CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/01/2017 Scarica PDF

La crisi di impresa nel nuovo codice degli appalti pubblici

Luciano Imparato, Avvocato in Napoli


Sommario: 1. Premessa; 2. L’art. 110 del Dlgs. 50/2016. Esigenza di individuazione delle procedure di insolvenza; 3. Compatibilità della disciplina contenuta nell’art. 110 con la legge fallimentare;3.1. L’esercizio provvisorio e la necessità di inserimento nella norma dell’affitto dell’azienda fallita; 4. Il concordato in continuità aziendale; 5. Problemi di operatività dell’art. 110 con le norme del codice dettate in ordine ai motivi di esclusione e mancato raccordo con i principi informatori le procedure di insolvenza.



1. Lo scritto si propone l’obiettivo di delineare le novità introdotte con il Dlgs. 50/2016 di “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” - in seguito Codice dei contratti pubblici - limitatamente alle disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra le procedure ad evidenza pubblica e le procedure di insolvenza.

La rinnovata disciplina recata dal nuovo codice degli appalti segue al richiamo contenuto nella direttiva comunitaria 2014/23/UE teso a consentire agli Stati membri, compatibilmente con le rispettive regolamentazioni nazionali, di sostenere la partecipazione alle gare di appalto anche delle imprese insolventi e di evitare che la dichiarazione di insolvenza dell’appaltatore, si configuri quale causa automatica dello scioglimento dei contratti pubblici, con l’obiettivo evidente di assicurare una maggiore tutela della impresa in crisi e dunque di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali.

L’obiettivo sostenuto dalla direttiva comunitaria coincide con l’esigenza di estendere il principio di massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica, anche alle imprese che, benché caratterizzate da una situazione di crisi, sia essa reversibile o meno, utilizzino gli strumenti previsti dagli ordinamenti nazionali, diretti alla conservazione in tutto o in parte dell’attività aziendali.

Tale analisi sarà dunque indirizzata a disaminare gli effetti delle nuove disposizioni ed in particolare del novellato art. 110 recante la completa riscrittura degli effetti derivanti dalla dichiarazione d’insolvenza dell’impresa esecutrice, al fine di evidenziare alcune incongruenze della nuova formulazione, la cui applicazione potrebbe rivelarsi foriera di significative problematiche operative.

Si tenterà, altresì, di evidenziare la perdurante difficoltà da parte del legislatore nazionale di individuare una piattaforma normativa idonea ad armonizzare le conseguenze derivanti dall’applicazione degli istituti propri dell’ordinamento fallimentare, miranti in prevalenza a salvaguardare la tutela dei creditori assicurata dall’attività sinergica svolta da parte degli organi fallimentari, e dalla necessità di garantire l’ineludibile esigenza della corretta esecuzione del contratto pubblico.


2. Il novellato articolo 110 del codice rubricato “Procedure di affidamento in caso di fallimento dell'esecutore o di risoluzione del contratto e misure straordinarie di gestione” introduce un temperamento alla regola generale del codice previgente secondo il quale la dichiarazione di insolvenza o la pendenza della relativa procedura integrava un evento determinante la perdita di un requisito di ordine generale, attraverso la previsione secondo la quale anche l’impresa insolvente, ricorrendone determinati presupposti, può partecipare alle gare d’appalto o continuare ad eseguire un contratto già stipulato.

Questa la formulazione dell’art. 110: “Le stazioni appaltanti, in caso di fallimento, di liquidazione coatta e concordato preventivo, ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione dell'appaltatore, o di risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 108 ovvero di recesso dal contratto ai sensi dell'articolo 88, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ovvero in caso di dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto, interpellano progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l'affidamento del completamento dei lavori.

2. L'affidamento avviene alle medesime condizioni gia' proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta.

3. Il curatore del fallimento, autorizzato all'esercizio provvisorio, ovvero l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC, possono:

a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto;

b) eseguire i contratti gia' stipulati dall'impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale.

4. L'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale non necessita di avvalimento di requisiti di altro soggetto. L'impresa ammessa al concordato con cessione di beni o che ha presentato domanda di concordato a norma dell'articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, puo' eseguire i contratti gia' stipulati, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC.

5. L'ANAC, sentito il giudice delegato, puo' subordinare la partecipazione, l'affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessita' che il curatore o l'impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacita' finanziaria, tecnica, economica, nonche' di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, che si impegni nei confronti dell'impresa concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa nel corso della gara, ovvero dopo la stipulazione del contratto, non sia per qualsiasi ragione piu' in grado di dare regolare esecuzione all'appalto o alla concessione, nei seguenti casi:

a) se l'impresa non e' in regola con i pagamenti delle retribuzioni dei dipendenti e dei versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali;

b) se l'impresa non e' in possesso dei requisiti aggiuntivi che l'ANAC individua con apposite linee guida.

6. Restano ferme le disposizioni previste dall'articolo 32 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in materia di misure straordinarie di gestione di imprese nell'ambito della prevenzione della corruzione”.

Come anticipato la disposizione ai commi 1 e 2 appare riprodurre il principio di affidamento già previsto dall’art. 140 d.lgs. n. 163/2006[1], mentre i commi successivi danno attuazione ai principi dellalegge delega 28 gennaio n. 11/201[2]di cui alla lett. vv) numeri da 2 a 5, che recano: “la disciplina del procedimento per la decadenza e la sospensione delle attestazioni secondo i seguenti principi e criteri direttivi: 1) attribuzione della relativa competenza all'ANAC; 2) previsione che il curatore del fallimento possa partecipare alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, che possa essere affidatario di subappalti e che possa stipulare i relativi contratti quando l'impresa fallita è in possesso delle necessarie attestazioni ed e' stato autorizzato l'esercizio provvisorio; 3) previsione che il curatore del fallimento, quando e' stato autorizzato l'esercizio provvisorio, possa eseguire i contratti già stipulati dall'impresa fallita; 4) previsione che l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale possa partecipare alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, o essere affidataria di subappalti e stipulare i relativi contratti, senza necessita' di avvalersi dei requisiti di altro soggetto o dell'attestazione SOA di altro soggetto; 5) previsione che l'impresa ammessa al concordato con continuita' aziendale o con cessione di beni o che ha presentato domanda di concordato a norma dell'articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, possa eseguire i contratti gia' stipulati dall'impresa stessa; 6) disciplina dei casi in cui l'ANAC puo', nelle fattispecie di cui ai numeri 2), 3), 4) e 5), sentito il giudice delegato alla procedura di fallimento o concordato preventivo e acquisito il parere del curatore o del commissario giudiziale, subordinare la partecipazione, l'affidamento di subappalti e la stipulazione dei relativi contratti alla necessita' che il curatore o l'impresa in concordato si avvalgano di un altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacita' finanziaria, tecnica, economica, nonche' di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, che si impegni nei confronti dell'impresa concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa nel corso della gara, ovvero dopo la stipulazione del contratto, non sia per qualsiasi ragione piu' in grado di dare regolare esecuzione all'appalto o alla concessione”.

A ben vedere la formulazione dei primi due commi dell’art. 110 pone un primo problema definitorio ed in particolare di individuazione di quelle procedure concorsuali, la cui ricorrenza legittima la stazione appaltante alla risoluzione del contratto, posto che la formulazione utilizzata nel primo comma risulta più ampia di quella prevista dal codice previgente; difatti l’art. 110 fa riferimento al “fallimento, alla liquidazione coatta, al concordato preventivo, ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione dell'appaltatore”, mentre l’art. 140 del Dlgs. 163/06 limita tale opzione al fallimento, alla liquidazione coatta amministrativa e al concordato preventivo.

Quindi, la nuova disposizione introduce rispetto alla pregressa disciplina le diciture “procedura di insolvenza concorsuale” e “la liquidazione dell’appaltatore”, che sono entrambi istituti estranei al campo di applicazione della legge fallimentare, nel senso che l’ordinamento nazionale dettato in materia di procedure concorsuali non consente di ricondurre questi “due istituti” come riconducibili ad un tipo specifico di procedura di insolvenza.

