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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/04/2017 Scarica PDF

L'affitto d'azienda e la continuità aziendale indiretta nel concordato preventivo: opzioni interpretative e riflessi di natura fiscale

Marco Greggio e Riccardo Bonivento, Marco Greggio, Avvocato in Padova. Riccardo Bonivento, Dottore Commercialista in Padova


Sommario: 1.Il concordato con continuità aziendale. - 2.La continuità aziendale indiretta e il problema dell’affitto d’azienda. - 3.La tesi “soggettiva”. - 4.La tesi “temporale”. - 5.La tesi “empirica”. - 6.La tesi della continuità “oggettiva”. - 7.alcune considerazioni a favore della continuità aziendale in senso oggettivo. - 8.Alcune criticità che riguardano l’affitto d’azienda stipulato prima del deposito del ricorso “in bianco” tra cui il rischio della corresponsabilita’ tributaria per i debiti sorti in capo all’affittante. - 9.la questione del trattamento fiscale del bonus concordatario. - 10.Considerazioni conclusive.

 

 

 

1. Il concordato con continuità aziendale

A seguito della c.d. “miniriforma” del 2015 la qualificazione del piano concordatario (liquidatorio o con continuità aziendale) è divenuta cruciale, laddove il novellato art. 160 ultimo comma l.f. prevede che per i concordati con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis l.f. non sia prevista la condizione di ammissibilità dell’ “assicurazione” del pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari.[1]

Diventa quindi fondamentale capire in quali ipotesi si sia in presenza di un concordato con continuità aziendale. Al riguardo l’art. 186-bis, 1° co., l.f. individua due tipologie di piano concordatario con (e non in) continuità: (i) la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore (c.d. “continuità diretta”); (ii) la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società, anche di nuova costituzione (c.d. “continuità indiretta”).

Il tema di fondo riguarda il concetto di “continuità”, e quindi di prosecuzione dell’attività da parte dell’imprenditore.

Dal punto di vista aziendalistico il concetto di “continuità aziendale” richiama quello di going concern, presupposto questo che si verifica quando l’impresa è in grado di continuare la propria esistenza operativa per un futuro prevedibile, e quindi non esiste intenzione o necessità di liquidare l’entità o interromperne l’attività.[2]

Gli amministratori devono predisporre il bilancio in tale ottica: qualora il bilancio non sia redatto nella prospettiva della continuità aziendale ciò va indicato nell’informativa di bilancio.

Il principio contabile OIC n. 6 (ristrutturazione del debito e informativa di bilancio) stabilisce che in caso di concordato preventivo la data di ristrutturazione del debito coincide con la data di omologazione da parte del Tribunale e che se la ristrutturazione del debito risulta strumentale per garantire il rispetto del principio di continuità aziendale (going concern), tale circostanza deve essere chiaramente indicata nella nota integrativa (e/o nella relazione sulla gestione) al bilancio. Se la ristrutturazione non si è ancora perfezionata alla data del bilancio (e quindi nel caso di concordato preventivo non sia ancora intervenuta l’omologazione), ove il mancato realizzo dell’operazione dovesse far venir meno la sussistenza dei requisiti per il rispetto della continuità aziendale, occorre illustrare nella nota integrativa i motivi per i quali il bilancio in corso di predisposizione è redatto in un’ottica di going concern.[3]

A fronte della preoccupazione della dottrina aziendalistica in ordine alla effettiva sussistenza della continuità aziendale (da cui, appunto, gli stringenti obblighi di informativa), il Legislatore che ha introdotto l’istituto del concordato con continuità pare invece far riferimento ad una nozione più ampia di continuità riconducibile – come visto - al“la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società”.

Solo il concetto di continuità “diretta” (prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore) sembra, da questo punto di vista, riconducibile alla sussistenza del presupposto aziendalistico del going concern, in base al quale l’impresa mantiene concrete prospettive di esistenza sul mercato; in tale ipotesi il fabbisogno concordatario verrà soddisfatto attraverso i flussi di cassa netti generati dalla gestione aziendale, oltre che dal realizzo di assets non funzionali all’esercizio dell’impresa.

Peraltro, nell’ipotesi di continuità “diretta” di una società di capitali, il debitore dovrà anche assolvere agli obblighi di ricapitalizzazione in caso di perdite, obblighi che vengono solo temporaneamente sospesi secondo le previsioni dell’art. 182-sexies l.f., dal momento della presentazione della domanda di concordato fino alla sua omologazione.

In tal senso, laddove sia prevista la prosecuzione dell’attività di impresa direttamente in capo all’imprenditore in crisi/insolvente lo stato formale di liquidazione dell’imprenditore stesso risulta incompatibile con la possibilità di predisporre un piano di concordato con continuità aziendale.[4]

   

2. La continuità aziendale indiretta e il problema dell’affitto d’azienda

Mentre la fattispecie di continuità “diretta” descritta dalla norma sembra chiara, è la continuità “indiretta” che continua a dividere gli interpreti ed a creare non pochi grattacapi agli operatori.

In particolare il Legislatore ha previsto due forme di continuità c.d. “indiretta”:

- la cessione dell’azienda in esercizio a terzi;

- il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione.

La condizione comune alle due fattispecie è che si tratti di “azienda in esercizio” e quindi il riferimento è ad una nozione dinamica e non statica, ove il complesso di beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività d’impresa deve essere in fase di funzionamento e quindi non deve essere cessato.

Di conseguenza:

(i) qualora fosse intervenuta la cessazione dell’attività d’impresa, e quindi l’azienda non fosse più in esercizio, non si potrebbe ricadere nelle ipotesi di continuità “indiretta”, ma solo in quella liquidatoria con una conseguente cessione atomistica dei beni aziendali;

(ii) tutte le volte, invece, in cui vi sia una situazione di vitalità aziendale si deve ritenere configurabile la predisposizione di un piano concordatario in continuità che abbia come fine ultimo il trasferimento del complesso aziendale (eventualmente ridefinito e ristrutturato nell’ambito di un processo di superamento e di risoluzione della crisi).

La prosecuzione dell’attività attraverso un terzo soggetto, diverso dall’imprenditore, realizzandosi quella che la prassi ha qualificato come continuità “indiretta”, si ritiene compatibile con lo stato formale di liquidazione del debitore concordatario, il quale, a seguito della cessione d’azienda o del suo conferimento in una newco, cesserà lo svolgimento dell’attività d’impresa.

Conseguentemente il presupposto aziendalistico del going concern, applicabile nel caso della continuità “diretta”, si ritiene non sussistente in capo al debitore qualora l’operazione si realizzi nell’ambito delle previsioni della continuità “indiretta”, con la conseguenza che il debitore concordatario costituito sotto forma di società di capitali non avrà obblighi di ricapitalizzazione ed il bilancio non dovrà essere redatto nella prospettiva della continuità aziendale.

Nella continuità “indiretta” il fabbisogno concordatario verrà soddisfatto con quanto ricavato dalla cessione dell’azienda oppure dalla vendita delle partecipazioni detenute nella newco conferitaria.

Tra le varie questioni aperte legate alla continuità “indiretta” v’è quella dell’applicazione della norma di cui all’art. 186-bis l.f. al caso in cui il debitore affitti ad un terzo l’azienda al fine poi di cederla successivamente (normalmente dopo l’omologa del concordato preventivo).[5] In particolare ci si chiede se le ipotesi di continuità di cui al primo comma dell’art. 186-bisl.f. siano tassative oppure lascino spazio ad altri negozi giuridici che contemplino la prosecuzione dell’attività aziendale (come l’affitto, che non viene espressamente enunciato nella norma).

Al riguardo, in dottrina e in giurisprudenza si possono individuare quattro opzioni interpretative.

   

3. La tesi “soggettiva”

Parte della dottrina e della giurisprudenza, che potremmo definire più “intransigente”, ritiene che nel caso di affitto d’azienda con successiva cessione non ci si trovi in presenza di un concordato in continuità, bensì di un concordato liquidatorio.[6] E ciò indipendentemente dalla circostanza che il contratto d’affitto sia concluso prima o dopo la pubblicazione del ricorso ex art. 161 sesto comma l.f..[7]

Ciò sulla scorta, essenzialmente, delle seguenti motivazioni.

