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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/05/2017 Scarica PDF

Qual è l'oggetto di una clausola claims made e perché alcune di queste clausole, quelle impure, sono presuntivamente nulle

Paolo Fortina, Avvocato in Milano


Cass. Sez. Unite, n. 9140 del 6 maggio 2016

Tribunale di Milano, n. 7149 del 17 giugno 2016

Cass. III Sez. Civ., n. 10506 del 28 aprile 2017

Tribunale di Udine, n. 613 del 3 maggio 2017

                                                                 

     

Sommario: 1. La clausola claims made come soluzione, per le compagnie assicurative, al problema della determinazione delle riserve attive - 2. La natura illimitatamente retroattiva della clausola claims made - 3. Le claims made impure. - 4. Le Sezioni Unite ed il sindacato di meritevolezza sulle clausole claims made impure. - 5. La Cassazione sostiene l'immeritevolezza della claims made se priva di possibilità di denuncia postuma. - 6. La pronuncia del Tribunale di Udine: la presunzione semplice di nullità. - 7. Le conclusioni.


     

1. Il punto di attacco dal quale si decide come affrontare il discorso delle clausole claims made è dirimente e, poiché lo scopo di questo breve scritto è contribuire alla comprensione di un fenomeno complesso quanto importante quale l'effettiva copertura assicurativa nelle polizze professionali (che sono tutte, nessuna esclusa, claims made), bisognerà necessariamente partire quasi dall'inizio, al fine di poter tirare le fila, cercando di assicurarsi che tutti gli argomenti man mano richiamati conducano, una volta tirati, a conclusioni condivisibili.

L'inizio, nel nostro caso, è senz'altro il codice civile, il quale disciplina la polizza assicurativa per responsabilità civile all'art. 1917 c.c., e al cui centro troviamo un fatto, chiamato sinistro, accaduto necessariamente “durante il tempo dell'assicurazione”.

Se dunque ci si assicura per un anno, ad esempio il 2016, il fatto accaduto all'interno di quell'anno sarà coperto dalla polizza assicurativa e ciò a prescindere da quando comunicherò alla compagnia la richiesta danni, salve ovviamente questioni di prescrizione.

Dal punto di vista della compagnia assicurativa, dunque, il contratto di polizza per il 2016, secondo questa disciplina, rappresenterà un “rischio” di potenziale sinistro fino a quando non sarà prescritta la relativa richiesta da parte di un potenziale terzo danneggiato.

Il terzo danneggiato, da parte sua, deve essere consapevole del danno patito affinché decorra la relativa prescrizione. Ciò a dire che il soggetto danneggiato potrebbe denunciare molti anni dopo un sinistro avvenuto materialmente nel 2016. Se così fosse, il danneggiante/assicurato, a sua volta, denuncerebbe molti anni dopo il relativo sinistro alla propria compagnia, che sarebbe ovviamente chiamata a risponderne comunque. Questa impostazione tradizionale – detta loss occurence, ovvero all'insorgenza del danno – non permetteva alle compagnie assicurative di fare i conti: come poteva una compagnia effettivamente valutare se un prodotto assicurativo – quello venduto nel 2016 ad esempio – era stato redditizio o catastrofico? Date le polizze vendute, e i premi incassati, si doveva necessariamente attendere il pagamento dei relativi sinistri secondo l'ovvia considerazione che il risultato economico di un prodotto assicurativo si ottiene dai premi incassati meno i sinistri pagati. Se dunque i sinistri possono essere pagati anche dopo molti anni, i conti si potranno fare solo alla fine, e questa fine potrebbe essere un tempo anche molto lungo, con ovvio danno in termini di previsione economica, di bilancio e anche di allocazione di corretto prezzo delle relative polizze (troppo care – con il rischio di collocarsi fuori dal mercato – o al contrario insufficienti a coprire i futuri sinistri?)