Ciò in quanto la dicitura “procedura di insolvenza concorsuale” appare più una formula atecnica volta a ricomprendere qualsivoglia procedura concorsuale e dunque anche quelle già indicate dalla norma, ovvero fallimento, concordato preventivo e liquidazione coatta amministrativa, ma se così fosse potrebbe prestarsi anche a ricomprendere la procedura di insolvenza delle grandi imprese in crisi, ovvero l’amministrazione straordinaria prevista dal Dlgs. 270/99.

Pervero tale interpretazione sembrerebbe smentita dalla relazione illustrativa, che nell’esplicazione dell’art. 110 fa riferimento esclusivamente al fallimento, alla liquidazione coatta e al concordato preventivo, escludendo dunque l’amministrazione straordinaria.

Diversamente il richiamo contenuto alla “liquidazione dell’appaltatore”, potrebbe facilmente ingenerare il dubbio per gli operatori che esso si riferisca al diverso istituto della liquidazione prevista dall’art. 2484 del codice civile, quale conseguenza del verificarsi di una causa di scioglimento della società.

Quindi a ben vedere la liquidazione sia essa volontaria o giudiziale, a differenza della liquidazione coatta prevista dalla legge fallimentare e dettagliata da apposite leggi speciali, non implica l’accertamento della situazione di insolvenza da parte dell’autorità giudiziaria, così come non priva l’imprenditore del potere di disporre dell’azienda[3], ma presuppone una mera deliberazione da parte dell’assemblea dei soci di accertamento di una causa di scioglimento della società, attribuendo al liquidatore, che può appartenere anche alla compagine sociale, il compito di liquidare le attività della società.

Si rivela altresì utile precisare che l’art 2487, comma 1, lettera c) c.c attribuisce all’assemblea dei soci il compito di deliberare, tra l’altro, in ordine al compimento degli “atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo”, con la conseguenza che tale istituto non determina una necessaria interruzione delle attività di impresa, ben potendo i soci nella delibera di nomina del liquidatore, conferire a quest’ultimo il compito di procedere alla prosecuzione di determinati contratti, proprio al fine di ottimizzare la procedura di liquidazione delle attività.

Ne consegue che la liquidazione disciplinata dall’art. 2484 e ss. del codice civile non preclude né la partecipazione alle gare d’appalto, né il suo verificarsi determina la perdita di un requisito generale tale da legittimare la stazione appaltante allo scioglimento del contratto in corso di esecuzione.[4]

La spiegazione dell’inserimento della formula “liquidazione dell’appaltatore” tra le procedure concorsuali indicate dall’art. 110, è certamente da ricondursi al fatto per il quale sul piano terminologico detta norma richiama, in parte, le procedure concorsuali individuate dall’art. 38 comma 7 lett. b della Direttiva 23/2014, secondo il quale: “Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori possono escludere o possono essere obbligati dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione all’aggiudicazione di concessioni un operatore economico, se si verifica una delle condizioni seguenti:

lett. b) se l’operatore economico è in stato di fallimento o è oggetto di una procedura di insolvenza o di liquidazione, se è in stato di amministrazione controllata, se ha stipulato un concordato preventivo con i creditori, se ha cessato le sue attività o si trova in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile ai sensi di leggi e regolamenti nazionali; tuttavia l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore possono decidere di non escludere oppure gli Stati membri possono esigere che l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore non escludano un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui sopra, qualora abbiano stabilito che l’operatore economico in questione sarà in grado di eseguire la concessione, tenendo conto delle norme e misure nazionali applicabili in relazione alla prosecuzione delle attività in tali situazioni”.

Quindi, il campo di applicazione di detta disposizione comunitaria è delimitato al fallimento, all’impresa oggetto di una procedura di insolvenza o di liquidazione, all’amministrazione controllata, al concordato preventivo con i creditori, al fatto di aver cessato le sue attività o di trovarsi in qualsiasi altra situazione analoga derivante da una procedura simile ai sensi di leggi e regolamenti nazionali.

Nel recepire tale disposizione il nostro legislatore ha dunque menzionato la procedura di insolvenza introducendo l’ulteriore dicitura “concorsuale” e ha altresì inserito “la liquidazione” aggiungendo la formula “dell’appaltatore”, mentre non ha inserito “l’amministrazione controllata”, che nel nostro ordinamento è stata abrogata e sostituita dall’amministrazione straordinaria.

Per cui sotto quest’ultimo profilo, si pone anche un problema interpretativo di annoverare tra le procedure ricomprese dalla norma anche l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi disciplinata come già detto dal Dlgs. 270/99. Ritornando al termine atecnico “liquidazione” utilizzato dal legislatore comunitario esso appare certamente riconducibile ad una procedura di insolvenza diretta alla mera liquidazione delle attività aziendali, ovvero accompagnata dallo spossamento dell’impresa, con la conseguenza che tale riferimento non potrà essere assimilato all’istituto della liquidazione previsto dal codice civile, da cui si diversifica sia perché esso non implica l’accertamento dell’insolvenza, sia perché esso potrebbe preludere, come già visto, anche l’espressa volontà dei soci di continuare l’attività.

A tali conclusioni si perviene avendo riguardo alle disposizioni contenute nel Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, che rappresenta la fonte normativa di rango sovranazionale enucleata nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile ai sensi dell’articolo 65 del trattato, al fine di conseguire il buon funzionamento del mercato interno attraverso l’armonizzazione dei provvedimenti da prendere in merito al patrimonio del debitore insolvente ed in relazione alle implicazioni derivanti dalle procedure di insolvenza transfrontaliera.

Il regolamento ci consente di pervenire al corretto inquadramento sul piano definitorio delle specifiche tipologie di procedure di insolvenza considerate a livello comunitario, la cui esatta delimitazione ci permette di inquadrare anche l’ambito di applicazione della norma del codice in commento.

A tale scopo appare utile richiamare l’art. 1 comma 1 che relativamente al campo di applicazione del regolamento, prescrive che esso si applica alle procedure concorsuali fondate sull’insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione di un curatore. Già questa specificazione consente di escludere dal campo di applicazione della norma la liquidazione che non risulta né fondata sull’insolvenza né risulta caratterizzata dallo spossamento dell’azienda con consequenziale affidamento della stessa ad un soggetto terzo qual è il curatore fallimentare o il commissario.[5]

Il successivo articolo 2 riconduce la tipologia delle procedure concorsuali di cui al citato articolo 1, contrassegnate con la definizione “Procedura di insolvenza”, a quelle inserite nell’allegato A del regolamento, che reca l’elencazione delle procedure previste dalle singole legislazioni europee, ove per l’Italia sono contemplate le seguenti: Fallimento, Concordato preventivo, Liquidazione coatta amministrativa, Amministrazione straordinaria e Amministrazione controllata.

Si rivela altresì utile, al fine di fugare ogni ragionevole dubbio in merito alla corretta individuazione delle procedure concorsuali, riportare anche la tipologia di procedura che viene contrassegnata dal regolamento alla lett. c) come “Procedura di liquidazione”, quest’ultima qualificata come una procedura d’insolvenza ai sensi della lettera a), ovvero implicante la liquidazione dei beni del debitore, anche se la procedura è chiusa in seguito ad un concordato o ad altra misura che ponga fine all’insolvenza o è chiusa a causa di insufficienza dell’attivo. L’elenco di tali procedure figura nell’allegato B, ove per l’Italia sono contemplate il Fallimento e la Liquidazione coatta amministrativa.

Sulla base di tale ulteriore approccio ermeneutico è possibile concludere nel senso che le procedure di insolvenza riconosciute dal regolamento comunitario come vigenti nel nostro ordinamento siano esclusivamente le seguenti: Fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo, amministrazione controllata (abrogata) ed amministrazione straordinaria.

