Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3100 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione Sez. Un. Civili, 18 Dicembre 2008, n. 29530. Est. Salvago.


Opere pubbliche (appalto di) - Collaudo - In genere - In genere.



 


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente di sezione -
Dott. ELEFANTE Antonino - Presidente di sezione -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente di sezione -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - rel. Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CURCURUTO Filippo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IMPRESA GERARDO VATIELLI, in persona del legale rappresentante pro - tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DEL TEATRO VALLE 6, presso lo studio dell'avvocato BRACCI LUCIANO FILIPPO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI CATANZARO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARMANDO DI TULLIO 11, presso la sig.ra TRANQUILLO ILARIA, rappresentata e difesa dagli avvocati TRANQUILLO LUIGI, PALLONE FEDERICA, per delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 720/2005 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/09/2005;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 11/11/2008 dal Consigliere Dott. SALVAGO SALVATORE;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI DOMENICO, che ha concluso per il rigetto del ricorso (difetto di giurisdizione del giudice ordinario).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 12 dicembre 2001, respingeva le opposizioni della Provincia di Catanzaro ai decreti ingiuntivi 93, 94, 95 e 96/1998 con cui le era stato intimato il pagamento in favore dell'impresa Gerardo Vatielli di somme varie, in parte a titolo di residuo compenso per i lavori eseguiti in conseguenza dei contratti di appalto stipulati il 18 marzo 1980 ed il 9 marzo 1983, in parte a titolo di saldo revisionale. L'impugnazione dell'amministrazione provinciale è stata accolta dalla Corte di appello di Catanzaro, che con sentenza del 23 novembre 2005, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle pretese di cui ai decreti ingiuntivi 94 e 96/1998 - che ha revocato - inerenti alla revisione dei prezzi contrattuali; ed ha revocato anche il decreto ingiuntivo 95/1998 relativo al pagamento di compensi contrattuali perché prescritti. Ha osservato al riguardo:
a) che in ordine alla domanda di revisione prezzi non era intervenuto alcun riconoscimento della stazione appaltante ne' esplicito, ne' implicito che poteva provenire soltanto dagli organi deliberativi dell'ente;
b) che gli ulteriori compensi dovuti in conseguenza del contratto di appalto del 1980, i cui lavori erano stati ultimati il 27 maggio 1983, non erano stati richiesti nei dieci anni decorrenti dal termine di 5 mesi dall'ultimazione di cui alla L. n. 741 del 1981, art. 5, ma soltanto con missive inviate alla Provincia nel corso dell'anno 1995: allorché dunque la prescrizione era ampiamente maturata;
c) che non potevano considerarsi interruttivi gli atti dell'amministrazione indicati dall'impresa, perché non provenienti dagli organi dell'ente aventi il potere di riconoscere il diritto al compenso preteso dalla controparte.
Per la cassazione della sentenza l'impresa Vatielli ha proposto ricorso per due motivi; cui resiste l'Amministrazione provinciale di Catanzaro con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, l'impresa Vatielli, deducendo violazione della L. n. 741 del 1981, art. 5, censura la sentenza impugnata per aver dichiarato prescritto il credito relativo ai lavori di cui al contratto di appalto 18 marzo 1980, ultimati il 27 maggio 1983 posto che la prima richiesta dell'impresa idonea ad interrompere la prescrizione iniziata a decorrere L. n. 741 del 1981, ex art. 5, dal termine previsto per l'approvazione del collaudo o per la certificazione di regolare esecuzione, era stata inviata alla stazione appaltante il 3 aprile 1995: senza considerare che la norma ha attribuito all'appaltatore, dopo la scadenza dei termini suddetti, la facoltà, ma non l'obbligo di agire giudizialmente per la tutela del proprio credito;con la conseguenza che è rimasta ferma la regola che il termine di prescrizione per farlo valere non poteva decorrere fino a quando non fosse stato eseguito il collaudo.