L'invenzione della claims made risponde a questo specifico problema: determinare, dato un lasso di tempo specifico, i sinistri assicurativi aperti, in modo da poter fare i conti in maniera più precisa. Per fare questo, bisogna che i sinistri – appunto – siano “finiti”, non siano cioè possibili ulteriori richieste di indennizzo al di fuori del tempo concesso per l'apertura della pratica risarcitoria.

Avviene dunque uno spostamento radicale, che è alla base della disciplina claims made, per cui il fatto rilevante ai fini assicurativi non è più il sinistro-danno, ma viene spostato sul fatto-denuncia del sinistro (chiamiamola sinistro-denuncia o appunto claim). Si prende in sostanza atto che un conto (A) è il verificarsi di un sinistro (immaginiamo un errore professionale), altra questione (B) è la comprensione di questo errore da parte del danneggiato e la relativa contestazione – formale o meno – al danneggiante (la cosiddetta circostanza), e da ultimo (C) la denuncia di sinistro da parte del danneggiante (o presunto tale) alla propria compagnia.

Nelle polizze claims made, il tempo assicurativo utile, preso in considerazione, riguarda esclusivamente il tempo della denuncia (C), essendo sostanzialmente irrilevante quando il sinistro (A) si è verificato – anche se addirittura questi si sia verificato prima della sottoscrizione della polizza claims made.

 

2. Quanto appena detto porta alla conclusione che, rispetto al sinistro-danno, una clausola claims made è illimitatamente retroattiva per definizione.

Questo effetto è dato, in verità, dal fatto che non rileva, come detto, l'evento sinistro, ma l'altro fatto, l'evento-denuncia. E l'evento-denuncia è in tal senso un fatto “nuovo”, che si colloca perfettamente all'interno del periodo assicurativo, anche se i suoi presupposti afferiscono ad un danno che risale a svariato tempo addietro.

Naturalmente, per chiudere il cerchio, è necessario che anche l'assicurato sia inconsapevole – quando si assicura – che sussista il fatto-sinistro (A). Deve quindi esserci, da parte dell'assicurato - una sostanziale ignoranza (che per lo più è presunta) del fatto-sinistro; e quindi, necessariamente, deve essere anche mancante la contestazione – formale o informale – da parte del danneggiato al danneggiante (B).

Può dunque verificarsi questa serie di accadimenti: Tizio, avvocato, commette un errore professionale ai danni di Caio – senza che lo stesso se ne renda conto; l'anno dopo, si assicura (anche per la prima volta) e ancora successivamente, l'anno dopo, Tizio si accorge dell'errore – perché emerge, ad esempio, dalla sentenza – a quel punto denuncia il sinistro alla compagnia (che aveva nel frattempo rinnovato). Il fatto-evento afferisce ad un periodo in cui Tizio non era assicurato, tuttavia il fatto-denuncia afferisce al periodo assicurativo, ed essendo questo l'unico elemento rilevante, la copertura assicurativa sarà operante.

Quel che invece non può capitare è che la stipula della polizza assicurativa avvenga dopo che vi sia stata la consapevolezza da parte di Tizio dell'ipotetico sinistro (si tratta, come accennato, delle cc.dd. circostanze note).

Vista in questa prospettiva, la claims made è assolutamente neutrale: funziona, per l'assicurato, esattamente come una polizza loss occurence, salvo la comprensione dello spostamento dell'oggetto dal fatto-sinistro al fatto-denuncia.

Certamente se un fatto-sinistro accade durante il periodo di validità della polizza, ma lo stesso non viene a conoscenza dell'assicurato, questo non potrà denunciarlo tempestivamente alla sua compagnia. E dunque dovrà denunciarlo, quando ne avrà accortezza, alla compagnia afferente il periodo nel quale si verificherà per lui la scoperta dell'ipotetico errore. Questo perché appunto, una volta scaduta la polizza assicurativa, termina anche – da contratto – la possibilità di denunciare il sinistro (indipendentemente da quando questo si è verificato).

