Sovraindebitamento


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/07/2018 Scarica PDF

Rapporti tra sovraindebitamento e procedure esecutive individuali: quali tutele per il debitore?

Riccardo Cammarata, Avvocato in Milano


Introduzione

Nella legge 27 gennaio 2012 n. 3 sul sovraindebitamento, ed in particolare nella disciplina relativa alla liquidazione dei beni del debitore, procedura, quest’ultima, prevista dagli artt. 14-ter e seguenti, non troviamo alcuna norma che consenta ai creditori di dare impulso alla procedura.

La liquidazione, infatti, può essere attivata soltanto dal debitore sovraindebitato, a meno che non si verifichi un evento patologico (annullamento, risoluzione, revoca, cessazione degli effetti) in relazione all’accordo di composizione della crisi o al piano del consumatore[1].

Salvo le predette ipotesi eccezionali, dunque, che determinano l’eventuale conversione della procedura in liquidazione, su impulso di uno dei creditori, la liquidazione può essere attivata soltanto su iniziativa dello stesso debitore in via diretta[2].

Tale differenza di disciplina rispetto al fallimento si riflette sulla posizione dei creditori del sovraindebitato, i quali, evidentemente, se vogliono recuperare il loro credito, non hanno alternative rispetto all’esecuzione individuale.

L’esecuzione individuale, pertanto, in relazione al sovraindebitamento, assume una duplice funzione: procedura finalizzata al recupero del credito, ma anche strumento di sollecitazione nei confronti del debitore, affinché quest’ultimo possa dare impulso alla liquidazione o alle altre procedure di composizione della crisi.

In tale quadro, appare coerente l’avvertimento relativo alle procedure da sovraindebitamento che il  nuovo art. 480 comma 2 c.p.c., modificato dall’art. 13 d.l. 83/2015, prevede come obbligatorio all’interno dell’atto di precetto: «Il precetto deve altresì contenere l'avvertimento che il debitore può, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore».

Tale avvertimento, pertanto, rappresenta al debitore la possibilità di ricorrere alla legge n. 3/2012, in primo luogo, per bloccare l’esecuzione minacciata dal precetto.

Quali sono, dunque, per il debitore, le tutele offerte dalla legge sul sovraindebitamento in relazione alle esecuzioni che potrebbero iniziare o che sono già pendenti?

 

Il divieto delle esecuzioni individuali nella legge n. 3/2012: aspetti sostanziali e processuali

In fase di apertura della procedura da sovraindebitamento, al debitore è consentita l’attivazione di un procedimento cautelare atipico, che si svolge inaudita altera parte e basato esclusivamente sul fumus bonis iuris rappresentato dalla sussistenza dei presupposti di ammissibilità (il periculum in mora deve reputarsi presunto)[3].

Il divieto delle esecuzioni individuali nella disciplina del sovraindebitamento, tuttavia, non è assoluto, ma prevede alcune eccezioni, a seconda della procedura incardinata dal debitore, per cui abbiamo due diversi livelli di tutela.

 

L’accordo di composizione della crisi e la liquidazione dei beni

Le procedure dell’accordo di composizione della crisi ex art. 7 e della liquidazione ex art. 14-ter prevedono il blocco automatico di tutte le azioni esecutive (c.d. automatic stay).

Viene riprodotta, in sostanza, la regola generale prevista in materia di concordato preventivo dall’art. 168 l.f., ai sensi del quale «Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore».

L’unica differenza riguarda il momento di attivazione dell’ombrello protettivo, che nella legge n. 3/2012 è posticipato al decreto di apertura della procedura.

Per quanto riguarda l’accordo, la norma di riferimento è l’art. 10 comma 2 lett. c). Con il decreto di ammissione e di fissazione dell’udienza il giudice «dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili».

Il medesimo effetto automatico lo ritroviamo nella liquidazione, atteso che, ai sensi dell’art. 14-quinques comma 2 lett. b), il giudice, con il decreto di ammissione e di fissazione dell’udienza «dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore». La norma parla erroneamente di omologazione, in realtà il divieto resta operativo fino alla chiusura della procedura.

