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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/03/2017 Scarica PDF

La rigorosa prova del carattere frodatorio del piano di concordato omologato: due pronunce della cassazione in tema di bancarotta nel concordato preventivo

Tommaso Stanghellini, Tommaso Sannini, Michela Mancini, Avvocati in Pistoia


Sommario: 1. La questione - 2. Il fatto - 3. La prima pronuncia della Cassazione - 4. La seconda pronuncia della Cassazione - 5. Il principio di diritto.


   

1. La questione

Con la sentenza 6 ottobre 2016, n. 50675 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della legittimità del provvedimento di sequestro sul quale si era già pronunciata con la sentenza 12 aprile 2016, n. 18997. In entrambi i casi, la Suprema Corte ha annullato due ordinanze del Tribunale di Pistoia (una emessa in sede di riesame, l’altra in sede di appello) con le quali era stato confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) avente per oggetto la somma di circa Euro 2.000.000 presente sui conti correnti di una società (che chiameremo Beta), terza sequestrata. Ad avviso della Procura della Repubblica e del G.I.P. tale somma rappresentava il profitto derivante dal reato relativo alla dissipazione e distrazione dell’azienda di Alfa acquistata da Beta. La peculiarità del caso in esame risiede nel fatto che la cessione dell’azienda è avvenuta in esecuzione della proposta e del piano di concordato preventivo e successivamente all’omologa dello stesso. La Procura sosteneva che tale cessione era avvenuta ad un prezzo inferiore al valore di mercato dell’azienda (la cui differenza veniva quantificata appunto nella somma sequestrata).

 

2. Il fatto

Alfa ha presentato nel 2012 domanda di concordato preventivo con continuità aziendale c.d. “indiretta”, omologato dal Tribunale di Pistoia nel 2013. La domanda di concordato prevedeva, fra l’altro, la cessione dell’azienda a Beta, società appositamente costituita, al prezzo di Euro 1.890.000.

L’atto di cessione, così come tutti gli altri atti liquidatori del concordato in questione, era intervenuto con il parere favorevole del Comitato dei creditori, che ha il valore di una vera e propria autorizzazione di merito ex art. 182, comma IV, L.F. in conformità alla declinazione privatistica-negoziale del concordato preventivo. Vi era stato, inoltre, il parere favorevole del Commissario giudiziale, deputato all’esercizio delle funzioni di sorveglianza ai sensi dell’art. 185 L.F. (reso in data 11.04.2014) e l’autorizzazione del Giudice delegato, che ha il valore di nulla osta, non trattandosi di controllo di merito, ma, in via di principio, di mera legittimità.L’atto di cessione dell’azienda ha costituito uno degli atti chiave del concordato preventivo di Alfa il cui piano si è fondato anche sull’alienazione dell’azienda a Beta al corrispettivo di Euro 1.890.000. Il fatto che l’azienda potesse essere venduta ad un prezzo teoricamente superiore costituiva il nucleo dell’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura della Repubblica, confermata dal G.I.P. e dal Tribunale del riesame, secondo la quale il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione era costituito dalla vendita dell’azienda ad un prezzo inferiore al suo valore di mercato così come ipotizzato dal Commissario giudiziale nella Relazione ex art. 172 L.F.

La particolarità del caso in esame consiste nel fatto che, per mezzo della procedura di concordato preventivo, sarebbe stata distratta o dissipata una parte rilevante dell’attivo di Alfa, quantificabile, appunto, nella differenza tra il prezzo pattuito con il “patto di concordato” ed il maggior valore ipotizzato dalla Procura sulla base delle valutazioni operate dal Commissario giudiziale. Va anche chiarito che i diversi possibili valori dell’azienda ceduta erano stati, come detto, esplicitati dal Commissario giudiziale nella relazione ex art. 172 L.F. e quindi i creditori erano a conoscenza della possibilità di ottenere un introito maggiore dalla cessione. La proposta di concordato era stata poi approvata a larga maggioranza, su conforme parere ex art. 180 L.F. del Commissario giudiziale e senza alcuna opposizione ex art. 180 L.F.