Il motivo è infondato.
Con riferimento ad appalti sottoposti alla disciplina precedente alla L. n. 741 del 1981, questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che l'appaltatore, secondo la regola posta già dall'art. 44 del capitolato generale approvato con D.M. 28 maggio 1895 e ripetuta nell'art. 44 del nuovo capitolato approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, può agire per far valere il suo diritto al saldo finale, allo svincolo della cauzione e ad eventuali compensi aggiuntivi, o comunque a tutela delle proprie ragioni, solo dopo che l'amministrazione, a norma del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 109, abbia deliberato sull'approvazione del collaudo e sulle domande dell'appaltatore con provvedimento che deve essere posto in essere in un arco di tempo compreso nei limiti della tollerabilità e delle normali esigenze di sperimentare l'opera successivamente al suo compimento, nonché di definire il rapporto: perciò senza ritardi ingiustificati, tenuto conto della natura del rapporto medesimo, dell'economia generale del contratto e del rispettivo interesse delle parti.
La regola, fondata, all'evidenza, sul presupposto che il termine per l'esecuzione del collaudo fosse soltanto in funzione dell'interesse dell'amministrazione committente, subiva un'eccezione nelle ipotesi introdotte dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 109, di accordo delle parti per non differire la risoluzione della vertenza (2 comma, lett. a), ovvero (lett. b) di controversia la cui natura o rilevanza economica, ad avviso di una di esse, non consente di differirne la risoluzione; e che è perciò subordinata alla condizione del carattere di indilazionabilità e di urgenza assoluta (Cass. 7550/1995; 4726/1995; 12513/1992; 5530/1983; 2385/1976; 1343/1970). Siffatta disciplina, non prevedendo un termine per l'esecuzione del collaudo, ha tuttavia consentito nella prassi alla stazione appaltante di ritardarlo ingiustificatamente ovvero di non compierlo affatto, perciò paralizzando sine die i diritti e le ragioni creditorie dell'appaltatore; ed ha perciò indotto dottrina e giurisprudenza a ritenere, dapprima, che in tali casi l'appaltatore dopo un atto di diffida rimasto senza seguito possa rivolgersi all'autorità giudiziaria perché assegni un termine all'amministrazione per l'esperimento delle operazioni di collaudo. E successivamente che ove la stazione appaltante abbia omesso di adottare e comunicare le sue determinazioni in congruo periodo di tempo (normalmente ricavato dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 38), tale comportamento omissivo denunci di per sè il rifiuto dell'amministrazione di provvedervi, nonché il suo inadempimento, e l'appaltatore può allora far valere direttamente i suoi diritti, in via giudiziaria o arbitrale, senza necessità di dover mettere preliminarmente in mora l'amministrazione o di assegnarle un termine, e tanto meno di sperimentare il procedimento di cui all'art. 1183 c.c.: così come gli è concesso in presenza di fatti o circostanze che rendano inutile il collaudo, o, a maggior ragione, quando il collaudo non possa essere eseguito. Questo quadro normativo è stato modificato dalla L. n. 781 del 1981, art. 5, applicabile a tutti i contratti di appalto di opere pubbliche, sia di competenza statale, sia di competenza degli enti pubblici minori, il quale dispone, al comma 3 che il certificato di regolare esecuzione è comunque emesso non oltre tre mesi dalla data di ultimazione dei lavori. Soggiunge poi, al comma successivo, che, se detto certificato non viene approvato entro due mesi dalla scadenza dei termini di cui ai precedenti commi e salvo che ciò non dipenda da fatto imputabile all'impresa, l'appaltatore, ferme restando le eventuali responsabilità a suo carico accertate in sede di collaudo, ha diritto alla restituzione della somma costituente la cauzione definitiva... E poi ancora al comma 5: Trascorsi i termini di cui ai commi precedenti, l'impresa può proporre, ai sensi delle norme vigenti, giudizio arbitrale o ordinario per le controversie nascenti dal contratto di appalto, anche se non è stato ancora approvato il collaudo o il certificato di regolare esecuzione.