 

3. I problemi iniziano a sorgere, copiosi, quando si pongono limiti al funzionamento fisiologico della claims made, ponendo limiti all'efficacia retroattiva della copertura. Sono state molte, infatti, le compagnie che hanno ritenuto di applicare il sistema della claims made (pura) con un correttivo all'italiana (perché inesistente negli altri paesi) ovvero ponendo dei limiti di copertura all'efficacia retroattiva.

In sostanza, le claims made chiamate impure (ovvero le claims made all'italiana) prevedono che sia rilevante non solo il tempo della denuncia, ma anche il fatto che il sinistro-danno sia avvento entro un ben determinato lasso temporale, fino ad arrivare addirittura – nei casi più estremi – a comprimere tale lasso alla stessa validità temporale della polizza (ovvero senza concedere alcuna retroattività). Tuttavia anche la concessione di un lasso di tempo di retroattività di qualche anno è un controsenso: la claims made deve essere retroattiva illimitatamente per funzionare correttamente. Altrimenti si potranno verificare, nella imprevedibilità dei casi della vita, ipotesi nelle quali un soggetto che riteneva se stesso adeguatamente assicurato, si trovi in verità sfornito di relativa copertura.

Quindi, un primo assesto dovrebbe essere questo: la clausola claims made è sostanzialmente neutrale (nel senso che non è meglio o peggio di una polizza tradizionale ex art. 1917 c.c.), mentre le clausole claims made impure debbono essere guardate con attenzione per verificare la concreta estensione della copertura offerta, che può essere anche molto limitata.

 

4. Ed in tal senso si sono ben espresse le Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. n. 9140/2016 del 6 maggio 2016) quando scrivono che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola clams made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza”.

La Sezioni Unite, dunque, da un lato certificano la mutazione genetica della polizze claims made rispetto all'archetipo fissato dall'art. 1917 c.c., chiarendo come sia cambiato – nella sostanza – l'oggetto del contratto assicurativo: non più il sinistro-danno ma il sinistro-denuncia (che presuppone ovviamente il sinistro-danno). Dall'altra, accusano di potenziale nullità le claims made impure, ogni qual volta gli effetti contrattuali dell'atipico contratto con claims made siano valutati  immeritevoli di tutela (ex art. 1322 c.c.).

Dalle Sezioni Unite del 2016, dunque, il contenzioso sulle claims made viene dunque a focalizzarsi sulle claims made impure, al fine di verificarne la loro eventuale immeritevolezza.

L'elenco delle sentenze note cresce ogni giorno.

Si segnalano due pronunce che hanno ritenuto la clausola claims made meritevole (Tribunale di Napoli 20 giugno 2016 e Tribunale di Bologna del 12 agosto 2016). La prima pronuncia nota che ha ritenuto clausola claims made immeritevole è invece Tribunale di Milano, 17.6.2016 n. 7149.

Che clausola era quella ritenuta immeritevole – e dunque nulla – dal Tribunale di Milano?  Era una polizza claims made particolarmente impura, perché senza previsione di alcuna retroattività. Coerentemente, dunque, il giudicante scrive “appare del tutto incompatibile proprio con lo schema della responsabilità professionale come quella in esame, nella quale, in ragione delle caratteristiche dell’opera intellettuale prestata e della inevitabile discrasia temporale tra l’esecuzione della prestazione e la manifestazione del danno, è pressoché impossibile che in uno stesso anno si verifichi sia la condotta (o l’omissione) del professionista che la richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato”.

Dovrà dunque verificarsi, in ultima analisi, come il criterio di meritevolezza incida sulla nullità della disciplina contrattuale adottata dalla compagnia assicurativa.

 

5. In tal senso, una recente pronuncia della Cassazione (Cass. III Sez. Civ., n. 10506 del 28 aprile 2017) cerca di fissare i paletti utili all'interprete per determinare se effettivamente una clausola claims made sia o non sia immeritevole, ed in tal senso individua tre criteri derivanti dall'esperienza giurisprudenziale.