 

3. La prima pronuncia della Cassazione

In accoglimento del ricorso di Beta, con la sentenza 18 aprile 2016, n. 18997, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame, affermando che tale provvedimento, laddove ritiene irrilevante la circostanza che la vendita dell’azienda si fosse perfezionata nel quadro della procedura di concordato preventivo e sotto il controllo degli organi della procedura, “svilisce, allo stato ingiustificatamente, la funzione della rete di controlli apprestati dalla legge a tutela dell’interesse dei creditori nella cessione dei beni concordatari, senza affrontare il quesito della libera, ovvero frutto della ingannevole prospettazione, scelta degli organi della procedura di autorizzare quell’atto”.[1] Secondo la Suprema Corte il Tribunale avrebbe dovuto accertare: a) se la vendita dell’azienda per il corrispettivo di Euro 1.890.000 facesse o meno parte ab origine della proposta di concordato preventivo; b) sulla base di quali accertamenti il Commissario giudiziale aveva operato la maggiore valutazione dell’azienda, formulando un parere contrario alla vendita ad un prezzo inferiore (in realtà su tale punto la Cassazione erra nella ricostruzione del fatto in quanto il Commissario giudiziale aveva reso parere favorevole alla cessione); c) le ragioni per le quali il Comitato dei creditori ed il Giudice delegato avevano autorizzato la cessione dell’azienda nonostante il parere contrario del Commissario giudiziale (si veda quanto detto sopra e cioè che il parere del Commissario è stato positivo), al fine di accertare se le autorizzazioni rilasciate fossero state il frutto di una libera scelta oppure l’effetto di atti decettivi.

In altre parole la Cassazione sollecita accertamenti volti a verificare se vi siano stati fatti non chiaramente esposti in sede di proposta concordataria, indipendentemente dal voto espresso dai creditori, ovvero se tali fatti abbiano avuto una valenza potenzialmente decettiva in virtù della loro idoneità a pregiudicare la corretta rappresentazione della realtà economica e pertanto a falsare il consenso dei creditori e l’efficacia del controllo degli organi della procedura.

Pur ammettendo la possibilità che il reato di bancarotta possa consumarsi nell’ambito della procedura concordataria, la Cassazione ritiene che per l’accertamento del fumus commissi delicti non possa dunque prescindersi dalla verifica delle modalità di esplicazione della rete di controlli e della loro correttezza non solo formale ma anche sostanziale.

 

4. La seconda pronuncia della Cassazione

Sempre in accoglimento del ricorso di Beta, con la sentenza 6 ottobre 2016, n. 50675 la Suprema Corte ha annullato con rinvio il nuovo provvedimento del Tribunale del riesame rilevando una carenza di motivazione nell’ordinanza del Tribunale che si è tradotta in una violazione di legge in ordine alla prova della sussistenza della natura frodatoria del piano di concordato necessaria al fine di integrare il reato di bancarotta fraudolenta. Sul punto la Suprema Corte ha ritenuto che il provvedimento del Tribunale presentasse una motivazione apparente in relazione alle asserite falsità riportate nel piano rilevanti ex art. 236 L.F. La Cassazione si è posta preliminarmente la questione relativa alla possibilità che la giurisdizione penale possa attivarsi prima che il concordato sia stato revocato ex art. 173 L.F., od annullato ex art. 138 L.F. come richiamato dall’art. 186 L.F., visto che nel caso di specie non vi era stato alcun provvedimento, od alcuna istanza, volta a far dichiarare la revoca o l’annullamento del concordato omologato. La Suprema Corte ha risolto la questione affermando l’autosufficienza della giurisdizione penale, che, come stabilisce l’art. 2 del c.p.p. è chiamata a risolvere ogni questione da cui dipende la decisione. Quindi, visto che nell’ambito della procedura di concordato preventivo l’art. 236 L.F., che punisce chi tenta di ottenere i benefici della procedura attraverso una falsa rappresentazione della sua situazione patrimoniale, richiama espressamente gli artt. 223 e 224 L.F. che disciplinano rispettivamente i reati di bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice, ne discende che diviene perseguibile dal giudice penale ogni condotta che integri tali reati posta in essere prima, durante o dopo la procedura di concordato.