Risulta evidente che l'intervento del legislatore, rivolto proprio ad accelerare le procedure per l'esecuzione ed il collaudo di opere pubbliche, per un verso ha tolto ogni giustificazione al ritardo nel pagamento della rata di saldo, per altro verso ha attribuito valore legale tipico di rifiuto, e quindi d'inadempimento, al protrarsi di tale inerzia per un segmento temporale la cui congruità ha prestabilito in linea generale ed astratta; il cui inutile decorso, senza che l'Amministrazione abbia fornito la prova che la relativa omissione o il relativo ritardo siano dipesi da fatto imputabile all'impresa, determina, per ciò solo, l'insorgere del diritto dell'appaltatore al pagamento del saldo o delle altre poste legate all'ultimazione dei lavori; nonché di quelli ulteriori correlati alla scadenza del termine suddetto,quale, il pagamento degli interessi sulla rata di saldo D.P.R. n. 1063 del 1962, ex art. 36, dopo che sia trascorso il termine di centoventi giorni dalla data entro cui doveva essere rilasciato il certificato di collaudo (Cass. 6303/2007; 7987/1996). O l'automatica estinzione delle polizze fideiussorie, rilasciate dall'appaltatore a garanzia della regolare esecuzione dell'opera, con la conseguente liberazione dell'appaltatore dall'obbligazione del pagamento dei premi alla società assicuratrice (Cass. 2670/2008; 6805/2002). Conclusivamente la scadenza del termine massimo introdotto dal menzionato art. 5 (3+2 mesi) dalla data di ultimazione dei lavori, segna con certezza il momento iniziale di esercizio del complesso bagaglio dei diritti dell'appaltatore cui la norma, al quale, legittimandolo "alle controversie nascenti dal contratto", attribuisce la possibilità legale di richiedere in giudizio la prestazione che gli compete; e posto che il credito alla corresponsione della rata di saldo rientra innegabilmente fra i diritti suddetti (Cass. 12451/2008; 23746/2007; 14460/2004), lo stesso ancorché non liquido, diviene alla suddetta scadenza esigibile in via giudiziale ovvero con ricorso agli arbitri, con la conseguenza, già evidenziata da questa Corte,che la sua estinzione per effetto del decorso della prescrizione devesi porsi in stretta e necessaria correlazione con la consumazione del termine entro il quale si prescrivono le suddette azioni, previste per il suo esercizio, secondo il principio che pone siffatta coincidenza come regola interna al nostro ordinamento: salvo le eccezioni specificamente previste.
Resta altresì salva l'ipotesi, qui neppure prospettata dall'impresa, che le parti abbiano espressamente recepito nel contratto il principio della postnumerazione codificato dall'art. 1665 c.c., u.c., per cui l'obbligazione del committente di pagare il corrispettivo sorge solo quando l'opera è stata accettata; nonché quella di poste aggiuntive reclamargli soltanto a seguito e per effetto del collaudo oppure dello scioglimento delle apposite riserve da parte della stazione appaltante.