Secondo la Cassazione, dunque, si ha immerivolezza di un contratto (o di un patto):

1) quando si cerchi di attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato senza contropartita per l'altra parte;

2) quando una delle parti viene posta in una indeterminata soggezione rispetto all'altra parte;

3) quando una delle parti costringe l'altra a tenere condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

Questi criteri possono senz'altro essere condivisibili.

Tuttavia non sono condivisibili i successivi assunti cui giunge – nel caso di specie – la Cassazione che arriva ad affermare come l'immeritevolezza sia da ricercare non tanto nella retroattività (oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite richiamata) ma addirittura della mancanza della copertura postuma.

In particolare, scrive infatti la Cassazione in questa pronuncia, che una “clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all'assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita”.

Non è così: la contropartita di un sistema con clausola claims made (pura) è – come abbiamo visto – la retroattività illimitata della copertura assicurativa.

Il sindacato di meritevolezza (almeno secondo l'assunto delle Sezioni Unite) dovrebbe dunque riguardare la verifica dell'esistenza di una simile estensione. Affermare invece che in assenza di una operatività postuma, la claims made è senz'altro immeritevole di tutela, significa semplicemente sostenere che mai una claims made (nemmeno quella pura) è compatibile con il nostro sistema giuridico (e la questione in verità era già stata ampiamente affrontata e risolta in senso diametralmente opposto).

Tuttavia, andando nel merito della vicenda da ultimo esaminata dalla Cassazione, si scopre che anche questa polizza era priva di retroattività illimitata, ma la stessa era circoscritta a soli tre anni. Quindi, nella sostanza, l'ultima pronuncia della Cassazione (2017) non si è discostata – negli esiti – dalle Sezioni Unite (2016): ha ritenuto una claims made impura non sufficientemente tutelante proprio in ragione dello iato temporale eccessivamente compresso, sanzionandole la nullità.

Nondimeno va senz'altro stigmatizzato l'utilizzo di alcune espressioni in sentenza – come quella sopra citata – che con ogni probabilità saranno largamente utilizzate per cercare di sostenere – all'occorrenza – la nullità di clausole claims made a prescindere dal fatto che le stesse siano o non siano impure, sulla falsa idea che la semplice assenza della possibilità di una denuncia di sinistro postuma sia motivo sufficiente per ritenere la clausola immeritevole. Insomma, pare che sia stato senz'altro un azzardo – in termini di certezza dei rapporti giuridici – l'aver spostato il baricentro del problema della meritevolezza dalla esistenza della retroattività alla inesistenza della possibilità di una denuncia postuma. Quanto scritto dalla Cassazione, infatti, potrebbe indurre in errore l'interprete non perfettamente addentratosi nella complessa vicenda, arrivando a fargli sostenere conclusioni scarsamente coerenti con l'intera evoluzione contrattuale e giurisprudenziale della materia. Detta diversamente, nel ragionamento delle Sezioni Unite si percepisce bene come l'attenzione sia focalizzata sul funzionamento della clausola claims made in termini di sinistro-denuncia, mentre nella pronuncia della Cassazione del 2017 l'ottica visuale pare essere quella ha come presupposto dell'oggetto della clausola il sinistro-danno, il che è errato: l'oggetto della claims made non è il sinistro-danno, e se si ragiona con quella sovrastruttura mentale, per definizione ogni claims made sarà considerata immeritevole.