A) L’interpretazione letterale dell’art. 186-bis, 1° co., l. fall., che non contempla espressamente l’affitto di azienda (limitandosi a prevedere “la cessione dell’azienda in esercizio”).[8]

B) La circostanza che la continuità temporanea cui è funzionale l’affitto sarebbe riferita a soggetto terzo rispetto al debitore in concordato. Da questo punto di vista, la soggettività dell’imprenditore sarebbe essenziale per la configurazione del concordato in continuità, alla luce:

(i) della nozione di azienda di cui all’art. 2555 c.c.,intesa quale complesso di beni organizzati dall'imprenditore finalizzato all’esercizio di attività di impresa;

(i) dell’art. 2558 c.c. che limita la successione automatica nei contratti conseguente alla alienazione dell’azienda solo a quelli non caratterizzati dall’intuitus personae;

(iii) delle agevolazioni particolari previste dall’art. 186-bis l.f. (non dettate nella diversa ipotesi di concordato preventivo liquidatorio), tra cui la prosecuzione dei contratti in corso di esecuzione, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni (cfr. terzo comma dell’art. 186-bis l.f.) ed in particolare gli appalti pubblici, caratterizzati dal c.d. intuitus personae, inteso come essenzialità delle qualità soggettive dell’appaltatore.[9]

C) L’interpretazione teleologica e sistematica della norma porta a considerare che il concordato con continuità aziendale implicherebbe una sopportazione del rischio di impresa da parte dei creditori concorsuali, la quale può sussistere solo nell’ipotesi in cui l’impresa sia gestita dall’imprenditore e la gestione continui a presentare dei parametri di aleatorietà per i creditori concordatari.[10]

Invece nel caso di affitto di azienda nel concordato, il rischio di impresa e la responsabilità di impresa graverebbero solo sull’affittuario, in quanto il canone in misura fissa previsto nel relativo contratto è indipendente dagli esiti dell’attività svolta (e il debitore in concordato si limiterebbe soltanto a riscuotere un canone di affitto prestabilito).[11]

Sicché non avrebbe senso imporre l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura (art. 186-bis, co. 2, lett. a), nonché l’attestazione che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 186-bis co 2 lett.b). E in tale ottica, nel caso di affitto d’azienda non sarebbe prospettabile l’applicazione di norme quali l’art. 182-quinquies e l’art. 169-bis a vantaggio di un soggetto estraneo alla procedura medesima (che conduce, appunto, l‘azienda in virtù del contratto di affitto).[12]

Queste tre motivazioni sono riassunte in un recente decreto del Tribunale di Pordenone, il quale ha ritenuto che l’affitto dell’azienda sia incompatibile (a prescindere dal momento di stipula del relativo contratto) con il concordato c.d. in continuità, “e a tale conclusione depongono: I. l’omessa previsione normativa nell’ambito dell’art. 186 bis l.f.; II. la riferibilità a terzi della continuità temporanea cui è funzionale l’affitto; III. la cessazione dell’attività imprenditoriale del debitore conseguente all’affitto e alla successiva vendita. Invero, il concordato in continuità non può che comportare una sopportazione del rischio d’impresa da parte dei creditori concorsuali che può giustificarsi e sussistere se e fino a quando l’impresa sia gestita dall’imprenditore e la gestione continui a presentare dei profili di aleatorietà”. [13]


4. La tesi “temporale”

Seguendo il solco della tesi “soggettiva”, si è anche cercato di distinguere fra la situazione in cui il contratto di affitto di azienda sia stipulato:

- successivamente al deposito della domanda di concordato preventivo e costituisca parte integrante del piano concordatario (e in tal caso si tratterebbe di concordato con continuità);

- antecedentemente al deposito della domanda di concordato preventivo (concordato liquidatorio).[14]

Secondo tale corrente interpretativa, che potremmo definire “temporale”, si sarebbe in presenza di un concordato di tipo liquidatorio anche nel caso in cui nel contratto sia prevista una scadenza ben precisa dell’affitto ed una clausola in forza della quale gli organi della procedura possano in ogni momento provocarne lo scioglimento, essendo l’affitto funzionale ad impedire la perdita dell’avviamento aziendale e a renderne, quindi, più agevole, la vendita del compendio aziendale.[15]

Si è anche distinto il caso fra affitto propedeutico alla obbligatoria cessione dell’azienda (nel qual caso troverebbe applicazione l’istituto di cui all’art. 186-bis l.f.)[16] e di affitto temporaneo non finalizzato alla cessione (e in tal caso non si sarebbe in presenza di un concordato in continuità).[17]

 

5. La tesi “empirica”

V’è poi chi ritiene necessario valutare caso per caso i termini e le condizioni dell’operazione di ristrutturazione oggetto del piano di concordato, a prescindere dalla circostanza che l’affitto sia stato stipulato prima o dopo il concordato.[18]

In particolare, ogni qualvolta la prosecuzione dell’attività di impresa da parte dell’affittuario (e ciò indipendentemente dal momento della stipulazione del contratto di affitto) sia rilevante ai fini del piano,e cioè influenzi la soddisfazione dei creditori concorsuali, il concordato preventivo dovrà essere qualificato come un concordato con continuità aziendale e sarà quindi soggetto alle disposizioni di cui all’art. 186-bis l. fall., con la conseguenza che il piano concordatario dovrà tenere conto anche della sostenibilità del piano aziendale in capo alla società cessionaria (in quanto essa rileva, in via mediata, ai fini del soddisfacimento dei creditori pregressi).[19]

Si pensi per esempio a casi di affitto di azienda, anche precedenti al deposito della domanda di concordato, nei quali: (i) il canone di affitto - che verrà a costituire una parte dell’attivo concordatario - sia parametrato all’andamento dell’impresa (e quindi all’andamento della gestione dell’affittuaria);[20] (ii) l’affittuario abbia assunto l’impegno di acquisto dell’azienda subordinatamente all’omologa, ma il prezzo debba essere pagato in più soluzioni e senza alcuna garanzia; (iii) l’acquisto è subordinato ad alcune condizioni di cui non sia certo il verificarsi, sicché vi può essere il rischio che l’azienda torni nella disponibilità del concedente, con nuove obbligazioni prededucibili, idonee a gravare sull’attivo (i.e. relative ai lavoratori dipendenti).

 

6. La tesi della continuità “oggettiva”

V’è d’altro canto chi ritiene che il concetto di continuità aziendale ai sensi dell’art. 186-bis l.f. dev’essere inteso in senso oggettivo e non soggettivo, in quanto teso a privilegiare il funzionamento dell’azienda o del suo principale ramo.[21]

Ciò che conta – per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 186-bis l.f. - è che l'azienda sia in esercizio (non rileva se ad opera dell'imprenditore medesimo o di un terzo), tanto al momento dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, quanto all'atto del suo successivo trasferimento. In altri termini, tale interpretazione privilegia l’oggettività del fenomeno “continuità aziendale” rispetto alla figura dell’imprenditore (in linea con la tendenza a valorizzare l’impresa a scapito dell’imprenditore), assumendo rilievo la sola funzionalità dell’impresa a scapito del soggetto che la conduca.