Con la conseguenza pertanto che “la procedura di insolvenza concorsuale” e “la liquidazione dell’appaltatore” cui fa riferimento l’art. 110, debbono riferirsi esclusivamente alle procedure contemplate dall’ordinamento fallimentare.

Analoghe problematiche interpretative pone anche l’art. 48 del nuovo codice, che con riferimento alle vicende soggettive che caratterizzano i raggruppamenti temporanei di impresa ed i consorzi, vengono riproposte ai commi 17 e 18 in maniera atecnica le formule sopra stigmatizzate di procedura di insolvenza concorsuale e di liquidazione che possono contrassegnare il mandatario o il mandante, secondo la seguente formulazione: “17. Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 5, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante puo' proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purche' abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante puo' recedere dal contratto.

18. Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 5, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneita', e' tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purche' questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.

A differenza però dell’art. 110, l’art. 48 commi 17 e 18 annovera correttamente tra le procedure di insolvenza anche l’amministrazione straordinaria, mentre contiene un refuso indicando anche l’abrogata amministrazione controllata.

Tali problematiche terminologiche non sembra riguardino il novellato art. 80 che con riferimento ai “Motivi di esclusione” prevede al comma 5 lett. b che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: …. b) l'operatore economico si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di concordato con continuità aziendale, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 110;”.

L’art. 80 individua correttamente le procedure concorsuali che legittimano l’amministrazione ad escludere dalla partecipazione alla gara d’appalto gli operatori che si trovino stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, fatti salvi gli effetti di cui all’art. 110, la cui formulazione potrebbe però prestarsi alle incertezze interpretative riferite.

Per cui sarebbe auspicabile che nel decreto correttivo l’art. 110 e l’art. 48 commi 17 e 18 vengano emendati nel senso di eliminare per il primo le diciture “procedura di insolvenza concorsuale e procedura di liquidazione dell’appaltatore” e di inserire quale procedura concorsuale non indicata l’amministrazione straordinaria; mentre per l’art. 48 comma 17 di eliminare la dicitura “procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione del mandatario” così come il riferimento all’amministrazione controllata, e per il comma 18 di eliminare la dicitura “procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione del mandante” e ilriferimento all’amministrazione controllata.


3. L’art. 110 del nuovo codice sembrerebbe introdurre un vero e proprio obbligo delle stazioni appaltanti di procedere ad interpellare le imprese in graduatoria alla ricorrenza della dichiarazione delle menzionate procedure concorsuali, stante l’utilizzo della formulazione: “interpellano progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara”.

Anche sotto questo profilo la norma pone un problema operativo di non poco rilievo posto che la sua formulazione pare autorizzare una lettura particolarmente restrittiva da parte delle stazioni appaltanti, che mal si concilia con lo spirito della direttiva e della legge delega, non apparendo coordinata con il favor partecipationis alle procedure ad evidenza pubblica scandito dai commi seguenti, ed al mantenimento dei contratti in corso.

In tale angolazione appare più corretta la formula utilizzata in termini di facoltà dall’art. 140 del Dlgs. 163/06, secondo cui le stazioni appaltanti “potranno interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara...”, che appare calibrata anche in ordine alla necessità di contemplare le altre fattispecie previste dal codice, nelle quali la declaratoria di insolvenza potrebbe risultare non ostativa, a determinate condizioni, alla prosecuzione del rapporto già stipulato con l’amministrazione. Ci si riferisce all’art. 37 commi 18 e 19 del Dlgs. 163/06, secondo cui il rapporto contrattuale con la stazione appaltante può proseguire anche nel caso di fallimento del mandatario, a condizione che altro operatore economico si sia costituito come mandatario e sia in possesso dei relativi requisiti adeguati; analogamente il fallimento di una delle imprese mandanti, non vale ad integrare una causa di scioglimento del rapporto contrattuale, avendo il mandatario la possibilità di indicare altra mandante in possesso dei requisiti oppure di eseguire direttamente o a mezzo di altri mandanti dotati dei requisiti.

Detta ultima disposizione risulta peraltro riprodotta nel nuovo codice all’art. 48 commi 17 e 18, con la quale si pone ulteriore problema di coordinamento dell’art. 110, la cui formulazione, in parte qua, andrebbe rivista proprio in ragione di darne una lettura coordinata con le altre prescrizioni del codice, che risultano preordinate a salvaguardare, entro il rispetto delle condizioni previste, il mantenimento dei contratti in corso.

La lettura testuale della norma in commento potrebbe dunque confermare il principio già affermato in vigore del vecchio codice secondo cui la dichiarazione di fallimento o la pendenza di tale procedura non consente all’impresa di partecipare alla gara in quanto priva di un requisito di ordine generale, che, deve essere posseduto in fase di partecipazione e deve perdurare in fase di esecuzione.

Diversamente l’art. 110 al comma 3 introduce l’innovativo principio per il quale:

Il curatore del fallimento, autorizzato all'esercizio provvisorio, ovvero l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC, possono: a) partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto;

b) eseguire i contratti già stipulati dall’impresa fallita o ammessa al concordato con continuità aziendale”.

Benché la finalità di tale disposizione possa apparire meritevole in quanto ispirata dal lodevole intento di favorire percorsi di risanamento dell’impresa in crisi, o comunque di massimizzare, indirettamente, il migliore realizzo dalla vendita del compendio in esercizio, gli effetti operativi della disposizione appaiono quantomai incerti, posto che la norma non appare né coordinata con altre disposizioni dello stesso codice, né si armonizza con ulteriori dinamiche proprie delle procedure concorsuali, che potrebbero apparire tali da rivelarsi ostative alla sua applicazione.


3.1. La norma consente la partecipazione alle gara di appalto da parte dell’impresa fallita soltanto nel caso in cui sia stato dichiarato l’esercizio provvisorio, che si configura quale istituto del tutto eccezionale nell’ordinamento fallimentare in quanto per sua natura appare avulso dalla fisiologia dei compiti attributi agli organi della procedura fallimentare, atteso che esso risulta funzionale alla migliore valorizzazione dell’attivo fallimentare o comunque al contenimento del depauperamento dei valori aziendali, che può essere autorizzato solo in casi particolari e comunque entro le limitazioni imposte dall’art. 104 l.f. [6]

L’esercizio provvisorio può essere ordinato dal Tribunale fallimentare con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e dunque nell’ambito di una verifica della ricorrenza dei requisiti svolta in sede di istruttoria prefallimentare, oppure può essere disposto successivamente da parte del giudice delegato su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori.[7]

L’esercizio provvisorio non dovrà necessariamente riguardare la continuazione di tutte le attività dell’azienda ma potrebbe essere limitato anche alla necessità di proseguire lo svolgimento di attività ricomprese in rami d’azienda.

E’ ben possibile ad esempio che la valutazione di prosecuzione delle attività sia collegata alla necessità di evitare che l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa arrecare ulteriore nocumento all’attivo aziendale, cosicché il Tribunale o successivamente il giudice delegato ne ravvisino l’opportunità della continuazione al fine di preservarne massimamente il valore di realizzo nella successiva liquidazione.

L’esercizio provvisorio di un’azienda o di suoi rami appare plausibile proprio nella misura in cui vi è un trasferimento complessivo di beni e rapporti aziendali organizzati, nel senso che l’esercizio è funzionalmente collegato a favorire la prosecuzione di particolari contratti.

Per cui di norma la valutazione svolta dagli organi fallimentari in ordine alla necessità di proseguire l’attività di impresa e di consentire l’esercizio provvisorio presuppone una previa verifica circa l’opportunità di prosecuzione di determinati rapporti contrattuali pendenti, secondo quanto previsto dall’art. 72 e ss. della lf.