Pertanto è del tutto corretta la statuizione della Corte di appello, che dopo avere ritenuto che soltanto gli atti provenienti dagli organi della Provincia legittimati ad esprimerne la volontà avrebbero potuto riconoscere il diritto di credito preteso da controparte ed erano quindi idonei ad interromperne la prescrizione,ha affermato che in seguito alle disposizioni della L. n. 741 del 1981, art. 5, che all'appaltatore consente di agire giudizialmente per far valere i propri crediti dopo la scadenza dei termini stabiliti dalla norma anche se non è stato ancora approvato il collaudo o il certificato di regolare esecuzione, dalla stessa scadenza (27 maggio 1983) è iniziato a decorrere il relativo termine di prescrizione: perciò inutilmente spirato posto che la prima richiesta dell'impresa, come la stessa ha ammesso è contenuta nella richiesta inviata alla stazione appaltante il 3 aprile 1995:
quando dunque il termine di prescrizione era ampiamente maturato. Con il secondo motivo, l'impresa, deducendo violazione dei principi sul riparto di giurisdizione, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione censura la sentenza impugnata per aver dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine al proprio diritto a conseguire i saldi revisionali senza considerare, da un lato, che questo diritto era stato riconosciuto dalla stazione appaltante sia nel capitolato speciale di appalto, sia nell'atto di sottomissione del 9 luglio 1981. E dall'altro che detto riconoscimento trovava conferma implicita nell'avvenuto pagamento degli acconti revisionali, ed era ulteriormente contenuto nella "relazione sul conto finale e Certificato di regolare esecuzione redatto dall'Ufficio tecnico dell'amministrazione provinciale.
Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato:
inammissibile perché non tiene conto che il ricorrente per Cassazione che denunci l'esistenza di vizi della sentenza correlati all'omesso o errato esame di una risultanza istruttoria (parte di un documento, nella specie costituito dal capitolato speciale di appalto nonché dall'atto di sottomissione 9 luglio 1981) che egli assume decisiva e non valutata o correttamente valutata dal giudice, ne postula la specificazione nel ricorso, se necessario anche mediante la sua trascrizione integrale: perché solo tale specificazione che nel caso non è stata eseguita, consente alla Corte di Cassazione - alla quale è precluso, salva la denunzia di "error in procedendo", l'esame diretto dei fatti di causa - di delibare la decisività della risultanza non valutata; con la conseguenza che deve ritenersi inidoneo allo scopo il ricorso con cui, nel denunziare l'omessa valutazione da parte del giudice di merito di una circostanza decisiva, ci si limiti a rinviare,come ha fatto l'impresa nella fattispecie, alla prospettazione contenuta negli atti di causa. La censura non ha, per il resto, alcun fondamento.
È noto, infatti, che in seguito alla normativa introdotta dal D.Lgs.C.P.S. n. 1501 del 1947 che per i lavori relativi a qualsiasi opera pubblica, ha devoluto alla p.a. committente "salvo patti in contrario" la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi pattuiti, quando l'amministrazione riconosca che il costo complessivo dell'opera è aumentato o diminuito in misura superiore al 10% per effetto di variazioni successive alla presentazione dell'offerta, la giurisprudenza sia ordinaria, che amministrativa, nel procedimento rivolto a provvedere sulle istanze di revisione, ha individuato due distinte fasi attraverso le quali la revisione trova attuazione: la prima, caratterizzata dall'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione appaltante, di riconoscere o meno la revisione, sulla base di valutazioni correlate a preminenti interessi pubblicistici, in presenza dei quali la posizione dell'appaltatore è di interesse legittimo, come tale tutelabile davanti al giudice amministrativo.
Mentre la seconda, che consegue (soltanto) alla scelta operata in senso positivo e favorevole all'appaltatore, trova quest'ultimo in posizione di diritto soggettivo,perciò devoluto alla giurisdizione ordinaria, in quanto - esauritosi il potere autoritativo e venuto meno il connesso affievolimento del diritto del privato contraente - la concreta determinazione delle somme a questo spettanti a titolo di revisione coinvolge soltanto criteri e parametri liquidatori, peraltro predeterminati (Cass. sez. un. 10968/2008; 22903/2005;
21294/2005; 18126/2005).