La nozione di continuità aziendale ricomprende, pertanto, sia la fattispecie della continuità diretta dell’attività in capo all’imprenditore che richiede l’accesso al beneficio del concordato, sia quella della continuità indiretta ad opera di un soggetto terzo.[22]

Conseguentemente, l’affitto di azienda o di ramo d’azienda stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, come quello da stipularsi in corso di procedura concordataria, non sono, nel caso in cui vi sia la previsione di successiva cessione dell’azienda in esercizio, di ostacolo all’applicabilità della disciplina tipica del concordato in continuità di cui all’art. 186-bis l.f., in quanto l’affitto rappresenterebbe un mero strumento giuridico ed economico (c.d. “strumento ponte”), finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell’intero complesso aziendale (senza il rischio di vedere pregiudicati i valori intrinseci e più significativi, quali l’avviamento o il prestigio di marchi e segni distintivi ed in genere i c.d. intangibles) in vista di un suo successivo passaggio a terzi (e, quindi, funzionale alla cessione).[23]

Tale opzione interpretativa sembra oggi quella preferita dalla giurisprudenza.[24] Al riguardo recentemente una pronunzia del Tribunale di Alessandria ha statuito come “il segno distintivo del concordato con continuità aziendale va individuato nella oggettiva, e non soggettiva, continuazione del complesso produttivo, sia direttamente da parte dell’imprenditore, che indirettamente da parte di un terzo (affittuario, cessionario, conferitario), come del resto evidenziato dalla stessa formulazione della norma di cui all’art. 186 bis, comma 1, L.F. che distingue tra prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, e la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società…, sì che la previsione dell’affitto come elemento del piano concordatario, ove sia finalizzato al successivo trasferimento dell’azienda, deve essere ricondotto nell’ambito dell’art. 186 bis l.f. con conseguente applicazione della relativa specifica disciplina”.[25] E a conforto di tale tesi è recentemente intervenuta anche la sezione fallimentare del Tribunale di Roma, che nelle proprie linee guida ritiene di prediligere “l’argomento secondo il quale, dal momento che l’affitto costituisce null’altro che lo strumento per mantenere l’azienda in vita, la continuità sussiste anche nel caso in cui la proposta di concordato provenga da una società che abbia concesso in affitto a terzi la propria azienda, ravvisandosi in entrambi i casi l’elemento qualificante della presenza di un’azienda in esercizio”.[26]

   

7. Considerazioni a favore della continuità aziendale in senso oggettivo

L’opzione interpretativa che predilige la continuità aziendale oggettiva, nel caso in cui l’affitto d’azienda (stipulato prima o dopo il deposito del ricorso in bianco) sia lo strumento ponte finalizzato alla successiva cessione, appare per chi scrive la più persuasiva.[27]

Invero l’art. 186-bis l.f. presuppone una continuità aziendale di tipo oggettivo più che soggettivo, assumendo rilievo il solo parametro oggettivo dell’azienda in esercizio e, conseguentemente, risultando del tutto irrilevante che l’attività d’impresa sia portata avanti dallo stesso imprenditore o da un terzo. Di seguito alcune ragioni a sostegno di tale tesi.

a) Anzitutto è la più aderente con la ratio dell’art. 186-bis l.f., che è stato introdotto dall’art. 33, primo comma lett. h) (rubricato ”Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale”) del D.L. n. 83/2012, convertito in Legge n. 134/2012, proprio “con l’intento di favorire i piani di concordato preventivo finalizzati alla prosecuzione dell'attività d'impresa”.

È del tutto evidente che lo scopo del Legislatore con tale norma sia quello di favorire la salvaguardia del funzionamento dell’azienda o di un suo ramo mediante la prosecuzione della relativa attività.[28]

b) L’affitto d’azienda configura un concordato in continuità anche in considerazione del favor che il Legislatore mostra verso tale tipo di concordato (rispetto a quello liquidatorio).

Favor che è stato maggiormente accentuato dal Legislatore con il recenteD.L. del 27.6.2015 n. 83, convertito dalla L. 6.8.2015, n. 132, con il quale sono state introdotte notevoli differenze tra le due discipline, ed in particolare concernenti la percentuale minima di soddisfacimento dei chirografari nella misura del venti per cento, imposta per il solo concordato liquidatorio, e la possibilità di sottrarsi al rischio di una proposta concorrente, proponendo ai chirografari una percentuale di soddisfacimento attestata al trenta per cento per il concordato con continuità, a fronte del quaranta per cento del concordato con cessione dei beni.

Appare evidente, quindi, la volontà di favorire la conservazione degli organismi produttivi (in qualsiasi modo questo risulti realizzabile), essendo noto che la perdita della continuità aziendale può produrre una grave dispersione di valore del patrimonio dell’imprenditore, sia per i beni immateriali (per es. il marchio), sia per investimenti definitivamente perduti, le eventuali penali contrattuali, per i crediti ed il magazzino da svalutare etc..

Escludendo la compatibilità dell’affitto “ponte” (finalizzato alla successiva cessione dell’azienda/ramo d’azienda a terzi) con la fattispecie del concordato con continuità, si finirebbe per limitare le ipotesi di continuità alle sole fattispecie di continuità “diretta”, privilegiando una mera interpretazione letterale della disposizione di legge a discapito del mantenimento dei valori di funzionamento dell’azienda e di preservazione della stessa. E ciò vale ancor più alla luce dell’introduzione del presupposto di ammissibilità del concordato liquidatorio di cui all’ultimo comma dell’art. 160 l.f.: sarebbe invero antitetico con l’intento di favorire la salvaguardia e la continuità delle aziende, da un lato prevedere l’“assicurazione” del pagamento del 20% dei creditori chirografari e dall’altro restringere la possibilità di applicare l’art. 186-bis l.f. alla sola ipotesi di continuità “diretta”.

D’altronde a seguito della riforma del 2015 alcuni Tribunali tradizionalmente contrari all’estensione dell’applicazione dell’art. 186-bis l.f. alla continuità “indiretta”, tanto più con contratto di affitto stipulato prima del deposito del ricorso ex art. 161 sesto comma l.f., hanno mutato il proprio orientamento, ritenendo che “non appare più logica e prima ancora costituzionalmente orientata una interpretazione restrittiva, volta ad escludere la continuità indiretta dal perimetro dell’art. 186 bis L.F. per il caso di affitto stipulato anteriormente al deposito della domanda”.[29]

c) De iure condendo, vale la pena osservare peraltro che tale favor risulta ancora più accentuato nei principi generali contenuti nello schema di disegno di legge delega elaborato dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con decreto del 28.1.2015 per la riforma del diritto concorsuale (c.d. “Commissione Rordorf”), ove all’art. 2, lett. g) è previsto espressamente che la continuità aziendale abbia luogo “anche per il tramite di un diverso imprenditore”.[30]

Tal principi sono stati ripresi, in maniera ancor più radicale, nel testo del disegno di legge delega n. 3671-bis (“Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”) approvato dalla Camera dei Deputati, laddove tra i principi generali è previsto di “dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un’idonea soluzione alternativa (art. 2, comma primo, lettera g).[31]

Superfluo evidenziare, quindi, che laddove l’iter parlamentare su tale testo avesse a concludersi il problema sarebbe risolto ex auctoritàte prìncipis.

Peraltro, è proprio sulla scorta della previsione contenuta nel c.d. disegno di legge Rordorf che alcuni Tribunali hanno mutato orientamento, superando la (propria) interpretazione che reputava incompatibile l’affitto di azienda finalizzato alla cessione con la continuità.[32]

d) A ben vedere anche la lettera dell’art. 186-bis primo comma l.f. non osta con questa soluzione. È infatti prevista la “cessione d’azienda in esercizio” ad un soggetto terzo: certo, non menziona l’affitto, ma esso rappresenta un semplice strumento (c.d. “ponte”) finalizzato alla successiva cessione.[33]

Da tale punto di vista, l’argomento testuale della non comprensione dell'affitto d'azienda tra gli atti negoziali destinati a realizzare la continuità aziendale è un argomento superabile, anche considerando la scadente tecnica legislativa della riforma del 2012.

e) Per altro verso, anche in caso di affitto dell’azienda il rischio di impresa ricade sui creditori concorsuali.

Invero, se l’azienda viene mal gestita le conseguenze negative si riverberano sia sul patrimonio del debitore in ipotesi di risoluzione del contratto e retrocessione dell’azienda stessa, sia sulla misura di soddisfacimento dei creditori qualora il prezzo della vendita non sia già predeterminato e si formi all’esito della procedura competitiva oggi imposta dall’art. 163-bis. E un’azienda mal gestita non incentiva la partecipazione di terzi (mentre, al contrario, un ramo aziendale ben gestito nel periodo interinale dell’affitto risulterebbe maggiormente appetibile sul mercato e quindi incentiverebbe il meccanismo di competitività di cui al 163-bis l.f.).[34]

Appare pertanto incontestabile che il rischio d’impresa continui a gravare, seppure indirettamente, sul soggetto in concordato e che l’andamento dell’attività incida, in ultima analisi, sulla fattibilità del piano.[35]

   

8. Alcune criticità che riguardano l’affitto d’azienda stipulato prima del deposito del ricorso “in bianco” tra cui il rischio della corresponsabilità tributaria per i debiti sorti in capo all’affittante

Con riferimento all’affitto d’azienda stipulato prima della domanda di concordato, se da un lato, come evidenziato, costituisce un’operazione che non dovrebbe pregiudicare la possibilità di predisporre un piano di concordato con continuità aziendale (ma anzi, sotto certi aspetti, ne rafforza le chance di successo), d’altro lato, si evidenziano tre circostanze che potrebbero indurre i Tribunali, ma ancor prima il debitore, a valutare con una certa diffidenza il ricorso a detta operazione.