Una volta risolta tale questione preliminare, la Suprema Corte si è posta il successivo problema relativo alla possibilità che vengano compiuti atti distrattivi che integrino il reato di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 216 L.F., come richiamato dall’art. 236, comma II, L.F. il quale a sua volta rinvia all’art. 223 L.F., attraverso il piano concordatario con continuità aziendale il quale prevede la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società anche di nuova costituzione sulla base di dati asseverati ex art. 161 L.F. da un professionista. La Suprema Corte ha risolto in senso positivo la questione affermando che “l’approvazione dei creditori e l’omologa del tribunale non escludono, in astratto, che la procedura concordataria venga utilizzata in frode al ceto creditorio, per la realizzazione di un interesse illecito del soggetto proponente[2]. Ciò in quanto “l'art. 236 legge fall, nel prevedere l'applicazione degli artt. 223 e 224 legge fall. ‘nel caso di concordato preventivo’, si riferisce non solo ai fatti commessi ante procedura, ma - com'è desumibile dallo stesso tenore letterale della norma - anche ai fatti commessi ‘attraverso la procedura’, indebitamente piegata a fini illeciti”.[3]Tuttavia la Suprema Corte pone una importantissima condizione, in piena conformità con la sua precedente pronuncia. Il reato di bancarotta fraudolenta può essere compiuto anche attraverso l’esecuzione di un “patto di concordato” soltanto nel caso in cui il piano sottoposto ai creditori, e da questi approvato, abbia natura frodatoria, ovvero che venga predisposto in modo da realizzare un interesse diverso da quello di una trasparente e veritiera rappresentazione della situazione aziendale proprio della ratio concordataria, con il dolo specifico di pregiudicare i creditori.

La Corte di Cassazione fornisce una precisa e chiara definizione della nozione di piano frodatorio identificandolo con “una chiara ed indiscutibile manipolazione della realtà aziendale, tale da falsare il giudizio dei creditori e orientarli in maniera presumibilmente diversa rispetto a quella che sarebbe conseguita alla corretta rappresentazione della situazione aziendale”.[4] Vi deve quindi essere stata una rappresentazione non veritiera della realtà aziendale che la Suprema Corte identifica con quelle ipotesi che avrebbero legittimato la revoca del concordato ex art. 173 L.F. Tale norma indica infatti tutte quelle condotte (occultamento o dissimulazione di parte dell’attivo, dolosa omissione della denuncia di crediti, esposizione di passività insussistenti, o altri atti di frode) che non solo possono portare alla risoluzione del concordato preventivo, ma anche assumere rilevanza penale integrando le ipotesi di distrazione o dissipazione proprie della bancarotta[5]. Con tale definizione la Corte pone un preciso confine semantico e di applicazione della fattispecie di reato, definendone i limiti ed escludendo esplicitamente dal reato di bancarotta fraudolenta tutte quelle condotte che si sostanzino in una diversa lettura di dati che siano stati compiutamente e con trasparenza esposti nel piano ma che possono dare risultati economici tra loro differenti, come ad esempio una diversa valutazione di un cespite. Sul punto la Corte di Cassazione è chiara nell’affermare che “la ‘frode’ non può consistere, quindi, in una diversa lettura dei dati esposti nel piano da parte dei soggetti cui è demandata la funzione di verifica”.[6] Sulla base di tali criteri la Suprema Corte ha censurato la motivazione del secondo provvedimento del Tribunale del riesame in quanto esso non ha evidenziato nella sua motivazione alcun dato incontrovertibile di frode, visto che il provvedimento di sequestro e la successiva ordinanza del Tribunale si sono basati proprio sui differenti valori di stima dell’azienda proposti dal Commissario giudiziale nella Relazione ex art. 172 L.F. “Ma è palese che non può essere la diversa valutazione di un cespite - da chiunque effettuata - ad attribuire carattere fraudolento alla valutazione operata dal debitore concordatario e ritenuta congrua - o almeno confacente ai loro interessi - dai creditori, nell’ambito di una procedura sottoposta al controllo di legalità del Tribunale fallimentare”.[7] Ciò sia perché i criteri per valutare un’azienda sono molteplici e possono dare valori estremamente diversi tra loro, avendo quindi una inevitabile componente di aleatorietà, sia in quanto i creditori possono ritenere più conveniente un valore inferiore dell’azienda, predeterminato dal debitore,[8] con la prospettiva della continuità aziendale piuttosto che aspirare ad una maggiore realizzazione del proprio credito esponendosi però al rischio che quel bene non vada venduto. Per suffragare l’ipotesi distrattiva della bancarotta fraudolenta secondo la Corte si dovrà quindi dimostrare in modo rigoroso “che l’attribuzione, all’azienda, del valore ritenuto incongruo sia da attribuire a manovre decettive dell’imprenditore, che abbia ‘montato’ una realtà diversa da quella effettiva, celando valori aziendali, enfatizzando le passività o compiendo altri atti di frode”.[9]