In relazione a detto ultimo profilo la prosecuzione di rapporti negoziali con controparti private non dava adito a problemi interpretativi, a differenza dei rapporti contrattuali pubblici nei quali la dichiarazione di fallimento rappresentava causa automatica di scioglimento del contratto o comunque integrava la perdita di un requisito di ordine generale che deve perdurare sino alla conclusione del rapporto.

Diversamente il novellato art. 110 al comma 3 lett. a e b prefigura un duplice scenario: quello in cui l’impresa ammessa all’esercizio provvisorio, su autorizzazione del giudice delegato e sentita l’Anac possa partecipare alle procedure di evidenza pubblica e quello in cui il curatore del fallimento possa proseguire i contratti dell’impresa fallita.

La prima opzione quella della partecipazione alle gare d’appalto, se può apparire percorribile per il concordato in continuità aziendale, potrebbe risultare meno praticabile per la procedura fallimentare ancorché in esercizio provvisorio.

Ciò in quanto uno degli elementi caratterizzanti l’esercizio provvisorio è che la valutazione sulle opportunità di continuazione si basa ovviamente su attività già in corso della fallita, per le quali il Tribunale o il giudice delegato su proposta del curatore si limitano a verificare gli effetti deleteri che potrebbero derivare dall’interruzione di un’attività economica in itinere, sul piano di una perdita di valore delle attività, che andranno comunque liquidate.

Difatti, la prospettiva prettamente liquidatoria delle attività dell’azienda fallita non consente al curatore di effettuare delle valutazioni che sarebbero proprie dell’imprenditore e dunque assumere nuove obbligazioni nell’interesse della procedura con correlativa assunzione del rischio di impresa.[8]

In tal senso la partecipazione ad una procedura evidenza pubblica implica necessariamente la prosecuzione dell’attività di impresa, in quanto essa prelude la predisposizione di un business plan, l’individuazione dei costi occorrenti per lo svolgimento della commessa, le responsabilità connesse alla corretta esecuzione dell’opera, il rischio di contenzioso e via dicendo.

Inoltre l’esercizio provvisorio potrà essere efficacemente utilizzato solo se il fallimento possiede la necessaria liquidità per far fronte agli impegni che il curatore assume, evitando che i creditori pregressi si trovino danneggiati dall’assunzione di obbligazioni che determino l’insorgenza di debiti che saranno soddisfatti in prededuzione.[9]

Ne deriva che stante il carattere essenzialmente conservativo perseguito dall’istituto dell’esercizio provvisorio l’opzione di valutare la partecipazione alle gare d’appalto da parte del curatore sembrerebbe difficilmente praticabile, così come improbabile il rilascio dell’autorizzazione da parte del giudice delegato.

Ulteriore profilo che rende incerta l’opzione della partecipazione alla procedura di gara da parte del curatore fallimentare è correlato al carattere necessariamente temporaneo che connota l’esercizioappunto definito “provvisorio”, considerata anche la possibilità da parte del Tribunale di disporne l’interruzione in qualsiasi momento.

Analogamente la norma non appare coordinata con le altre disposizioni cardine del sistema, posto il fallimento dell’impresa non potrà che spiegare effetti anche sul mantenimento di requisiti soggettivi, quali la perdita della certificazione di qualità e soprattutto non è dato comprendere l’impatto di tale disposizione che ovviamene incide sul novellato sistema di rating di cui all’art. 83 comma 10 e dunque come esso condizioni la valutazione della stazione appaltante e della stessa Anac in ordine al giudizio sull’affidabilità dell’impresa.

Quanto alla lett. b) del comma 3 dell’art. 110 ovvero alla possibilità del curatore fallimentare ammesso all’esercizio provvisorio di “eseguire i contratti già stipulati dall'impresa fallita”, tale addenda appare oggi meglio coordinata con l’art. 104 comma 7 legge fallimentare secondo cui: “Durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli”.

La possibilità da parte del curatore di eseguire i contratti in corso appare certamente opzione più percorribile, in quanto consente agli organi fallimentare una valutazione sull’opportunità o meno di proseguire nella continuazione di un contratto pubblico, la cui interruzione potrebbe determinare un danno all’impresa fallita.[10]

L’attivazione di tale opzione sembrerebbe più compatibile con le caratteristiche dell’istituto dell’esercizio provvisorio, in quanto essa prelude ad una mera valutazione sulla convenienza economica di mantenere un contratto, che sarà esclusivamente incentrata sull’attività in corso svolta dall’imprenditore insolvente.

Tuttavia, anche la scelta di tale opzione potrebbe apparire foriera di rischi per il curatore fallimentare, tant’è che nella pratica viene più proficuamente utilizzato lo strumento dell’affitto d’azienda di cui all’art. 104 bis l.f.

Il ricorso a tale istituto non risulta invece in alcun modo contemplato dal novellato art. 110, che come visto si incentra esclusivamente sulla possibilità della curatela fallimentare di esercitare il diritto alla partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica o alla prosecuzione dei contratti pubblici sull’imprescindibile presupposto dell’ammissione dell’impresa fallita all’esercizio provvisorio.

Pervero lo strumento dell’affitto dell’azienda potrebbe rivelarsi più proficuo per la curatela fallimentare, soprattutto per l’ipotesi di esercizio della facoltà di subentro nel contratto pubblico anche considerando che la finalità di cui all’art 104 bis l.f. è proprio quella di assicurare in maniera più adeguata da un lato la gestione conservativa del compendio aziendale in funzione della vendita, e dall’altro di salvaguardare i livelli occupazionali per il tramite di un piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali presentato dall’affittuario ( si veda in particolare quanto previsto dall’ art. art. 104 bis comma 1 e 2 secondo periodo che: “Anche prima della presentazione del programma di liquidazione di cui all’articolo 104-ter su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza l’affitto dell’azienda del fallito a terzi anche limitatamente a specifici rami quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa…..

La scelta dell’affittuario deve tenere conto, oltre che dell’ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali”.

Nel sistema fallimentare l’istituto dell’esercizio provvisorio e dell’affitto non coesistono necessariamente, nel senso che può verificarsi che un ramo del complesso aziendale venga affittato e con la parte residuale la curatela continui una gestione provvisoria, oppure che il Tribunale non disponga l’esercizio provvisorio ma autorizzi il curatore a utilizzare lo strumento dell’affitto di ramo d’azienda.

I due istituti pur essendo sostanzialmente diversi, la più rilevante diversità è che l’esercizio provvisorio è svolto dal curatore mentre con l’affitto si rimette ad un terzo la gestione dell’azienda fallita, presentano comunque finalità analoghe posto che entrambi risultano diretti alla conservazione della funzionalità dell’azienda all’esercizio dell’impresa e la tutela dell’avviamento in funzione della più proficua liquidazione.

Soltanto che nell’affitto è l’affittuario-imprenditore ad assumersi i rischi ed obblighi derivanti dalla gestione dell’azienda mentre la procedura fallimentare rimane sostanzialmente immune da qualsivoglia responsabilità.

Per cui sembrerebbe che lo strumento dell’affitto di ramo d’azienda in quanto diretto a perseguire le medesime finalità dell’esercizio provvisorio, ossia quello di proseguire proficuamente lo svolgimento delle attività della impresa fallita, esonerando però il curatore dell’onere della gestione diretta, potrebbe rappresentare strumento parimenti idoneo ad assicurare la prosecuzione dei contratti pubblici.

In definitiva sarebbe auspicabile che nel decreto correttivo la norma in commento possa essere emendata nel senso di prevedere quale opzione plausibile per consentire la prosecuzione dei contratti pubblici anche l’affitto d’azienda, quale istituto mirante espressamente alla tutela del valore dell’azienda e al mantenimento dei livelli occupazionali.


