Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 771 - pubb. 01/07/2007

Revocatoria ordinaria e ipoteca a garanzia di pregresse esposizioni

Tribunale Mantova, 09 Dicembre 2002. Est. Bernardi.


Azione revocatoria ordinaria del curatore ex artt. 66 l.f. e 2901 c.c. - Pericolo di danno al patrimonio - Sussistenza di eventus damni e scientia damni - Stato di precarietà economica emergente dai bilanci - Utilizzo di parte del mutuo per coprire pesanti esposizioni verso la banca erogante - Generica consapevolezza del pregiudizio in capo a debitore e terzo - Sussistenza del consilium fraudis.



 


 


omissis 

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 16-6-1999 la B.A.M. proponeva tempestiva opposizione ex art. 98 l.f. avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento F.lli Menghini s.n.c. e dei singoli soci dichiarati falliti.

La banca lamentava in primo luogo che fosse stato adottato un unico provvedimento per la società e per i soci nonostante essa avesse proposto distinte domande di insinuazione nei confronti della s.n.c. e dei singoli soci ed inoltre che non era chiaro se ed in quale misura fossero stati ammessi gli interessi convenzionali. Infine l’istituto di credito assumeva che illegittimamente non era stato riconosciuto il rango ipotecario al credito di £ 313.451.617 vantato nei confronti di Menghini Massimo e Motta Bruna i quali, sugli immobili di cui erano comproprietari, avevano iscritto ipoteca a suo favore a garanzia della erogazione di un mutuo di £ 250.000.000 concesso alla società fallita con atto n. 71248 rep. notaio dott. Natale Bellutti del 15-3-1995: premettendo che il provvedimento di esclusione della prelazione era stato adottato sul presupposto che l’ipoteca fosse revocabile ai sensi degli artt. 66 l.f. e 2901 c.c., l’opponente sosteneva che non ricorreva alcuno dei presupposti richiesti per l’applicazione di tali norme.

La curatela fallimentare si costituiva assumendo che l’adozione di un unico provvedimento di ammissione era dovuto ad un mero errore materiale e dava atto che non veniva contestata la quantificazione dell’importo concernente gli interessi convenzionali pari a £ 73.621.328. L’opposto ribadiva invece la correttezza del provvedimento che aveva escluso la prelazione ipotecaria ex art. 66 l.f. e chiedeva pertanto il rigetto della domanda. 

Esperita l'istruttoria orale e dichiarati utilizzabili tutti gli atti del fascicolo fallimentare con ordinanza collegiale del 14-3-2002, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi

L’opposizione è infondata e deve essere rigettata.

In primo luogo va dato atto che il sintetico provvedimento adottato in sede di formazione dello stato passivo riguardava sia la società che i singoli soci sicché il credito deve ritenersi ammesso, in conformità della comunicazione inviata dal Curatore, nel seguente modo: nel passivo della società, il tutto in via chirografaria, per £ 239.830.289 oltre a £ 73.621.328 per interessi convenzionali in relazione al mutuo nonché per ulteriori £ 31.822.608 in modo pieno e per £ 57.436.600 in via condizionale; nel passivo personale di Menghini Massimo, Motta Bruna, Menghini Pietro e Menghini Gianni, in via chirografaria, per £ 239.830.289 oltre a £ 73.621.328 per interessi convenzionali relativi al mutuo, oltre alle ulteriori somme di £ 31.822.608 in modo pieno e di £ 57.436.600 in via condizionale.

Va poi aggiunto che non vi è alcuna contestazione fra le parti circa l’ammissione nella misura di £ 73.621.328 degli interessi convenzionali non risultando peraltro alcuna contestazione o decurtazione dal decreto emesso ex art. 97 l.f. che semplicemente non conteneva l’indicazione in cifre di siffatta voce.

Quanto all’esclusione, ex art. 66 l.f. e 2901 c.c., della prelazione ipotecaria la B.A.M. ha contestato che sussistano i requisiti previsti dalla legge e cioè l’eventus damni e la scientia fraudis.