L’effetto temporaneo del divieto relativo alle azioni esecutive (equiparabile alla sospensione dell’esecuzione) diventa permanente nel momento in cui il piano viene omologato. Ovviamente, l’ombrello protettivo riguarda soltanto i creditori aventi titolo o causa anteriore, mentre i creditori posteriori restano liberi di soddisfare le loro pretese sui beni del debitore, almeno sino all’omologa.

La sanzione della nullità comporta che tutti gli atti esecutivi eventualmente compiuti restano improduttivi di effetti, anche nel caso in cui il piano non venga omologato.

In caso di violazione del divieto in discorso, da parte di uno dei creditori, il debitore può senz’altro proporre opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. davanti al giudice dell’esecuzione.

 

Il piano del consumatore

Nel piano del consumatore, invece, non esiste un divieto generale e automatico per le eventuali azioni esecutive, infatti il debitore può soltanto chiedere al giudice la sospensione di determinate esecuzioni già pendenti, specificamente indicate nel ricorso.

Più precisamente, ai sensi dell’art. 12-bis comma 2 «Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo».

In questi casi, dunque, il potere del giudice viene esercitato in modo discrezionale.

Contro il decreto del giudice, in caso di rigetto dell’istanza di inibitoria, può essere proposto reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c., nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento (cfr. art. 10 comma 6). La competenza è del Tribunale in composizione collegiale. In caso di ulteriore rigetto, il debitore può proporre una nuova domanda, mentre non è consentito il ricorso per cassazione, dal momento che il provvedimento in questione non è decisorio.

Resta controversa, in ipotesi di esecuzione già pendente, la possibilità di depositare davanti al giudice dell’esecuzione un’istanza di sospensione, prima che il giudice competente per il sovraindebitamento si pronunci sull’ammissione della procedura. L’orientamento maggioritario della giurisprudenza, comunque, esclude tale possibilità[4].

 

Sovraindebitamento ed esecuzione immobiliare

Si applica l’art. 41 TUB nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento?

Nella prassi accade spesso che si ricorra alle procedure da sovraindebitamento in presenza di un’esecuzione immobiliare già pendente, talvolta in fase avanzata (ad esempio già in fase di vendita delegata). In questi casi emergono alcune criticità, in quanto non c’è coordinamento tra la disciplina del sovraindebitamento e le altre leggi (legge fallimentare, codice di procedura civile, testo unico bancario, ecc.).

Una prima questione riguarda il subentro del liquidatore nella procedura esecutiva immobiliare ed in particolare l’eventuale applicazione, in queste ipotesi, dell’art. 41 TUB.

La questione è stata affrontata recentemente dal Tribunale di Modena, il quale ha escluso l’applicazione della norma sopra richiamata nell’ambito delle procedure da sovraindebitamento[5].

Come è noto l’art. 41 comma 2 D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (Testo Unico Bancario) predispone in favore del creditore fondiario un privilegio processuale nell’ambito del fallimento, per cui «L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell'esecuzione. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento».

Si tratta, come precisato dalla giurisprudenza[6], di un privilegio processuale, che consente alla banca, in caso di fallimento del debitore, di iniziare o proseguire la propria azione individuale e di conseguire l’assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata nei limiti del proprio credito. Nello stesso tempo, la banca resta tenuta a presentare istanza di insinuazione al passivo del fallimento, se vuole rendere definitiva l’assegnazione[7].

Secondo il Tribunale di Modena, dunque, il privilegio per la banca può trovare applicazione esclusivamente nel fallimento, essendo la norma in commento di stretta interpretazione. Del resto, nella disciplina sul sovraindebitamento non sono previste deroghe al principio dell’automatic stay, diversamente da quanto previsto per il fallimento dall’art. 51 l.f.[8].

Nelle ipotesi in cui il liquidatore dovesse optare per il subentro nella procedura esecutiva immobiliare, allora, il ricavato della vendita andrà incassato direttamente dal liquidatore e ripartito alla massa. Una volta effettuata la distribuzione, l’esecuzione verrà estinta.

 

L’eventuale aggiudicazione dell’immobile può essere revocata in caso di apertura della procedura da sovraindebitamento?