(i) Da un lato, la stipula del contratto d’affitto d’azienda poco tempo prima della domanda di concordato sottrae l’atto alle necessarie autorizzazioni del Tribunale ed alla procedura competitiva da svolgere, come espressamente previsto, dall’ultimo comma dell’art. 163-bis l.f. in tema di offerte concorrenti, che ne estende l’applicazione anche all’affitto di azienda o di uno o più rami d’azienda.[36]

Da questo punto di vista si potrebbe ritenere più trasparente un piano che sottoponga l’operazione di affitto al vaglio del Tribunale ed al conseguente esperimento della procedura competitiva volta ad individuare diversi offerenti, ferme restando le esigenze di urgenza, talvolta drammatiche nelle situazioni di più gravi crisi aziendali con rilevanti problemi occupazionali.

(ii) Altresì, la stipula di un contratto di affitto di azienda in prossimità dell’accesso ad una procedura concorsuale (e quindi, in ipotesi, prima della presentazione della domanda prenotativa di concordato) può integrare il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e, più precisamente, la fattispecie della c.d. “distrazione”.

In particolare l’ipotesi di reato si può configurare in presenza di talune condizioni, quali ad esempio la fissazione di un canone incongruo oppure la mancanza della previsione di una clausola risolutiva espressa da far valere nel caso dell’imminente instaurarsi della procedura concorsuale.

(iii) Infine, la stipula di un contratto di affitto d’azienda al di fuori della procedura concorsuale rischia di esporre l’affittuaria alla responsabilità solidale per i debiti fiscali sorti in capo alla concedente.

In tal senso si osserva come con l’articolo 16, unico comma, lett. g), del D. Lgs. n. 158/2015, il Legislatore è intervenuto in modifica dell’articolo 14 del D. Lgs. n. 472/1997 con l’aggiunta di due commi, in tema di corresponsabilità tributaria del cessionario d’azienda. Il primo sulle procedure fallimentari, il secondo sulla definizione della nozione di cessione di azienda.

Il primo è il comma 5-bis secondo cui: “salva l’applicazione del comma 4, la disposizione non trova applicazione quando la cessione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o di un procedimento della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio”.

Pertanto in tutte le ipotesi previste dalla Legge fallimentare (procedure concorsuali e istituti di composizione negoziale della crisi) e nell’ipotesi disciplinata dalla L. n. 3/2012 (gestione della crisi da sovraindebitamento), in caso si effettui una cessione di azienda la normativa sulla corresponsabilità tributaria del cessionario deve essere disapplicata, a meno che non sia ravvisabile una frode fiscale.

Il secondo è il comma 5-ter, con ampliamento dell’ambito applicativo, secondo cui: “le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento”.

Richiamando sul punto il documento 15 maggio 2016 della Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti: “attraverso questa previsione, da una parte si è stabilito che il conferimento rientra nella nozione di trasferimento di azienda, mentre dall’altra parte viene riproposta l’annosa questione di cosa si voglia intendere per cessione di azienda e per trasferimento di azienda stesso, benché, seppur indirettamente, alla luce di quanto espresso precedentemente, ne venga indicata una soluzione. Secondo quanto finora anticipato (ossia: che non paiono ben definiti i rapporti tra i due concetti, per cui non è chiaro se la cessione di azienda sia una specie del genere trasferimento o viceversa; che non è chiaro in quali fattispecie contrattuali tipiche sia ravvisabile una cessione o un trasferimento – il riferimento è in particolare all’affitto e all’usufrutto di azienda), e secondo quanto è possibile desumere dalla novella norma, sembrerebbe potersi concludere che il trasferimento di azienda si verifichi nel caso in cui vi sia un cambiamento nella titolarità d’esercizio della stessa e che la cessione sia un’obbligazione particolare che è possibile ravvisare nei più diversi negozi, indipendentemente dalla traslazione della proprietà…”.

In sostanza l’articolo 14 del D. Lgs. n. 472/1997 risulterebbe applicabile nelle seguenti ipotesi (salvo nell’evenienza del comma 5-bis, ossia nel caso in cui tali negozi siano inseriti in uno dei casi previsti per le società in crisi, a meno che non sia ravvisabile un intento fraudolento): - la vendita - il conferimento - la permuta - la datio in solutum - l’acquisto delle nuda proprietà - la donazione - l’affitto - l’usufrutto.

Dunque, secondo tale autorevole interpretazione, la stipulazione del contratto d’affitto d’azienda prima della presentazione della domanda di concordato preventivo comporterebbe il rischio della corresponsabilità tributaria in capo all’affittuario per i debiti fiscali sorti in capo all’affittante.

   

9. La questione del trattamento fiscale del bonus concordatario

Un ulteriore aspetto che si ritiene opportuno affrontare in tema di qualificazione della natura del concordato riguarda il trattamento fiscale della sopravvenienza attiva conseguente alla riduzione dei debiti.

Alla luce delle novità introdotte dall’art. 13, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, che ha modificato l’articolo 88 del TUIR, infatti la diversa natura del concordato incide sul trattamento fiscale delle sopravvenienze attive “concordatarie”, il c.d. “bonus concordatario”, derivante dalla riduzione dell’indebitamento a seguito dell’omologa del concordato.

Il nuovo dettato normativo è entrato in vigore con effetto a partire dal periodo di imposta successivo al 7 ottobre 2015 e quindi, nel caso di periodo di imposta coincidente con l’anno solare, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

L’art. 88 del TUIR, prima delle modifiche in commento, prevedeva sempre la non imponibilità delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti d’impresa in caso di concordato fallimentare e preventivo.

Con l’art. 13, D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 è stato modificato il predetto articolo, che ora, sotto il profilo soggettivo, prevede al comma 4-ter dell’art. 88 una distinzione tra riduzione dei debiti conseguente alla sentenza di omologa del concordato … liquidatorio preventivo e del concordato di risanamento.

Nel primo caso (concordato liquidatorio preventivo) le riduzioni dei debiti continuano a non assumere alcuna rilevanza tributaria e quindi l’intera sopravvenienza attiva da bonus concordatario non è tassabile, mentre nel secondo caso (concordato di risanamento) il bonus concordatario viene escluso da tassazione limitatamente alla parte che eccede le perdite pregresse e di periodo.

L’effetto concreto di tale modifica è che, rispetto ai redditi imponibili generati dalla continuità aziendale, nei piani di concordato di risanamento non potranno essere più portate in compensazione le perdite fiscali sorte nel periodo d’imposta in cui interviene l’omologa e nei periodi d’imposta precedenti, atteso che dette perdite dovranno essere in primis destinate alla copertura delle sopravvenienze attive da bonus concordatario.

Pertanto la tassazione del bonus concordatario deve essere considerata nei piani prospettici redatti a supporto della domanda di concordato di risanamento, con conseguente impatto sotto il profilo sia finanziario (uscita di cassa per effetto del pagamento di imposte sui redditi generati dalla continuità a seguito dell’assorbimento delle perdite pregresse e di periodo) sia patrimoniale (assorbimento di imposte anticipate eventualmente stanziate nell’attivo dello stato patrimoniale).

La norma introdotta con effetto sui concordati omologati dall’ 01.01.2016 prevede, quindi, che si distingua tra concordati preventivi aventi natura liquidatoria e concordati preventivi con finalità di risanamento.

Ora la terminologia usata dal Legislatore fiscale lascia spazio a dei dubbi interpretativi, che si cercherà di sciogliere.