Posto, dunque, l'inserimento nel rapporto contrattuale di questo procedimento pubblicistico necessario per il conseguimento della revisione che nel sistema legislativo in vigore fino alla L. n. 359 del 1992, ha finito per assumere carattere di provvedimento concessorio rimesso alla discrezionalità dell'ente appaltante, le Sezioni Unite in passato ipotizzavano due distinte fattispecie cui la posizione dell'appaltatore assume la consistenza di diritto soggettivo al conseguimento della revisione: e cioè che la stessa venisse resa obbligatoria in forza di apposita clausola contrattuale legittimamente apposta ovvero fosse riconosciuta e concessa dalla stazione appaltante con un provvedimento espresso o implicito durante l'esecuzione del contratto.
Ma la prima delle due fattispecie è venuta meno con la L. n. 37 del 1973, che più non consente la possibilità di patti contrattuali preventivi in deroga al regime legale della revisione dei prezzi, con conseguente devoluzione alla giurisdizione amministrativa anche delle controversie in ordine al credito per revisione fondato sulla stipulazione di apposito patto contrattuale successivo all'entrata in vigore della suddetta legge che lo ha espressamente vietato (Cass. sez. un. 18126/2005 cit.; 6034/2002; 9220/2001; 8711/2000). E con la conseguenza ulteriore che in quest'ultima fattispecie cui rientrano gli appalti eseguiti dall'impresa Vatielli, per avere la sentenza impugnata accertato che i relativi contratti furono stipulati con atti del 18 marzo 1980 e 9 marzo 1983 (pag. 7), la posizione soggettiva dell'appaltatore in ordine alla facoltà, dell'amministrazione di procedere alla revisione dei prezzi acquista natura e consistenza di diritto soggettivo, tutelabile dinanzi al giudice ordinario, soltanto allorché questa abbia esercitato il potere discrezionale a lei spettante adottando, durante lo svolgimento dell'appalto o al termine di esso, un provvedimento attributivo; o ancora abbia tenuto un comportamento tale da integrare un implicito riconoscimento del diritto alla revisione, così che la controversia riguardi soltanto il "quantum" della stessa. A tale ultimo riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il principio che tanto il riconoscimento esplicito contenuto in un formale provvedimento amministrativo, quanto (a fortiori) quello implicito costituito da un comportamento equipollente, quale il disposto pagamento di uno o più acconti revisionali è configurabile soltanto in presenza di un atto dell'amministrazione committente che presupponga la volontà del suo organo deliberativo di accordare la revisione prezzi: in quanto è soltanto all'organo suddetto - abilitato per legge o per statuto a manifestare all'esterno la relativa volontà - che le norme sull'evidenza pubblica, attinenti all'organizzazione della pubblica amministrazione ed alla formazione ed estrinsecazione delle sue determinazioni, hanno attribuito il potere - dovere di rappresentare l'amministrazione in ordine alle scelte discrezionali in merito alla concessione del compenso e di adottare gli atti ed i comportamenti consequenziali, siano essi espliciti che impliciti; e perché, dunque, solo se disposto da detto organo il pagamento dell'acconto postula l'esercizio in senso positivo del potere in ordine all'an debeatur della revisione (Cass. sez. un. 21292 e 21293/2005;
10165/2002; 5731/2002).
In tale ottica è stato escluso che la verifica della ricorrenza dei presupposti tecnici per il riconoscimento ed in caso positivo, i conteggi degli importi revisionali eventualmente dovuti all'appaltatore eseguiti dal direttore dei lavori in occasione della redazione degli stati di avanzamento o della relazione di accompagnamento al loro stato finale ovvero attestati dall'ingegnere capo o ancora dal collaudatore nella relazione di sua competenza ai sensi del R.D. 350 del 1895, art. 100, possano attribuire all'appaltatore il diritto alla revisione, trattandosi di organi tecnici dell'amministrazione, incaricati esclusivamente di eseguire gli accertamenti tecnici, contabili ed amministrativi, indispensabili a fornire alla stazione appaltante il supporto tecnico per la verifica della variazione dei prezzi, nonché di esprimere (il collaudatore) il proprio giudizio sulla collaudabilità dell'opera. Senza considerare che i comportamenti e gli atti di ciascuno di detti organi tecnici, così come quelli degli uffici addetti alla contabilità costituiscono atti meramente interni e preparatori della p.a., perciò privi di rilevanza esterna, pur quando sono finalizzati alla disamina dell'istanza di revisione dell'appaltatore nonché ad un suo eventuale riconoscimento;per cui anche sotto questo profilo non possono essere ritenuti espressione della volontà dell'ente pubblico di concederla (Cass. sez. un. 6993/2005; 1996/2003;
6034/2002; 6666/1992).