La questione è stata affrontata recentemente dal Tribunale di Potenza[9]. Secondo il Tribunale, in virtù del principio della intangibilità dell’aggiudicazione, che trova fondamento nell’art. 187-bis disp. att. c.p.c., l’aggiudicazione rimarrebbe valida e il giudice dell’esecuzione dovrebbe emettere il decreto di trasferimento, dopo il pagamento del prezzo. Ovviamente, in caso di omologazione del piano, il prezzo che verrà pagato non potrà essere assegnato al creditore procedente, ma andrà a beneficio di tutti i creditori.

Ai sensi della norma sopra richiamata «In ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell'articolo 632, secondo comma, del codice, gli effetti di tali atti».

L’interpretazione del Tribunale di Potenza trova conforto nella giurisprudenza di legittimità[10].

 

Sovraindebitamento ed esecuzione presso terzi

Il problema dell’interferenza tra sovraindebitamento e pignoramento presso terzi assume una particolare rilevanza nel momento in cui si ha un’ordinanza di assegnazione anteriore rispetto all’apertura della procedura.

In queste ipotesi, infatti, non può trovare applicazione la regola generale dell’automatic stay, dal momento che l’ordinanza di assegnazione, come confermato dalla giurisprudenza, è l’atto conclusivo del processo esecutivo e, pertanto, non avrebbe senso parlare di blocco delle azioni esecutive, né tantomeno di sospensione dell’esecuzione[11].

Il problema, pertanto, va risolto in termini diversi.

Come è noto, la regola generale dell’art. 44 l.f. stabilisce che «Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori».

Secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione, in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, il pagamento eseguito al creditore procedente, dopo l’ordinanza di assegnazione, deve ritenersi inefficacie ai sensi dell’art. 44 l.f., non assumendo rilievo, a tal fine, l’anteriorità dell’assegnazione[12].

Si può parlare di inefficacia dei pagamenti successivi in quanto l’ordinanza di assegnazione determina un trasferimento del credito pro solvendo, per cui anche dopo l’assegnazione del credito il debitore rimane tale. Diversamente, come osserva la Cassazione, si avrebbe violazione del principio della par condicio creditorum, la cui salvaguardia costituisce la ratio della sottrazione al fallito della disponibilità dei sui beni.

La regola generale dell’art. 44 l.f. può trovare applicazione anche nell’ambito del sovraindebitamento? La risposta, secondo una parte della giurisprudenza e della dottrina, è affermativa[13].

Partiamo da una premessa, ovvero che le procedure di cui alla legge n. 3/2012 possono essere definite, pacificamente, procedure concorsuali. Elementi caratteristici della concorsualità sono la universalità e la segregazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori anteriori, nel rispetto della par condicio creditorum (art. 2741 c.c.).

A ciò si aggiunga che, come si può desumere dall’art. 553 c.p.c., il diritto dell’assegnatario si estingue soltanto con il pagamento, in quanto l’ordinanza di assegnazione determina un trasferimento del credito pro solvendo.

Sulla base di queste premesse, in caso di apertura di una procedura da sovraindebitamento, qualora sia già intervenuta un’ordinanza di assegnazione, non si vede cosa possa impedire la destinazione del patrimonio del debitore verso la massa e non più verso i singoli creditori[14].

Del resto, nulla impedisce al creditore assegnatario di insinuare il proprio credito al passivo della procedura, secondo le regole del concorso.

La questione relativa al pignoramento presso terzi resta comunque dibattuta. Non possono trascurarsi, ad esempio, quelle decisioni della giurisprudenza di merito che hanno ritenuto l’assegnazione prevalente rispetto alla procedura da sovraindebitamento, escludendo l’applicazione analogica dell’art. 44 l.f.[15].

 

Prospettive di riforma

Parlando delle prospettive di riforma, preferisco attenermi alle previsioni della legge delega, in quanto la bozza del codice della crisi e dell’insolvenza è ancora in itinere.

La legge delega per la riforma della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza (legge 19 ottobre 2017 n. 155) si propone di riorganizzare l’intera struttura normativa concorsuale, compresa la normativa sul sovraindebitamento, che verrà incorporata nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza.

Per quanto riguarda, in particolare, il tema che qui interessa, la legge delega prevede all’art. 9 comma 1 lett. g) la seguente direttiva: «Introdurre misure protettive simili a quelle previste nel concordato preventivo, revocabili su istanza dei creditori, o anche d'ufficio in caso di atti in frode ai creditori».