In particolare ci si domanda se il concordato di risanamento richiamato dal Legislatore fiscale nel co. 4-ter dell’art. 88 TUIR coincida con il concordato di continuità previsto dall’art. 186-bis l.f., tenuto conto che la disciplina concorsuale non fa alcun riferimento al “concordato di risanamento”[37] e che il concordato preventivo con continuità aziendale non disciplina solo ipotesi conservative, ma ne comprende espressamente alcune aventi natura realizzativa, come la cessione e il conferimento dell’azienda in esercizio.

Invero laddove si parla di concordati di risanamento sembra evidenziarsi una categoria diversa rispetto ai concordati in continuità intesi nella loro più ampia accezione, di continuità sia “diretta” che “indiretta”, desumibile dalla disciplina concorsuale.

In effetti, con la nozione di risanamento il Legislatore fiscale pare riferirsi, secondo un’interpretazione di tipo “soggettivo”, al concordato nel quale vi è una continuità “diretta” (going concern) in capo all’imprenditore, con esclusione delle alternative previste della continuità “indiretta” (cessione d’azienda in esercizio o conferimento in società preesistenti o di nuova costituzione, anche se preceduti da affitto d’azienda in esercizio), nelle quali vi è discontinuità del soggetto passivo d’imposta.

Pertanto, assumendo questa interpretazione, solo nel concordato di risanamento (alias: concordato con continuità “diretta”) la detassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, tenuto conto anche delle novità introdotte dalla legge di stabilità 2017 (art. 1, comma 549, lett. b) L. 11 dic. 2016, n. 232 che ha modificato l’art. 88, comma 4-ter del TUIR), è soggetta al preventivo utilizzo delle perdite pregresse e di periodo, senza considerare il limite dell’80%, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’a.c.e., nonché gli interessi passivi e gli oneri finanziari eccedenti il 30% del risultato operativo lordo di competenza.

Viceversa nel concordato di tipo realizzativo (compreso il concordato con continuità “indiretta”, nel quale si verifica una discontinuità soggettiva), la detassazione della sopravvenienze attive da bonus concordatario in capo al debitore sarebbe piena e non sarebbe soggetta ad alcuna limitazione.

 

10. Considerazioni conclusive

La circostanza che l’azienda, di proprietà dell’imprenditore concordatario, sia temporaneamente concessa in affitto da questi ad un terzo soggetto che ne acquisisce il diritto di godimento, dietro corrispettivo, nonché i poteri di gestione, subentrando nei relativi rapporti e assumendo l’impegno a mantenere l’integrità economica dell’azienda ed a restituire l’azienda al termine del contratto, non sembra pertanto far venire meno il presupposto che si tratti comunque di azienda in esercizio. Anzi, si deve ritenere che l’affitto d’azienda costituisca uno strumento contrattuale tipico per consentire la conservazione ed il funzionamento del complesso aziendale, altrimenti destinato alla cessazione qualora rimasto nel possesso dell’imprenditore in crisi, come tale debilitato finanziariamente e non in grado di sostenere i costi connessi alla gestione aziendale.

Di conseguenza, anche qualora l’azienda sia stata concessa in affitto prima del deposito della domanda di concordato preventivo, si potrà configurare la prospettiva di un concordato con continuità aziendale, fermo restando che il predisponendo piano concordatario dovrà prevedere l’adozione di una delle forme previste dall’art. 186-bis l.f. e quindi la continuità “diretta” ovvero quella “indiretta”.

Nella prima ipotesi l’azienda, già concessa in affitto a terzi, dovrà essere retrocessa al debitore concordatario il quale potrà in questo modo svolgere l’esercizio d’impresa direttamente.

Nella seconda ipotesi, che è la più frequente, l’affitto d’azienda in esercizio sarà seguito dalla cessione della medesima azienda sempre in esercizio, previo esperimento delle procedure competitive ai sensi dell’art. 163-bis, rientrando quindi nella fattispecie della continuità “indiretta”.

D’altronde potranno essere predisposti piani compositi, che integrano le diverse articolazioni della continuità “indiretta”, ove tipicamente l’azienda viene dapprima concessa in affitto ad una newco le cui quote sono detenute integralmente dalla società in concordato, consentendo così lo svolgimento dell’attività d’impresa in modo indiretto, con successiva cessione d’azienda alla newco e contestuale alienazione delle partecipazioni detenute dalla società in concordato nella newco a terzi soggetti, sempre nel rispetto delle procedure competitive previste dalla legge.

Conclusivamente, che l’affitto sia stipulato prima o dopo la presentazione della domanda di concordato (rectius: del ricorso ex art. 161 sesto comma l.f.) non rileva. Quel che rileva, invece, per integrare la fattispecie del concordato in continuità, a prescindere dal nomen iuris attribuito dal debitore o dalla sua espressa volontà di applicare l’art. 186-bis l.f., è che l’azienda sia in esercizio al momento del deposito del ricorso, o almeno se ne preveda la riattivazione prima o dopo l’omologa.

Invero, la dichiarata voluntas legis di favorire le ristrutturazioni aziendali incentrate sulla prosecuzione dell'attività, significa – di fatto – antergare il valore della continuità e così favorire l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 186-bis l.f., senza i limiti imposti dall’art. 160 ultimo comma l.f..

Ciò, tuttavia, non deve arrecare pregiudizio per i creditori. Andrà quindi attentamente verificata l’economicità della prosecuzione dell’azienda, onde poter integrare la clausola del “miglior soddisfacimento dei creditori”, di cui all’art. 186-bis, comma secondo, lett b) l.f..[38]

Clausola che rappresenta il “faro” che deve orientare il debitore nella scelta del concordato in continuità rispetto a quello liquidatorio e da cui, probabilmente, originano le difficoltà interpretative di cui si è dato conto. Invero la continuità d’impresa è funzionalizzata al miglior interesse dei creditori così da palesarsi un valore-mezzo (a differenza dell’amministrazione straordinaria, là dove la continuità è un valore-fine con buona pace degli interessi dei creditori).[39]

Questa sembra essere la vexata questio ancora irrisolta, da cui promanano le (tuttora attuali) divisioni della dottrina e della giurisprudenza: da un lato la ratio delle riforme legislative tende a privilegiare e favorire sempre più la continuità (con la conseguente salvaguardia dei valori connessi all’azienda), dall’altro il principio della tutela dei creditori, ancora immanente nei concordati preventivi e di cui l’art. 186-bis l.f. nella sua attuale versione ne rappresenta il baluardo.



[1] Comma aggiunto dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132. Sull’esatto significato precettivo da attribuire al verbo “assicurare” la dottrina si è divisa (per l’orientamento più rigoroso, cfr. Zanichelli, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno?, 2015, in www.ilcaso.it, secondo il quale “la proposta ma più propriamente il piano devono dare al creditore chirografario la certezza che dalla liquidazione dei beni si otterrà almeno la richiamata percentuale e cioè devono essere portati elementi concreti che rendano certo, in difetto di eventi assolutamente imprevedibili, che il risultato sarà raggiunto”; Sabatelli, La novellata disciplina della domanda di ammissione al concordato preventivo, in ilfallimentarista.it, parla dell’introduzione di “un nuovo requisito di ammissibilità al procedimento”; nello stesso senso si veda anche Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il Civilista, 2015; Bozza, Brevi considerazioni su alcune norme della ultima riforma, in fallimentiesocieta.it, 2016). La giurisprudenza ha mostrato di seguire l’atteggiamento più rigoroso, ritenendo che tale nuovo requisito “di assicurare una minima soddisfazione dei creditori chirografari, non può essere interpretato nel senso di una mera prospettazione di tale soddisfazione, ma deve consistere in una proposta idonea, con ragionevole grado di certezza, ad assicurare l’adempimento dell’obbligazione (cfr. Trib. Rovigo, 1 agosto 2016, in Www.ilcaso.it). Il pagamento del 20% “è da intendersi come impegno vincolante e preciso dell’imprenditore supportato da un piano prudenziale e coerente” (cfr. Trib. Mantova, 28 aprile 2016, in www.ilcaso.it), “una prospettazione a metà strada fra il concetto di garanzia e quello della ragionevole previsione” (cfr. Trib. Firenze, 8 gennaio 2016, in www.ilcaso.it); “il debitore deve proporre "fondatamente" il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari” (cfr. Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in www.ilcaso.it). Ciò comporterebbe quindi un superamento della distinzione affermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 23 gennaio 2013, n. 1521) tra fattibilità giuridica e fattibilità economica ed il conseguente limite, per ciò che concerne il sindacato del tribunale, alla valutazione della sola fattibilità giuridica (cfr. Galletti, Speciale Decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015. È ancora attuale dopo la riforma “d’urgenza” il misteriosoficus delle Sezioni Unite?, in ilfallimentarista.it; Sabatelli, La novellata disciplina della domanda di ammissione al concordato preventivo, in ilfallimentarista.it).