Sotto il primo profilo e rilevando che l’ipoteca concessa era contestuale al credito garantito, l’istituto di credito faceva notare che non esistevano, al di fuori di essa medesima, creditori personali dei due soci datori di ipoteca sicchè doveva escludersi ogni pregiudizio né, a tal fine, si sarebbero potuti prendere in considerazione i creditori sociali posto che costoro non erano in grado di essere direttamente pregiudicati da un atto dispositivo avente ad oggetto beni personali dei soci e non beni della società.

Siffatta tesi non può essere condivisa atteso che i soci della s.n.c. sono direttamente, in solido ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali (cfr. art. 2291 c.c.; Cass. 5-11-1999 n. 12310; Cass. 29-11-1995 n. 12405), situazione questa che viene presupposta dalla norma fallimentare (cfr. art. 148 l.f.) ai sensi della quale il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l'intero anche nel fallimento dei singoli soci, mentre il disposto di cui all’art. 2304 c.c. opera unicamente nella fase esecutiva senza che ciò incida sulla qualità di debitore del singolo socio (in tal senso vedasi Cass. 26-11-1999 n. 13183; Cass. 3-6-1998 n. 5434; Cass. 12-4-1994 n. 3399): ne deriva pertanto che i creditori della società debbono considerarsi anche creditori dei singoli soci e che essi possono venire pregiudicati da un atto che depaupera il patrimonio personale di questi ultimi.

In ossequio al principio stabilito da Cass. 12-9-1998 n. 9092 occorre verificare che il credito di tutti o alcuni dei creditori ammessi al passivo fosse già sorto al momento del compimento dell’atto che si assume pregiudizievole, quale fosse la consistenza dei loro crediti nonché quella qualitativa e quantitativa del patrimonio del debitore subito dopo il compimento dell’atto dannoso.

Ciò posto e tenuto conto che l’ipoteca è stata concessa nel marzo del 1995 va detto che si deve avere riguardo ai crediti sorti prima di tale data e successivamente ammessi al passivo (cfr. Cass. 10-2-1996 n. 1050 per cui si deve avere riguardo all’insorgere del credito) a nulla rilevando pertanto che la banca, nel concedere il mutuo, abbia preso in considerazione solamente il bilancio sociale relativo all’esercizio 1993 (vedasi testimonianza del dipendente Ancellotti Gabriele): dall’esame dello stato passivo e delle domande di insinuazione emerge che i crediti vantati da Cama s.n.c., Krino s.r.l, Mobil Plastic s.r.l., Perboni Giuseppe, PG s.r.l., R.U.P.E.S. s.p.a. e Robert Bosch Industriale s.p.a. ammontano (detratte le spese legali maturate successivamente) all’incirca a £ 100.000.000 ed erano sorti fra il 1993 ed il 1994 e quindi prima dell’iscrizione dell’ipoteca.

Orbene se si considera che il bilancio sociale del 1993 evidenzia una differenza in negativo fra passività ed attività per circa £ 45.000.000, che da quello del 1994 emerge una perdita di esercizio di £ 1.040.751.458, che la s.n.c. non è mai stata titolare di immobili né ulteriori immobili sono stati in seguito acquisiti dai soci i quali, pertanto, concedendo l’ipoteca, avevano investito ogni loro avere nella s.n.c., risulta evidente il pregiudizio subito dai predetti creditori posto che, mentre al momento del sorgere del loro credito il patrimonio sociale era incapiente ma risultavano garantiti dall’immobile dei soci potendo paritariamente concorrere con gli altri creditori, successivamente l’unica solida garanzia per il soddisfacimento delle loro ragioni è risultata vincolata a favore del credito della banca.  Al riguardo occorre rammentare che non è necessario che sussista un danno concreto ed effettivo essendo invece sufficiente un pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta o maggiormente difficile la realizzazione del credito (cfr. Cass. 17-10-2001 n. 12678; Cass. 5-6-2000 n. 7452; Cass. 1-6-2000 n. 7262; Cass. 29-12-1999 n. 12144) chiaramente sussistente, nel caso di specie, per la ragione sopra addotta, ulteriormente corroborata dal fatto che gran parte dell’attivo sociale era costituito dalla voce magazzino che va sempre prudentemente valutata, non essendovi certezza circa la congruità dei valori espressi, in considerazione, in particolare, della progressiva obsolescenza dei materiali.