4. L’art. 110 del nuovo codice estende, come visto, al concordato in continuità le stesse opzioni viste per il fallimento in esercizio provvisorio, e sotto questo profilo non appare recare significative novità, nel senso che anche nel sistema previgente, dopo alcune resistenze iniziali, è stata ritenuta pacifica la possibilità che l’impresa ammessa al concordato in continuità aziendale potesse sia partecipare alle gare di appalto sia continuare la prosecuzione dei contratti pubblici in corso[11]

A fondamento di tale tesi, ammessa per prima dalla giurisprudenza, era il convincimento in base al quale tale procedura, in quanto attestante una crisi reversibile dell’azienda, fosse ontologicamente deputata al risanamento delle attività aziendali attraverso un piano di ristrutturazione dei debiti, funzionale dunque all’obiettivo di consentire la sopravvivenza dell’impresa nel mercato.

Peraltro, tale argomento si fondava sul fatto che a differenza del fallimento, il concordato non attua lo spossamento dell’impresa, la cui gestione permane in capo all’imprenditore che però agisce nell’ambito degli obiettivi posti nel programma concordatario approvato dal Tribunale, la verifica dei quali è rimessa al commissario giudiziale, che per conto degli organi della procedura esercita un generale potere di vigilanza sull’attività imprenditoriale.

Ad ogni modo la giurisprudenza amministrativa in ordine alla possibilità di partecipare alle gare di appalto limitava questa opzione esclusivamente alle imprese che avevano già ottenuto il decreto di ammissione[12] e a quelle che avevano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo previa autorizzazione del Tribunale, ma soltanto con riferimento all’ipotesi di "concordato in continuità aziendale”.

Diversamente per quanto riguarda il c.d. concordato in bianco previsto dall’articolo 161 sesto comma l.f.[13] il Consiglio di Stato ha richiesto alla Corte di Giustizia Europea se sia compatibile con l’art. 45, comma 2, lett. a) e b) della Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, considerare la confessione del debitore di trovarsi in stato di insolvenza e di volere presentare istanza di concordato preventivo “in bianco” quale causa di esclusione dalla procedura d’appalto pubblico, interpretando così estensivamente il concetto di “procedimento in corso” sancito dalla normativa comunitaria (art. 45 Direttiva) e nazionale (art. 38 d.lgs. n. 163-2006); inoltre quanto alla pendenza della procedura è stata rimessa alla Corte di Giustizia se risulti compitabile con la predetta normativa considerare “procedimento in corso” la mera istanza, presentata all’organo giudiziario competente, di concordato preventivo da parte del debitore.

Sull’argomento il nuovo codice pur non contribuendo a sciogliere i dubbi interpretativi sollevati dal Consiglio di Stato con la predetta ordinanza, con riferimento alla delimitazione del concetto di procedura in corso, prevede implicitamente che la domanda di concordato in bianco non è sufficiente a consentire all’imprenditore di partecipare alla gara di appalto.

Difatti, quanto alla pendenza della procedura il novellato art. 80 (Motivi di esclusione) comma 5 lett. b) prevede che “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni,l'operatore economico si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di concordato con continuità aziendale, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 110”. Quindi in sostanza viene mantenuta la formula “in corso di cui all’art. 38 comma 1 lett. a secondo cui: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”.

Diversamente per quanto concerne il concordato in bianco il nuovo art. 110 prevede oggi espressamente al comma 4 secondo periodo che: “L’impresa ammessa al concordato con cessione di beni o che ha presentato domanda di concordato a norma dell'articolo 161, sesto comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, può eseguire i contratti già stipulati, su autorizzazione del giudice delegato, sentita l'ANAC”.

Quindi viene precisato che il concordato in bianco, così come il concordato liquidatorio con cessione di beni, si configurino fattispecie idonee a consentire la sola prosecuzione dei contratti già stipulati. Ne consegue che il legislatore nazionale ha inteso dare attuazione alle norme della direttiva comunitaria nel senso di confermare che nell’ipotesi di concordato in bianco o liquidatorio all’impresa è preclusa la possibilità di partecipare alle gare di appalto, potendo le stesse solo esercitare l’opzione di proseguimento di un contratto pubblico.

Tale soluzione appare ragionevole anche avendo riguardo al concetto di “apertura della procedura” così come inteso dal menzionato Regolamento comunitario n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza, il cui art. 2 “Definizioni” alla lettera f) definisce il “Momento in cui è aperta la procedura di insolvenza”, prescrivendo che esso debba intendersi quale “il momento in cui la decisione di apertura, sia essa definitiva o meno, comincia a produrre effetti”. Secondo la norma regolamentare si deve considerare aperta una procedura di insolvenza nel momento in cui essa produce effetti secondo le rispettive legislazioni nazionali, prescindendo dalla circostanza che essa risulti definitiva o meno.

Per cui volendo applicare tali direttive ermeneutiche al caso del concordato, si potrebbe sostenere che per stabilire l’apertura della procedura sarebbe irrilevante il fatto che la mera presentazione della domanda non determini la definitiva apertura del concordato coincidente con il decreto di omologa del Tribunale, quanto sarebbe sufficiente vagliare che la legge fallimentare riconnette alla mera presentazione di tale domanda la produzione dei medesimi effetti analoghi a quelli della proposta di concordato in continuità secondo quanto previsto dall’art. 168 lf.[14].

Pervero tale approccio interpretativo non risulta in ogni caso confacente a superare il rilievo opposto dalla citata ordinanza del Consiglio di Stato, nel senso che la partecipazione alla gara di appalto da parte dell’impresa che abbia presentato il concordato in bianco sembrerebbe preclusa avendo riguardo all’art. 186 commi 5, 6 e 7 della l.f. recante la disciplina del contenuto della proposta di concordato,
 secondo cui: “L'ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l'impresa presenta in gara:

a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;

b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacita' finanziaria, tecnica, economica nonche' di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si e' impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione piu' in grado di dare regolare esecuzione all'appalto. Si applica l'articolo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

VI. Fermo quanto previsto dal comma precedente, l'impresa in concordato puo' concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purche' non rivesta la qualita' di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di cui al precedente comma, lettera b), puo' provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento”.

Quindi è evidente che l’impresa nel caso di concordato in bianco che si caratterizza per la riserva di presentare il piano concordatario entro il termine fissato dal Tribunale con la mera domanda prenotativa, non potrà essere valutata dalla stazione appaltante, in quanto priva della relazione del professionista che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto.


5. La concreta operatività dell’art. 110 potrebbe risultare ulteriormente indebolita dal mancato raccordo di tale disciplina sia con le altre disposizioni dettate dal codice in ordine ai motivi di esclusione, sia per il mancato coordinamento della stessa con alcune norme cardine della legge fallimentare.

Pervero tali problematiche operative si ponevano già con le disposizioni del Dlgs. 163/2006 ed in particolare con quelle dirette a garantire la partecipazione alle gare di appalto e al mantenimento dei contratti in corso nel caso di concordato in continuità prevista dall’art. 38, ma il legislatore non ha colto l’occasione per facilitarne l’applicazione attraverso un coordinamento delle norme di sistema.

In particolare ci si riferisce all’irregolarità contributiva che implica il mancato rilascio della certificazione Durc favorevole, così come all’omesso pagamento di imposte superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis Dpr n. 602/73, che si configurano come motivi ostativi alla partecipazione alla gara di appalto[15], oppure come elementi che determino la risoluzione del contratto laddove emergano in corso di esecuzione, o ancora che possano giustificare la sospensione dei pagamenti da parte della stazione appaltante. A tal fine si rivela utile riportare l’art. 80(Motivi di esclusione) al comma 4 secondo cui “Un operatore economico e' escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarita' contributiva (DURC), di cui all'articolo 8 del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015.

Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purche' il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”.

Il comma 5 prosegue prevedendo che: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, qualora: a) la stazione appaltante possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la presenza di gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonche' agli obblighi di cui all'articolo 30, comma 3 del presente codice”.