[2] Sul concetto di “going concern” cfr. Trib. Roma, 24 marzo 2015, in ilfallimentarista.it; Trib. Milano, 7 maggio 2012, in ilfallimentarista.it; Cass., 15 luglio 2014, n. 16168. In dottrina cfr. Scaranello, Going concern, ovvero l’obbligo di valutazione del presupposto della continuità aziendale, in commercialistatelematico.com, 2015; Venuti, Il principio della funzione economica nella redazione del bilancio, in Società, 2004, pp. 1467 e ss..

[3] Sul principio contabile OIC n.6, in dottrina cfr. Pollio-Papaleo, Ristrutturazione dei debiti: l’OIC introduce il principio ad hoc, in Amministrazione e Finanza, 2011, p. 21; Moro Visconti, Ristrutturazione del debito e principio contabile Oic 6, in Crisi e Risanamento, 2013, 52; Calandrini, Ristrutturazione del debito e crisi dell'impresa. Brevi considerazioni sull'OIC 6, in ilfallimentarista.it, 2013.

[4] Cfr. Trib. Trento, 19 giugno 2014, in www.ilcaso.it: “l’ipotesi di concordato con continuità aziendale per una società in liquidazione, esorbita dai limiti stabiliti dall’art. 2487 c.c., pertanto richiede la revoca dello stato di liquidazione a mente dell’art. 2487 ter c.c.”.

[5] L’ammissibilità della cessione dell’azienda prima dell’omologa era confermata dalla dottrina maggioritaria: cfr. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Società, banche e crisi d’impresa, diretto da Campobasso-Cariello-Di Cataldo-Guerrera-Sciarrone, Torino, 2014, 3228; Arato, Il concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 3.8.2012, p. 8; Lo Cascio, La vendita dell’azienda nel nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2012, p. 340; Gaeta, Effetti del concordato preventivo, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia-Panzani, 3, Torino, 2009, p. 1652 (contra Paternò Raddusa, Effetti della presentazione del ricorso e dell’ammissione al concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia-Piccininni-Severini, 4, Torino, 2011, p. 389). Collegato alla vendita anticipata dell’azienda, peraltro, v’è il tema dell’esenzione dalla responsabilità ex art. 2560, 2° co., l. fall. (ammessa da Stanghellini, ivi, p. 3229). Al riguardo sia consentito un rinvio anche a Greggio, La cessione dell’azienda prima dell’omologa del concordato preventivo liquidatorio, in ilfallimentarista.it, 6.8.15, pp. 6 e ss..

Invero la questione dell’ammissibilità della cessione prima dell’omologa è ora superata dal D.L. n. 83/2015 conv. nella L. n. 132/2015 che ha sostituito il co. 5 dell’art. 182 l.f., stabilendo che alle vendite, alle cessioni ed ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato preventivo (e, quindi, anche del ricorso “in bianco” o con riserva) o in esecuzione di questo (e quindi post omologa) si applichino gli artt. da 105 a 108-ter l.f., in quanto compatibili.

[6]In giurisprudenza (dalla più datata alla più recente) si veda Trib. Terni, 29 gennaio 2013 e 12 febbraio 2013; Trib. Trento, 6 aprile 2013; Trib. Ravenna, 29 ottobre 2013; Trib. Patti, 12 novembre 2013; Trib. Milano, 28 novembre 2013; Trib. Busto Arsizio, 1 ottobre 2014; Trib. Ravenna, 22 ottobre 2014; Trib. Arezzo, 27 febbraio 2015; Trib. Pordenone, 4 agosto 2015; Trib. Firenze, 1 febbraio 2016; Trib. Como, 29 aprile 2016; Trib. Pordenone, 19 gennaio 2017 (tutte in www.ilcaso.it). In dottrina cfr. Galletti, La strana vicenda del concordato in continuità e dell’affitto di azienda, in ilfallimentarista.it, 3.10.2012, secondo il quale “l’espressione“ cessione di azienda in esercizio”, pur nella sua evidente atecnicità, è riferibile solo al trasferimento in proprietà dell’azienda a terzi”; Di Marzio, Affitto d’azienda e concordato in continuità, in Ilfallimentarista.it, 15.11.2013, secondo il quale “continuità aziendale e affitto di azienda si pongono in un rapporto di reciproca esclusione: dove vi è continuità aziendale non può esservi affitto di azienda; dove vi è affitto di azienda non può esservi continuità aziendale”;Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n.83/2015, in Il Civilista, Milano, 2015, pp. 19 e ss..

[7] Cfr. Trib. Busto Arsizio, 1 ottobre 2014, cit. (“sono da escludere dal novero della continuità aziendale tutte le fattispecie concordatarie caratterizzate dalla presenza di un contratto di affitto d’azienda. In particolare, non rientrano nella nozione di concordato con continuità aziendale le ipotesi in cui tale contratto, sia pure corredato da un impegno irrevocabile di acquisto da parte dell’affittuario, sia stato stipulato prima del deposito della domanda ex art. 161 L.F. o comunque prima dell’omologazione, atteso che il piano così strutturato non potrà contemplare l’esercizio dell’impresa come elemento di acquisizione del fabbisogno per il soddisfacimento dei creditori e posto che la cessione dell’azienda avverrà quando questa non sarà più in esercizio da parte del debitore”);  Trib. Como, 29 aprile 2016, cit. (“l’affitto di azienda anteriore o interinale alla fase endoconcordataria è incompatibile con il concordato preventivo con continuità aziendale in virtù di una interpretazione non solo testuale, ma anche teleologica e sistematica dell’art. 186-bis L.F.”).

[8]Trib. Ravenna, 22 ottobre 2014, cit. (nell’ambito del concordato con continuità aziendale di cui all’articolo 186 bis L.F., la esplicita previsione del requisito della “cessione di azienda in esercizio” consente di escludere che il concordato con continuità possa essere attuato tramite la distinta ipotesi dell’affitto di azienda”).

[9] Cfr. Trib., Como 29 aprile 2016, cit., secondo il quale tali contratti “(…) hanno carattere personale, sono sovente regolati da discipline speciali che regolamentano anche le qualità soggettive dei contraenti privati (si pensi alla disciplina specialistica antimafia, ad esempio) e sono di conseguenza esclusi dalla possibilità di subentro automatico prevista dall'art. 2558 c.c. (salvo naturalmente diverso accordo tra le parti). Ne deriva che l'art. 186 bis l.f., nella parte in cui prevede espressamente il subentro si pone in rapporto di specialità e deroga della disciplina generale di cui all'art. 2558 c.c., consentendo il subentro automatico anche in contratti, come quelli pubblici, caratterizzati dall'intuitus personae”. Tale provvedimento peraltro ben riassume le diverse opzioni interpretative in tema di continuità in caso di affitto d’azienda.

[10] Cfr. Di Marzio, Affitto d’azienda e concordato in continuità, cit. (“i creditori concorsuali sono destinati a sopportare il rischio d’impresa soltanto finché la stessa è condotta dall’imprenditore e nel concordato. Invece, quando sia concluso un contratto di affitto, precedentemente all’apertura della procedura concordataria o nel corso della stessa, allora dal momento della stipula del contratto il rischio di impresa graverà sull’affittuario”).

[11] Trib. Firenze, 1 febbraio 2016, cit. (“il concordato con continuità aziendale implica una sopportazione del rischio di impresa da parte dei creditori concorsuali, la quale può giustificarsi e sussistere solo nell'ipotesi in cui l'impresa sia gestita dall'imprenditore e la gestione continui a presentare dei parametri di aleatorietà per i creditori concordatari. Deve, pertanto, essere esclusa l'applicazione della disciplina del concordato con continuità aziendale qualora il piano preveda l'affitto dell'azienda quale strumento di transito verso il successivo trasferimento a terzi della stessa”).

