Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23514 - pubb. 23/04/2020

Revocatoria fallimentare: fusione di società quale successione a titolo universale ed effetti sulla conoscenza dello stato di insolvenza

Cassazione civile, sez. I, 12 Novembre 2019, n. 29256. Pres. Genovese. Est. Paola Vella.


Revocatoria fallimentare - Fusione di società - Effetti - Successione a titolo universale - Conoscenza dello stato di insolvenza della società poi incorporata - Trasmissione alla società incorporante - Configurabilità



La fusione di società realizza una successione universale corrispondente a quella "mortis causa" e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa dell'incorporante, la quale rappresenta il nuovo centro di imputazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti fusi o incorporati, sicché nel caso di revocatoria fallimentare, al di là del letterale riferimento dell'art. 2504-bis c.c. ai diritti ed agli obblighi, la sostituzione riguarda anche le situazioni di scienza giuridicamente rilevanti, ivi compresa l'eventuale conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto incorporato che ha effettuato un pagamento nel periodo sospetto. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


Fatti di causa

1. La Corte d'appello di Catania ha rigettato l'appello proposto da A.B. & C. S.a.s. avverso la sentenza con cui il Tribunale di Catania aveva accolto l'azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1), proposta dalla Fratelli C. S.p.a. - dichiarata insolvente in data 02/03/1996 e ammessa ad Amministrazione straordinaria in data 26/03/1996 - con atto di citazione del 14/03/2011, per la declaratoria di inefficacia dell'atto pubblico del 22/11/1994 con cui la CEAP S.p.a. (appartenente al "gruppo C." e poi incorporata dalla società attrice con atto di fusione del 12/12/1994) aveva alienato immobili alla T. ad un prezzo pagato parzialmente a mezzo cessione di crediti (pro soluto) vantati dall'acquirente nei confronti di altre tre società del suddetto e compensazione di un credito vantato verso la stessa alienante, nonchè, per il residuo, anche mediante eventuali forniture.

2. Avverso detta sentenza la A.B. & C. S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui la Fratelli C. S.p.a. in Amministrazione Straordinaria ha resistito con controricorso, depositando memoria difensiva.

 

Ragioni della decisione

3. Con il primo motivo di ricorso si denunziano congiuntamente la violazione della l. Fall., art. 67 e l'omesso esame di un fatto decisivo, tenuto conto che l'atto di compravendita revocato non era riferibile alla società attrice bensì ad altra società del gruppo, la quale al momento della vendita era in bonis (essendo stata l'insolvenza dichiarata in un successivo momento, peraltro solo in capo alla società che l'aveva incorporata) con conseguente impossibilità di configurare il presupposto della scientia decoctionis.

3.1. La censura è infondata in diritto, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui "la fusione di società realizza una successione universale corrispondente a quella "mortis causa" e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti fusi o incorporati; ne consegue, in tema di azione revocatoria fallimentare, che, trattandosi di successione universale, essa concerne, al di là del letterale riferimento dell'art. 2504-bis c.c., ai diritti ed agli obblighi, tutte le situazioni giuridiche per loro natura trasmissibili e, quindi, anche le situazioni di scienza giuridicamente rilevanti, ivi compresa l'eventuale conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto, poi fallito, che ha effettuato un pagamento nel periodo sospetto" (Cass. 11059/2011, 5716/2003, 9796/2000).

3.2. In ogni caso la censura difetta di conducenza anche in fatto, poichè la Corte d'appello ha espressamente motivato sulla sussistenza dello stato di insolvenza della stessa alienante CEAP S.p.a. (in forza dei protesti cambiari elevati a suo carico e del mancato assolvimento dell'onere della prova contraria).

4. Anche il secondo mezzo prospetta congiuntamente la violazione della L. Fall., art. 67 e l'omesso esame di un fatto decisivo, stavolta con riguardo alla mancata disapplicazione della L. n. 95 del 1979, in quanto contrastante con la normativa comunitaria in materia di cd. aiuti di Stato, dal momento che la società in amministrazione straordinaria si trovava, al momento della domanda, "ancora in una fase conservativa" e non liquidatoria.

4.1. Il motivo è infondato, poichè anche di recente questa Corte ha ribadito che "l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, come regolata dal D.L. n. 26 del 1979 (conv. con modif. in L. n. 95 del 1979) non integra un aiuto di Stato ai sensi dell'art. 87 (ora art. 92) del Trattato CE, trattandosi di procedimento attivabile ordinariamente nel corso della procedura fallimentare, senza che rilevi la distinzione tra fase conservativa e fase liquidatoria, atteso che l'azione revocatoria, anche quando esercitata durante la fase conservativa, è diretta a produrre risorse da destinare alla espropriazione forzata a fini satisfattori, di tutela degli interessi dei creditori. Nè rileva che il bene recuperato con l'azione revocatoria non sia destinato immediatamente alla liquidazione ed al riparto tra i creditori, poichè è sufficiente che esso concorra con gli altri beni a determinare il patrimonio ripartibile al termine del tentativo di risanamento" (Cass. 8974/2019; conf. Cass. 17200/2014, 16049/2009, 16033/2008, 12313/2007, 26933/2006, 21823/2005).

5. Con il terzo motivo si denunzia ancora, sempre congiuntamente, la violazione della L. Fall., art. 67 e l'omesso esame di un fatto decisivo, poichè non vi sarebbe stato "alcun pagamento di debiti, nemmeno in modo anormale, della società dichiarata insolvente", con conseguente difetto del presupposto oggettivo dell'azionata revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 1, n. 2.

5.1. La censura è infondata, avendo il giudice a quo accertato in fatto, con statuizione non sindacabile in questa sede, che la "società acquirente ebbe a pagare il prezzo di acquisto espressamente compensando una porzione rilevante del dovuto (1/3) all'uopo estinguendo il pari credito vantato nei confronti della alienante", venendo a configurare la compravendita in questione, "ex latu CEAP, come mezzo di pagamento di un debito scaduto ed esigibile effettuato non con denaro, ma con il trasferimento della res", ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2), (al riguardo a pag. 15 del controricorso si evidenzia anche come il valore reale dei crediti di T. fosse pari a zero, in ragione dell'insolvenza dei tre debitori ceduti Ca., P. e F.lli C.).

6. Resta assorbito il quarto motivo, con cui si contesta la statuizione sulle spese fondata sulla supposta erroneità dell'accoglimento della domanda revocatoria.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019.