo, si denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi (art. 360 n. 5 cpc) sottolineando che, una volta riconosciuta la necessità del difensore nel processo di impugnazione, l'affermazione che il Curatore non era il soggetto passivo della obbligazione nei confronti del difensore induceva alla illegittima conclusione di escludere lo stesso diritto alla impugnazione prevista dall'art. 183 LF.

E poiché i crediti per prestazioni professionali concernenti la rappresentanza e l'assistenza in giudizio del debitore nella causa di omologazione del concordato preventivo rientravano nei crediti di "massa" che gravano sul fallimento, quei crediti andavano ammessi e pagati in prededuzione; quanto meno, in via privilegiata, come espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 948-81), secondo cui i debiti relativi ad onorari spettanti agli Avvocati dell'imprenditore ammesso alla procedura di amministrazione controllata e di concordato preventivo costituiscono, in ogni caso, una passività dell'impresa fallita.

Le censure - che per essere strettamente connesse vanno esaminate congiuntamente - non hanno fondamento. Ed invero, il ricorrente, dall'incontestato diritto alla difesa dell'imprenditore che chiede di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo, trae la conclusione - illegittima - che gli onorari dovuti al difensore officiato "dopo" la dichiarazione di fallimento - e senza l'autorizzazione del Giudice delegato - debbono essere pagati in prededuzione o, almeno, in via privilegiata. Così il ricorrente, ad un tempo, infrange l'art. 111 del RD. 267-42 - laddove, nello stabilire l'ordine di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo, preferisce il pagamento delle spese, comprese quelle anticipate dall'erario e dei debiti contratti "per l'amministrazione del fallimento e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa "in quanto autorizzato - e trascura le costanti affermazioni della Corte di legittimità in materia fallimentare secondo le quali il pagamento in prededuzione delle spese e dei debiti, derogando in via eccezionale al principio fondamentale della "par condicio creditorum", non può essere effettuato in riferimento ad obbligazioni assunte dall'imprenditore o in suo favore, dopo l'ammissione alla procedura di concordato preventivo e dopo il fallimento.

Occorre, al riguardo, sottolineare che l'azione giudiziale (impugnazione contro la sentenza dichiarativa di fallimento conseguente alla non omologazione del concordato preventivo) proposta, con il necessario ministero del difensore, da chi aveva agito come "legale rappresentante" della società dichiarata fallita, restava fuori dell'ambito della procedura fallimentare in quanto non autorizzata dal GD.

E, dunque, era evidente la non riferibilità alla "massa" delle obbligazioni contratte dopo il fallimento. Con conseguente improponibilità sia della domanda di soddisfazione in prededuzione sia della domanda di pagamento in via privilegiata.

Le suddette affermazioni non confliggono con la pronuncia del 20.9.71 n. 2609 di questa Corte, secondo cui il carattere unitario che deve riconoscersi alle varie fasi del giudizio di omologazione (che è parte integrante della procedura fallimentare), induce a considerare legittima la pretesa dell'Avvocato (che abbia rappresentato l'imprenditore nel giudizio di omologazione "conclusosi con il rigetto della istanza e la dichiarazione di fallimento del debitore"), di ottenere "a carico" della massa fallimentare il rimborso delle spese ed il pagamento degli onorari per l'opera professionale prestata nella fase d'appello di tale giudizio. È agevole, infatti, rilevare che, con la dichiarazione di fallimento, oneri e spese per il difensore non fanno carico alla "massa" se concernono il rapporto di "mandato" instauratosi "dopo" il fallimento dichiarato; gravano, invece, sulla "massa" - ma non sono, comunque, prededucibili - se quelle spese sono relative al rapporto di mandato che, "precedendo il fallimento", è sorto in riferimento al giudizio di omologazione nelle sue varie fasi.

In particolare, la citata decisione (2609-71) contesta l'assunto del giudice del merito secondo cui "tutti gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori "nell'intento di" assicurare la conservazione del patrimonio del fallito da atti lesivi degli interessi del ceto creditorio .. nonché la concreta applicazione del principio della "par condicio creditorum". Ed afferma che "l'esplicazione, da parte del fallito, di un potere che la legge espressamente gli consente di esercitare, malgrado il suo "status" e che è diretta a conseguire, in prosecuzione di un già iniziato giudizio, un risultato conforme alla volontà manifestata dagli stessi creditori con l'approvazione del concordato", non può non fare ammettere al passivo del fallimento il credito di prestazioni professionali espletate dal difensore del debitore. Ora è evidente che l'affermazione di questa Corte presupponeva, nel carattere unitario dell'intero giudizio di omologazione (e, cioè, nelle varie fasi), il conferimento del mandato già prima della dichiarazione di fallimento, sicché la unitarietà del giudizio faceva superare, per questo aspetto, le conseguenze determinate, ordinariamente, dalla dichiarazione di fallimento, con effetti conservativi del mandato efficacemente concesso. Neppure confliggono - le già espresse conclusioni di questa Corte - con altra decisione (cfr. Cass. 17.2.81 n. 948), laddove è stato riconosciuto che la obbligazione contratta dall'imprenditore, senza la autorizzazione del G.D., nei confronti dell'Avvocato officiato nella procedura per l'amministrazione controllata o per il concordato preventivo, pur non concretando un debito di "massa" proprio in ragione della mancata autorizzazione del GD, costituisce una passività del patrimonio dell'imprenditore sicché, in caso di sopravvenuto fallimento, il correlativo credito, con il competente privilegio, è insinuabile al passivo. Come ogni altro credito anteriore al fallimento e può essere fatto valere, ove intervenga il concordato fallimentare, anche nei confronti del garante del concordato secondo le regole degli artt. 135 e 184 del RD 267-42. Anche in questo caso resta confermato che l'obbligazione contratta senza l'autorizzazione del G.D. non può inerire alla "massa" ed in tanto è riferibile, in quel contesto, "al patrimonio del debitore" in quanto sia sorta prima della dichiarazione di fallimento. Implicitamente, si afferma che, sopravvenuto il fallimento, non è legittima la riferibilità a quel patrimonio se l'obbligazione per spese legali è sorta successivamente alla dichiarazione di fallimento.

La Corte territoriale, avendo, nella sua decisione, fatto corretta applicazione delle norme richiamate dal ricorrente ed essendosi attenuta ai principi interpretativi enunciati, in materia, in sede di legittimità - dando del "decisum" adeguata e coerente motivazione - non merita le censure formulate.

Mancano i presupposti per la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione. Roma 16.12.1993.