[12] Cfr. Trib. Milano, 28 novembre 2013, cit. (“dal momento della stipulazione del contratto di affitto, sia prima che dopo l’apertura del procedimento, il rischio di impresa grava sull’affittuario e non sui creditori concorsuali e dunque non vi è ragione per riservare all’azienda condotta da un soggetto estraneo all’impresa in crisi le speciali “utilità” previste dagli artt.186 bis e 182 quinquies (delle quali, in verità, neppure si vede come potrebbe fruire);né, d’altra parte, può sussistere in tal senso un interesse meritevole di tutela, da parte del debitore, proprio in quanto egli è estraneo a tale attività. Ciò naturalmente non vuol dire che non sia legittima una proposta di concordato che preveda l’affitto dell’azienda quale strumento di soddisfacimento dei creditori concorsuali, ma che, in questo caso, non sarà possibile – in relazione all’attività dell’affittuario - essere autorizzati al pagamento di creditori anteriori o invocare le previsioni dell’art.186 bis in tema di prosecuzione dei contratti, essendo questi “benefici” riservati solo al debitore o alla società cessionaria o conferitaria dell’azienda o di rami d’azienda che prosegua l’attività d’impresa”. Per alcuni Autori, l’esclusione dell’applicazione analogica dell’art. 182-quinquies e dell’art. 169-bis si ha per l’eccezionalità di tali disposizioni, non suscettibili di interpretazione analogica, perché la continuità è stata già assicurata con una operazione stabile, nonché per l’evidente disparità di trattamento con gli altri imprenditori sul mercato (cfr. Amatore, Concordato con continuità aziendale e affitto d’azienda, in ilfallimentarista.it del 8.10.2015; Fabiani, Concordato preventivo. Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014, 194).

[13] Cfr. Trib. Pordenone, 19 gennaio 2017, in fallimentiesocieta.it. Dello stesso tenero anche la recente App. Firenze, 5 aprile 2017, in www.ilcaso.it.

[14] In giurisprudenza cfr. Trib. Como, 29 aprile 2016 e Trib. Rimini, 1 ottobre 2015, entrambe in www.ilcaso.it. In dottrina ex plurimis si veda: Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, VI ed., Padova, 2013, p. 1328; Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, cit., p. 3218, il quale afferma che “se l’affitto è (…) anteriore alla domanda, “in pendenza di concordato” la continuità non vi è mai stata, e dunque non possono applicarsi le norme che (…) facilitano il mantenimento del valore dell’azienda e (…) la sua monetizzazione in caso di trasferimento a terzi”; Vitiello, Brevi [e scettiche] considerazioni sul concordato preventivo con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2013, secondo il quale dal momento in cui si realizza il passaggio di disponibilità dell’azienda o del ramo d’azienda, la normativa di cui all'art. 186-bis non può trovare applicazione, sicché “il piano che dovesse essere imperniato su un affitto, o su una cessione aziendale, sarebbe quindi un piano in continuità, agli effetti previsti dalla disciplina in commento, soltanto sino al momento del passaggio delle consegne. Non sarebbe affatto un concordato in continuità ove l'affitto o la cessione fossero conclusi prima del deposito della domanda di concordato, o nel caso in cui l'azienda dovesse essere ceduta ad attività imprenditoriale già cessata.

[15] Cfr. Trib. Rimini, 1 ottobre 2015 e Trib Ravenna, 29 ottobre 2013, entrambe in www.ilcaso.it.

[16] Cfr. Trib. Monza, 11 giugno 2013, in www.ilcaso.it.

[17] v. Trib. Patti, 12 novembre 2013, in www.ilcaso.it:ove l’imprenditore abbia concesso in affitto la propria azienda in epoca precedente alla presentazione della proposta concordataria - avanzata ai sensi dell’art. 186 bis L.F. - e in quest’ultima si preveda la prosecuzione dell’attività per mezzo dell’affittuario della stessa azienda, senza che sia contestualmente previsto un obbligo di acquisto a suo carico entro un dato termine, non può trovare applicazione la speciale disciplina dettata dall’art. 186 bis L.F., non potendo qualificarsi la fattispecie come concordato con continuità aziendale”.

[18] Cfr. Arato, Questioni controverse nel concordato preventivo con continuità aziendale: il conferimento e l’affitto d’azienda, il pagamento ultrannuale dei creditori privilegiati, l’uscita dalla procedura, in www.ilcaso.it del 9 .8.2016; Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 9/2013, pp. 269-270, che sottolinea come l’affitto non determini la cessazione dell’impresa dell’affittante, nel cui patrimonio l’azienda è destinata ad essere retrocessa in caso di scadenza o di scioglimento del contratto.

[19] Così Quattrocchio-Ranalli, Concordato in continuità e ruolo dell’attestatore: poteri divinatori o applicazioni di principi di best practice, in ilfallimentarista.it, 3.8.2012, p. 7.

[20] Cfr. Trib. Terni, 2 aprile 2013, cit., il quale ha rilevato che “solo laddove il canone non sia pattuito in misura fissa, ma parametrato sull’andamento dell’attività dell’affittuario, l’alea della gestione ricade indirettamente sul ceto creditorio, perciò dischiudendo la necessità che il piano e l’attestazione del professionista si conformino alle prescrizione dell’art. 186-bis l. fall.”. In dottrina cfr. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, cit., pp.1230-1231, il quale ritiene che comunque, secondo le regole generali, l’incidenza dell’andamento dell’azienda affittata sulla soddisfazione dei creditori dovrà essere indicata nel piano e valutata dal professionista attestatore.

[21] Cfr. Ambrosini, Appunti in tema di concordato in continuità aziendale, in www.ilcaso.it, 4.8.2013; Patti, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Milano, 2014, 86.

Nello stesso senso Trib. Bolzano, 27 febbraio 2013, in www.ilcaso.it.

[22] Trib. Bolzano, 10 marzo 2015, in www.ilcaso.it:La nozione di continuità aziendale, così come definita espressamente dall’art. 186 bis L.F., ricomprende sia la fattispecie della cd. continuità diretta dell'attività in capo all’imprenditore, sia quella della continuità indiretta attuata mediante cessione o conferimento a terzi dell’azienda in esercizio. Pertanto, l’affitto stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, come quello da stipularsi in corso di procedura concordataria non è, ove vi sia la previsione di successiva cessione dell’azienda in esercizio, di ostacolo all’applicabilità della disciplina tipica del concordato in continuità, essendo l’affitto un mero strumento giuridico ed economico finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell’intero complesso aziendale in vista di un suo successivo passaggio a terzi.

[23] In tal senso cfr. Trib. Roma, 24 marzo 2015 e 29 gennaio 2014; Trib. Vercelli, 13 agosto 2014; Trib. Cuneo, 29 ottobre 2013; Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014; Trib. Rovereto, 13 ottobre 2014; Trib. Monza, 26 luglio 2016 (tutte in www.ilcaso.it). Tali principi sono stati ribaditi dalla più recente giurisprudenza di merito, la quale ha rilevato che deve qualificarsi “come concordato con continuità indiretta quello che preveda la cessione dell'azienda in esercizio” (Trib. Firenze, 11 maggio 2016, in www.ilcaso.it), oltre al fatto che “rientra nell'ambito della continuità aziendale e comporta, pertanto, l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 186-bis legge fall. anche il caso in cui l'azienda sia stata affittata prima della presentazione della domanda di concordato e ciò in quanto l'esplicita previsione normativa della continuità indiretta induce a ritenere che il legislatore abbia dato rilevanza alla continuità in senso oggettivo, la quale non può considerarsi esclusa dal fatto che l'azienda sia stata affittata ad altro imprenditore prima della domanda di concordato” (Trib. Udine, 5 maggio 2016, in www.ilcaso.it). Si veda anche la recente Trib. Macerata, 12 gennaio 2017, in www.ilcaso.it, secondo la quale l’affitto del ramo d’azienda prima della presentazione della domanda di concordato può rientrare nell’ambito della continuità aziendale, con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 186-bis l. f., e non applicabilità della regola di cui all’art. 160, ultimo co., l.f..