Sull’argomento si rivela altresì utile l’art. 30 rubricato “Principi per l'aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni” che al comma 3 prescrive: “Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X.5. In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva relativo a personale dipendente dell'affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all'articolo 105, impiegato nell'esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l'importo corrispondente all'inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile. Sull'importo netto progressivo delle prestazioni e' operata una ritenuta dello 0,50 per cento; le ritenute possono essere svincolate soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

In caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale di cui al comma 5, il responsabile unico del procedimento invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l'affidatario, a provvedervi entro i successivi quindici giorni. Ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine sopra assegnato, la stazione appaltante paga anche in corso d'opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all'affidatario del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto ai sensi dell'articolo 105”.

Tali prescrizioni non risultano però armonizzate con l’impianto normativo della legge fallimentare, con la conseguenza che anche l’esercizio delle opzioni di cui all’art. 110 comma 3 lett. a e b da parte delle imprese insolventi potrebbe rimanere pregiudicato dalla rigida operatività delle disposizioni suesposte.

Si intende sostenere che se il presupposto comune alle procedure concorsuali è rappresentato da una situazione di insolvenza dell’imprenditore e dunque da una incapacità a far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, è gioco forza ritenere che l’impresa non sia in regola con i pagamenti dovuti all’erario, con conseguente impossibilità di poter conseguire un Durc favorevole o attestazioni circa la regolarità del pagamento delle imposte. Difatti l’ammissione dell’impresa alla procedura di concordato in continuità, che si fonda su di un piano di ristrutturazione del debito recante anche l’eventuale falcidia di quello erariale, non consente all’impresa di svolger pagamenti per debiti anteriori all’ammissione della domanda.

A tale riguardo, l’art. 168 legge fallimentare prevede che, dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, è fatto divieto all’impresa di pagare crediti anteriori alla domanda, ivi compresi quelli contributivi.

Sull’argomento, si rivela utile richiamare alcuni documenti di prassi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione generale per l’Attività Ispettiva - che forniscono dei chiarimenti in materia di rilascio del D.U.R.C., nel caso in cui la verifica di regolarità interessi proprio le imprese ammesse alla procedura di concordato preventivo in continuità. In particolare, con l’interpello n. 41/2012 del 21 dicembre 2012, il Ministero ha precisato che il concordato preventivo di cui agli artt. 161 e ss. l.f. - teso a consentire la salvaguardia delle imprese che versano in uno stato di crisi non insuperabile - si fonda su un piano con il quale l’azienda si accorda con i creditori con riguardo a tempi e modalità di pagamento dei debiti sorti precedentemente alla presentazione della domanda di concordato.

Ai fini della verifica della regolarità contributiva, il Ministero ha, quindi, chiarito che la procedura di concordato preventivo in continuità ex art. 186 bis l.f. rientra nella previsione dell’art. 5, comma II lett. b), del D.M. del 24 ottobre 2007, che sancisce la sussistenza della regolarità contributiva in caso di sospensione dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative, e ciò in quanto un eventuale pagamento da parte della società di tali debiti comporterebbe una violazione dell’art. 168 l.f..

Quindi in applicazione di tali coordinate interpretative, alle imprese ammesse alla procedura di concordato preventivo in continuità, può essere rilasciata la regolarità contributiva in considerazione della ratio sottesa alla procedura concorsuale in esame che, essendo diretta al risanamento dell’attività aziendale, verrebbe ad essere disattesa ove “si riconoscesse una incidenza negativa alle situazioni debitorie sorte antecedentemente all’apertura della procedura stessa”.

Tale orientamento è stato di recente confermato anche dall’INPS con messaggio della Direzione centrale delle entrate n. 5223 del 6/8/2015 secondo cui: “Pertanto, dopo il decreto di omologazione, pur in presenza di una parziale soddisfazione dei crediti previdenziali muniti di privilegio, e fino a quando non sia adempiuto il concordato, a parere del Ministero si verifica la situazione prevista dall’art. 3, co. 2, lett. b), del D.M. 30 gennaio 2015, ossia la “sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative” già contemplata all’art. 5, co. 2, lett. b), del D.M. 24 ottobre 2007 con la conseguenza che deve essere dichiarata la regolarità contributiva”.[16]

Tuttavia tale orientamento di prassi sembrerebbe vincolare l’amministrazione al rilascio di Durc favorevole solo in caso di emissione del decreto di omologa del concordato, con la conseguenza che la mera presentazione della domanda non sarebbe sufficiente ai fini dell’emissione del verificato di regolarità contributiva. Tale impostazione interpretativa varrebbe a maggior ragione per il concordato “in bianco”, potendo in questo caso i contenuti della proposta essere esplicitati entro centoventi giorni successivi alla presentazione della domanda.

A ben vedere anche l’impostazione interpretativa del Ministero del lavoro e dell’Inps non risulta armonizzata con l’art.186 bis comma lett. c della legge fallimentare che consente all’impresa di avvalersi nel piano di concordato di “una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca”, tra cui ovviamente rientrano anche i crediti contributivi e assicurativi, con la conseguenza che l’esercizio di tale opzione potrebbe integrare la fattispecie della “sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative” già contemplata all’art. 5, co. 2, lett. b), del D.M. 24 ottobre 2007, la cui ricorrenza abilita gli istituti previdenziali al rilascio del Durc favorevole.

Tale soluzione interpretativa sembrerebbe l’unica validamente percorribile in quanto consentirebbe di assicurare da un lato l’operatività del principio del favor partecipationis previsto dal codice degli appalti a sua volta funzionale a garantire tramite l’accesso alle gare e il mantenimento dei contratti pubblici in corso il risanamento dell’impresa in crisi e dall’altro di perseguire gli interessi dei creditori fallimentari, ivi compresi gli enti previdenziali secondo le regole dell’ordinamento fallimentare.

Sull’argomento risulta, peraltro, conforme al citato indirizzo di prassi l’orientamento del giudice civile secondo cui: “Il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) deve essere rilasciato anche in presenza di inadempienze qualora l'imprenditore acceda alla procedura di concordato preventivo anche ai sensi dell'articolo 161, comma 1, L.F. Il divieto di pagamento di debiti pregressi stabilito dagli articoli 51 e 168 L.F. integra, infatti, la fattispecie di cui alle "disposizioni legislative" di cui all'articolo 5 del Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 24 ottobre 2007, il quale prevede che "la regolarità contributiva sussiste inoltre in caso di: a) richiesta di rateizzazione per la quale l'Istituto abbia espresso parere favorevole; b)sospensione dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative; c) istanza di sospensione compensazione per la quale sia stato documentato il credito” (cfr. Trib. Roma 5 dicembre 2014 - in www.ilcaso.it).

In particolare, il Giudice romano ha precisato che l’art. 5, comma II lett. b), del D.M. del 24 ottobre 2007 è una disposizione che mira a chiarire quali siano i casi nei quali la regolarità contributiva può dirsi comunque esistente, aggiungendo che: “Tale linea interpretativa […] merita di essere condivisa ed estesa a tutte le tipologie concordatarie (concordato in continuità, in continuità indiretta, liquidatorio puro) e, a maggior ragione, al concordato prenotativo, poiché se l’impresa - durante la fase preparatoria del concordato - fosse privata del DURC avrebbe scarsa possibilità di sopravvivere, di elaborare un piano e, contemporaneamente, di portarne a termine le previsioni; al contrario, l’unica opportunità per conservare i benefici conseguenti al DURC rimarrebbe quella di pagare (preventivamente e per intero) gli enti previdenziali con il fine di sanare le posizioni di irregolarità contributive, creando una sorta di corsia preferenziale automatica per costoro, con una innegabile ed inammissibile delle regole del concorso rispetto agli altri creditori di pari rango[17].