 

5. Il principio di diritto

Dalle due sentenze in commento possiamo individuare una serie di principi che regolano le fattispecie di bancarotta realizzate attraverso lo strumento del concordato preventivo.

Con la prima sentenza della Cassazione si sottopongono al vaglio di legittimità gli atti “endoconcordatari”, pareri, autorizzazioni, nulla-osta ecc. in quanto essi, se frutto di ingannevole prospettazione o effetto di atti decettivi, “possono avvalorare il sospetto di distrazione/dissipazione ingenerato dalla situazione complessiva”.[10]

Ponendosi in continuità con la prima pronuncia, la seconda sentenza amplia la sua analisi alla valutazione dell’intera procedura concordataria ed in particolare essa approfondisce i criteri per valutare quando questa “venga utilizzata in frode al ceto creditorio per la realizzazione di un interesse illecito del soggetto proponente[11]. In primo luogo, la Corte ritiene pacifico (così come la prima pronuncia) il fatto che il procedimento di concordato, anche quando venga formalmente rispettato nel suo iter (dichiarazione di apertura, approvazione dei creditori ed omologa del Tribunale), non esclude in astratto il reato di bancarotta se la procedura risulta essere stata, come detto, usata in modo fraudolento. Tale modalità fraudolenta, tuttavia, viene precisamente tipizzata e strettamente ricollegata, come detto, alle condotte previste dall’art. 173 L.F. che si sostanziano in una rappresentazione della realtà del tutto alterata e distorta, e dunque in una vera e propria manipolazione, volta a falsare il giudizio dei creditori. Tale rigida tipizzazione trova fondamento nel fatto che il procedimento di concordato preventivo ha in sé una rete di controlli, previsti dalla legge, a tutela specifica dell’interesse dei creditori, soprattutto in relazione alla cessione dei beni concordatari. Qualora tale sistema di controlli sia stato rispettato non solo nella forma ma anche nella sostanza, e quindi non vi siano stati atti decettivi e le autorizzazioni rilasciate siano state il frutto di “libera scelta”, non si potrà mai ritenere realizzata la condotta di bancarotta fraudolenta. Ciò porta la Cassazione a concludere che, sulla base di tale tipizzazione, non potrà mai integrare una fattispecie di reato una diversa lettura dei dati riportati nel piano quando vi sia una trasparente e completa esposizione degli stessi e la scelta dei creditori, non alterata da atti frodatori, sia il risultato di una valutazione di convenienza.