[24] Ex plurimis si veda: Trib. Avezzano, 22 ottobre 2014, in www.ilcaso.it  (“Ai sensi dell’art. 186-bis L.F., la proposta concordataria e il relativo piano possono dirsi in continuità quando la proponente preveda esplicitamente l’obbligo di acquisto dell’azienda in capo all’affittante”); Trib. Vercelli, 13 agosto 2014, in www.ilcaso.it [“L’affitto di azienda, anche se anteriore al deposito della domanda di concordato, in quanto funzionale al trasferimento dell’impresa con mantenimento in esercizio della stessa, rappresenta una modalità di esercizio dell’attività imprenditoriale non diversamente dall’alternativa (esplicitamente prevista dall’articolo 186 bis L.F.) della cessione dell’azienda in esercizio, sicché in presenza delle condizioni descritte nulla osta all’applicazione dell’articolo in questione anche in presenza di affitto di ramo di azienda”]; Trib. Cassino, 31 luglio 2014, in www.ilcaso.it (La stipula del contratto di affitto di azienda in data anteriore alla presentazione del ricorso per concordato preventivo non pone problemi di compatibilità con la continuità aziendale”; Trib. Cuneo, 29 ottobre 2013, in www.ilcaso.it (“Nel concordato preventivo la previsione dell’affitto come elemento del piano concordatario, purché finalizzato al trasferimento dell’azienda e non destinato alla mera conservazione del valore dei beni aziendali al fine di una loro più fruttuosa liquidazione, deve ritenersi riconducibile all’ambito disciplinato dall’art. 186-bis l. fall.”); Trib. Mantova, 19 settembre 2013, in www.ilcaso.it (“Può rientrare nella previsione dell’art. 186 bis L.F. l’ipotesi in cui prima della presentazione della domanda di concordato la proponente abbia affittato l’azienda in esercizio, contemplando nel piano la prosecuzione dell’attività per mezzo della cessione dell’azienda”); Trib. Monza, 11 giugno 2013, in www.ilcaso.it (“Il contratto di affitto è compatibile con lo strumento del concordato con continuità aziendale quando è propedeutico alla successiva cessione dell’azienda funzionante all’affittuario, cessione che deve essere già prevista come obbligatoria nella proposta di concordato, perché solo in tal caso si rientra nell’ipotesi della cessione d’azienda direttamente disciplinata dalla norma dell’articolo 186 bis L.F.”; la pronuncia, peraltro, sia pure espressiva di un principio di diritto ampio, riguarda un caso nel quale il contratto d’affitto d’azienda è stato stipulato dopo l’ammissione dell’imprenditore alla procedura concordataria).

[25] Cfr. Trib. Alessandria, 22 marzo 2016, in www.ilcaso.it; nello stesso senso anche il precedente Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016, entrambe in www.ilcaso.it.

[26] Cfr. linee guida della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma in ordine a talune questioni controverse della procedura di concordato preventivo del maggio 2016, in www.ilcaso.it.

[27] Certo, l’affitto non prodromico al trasferimento della proprietà dell’azienda, non rientra nella fattispecie dell’art. 186-bis, perché non se ne prevede appunto la “cessione”, né configura un concordato in continuità diretta, anche se è prevista la retrocessione dell’azienda al debitore concordatario (ma questo è un elemento non rilevante ai fini della norma).

[28] Considerato che il patrimonio del debitore, “già dal momento della sua incapienza, è virtualmente destinato ai suoi creditori, è naturale che il diritto della crisi d'impresa consideri prioritario salvaguardarne l'integrità” (Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, pp. 1222 e ss.), alla stregua di quanto dispone il codice civile al verificarsi di una causa di scioglimento e sui poteri dei liquidatori (artt. 2486-2487).

[29] Cfr. Trib. Padova, 20 luglio 2016, inedita. Nello stesso senso cfr. Trib. Treviso, 4 novembre 2016, in fallimentiesocietà.it: "La nozione di continuità aziendale, così come definita espressamente dalla norma appena indicata, ricomprende sia la fattispecie della c.d. continuità diretta dell'attività in capo all'imprenditore sia quella della continuità c.d. indiretta attuata mediante cessione o conferimento a terzi dell'azienda in esercizio. Pertanto, l'affitto stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, si presenta come un mero strumento giuridico ed economico finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell'intero complesso aziendale in vista di un suo successivo passaggio a terzi. (…) L'affitto d'azienda rappresenta quindi uno strumento compatibile, essenziale e funzionale al raggiungimento degli obbiettivi sottesi, da un lato della conservazione dell'impresa e dall'altro al miglior soddisfacimento del ceto creditorio."

[30] Testo  licenziato  il 22 dicembre 2015, reperibile su fallimentiesocieta.it. Sul punto cfr. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d'impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016, p. 89.

[31] Peraltro nel disegno di legge è prevista l’“inammissibilità di proposte che in considerazione del loro contenuto sostanziale, abbiano natura essenzialmente liquidatoria” (articolo 6, primo comma, lettera a), con ciò confermando la volontà di considerare la sostanza del piano concordatario, a prescindere dalla circostanza che l’affitto avvenga prima o dopo la presentazione del ricorso.

[32] Cfr. Trib. Como, 9 febbraio 2017, in www.ilcaso.it.

[33] L’affitto “fine a se stesso” – i.e. non prodromico al trasferimento della proprietà dell’azienda – non rientra nella fattispecie dell’art. 186-bis, perché non se ne prevede appunto la cessione, mentre il ritorno nelle mani del debitore concordatario è spostato nel tempo ad un momento non più rilevante ai fini della norma, di talché non può configurarsi una prosecuzione “diretta” dell’impresa.

[34] Sul punto cfr. Bottai, Concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 24.5.2016.

[35] Cfr. Ambrosini, Appunti in tema di concordato in continuità aziendale, cit.

[36] In tema di offerte concorrenti si veda: Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, in ilfallimentarista.it 29.6.2015 (pp. 16-23); Lamanna, La legge fallimentare dopo la mini riforma del D.L. n. 83/2015, cit. (pp. 41-48); Bozza, Brevi considerazioni su alcune norme dell’ultima riforma, in fallimentiesocietà.it 2015 (pp. 25-32); Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare (prima parte), in www.ilcaso.it 17 .8.2015 (pp. 1-10);Savioli, Concorrenza nel mercato e per il mercato delle crisi d’impresa. Le innovazioni del D.L. 83/2015 per la procedura di concordato preventivo, in www.ilcaso.it 30.10.15; Vitiello,Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell’era delle proposte di concordato chiuse, in ilfallimentarista, 2.11.15. Si consenta il rinvio anche a Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l.f.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, in ilfallimentarista.it, 21.1.2016.

[37] Come noto la normativa concorsuale richiama la nozione di “risanamento” nell’ambito dell’art. 67, co. 3, lett. d) l.f. che prevede l’esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti e dei pagamenti posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, ove si ritiene che l’operazione di risanamento sia incompatibile con lo stato di liquidazione presupponendo la prosecuzione dell’attività ordinaria dell’impresa.

[38] L'attestatore ha il compito di dimostrare che la prosecuzione dell'attività sia funzionale al “miglior soddisfacimento dei creditori” (art. 186-bis, comma secondo, lett. b l.f.). La stessa attestazione è richiesta anche nelle ipotesi di acquisizione di finanziamenti interinali (art. 182-quinquies, comma 1) e di pagamento di crediti anteriori (art. 182-quinquies, comma 4). Invero le locuzioni utilizzate nelle tre fattispecie non sono identiche, poiché l'art. 182-quinquies evoca la “migliore soddisfazione” mentre l'art. 186-bis contempla il “miglior soddisfacimento”, ma non pare debba attribuirsi diverso significato alle due formule lessicali (cfr. Cecchini,Il miglior soddisfacimento dei creditori nel concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it 18.3.14; dubitativo è invece Vitiello, Le soluzioni concordate della crisi di impresa, Milano, 2013, 8, per il quale “miglior soddisfacimento” potrebbe significare convenienza in termini di maggiori prospettive di realizzo, mentre “miglior soddisfazione” potrebbe avere  riguardo alla convenienza legata ad altri aspetti).

[39] Sul punto cfr. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in www.ilcaso.it, 9.12.2016, p. 7.


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