Argomento principe, che può mettere in luce quanto appena rilevato, è il seguente: una claims made senza possibilità di denuncia postuma renderebbe di fatto irrisarcibili i sinistri occorsi, ad esempio, l'ultimo giorno di validità della polizza, in quanto è ovvio che entro tale giorno – quello in cui si è verificato l'evento dannoso – non è possibile ipotizzare che vi sia contemporaneamente una richiesta di risarcimento del danno. Così impostato, l'argomento è mal posto perché, appunto, prende in considerazione il fatto-sinistro, mentre, come abbiamo visto, quel che rileva è il fatto-denuncia: nell'ultimo giorno di validità di una polizza claims made, infatti, possono verificarsi sinistri-denunce che afferiscono a tutto il periodo pregresso (magari anche un fatto storico accaduto dieci anni prima). Da questo punto di vista, la copertura offerta dalla polizza claims made all'ultimo giorno di validità è assolutamente identico a quello offerto al primo: tutte le richieste danno pervenute per la prima volta entro detta data saranno coperte. Sostenere invece che – genericamente – una claims made, nel suo ultimo giorno di operatività (o nel suo periodo finale) non offra, nella sostanza, tutela è semplicemente errato. Certamente sarà necessario che vi sia la consapevolezza, da parte dell'assicurato, del cambio radicale di prospettiva nella propria polizza claims made, e dunque la coscienza del fatto che la polizza stipulata tenga indenne dalle richieste di danno non ancora spese (a prescindere da quando si sono verificate), che è concetto differente dal 1917 c.c., dove quel che viene tutelato è un errore, un danneggiamento terzo, collocato in un preciso spazio temporale.

 

6. Da ultimo, poniamo l'attenzione sulla recente sentenza del Tribunale di Udine (Tribunale di Udine, n. 613 del 3 maggio 2017) che ha coinvolto due compagnie.

Entrambe le polizze erano claims made. Il sinistro-danno era collocato temporalmente nel 2008.

La prima compagnia citata in giudizio aveva una polizza claims made pura, dunque illimitatamente retroattiva, stipulata per la prima volta nel 2011. La compagnia ha però sollevato una eccezione di circostanza nota da parte del danneggiato: ha insomma sostenuto e dimostrato in giudizio che l'assicurato, al momento della stipula, era già a conoscenza di alcuni fatti rilevanti che avevano riguardato il sinistro-danno, fatti che “potevano ragionevolmente mettere in discussione (nel futuro) il profilo della propria responsabilità, in ordine alla consulenza prestata (…). E' indubbio, infatti, che gli accertamenti della Guardia di Finanza (…) riguardavano proprio le agevolazioni contributive su cui l'attrice aveva prestato la propria consulenza. Era dunque del tutto ragionevole attendersi che a seguito di tali accadimenti la cliente avrebbe prima o poi potuto avanzare una richiesta di risarcimento danni”.

La domanda nei confronti della prima compagnia viene dunque rigettata.

La seconda compagnia coinvolta aveva una polizza claims made impura, senza retroattività (e senza denuncia postuma).

La seconda compagnia si costituisce evidenziando come il sinistro le è stato denunciato per la prima volta nel 2014, a fronte della cessazione del rapporto contrattuale nel 2011.

Tuttavia, il tribunale, richiamando le Sezioni Unite, scrive “è assai difficile ritenere meritevoli di tutela quelle clausole claims made c.d. impure, particolarmente penalizzanti ad appunto oggetto di questo giudizio, che limitano la copertura alla sola rigida ipotesi che, durante il tempo dell'assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento, senza deroghe di sorta verso il passato od il futuro. La motivazione della Corte [di Cassazione, ndr] legittima dunque in tale ipotesi un ragionamento di tipo presuntivo semplice (art. 2729 primo comma c.c.), tendente a ritenere immeritevoli di tutele simili clausole, salva la verifica di pattuizioni o condizioni specifiche della fattispecie in giudizio che portino a diversa conclusione”, conclusione differente che, nel caso di specie, non vi è stata e che ha comportato la sostituzione della clausola claims made impura con lo schema legale codicistico ex art. 1917 c.c.

 

7. Le conclusioni di quanto esposto possono allora così sintetizzarsi: le polizze claims made sono assolutamente legittime e meritevoli di tutela. Per quanto riguarda (solo) quelle impure, se sono prive di retroattività o se dotate di scarsissima o scarsa retroattività, possono presuntivamente ritenersi nulle per immeritevolezza (salva prova contraria).


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