Siffatto sistema non è stato modificato dal combinato disposto della L. n. 1 del 1978, art. 14 e della L. n. 781 del 1981, art. 3 che in caso di corresponsione della anticipazione di cui al R.D. 2440 del 1923, art. 12, hanno stabilito l'importo dell'acconto revisionale ed i parametri cui commisurarlo, avendo queste Sezioni Unite specificato che la commisurazione degli acconti del compenso revisionale ai pagamenti in conto del corrispettivo contrattuale, prevista dalla normativa in esame non ha la conseguenza di innovare al precedente sistema di concessione della revisione subordinato all'esercizio - in senso favorevole all'appaltatore - di una valutazione discrezionale dell'amministrazione appaltante: posto che la stessa si limita a regolare l'entità degli acconti, nonché le modalità e i tempi dei relativi versamenti, mentre nulla dispone sul potere discrezionale dell'amministrazione di concedere o meno la revisione (Cass. sez. un. 1996/2003; 400/1999).
Il che del resto trova puntuale riscontro oltre che nella stessa L. n. 741 del 1981, art. 1, nella successiva L. n. 41 del 1986, il cui art. 3 detta norme riguardanti, sotto differenti profili, "la facoltà di procedere alla revisione prezzi": perciò avvalendosi di una formula che soprattutto se se ne considera l'inserimento in una normativa diretta a contenere una eccessiva dilatazione della spesa pubblica, proprio in relazione al costo degli appalti della p.a., non può essere intesa se non nel senso di conservare all'amministrazione appaltante un potere amministrativo in senso proprio, unilaterale e discrezionale, soprattutto sotto l'aspetto dell'onere finanziario che la revisione prezzi comporta per il bilancio dell'ente. Proprio questi principi sono stati applicati dalla sentenza impugnata, la quale ha accertato:
a) che relativamente al contratto 9 marzo 1983 non risultavano versati acconti a titolo di revisione prezzi e non si poneva di conseguenza la questione del saldo, ma soltanto quella del riconoscimento di detta posta da parte della stazione appaltante;
b) che il riconoscimento in questione non poteva essere ravvisato nella relazione sul conto finale e certificato di regolare esecuzione dei lavori del 7 novembre 1989, sia perché proveniente da organi tecnici (Direttore dei lavori, Ingegnere capo) e non da quello deliberativo della Provincia, titolare del relativo potere, sia perché il pagamento della revisione (o del saldo relativo al contratto del 1980) non era stato preceduto dalla relativa domanda:
e, quindi ne' successivamente sottoposto alla decisione degli organi deliberativi;
c) che per quanto riguarda i certificati di acconto inerenti a quest'ultimo contratto, il relativo pagamento non risultava approvato da alcun organo dell'amministrazione; e quello che ne riportava il contenuto era addirittura privo di qualsiasi sottoscrizione. È perciò pervenuta al corretto risultato che nel caso non vi era stato ne' riconoscimento esplicito della revisione non ravvisabile nella ricordata relazione del 7 novembre 1989; e neppure con riguardo al solo contratto del 1980, riconoscimento implicito per l'avvenuto pagamento di alcuni acconti revisionali. Con la conseguenza che in mancanza dell'una o dell'altra forma di riconoscimento la posizione soggettiva dell'impresa Vatielli aveva conservato natura e consistenza di mero interesse legittimo, tutelabile davanti al giudice amministrativo.
Sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE
Rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2008