Nessun dubbio può sussistere in ordine alla ricorrenza della scientia damni in capo ai soci posto che la società non era titolare di immobili, che il patrimonio sociale era manifestamente insufficiente a garantire le ragioni dei creditori e che, per effetto dell’operazione posta in essere, quelli personalmente intestati ai due soci finivano per essere vincolati al soddisfacimento della sola opponente.

Per quanto concerne infine la sussistenza del consilium fraudis  in capo alla B.A.M. va notato che la non florida situazione della società emergeva sin dal bilancio del 1993 nel quale la voce debiti verso terzi era appostata per l’importo di £ 2.206.723.632, che appare dubbia la circostanza che l’istituto di credito non avesse preteso alcuna informazione circa l’andamento della s.n.c. relativamente all’esercizio 1994 (in cui alla voce debiti verso terzi corrisponde l’importo di £ 2.100.272.161) tanto più che i risultati dell’anno precedente non erano certo brillanti ed infine che la società aveva aperto presso la stessa banca più linee di credito che risultavano, prima della concessione del mutuo, pesantemente in passivo ed infine che, in parte, il mutuo andava a coprire proprio debiti maturati nei confronti dell’istituto. In proposito va ricordato che, da un lato, l’azione revocatoria ordinaria di atto successivo al sorgere del credito richiede la generica consapevolezza da parte del creditore e del terzo del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore mentre non esige anche una collusione tra il debitore ed il terzo, né lo stato di insolvenza dell’uno, né la conoscenza di tale stato da parte dell’altro (cfr. Cass. 1-6-2000 n. 7262 che equipara alla semplice conoscenza la agevole conoscibilità nel debitore e nel terzo del pregiudizio; Cass. 20-11-1996 n. 10219; Cass. 3-5-1996 n. 4077; Cass. 4-11-1995 n. 11518; Cass. 12-2-1990 n. 1007;) e che, dall’altro, si prescinde dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione (cfr. Cass. 1-6-2000 n. 7262; Cass. 19-3-1996 n. 2303).

Né infine può condividersi l’ulteriore argomentazione svolta dall’opponente secondo cui poiché le somme erogate erano state destinate a ripristinare la liquidità necessaria per l’acquisto di materie prime  e per il pagamento di debiti verso fornitori doveva escludersi ogni intento di danno. Si ritiene infatti assoggettabile a revocatoria, nella ricorrenza degli altri presupposti di legge, l’atto di concessione di garanzia ipotecaria a fronte di un mutuo contratto dal debitore per estinguere le passività aziendali, atteso che la stipula della garanzia non ha il connotato della doverosità proprio dell’adempimento - che giustifica l’esclusione della revocatoria ai sensi dell’art. 2901 III co. c.c. - ma si fonda sulla libera determinazione del debitore il quale, attraverso il mutuo, dà luogo alla modifica del suo patrimonio con il rischio della compromissione delle pregresse ragioni degli altri creditori (così  Cass. 2-4-1996 n. 3066 e, nello stesso senso, vedasi Cass. 5-8-1996 n. 7119; Cass. 24-8-1993 n. 8917).

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

premesso che il credito della banca deve ritenersi ammesso al passivo del fallimento della società e di quello personale dei singoli soci illimitamente responsabili così come meglio specificato in motivazione senza che ciò comporti alcuna modificazione dello stato passivo reso esecutivo, rigetta l’opposizione promossa dalla B.A.M.;

condanna l’opponente a rifondere al fallimento opposto le spese di lite liquidandole in complessivi euro 3.521,31 di cui e. 319,05 per spese, e. 1.159,46  per diritti ed e. 2.042,80 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.