Anche il Tribunale di Pavia, nel rigettare un’istanza di autorizzazione ex art. 161, comma VII, l.f. depositata da una società in concordato al fine di pagare i debiti pregressi necessari per il rilascio del D.U.R.C., ha ritenuto l’imprenditore in concordato “in regola sotto il profilo degli oneri contributivi in virtù del disposto dell’art. 5, comma 2 lett. b) del D.M. n. 279/2007, non potendo effettuare pagamenti di crediti anteriori alla presentazione della domanda di concordato o di quella di cui all’art. 161 co 6 l.f.” (cfr. Trib. Pavia 20 dicembre 2014 - Pres. Pirola - Est. Antonella Caterina Attardo in www.ilcaso.it). Secondo la giurisprudenza, infatti, qualora “si riconoscesse una incidenza negativa alle situazioni debitorie sorte antecedentemente all’apertura della procedura stessa”, la ratio sottesa alla procedura concorsuale, finalizzata a garantire la prosecuzione dell’attività aziendale e alla salvaguardia dei livelli occupazionali, sarebbe disattesa: la sospensione dei pagamenti ed il divieto temporaneo di intraprendere azioni esecutive e cautelari avrebbe una portata ben ridotta ovvero non varrebbe per la categoria dei creditori previdenziali, i quali potrebbero comunque ottenere il pagamento con modalità non previste dalle norme.

Nel medesimo solco interpretativo il Tribunale di Firenze che in accoglimento di un richiesta di emissione di Durc favorevole proposta ex art. 700 c.p.c. ha affermato che “Il divieto di procedere al pagamento di crediti anteriori di cui all'articolo 168 legge fall., applicabile in seguito alla presentazione della domanda di concordato preventivo anche con riserva, integra la fattispecie della "sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative" di cui all'articolo 3 del DM 30 gennaio 2015” Per cui prosegue conclude il tribunale : “Durante il periodo di concordato con riserva di cui all'articolo 161, comma 6, legge fall., qualora vi sia la necessità di partecipare, in forza di specifica autorizzazione del tribunale fallimentare, a gare d'appalto indispensabili per assicurare la continuità aziendale ed ottenere i pagamenti degli appalti in corso o conclusi, ed evitare, quindi, negative ed irreparabili conseguenze sulla fattibilità dell'operazione di risanamento, è possibile ordinare all'Inps, ai sensi dell'articolo 700 c.p.c., l'immediato rilascio della attestazione di regolarità contributiva positiva”.[18]

Quindi, essendo precluso alla società in concordato preventivo il pagamento dei debiti previdenziali pregressi e dovendo i creditori previdenziali sottostare, nel rispetto della par condicio creditorum, alle regole dettate dalla normativa fallimentare in generale e dalla procedura concorsuale in particolare, non è neppure possibile, per la stazione appaltante applicare la previsione di trattenimento delle somme di quanto spettante ai creditori previdenziali, dal momento che tale pagamento si configurerebbe come un pagamento di debiti maturati in data anteriore alla presentazione della domanda di concordato con violazione dell’art. 168 l.f. e del principio della par condicio creditorum. [19]

Quanto esposto ci consente di aver un quadro generale normativo, di prassi e giurisprudenziale dal quale è possibile desumere come il mancato coordinamento delle disposizioni del codice degli appalti e della legge fallimentare, genera inevitabilmente una serie interferenze che hanno l’effetto di minare alla base l’operatività della disposizione di favore che peraltro persegue il fine di consentire il risanamento della impresa in crisi.

Per cui sarebbe opportuno che il legislatore negli emanandi decreti correttivi possa chiarire che la presentazione di una domanda di concordato in continuità consente all’impresa di poter conseguire sia il pagamento dei corrispettivi contrattuali maturati anche in presenza di debiti erariali, sia il Durc posto che ai sensi dell’art. 5 comma 2 lett. b del D.M. n. 279/2007, la regolarità contributiva potrebbe sussistere, pur in mancanza dell’attestazione rilasciata dagli Istituti previdenziali in caso di sospensione dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative, e quindi anche quando la sospensione derivi dall’applicazione del divieto di pagamenti lesivi della par condicio creditorum ex art. 168 l.f.

Diversamente opinando, ovvero aderendo alla tesi interpretativa che subordina, invece, il rilascio del D.U.R.C. all’omologa del concordato o, addirittura, alla chiusura del piano di risanamento, sarebbe frustato il ricorso alla procedura concorsuale stessa, così come osservato dall’orientamento di merito menzionato secondo cui il danno derivante dal mancato incasso dei crediti vantati per l’esecuzione degli appalti incide, con evidenza, sulla possibilità concreta di attuazione dell’istituto concordatario, così come impedisce la partecipazione alle gare di appalto la mancanza del Durc.

 


[1] L’art. 140 rubricato “Procedure di affidamento in caso di fallimento dell'esecutore o risoluzione del contratto” prescrive ai commi 1 e 2 che: “1. Le stazioni appaltanti, in caso di fallimento dell'appaltatore o di liquidazione coatta e concordato preventivo dello stesso o di risoluzione del contratto ai sensi degli articoli 135 e 136 o di recesso dal contratto ai sensi dell'articolo 11, comma 3 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, potranno interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all'originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l'affidamento del completamento dei lavori. Si procede all'interpello a partire dal soggetto che ha formulato la prima migliore offerta, fino al quinto migliore offerente, escluso l'originario aggiudicatario. 2. L'affidamento avviene alle medesime condizioni già proposte dall'originario aggiudicatario in sede in offerta”.
[2] La legge 28 gennaio n. 11/2016 avente ad oggetto “Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.  

[3] Mentre ai sensi dell’art. 42 della legge fallimentare, la dichiarazione di fallimento determina lo spossessamento dei beni aziendali da parte dell’imprenditore, che vengono affidati al curatore.

[4] Peraltro sul punto risulta ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale maturato dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui la liquidazione volontaria non comportando una situazione di insolvenza non prelude la partecipazione agli appalti pubblici (vConsiglio di Stato, sez. VI, 6 aprile 2006, n. 1873). Alle medesime coordinate interpretative perviene anche l’Autorità dei Lavori Pubblici con Determinazione n. 1 del 12 gennaio 2010 “Requisiti di ordine generale per l'affidamento di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 nonché per gli affidamenti di subappalti. Profili interpretativi ed applicativi”, con la quale si affermava che la liquidazione volontaria non è certamente idonea ad attestare uno stato di insolvenza tale da integrare una causa di esclusione, tenuto conto del fatto che con la liquidazione volontaria è ammessa la continuazione, anche parziale, dell'attività di impresa ai sensi dell'articolo 2487 c.c.

[5] La lett. b) dell’art. 1 "Curatore", qualsiasi persona o organo la cui funzione è di amministrare o liquidare i beni dei quali il debitore è spossessato o di sorvegliare la gestione dei suoi affari. L'elenco di tali persone e organi figura nell'allegato C ed essa ricompre il Curatore - Commissario

[6] cfr. Fimmanò che in ordine alle finalità e allo scopo dell’esercizio provvisorio osserva che: “Questa dovrebbe essere la nuova frontiera del diritto fallimentare, anche in chiave di analisi economica, come procedura potenzialmente in grado di salvaguardare l’interesse oggettivo dell’impresa in cui convive l’interesse dei creditori, dei lavoratori, degli stakeholders e più in generale dell’economia, riducendo altresì i costi sociali del dissesto” ( v. Esercizio provvisorio dell’impresa e riallocazione dell’azienda nella riforma della legge fallimentare su il caso.it).

[7] Ciò in base al combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 104 che di seguito si riporta: “Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori.

Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, fissandone la durata.

III. Durante il periodo di esercizio provvisorio, il comitato dei creditori è convocato dal curatore, almeno ogni tre mesi, per essere informato sull’andamento della gestione e per pronunciarsi sull’opportunità di continuare l’esercizio.

IV. Se il comitato dei creditori non ravvisa l’opportunità di continuare l’esercizio provvisorio, il giudice delegato ne ordina la cessazione.

V. Ogni semestre, o comunque alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio, il curatore deve presentare un rendiconto dell’attività mediante deposito in cancelleria. In ogni caso il curatore informa senza indugio il giudice delegato e il comitato dei creditori di circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’esercizio provvisorio.