Attualmente, secondo l’impianto della legge n. 3/2012, il debitore che presenta una proposta di accordo ai sensi dell’art. 7 deve necessariamente attendere il decreto del Tribunale di apertura della procedura per ottenere l’ombrello protettivo.

Ai sensi dell’art. 10 comma 2 lett. c), infatti, con il decreto di ammissione e di fissazione dell’udienza il giudice «dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili».

In materia di concordato preventivo, invece, la legge fallimentare predispone una tutela anticipata e quindi sicuramente più efficace, dal momento che, ai sensi dell’art. 168 l.f., il blocco automatico delle azioni esecutive viene attivato con la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese.

Si auspica che in sede di attuazione della legge delega venga superata questa ingiustificata disparità di trattamento.

Inoltre, il medesimo meccanismo automatico per il blocco delle azioni esecutive individuali dovrebbe essere esteso alla procedura di composizione della crisi del consumatore.

Sempre ragionando de iure condendo, vi potrebbero essere ulteriori modifiche da apportare agli istituti del sovraindebitamento.

In materia di concordato preventivo è già possibile anticipare l’ombrello protettivo, grazie al meccanismo della domanda con riserva (art. 161 comma 6 l.f.): «L'imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni». 

In materia di accordi di ristrutturazione, inoltre, l’imprenditore può chiedere il blocco delle azioni esecutive già nel corso delle trattative e prima della formalizzazione degli accordi (art. 182-bis comma 6 l.f.): «Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell'articolo 9 la documentazione di cui all'articolo 161, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell' imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare».

Sarebbe allora auspicabile, in vista della riforma, estendere i suddetti meccanismi anche alle procedure da sovraindebitamento, in modo da non creare contraddizioni all’interno del nuovo codice della crisi.



[1] La legge n. 3/2012 prevede in alcune ipotesi la c.d. conversione della procedura in liquidazione, allorché si verifichi un evento patologico in relazione all’accordo di composizione della crisi o al piano del consumatore, come nel caso, ad esempio, della risoluzione dell’accordo, disciplinata dall’art. 14 comma 2, che può essere chiesta da ciascun creditore, in primo luogo, se il debitore non adempie agli obblighi derivanti dall’accordo.

[2] Fabio Cesare, “Sovraindebitamento: liquidazione del patrimonio”, in Il Fallimentarista, 27 settembre 2017.

[3] Laura Durello, “Profili processuali del procedimento per la composizione della crisi da sovraindebitamento”, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2014, p. 651.

[4] Angelo Pisani, “Dei rapporti tra sovraindebitamento ed esecuzione forzata giudiziale”, in Casi e questioni di sovraindebitamento, Maggioli Editore, 2017, p. 224.

[5] Tribunale di Modena, 1 giugno 2017. Il Tribunale, nel caso di specie, ha rigettato l’istanza del creditore fondiario, che rivendicava il proprio diritto di proseguire l’espropriazione ex art. 41 TUB dopo l’apertura della procedura di liquidazione del patrimonio.

[6] Cass., 29 maggio 2008 n. 13996.

[7] Cass., 30 marzo 2015 n. 6377.

[8] Come è noto l’art. 51 l.f. dispone che «Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento».

[9] Tribunale di Potenza, 6 marzo 2017. Nel caso di specie al Tribunale veniva chiesto di omologare un piano del consumatore in pendenza di una procedura esecutiva immobiliare il cui bene, nel corso della procedura, era stato aggiudicato, ma non ancora trasferito.

[10] Cass., 30 gennaio 2009 n. 2433.

[11] Angelo Castagnola, “Il pagamento del terzo assegnato di fronte al fallimento del debitore esecutato”, in Giurisprudenza commentata, 2004, p. 966.

[12] Cass., 22 gennaio 2016 n. 1227.

[13] Tra le pronunce più recenti v. Tribunale di Grosseto, 9 maggio 2017, nonché Tribunale di Livorno, 15 febbraio 2017.

[14] Gianfranco Benvenuto, “Il trattamento della cessione del quinto nel sovraindebitamento”, in Il Fallimentarista, 21 maggio 2018.

[15] Cfr. ad esempio Tribunale di Milano, 9 luglio 2017.



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