La Suprema Corte è esplicita nel ritenere che la prova del carattere fraudolento della proposta di concordato debba essere “rigorosa”. La questione può sembrare oziosa ove si considerino i principi che regolano il procedimento penale caratterizzato dalla presunzione di innocenza e dunque ove si consideri il complesso degli elementi probatori che debbono vincere tale presunzione e condurre ad un giudizio di colpevolezza. Tuttavia, il principio espresso dalla Cassazione costituisce il punto di partenza di ogni tipo di ricostruzione del fatto di reato ipotizzabile in ambito concordatario, e dunque prospettabile in ogni fase del procedimento penale. In ambito cautelare il giudice deve accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato ed in tale valutazione del fumus commissi delicti egli non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, in una parola “rigoroso”, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti. La misura cautelare reale non potrà dunque essere concessa ove non si fornisca in modo evidente, prima facie, la prova del carattere frodatorio del piano ricostruibile in base alle fattispecie tipizzate dall’art. 173 L.F. che solo consentono di “punire, sub specie di distrazione o dissipazione, condotte che tradiscono, in modo indiscutibile e non congetturale, lo spirito e la funzione degli istituti di risoluzione della crisi di impresa”.[12]



[1] Cass. Pen. 12 aprile 2016, n. 18997.

[2] Cass. Pen. 6 ottobre 2016, n. 50675 in www.ilcaso.it.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Significativa da ultimo è Cass. Civ. 22 febbraio 2016, n. 3409 secondo la quale “l’atto in frode ai creditori rilevante ex art. 173 l.fall. ai fini della revoca o del diniego dell’omologazione, presuppone l’esistenza di un dato di fatto occultato afferente al patrimonio del debitore, tale da alterare la percezione dei creditori e, sul piano soggettivo, un comportamento assunto con dolo. Non basta, invece, un’operazione potenzialmente pregiudizievole per i creditori, ma conosciuta dal Commissario giudiziale e approvata dagli stessi creditori”.

[6] Cass. Pen. 6 ottobre 2016, n. 50675 cit. E si noti che l’affermazione effettuata dalla Cassazione penale è perfettamente in linea con i principi della Cassazione civile in tema di atti rilevanti ex art. 173 L.F. e sulla portata del controllo degli Organi della procedura. Infatti, sia in sede civile che penale assumono rilevanza soltanto i “comportamenti del debitore che abbiano una valenza decettiva, onde pregiudicano il consenso informato dei creditori” (Cass. Civ. 22 febbraio 2016, n. 3409 cit.; Cass. Civ. 15 ottobre 2013, n. 23387; Cass. Civ. 5 agosto 2011, n. 17038). Ritenere che siano ammissibili anche altre forme di valutazione e di controllo della condotta del debitore “rischia di reintrodurre, invece, quel giudizio di meritevolezza, che la riforma ha deliberatamente escluso, restando al giudice il mero controllo della fattibilità della proposta concordataria e competendo, invece, esclusivamente ai creditori la valutazione afferente la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti” (Cass. Civ. 22 febbraio 2016, n. 3409 cit.; Cass. Civ. 25 settembre 2013, n. 21901; Cass. Sez. Un. Civ. 23 gennaio 2013, n. 1521).

[7] Cass. Pen. 6 ottobre 2016, n. 50675.

[8] Il concordato di Alfa è anteriore all’entrata in vigore della riforma della legge fallimentare introdotta nell’estate del 2015 la quale con la previsione dell’art. 163 bis ha imposto che ogni “patto di concordato” sia sottoposto alla prova del mercato attraverso una vendita competitiva prima di darvi esecuzione. “Con l’introduzione dell’art. 163 bis l.f., ad opera del d.l. n. 83/2015, convertito con modifiche nella legge n. 132/2015, si è posto fine alle proposte vincolate, sancendo il principio di necessaria pubblicizzazione dell’offerta pervenuta al debitore e della natura competitiva del procedimento” (Trib. Bolzano 17 maggio 2016, in DeJure).

[9] Cass. Pen. 6 ottobre 2016, n. 50675, cit.

[10] Cass. Pen. 12 aprile 2016, n. 18997, cit.

[11] Cass. Pen. 6 ottobre 2016, n. 50675, cit.

[12] Cass. Pen. 6 ottobre 2016, n. 50675, cit.


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