VI. Il tribunale può ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio in qualsiasi momento laddove ne ravvisi l’opportunità, con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti il curatore ed il comitato dei creditori.

VII. Durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli.

VIII. I crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1).

IX. Al momento della cessazione dell’esercizio provvisorio si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del capo III del titolo II”.

[8] In ordine al compito rimesso al curatori di provvedere al mantenimento in vita delle strutture organizzative economicamente rilevanti al fine di riallocarle nel mercato attraverso l’eventuale trasferimento ad altri imprenditori è stato osservato che “Il limite del possibile è dato dall’esistenza stessa della struttura organizzativa al momento della dichiarazione di fallimento, poichè, considerata la funzione conservativa della procedura, il curatore non potrebbe ricostruire ciò che è stato distrutto, avventurandosi in operazioni di riconversione o ristrutturazione aziendale, ma può recuperare l’economicità di ciò che esiste. Per questa stessa ragione è inammissibile, anche a seguito della novella che l’esercizio provvisorio possa avere funzioni di risanamento. Il limite dell’economico consiste invece nel divieto di deeconomicizzare la produzione cercando di mantenere in vita una struttura che abbia perso ogni capacità di economica produzione”. cf. Fimmanò cit.

[9] I crediti prededucibili sono quei crediti che sorgono in occasione o in funzione della procedura fallimentare (vengono anche detti “crediti della massa” e sorgono in seguito agli atti compiuti dal curatore dopo la dichiarazione di fallimento) e dunque vanno distinti dai crediti sorti in seguito all’attività dell’imprenditore prima che questi venga dichiarato fallito. In virtù della loro natura questi crediti vengono liquidati anteriormente rispetto ai crediti per cui si procede, in deroga al principio della par condicio creditorum, infatti prima di arrivare a qualsiasi ripartizione fra i creditori concorrenti (privilegiati o chirografi) si deve provvedere al pagamento dei crediti prededucibili (articolo 111, primo comma numero uno della legge fallimentare). Le somme necessarie per soddisfarli vengono prelevate dalle disponibilità liquide, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.

[10] Basti pensare al caso della concessione di realizzazione e gestione di infrastruttura pubblica, ove il concessionario perviene a remunerare i costi di realizzazione dell’opera incamerando direttamente dall’utenza la tariffa applicata all’utilizzo della infrastruttura, con la conseguenza per la quale l’interruzione dovuta alla declaratoria di insolvenza potrebbe sortire l’effetto di determinare ulteriore danno all’attività da liquidare.

[11] Sulla disciplina dei contratti pubblici in corso di esecuzione e sulla partecipazione alle gare d’appalto delle imprese in crisi si veda la trattazione esaustiva svolta da Fimmanò in I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo, Quaderni della Gazzetta Forense n. 3, ed. Giapeto 2016.

[12] Con riferimento all’individuazione del momento in cui possa qualificarsi pendente una procedura concorsuale, si è ritenuto che non sia sufficiente una mera istanza creditoria (la quale potrebbe essere proposta strumentalmente o comunque infondatamente), occorrendo quanto meno un pronunciamento istruttorio del giudice che accerti oggettivamente lo stato di insolvenza dell’impresa ( cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 1999, n. 516)

[13] Vale va dire di un concordato preventivo con riserva dellapertura di tale procedura concorsuale, tale consentire allimprenditore in statodi dissesto "di congelare" temporaneamente (da 30 a 120 giorni) le istanzefallimentari avanzate dai creditori e al fine di rinviare all’esito di una rinegoziazionecon la massa dei creditori, la scelta tra la presentazione di un piano di concordatoex articolo 161 L.F. ovvero di un accordo di ristrutturazione aziendale ex articolo182-bis L.F..

[14] Il più rilevante effetto previsto dall’art. 168 l.f. è dato dall’operatività del divieto da parte dei creditori di iniziare o proseguire procedure esecutive e cautelari a danno del’impresa proponente secondo la seguente formulazione “Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore [...] non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

 I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice nei casi previsti dall'articolo precedente. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.

[15] v. sull’argomento il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui: “Nelle gare d'appalto non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l'impresa deve essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta.Nelle gare d'appalto, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 31, c. 8, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013 n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l'impresa deve essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, con l'irrilevanza di un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva, tenendo presente che l'istituto dell'invito alla regolarizzazione - il c.d. preavviso di documento unico di regolarità contributiva negativo - già previsto dall'art. 7, c. 3, d.m. 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall'art. 31, c. 8, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al d.u.r.c. chiesto dall'impresa e non anche al d.u.r.c. richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell'autodichiarazione resa ai sensi dell'art. 38 c. 1 lett. i) ai fini della partecipazione alla gara d'appalto” ( Cons. Stato n. 2727/2016)

[16] Depongono nella medesima direzione intepretativa anche ulteriori orientamenti di prassi, quali una circolare Inail del 2012, recante istruzioni operative per l’attuazione dell’intervento sostituivo,(di cui all’art. 4 comma 2 del D.P.R 207/2010) secondo cui: “eventuali interventi sostitutivi riguardanti, in ipotesi, codici ditta per i quali risultino procedure concorsuali (n.d.r concordato preventivo ) o crediti iscritti a ruolo, esulano dalle modalità di pagamento descritte al paragrafo precedente e devono essere gestiti alla luce della rispettiva normativa di riferimento (n.d.r. legge fallimentare) in relazione alla specificità del caso concreto”(Cfr. circolare/nota di istruzioni emanata in data 21 marzo 2012, punto 5).

[17] Sull’argomento la Corte di Cassazione ha statuito che: “dopo l'ammissione alla procedura del concordato preventivo non sono consentiti pagamenti lesivi della par condicio creditorum, nemmeno se realizzati attraverso compensazione di debiti sorti anteriormente con crediti realizzati in pendenza della procedura concordataria (...)” Ad avviso della Suprema Corte, tale impedimento si ricava: - dall'art. 167 della l. f., il quale, in materia di atti di straordinaria amministrazione “(...) comporta che il patrimonio dell'imprenditore in pendenza di concordato sia oggetto di una oculata amministrazione perché destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori secondo la par condicio (...)”.- dall'art. 168 della l. f. che “(...)nel porre il divieto di azioni esecutive da parte dei creditori, comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata, possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento, essendo in entrambi i casi violato proprio il principio di parità di trattamento dei creditori” ( v. Cass. n. 578/07).

[18] Trib. Firenze 21712/2015 su www.ilcaso.it.

[19] Ed ancora è stato affermato che:“La sospensione dei pagamenti derivanti dal divieto di pagamento dei crediti concorsuali con data anteriore alla presentazione della domanda di concordato non impedisce il rilascio del documento attestante la regolarità contributiva (DURC), in quanto il mancato pagamento delle somme in questione è dovuto ad un divieto normativo” (v. Tribunale Bergamo 23 aprile 2015sul il www.ilcaso.it). Alle medesime conclusioni perviene anche il Tribunale di Siracusa, secondo il quale: “La regolarità contributiva ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. b, D.M. 279/2007, pur in mancanza dell’attestazione rilasciata da parte degli istituti previdenziali (D.U.R.C.), sussiste anche in caso di sospensione dei pagamenti a seguito di disposizioni legislative e, quindi, anche nel caso di sospensione derivante dall’applicazione del divieto di pagamenti lesivi della par condicio creditorum ai sensi degli articoli 167, 168 e 184 L.F. Ciò consente alla procedura di incassare i crediti vantati per appalti di opere pubbliche, di forniture e servizi nonostante il mancato rilascio dello stesso, essendo invero contrario alla normativa un pagamento diretto dai creditori della procedura agli enti previdenziali, in evidente contrasto con le regole del concorso” (cfr. Trib. Siracusa del 3 ottobre 2013 in www.unijuris.it).


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