Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20404 - pubb. 04/09/2018

Azione di responsabilità nei confronti di amministratori di società ammessa al concordato preventivo. Natura, presupposti e oneri probatori nell’azione individuale del socio o del terzo di cui all’art. 2395 c.c.

Tribunale Catanzaro, 28 Marzo 2018. Est. Ermanna Grossi.


Società di capitali – Azione di responsabilità – Rapporto con l’art. 184 l.f. – Effetto esdebitatorio per i creditori – Iniziativa del creditore concordatario fondata su differente titolo e finalizzata al risarcimento nei confronti di un soggetto diverso – Creditore concordatario con facoltà di agire nei riguardi di coobbligati o fideiussori

Società di capitali – Azione di responsabilità – Autonomia tra le due azioni di responsabilità di cui all’art. 2394 c.c. e di cui all’art. 2393 c.c. – Azione esercitata dal curatore – Conservazione della reciproca autonomia

Società di capitali – Azione di responsabilità – Azione del creditore ex art. 2394 c.c. – Ristoro diretto per il patrimonio del creditore che la esercita – Natura surrogatoria dell’azione dei creditori sociali – Esclusione – Azione esercitata nei confronti di soggetti diversi dalla società – Alterazione della par condicio creditorum – Esclusione

Società per azioni – Azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c. – Caratteristiche e distinzione rispetto alle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. – Incidenza "diretta" del danno sul patrimonio del socio o del terzo – Natura aquiliana della responsabilità – Direzione volontaristica dell’atto – Esclusione

Azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c. – Natura aquiliana – Conseguenze sul piano probatorio

Azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c. – Presupposti – Fatto illecito – Profilo soggettivo – Dolo – Caratteristiche – Consapevolezza e volontà – Colpa

Azione individuale di responsabilità del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c. – Onere della prova – Nesso di causalità – Alterazione dei bilanci



In tema di azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali, va precisato che, se è vero che l’art. 184 l. fall. sancisce il principio della natura vincolante del concordato preventivo concluso, affermando l’effetto esdebitatorio per i creditori della procedura medesima e la conseguente operatività del concordato alla stregua di un pactum de non petendo di natura privatistica ovvero, secondo alcuni, con una permanente natura anche pubblicistica (con le sole eccezioni ricomprese nella medesima disposizione con riferimento alla posizione dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso), è però anche vero che l’efficacia vincolante indicata, idonea a rendere inesigibile l’originario maggior credito, senza peraltro novarlo, non possa essere utilmente invocata qualora l’iniziativa assunta dal creditore concordatario si fondi su un differente titolo e sia finalizzata al risarcimento, non già nei riguardi della stessa società in concordato preventivo, ma nei confronti di un soggetto diverso da essa, quale è il singolo amministratore, che è del tutto estraneo rispetto ai soggetti tra i quali è intervenuto l’accordo concordatario.

Né pare prospettabile l’assunto secondo il quale, a seguito del concordato, sia venuta meno la qualità di creditore in capo al soggetto che agisca ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c., con conseguente carenza di legittimazione sul punto, dato che il creditore concordatario conserva la sua qualità di creditore al di fuori dell’ambito concorsuale che non estingue il credito originario, come ben si desume dalla previsione dell’ultima parte dell’art. 184 l. fall. che sancisce il diritto del medesimo di agire, comunque, per l’intero, in quanto creditore, nei riguardi dei coobbligati ovvero dei fideiussori. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In tema di autonomia tra le due azioni di responsabilità, quella di cui all’art. 2394 c.c. e quella di cui all’art. 2393 c.c., deve essere esclusa la natura surrogatoria della prima rispetto alla seconda; in particolare, la corte di cassazione ha ribadito come integri addirittura una domanda nuova inammissibile, qualora proposta in corso di causa, la richiesta di risarcimento formulata, oltre che ai sensi della previsione di cui all’art 2393 c.c. anche ai sensi dell’art. 2394 c.c. “in considerazione della diversità delle due azioni di responsabilità, l’una regolata dall’art. 2393 c.c. di natura contrattuale, fondata sull’inadempimento dei doveri imposti agli organi sociali dalla legge o dall’atto costitutivo, l’altra disciplinata dall’art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale, priva di carattere surrogatorio e dotata di un autonomo regime giuridico dell’onere della prova e della prescrizione” (cfr. cass. n. 13765/2007).

La decisione citata ha, in motivazione, evidenziato che “l’affermazione frequente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le due azioni di responsabilità rispettivamente previste dagli artt 2393 e 2394 c.c. quando sopravvenga il fallimento della società e siano congiuntamente esercitate dal curatore a norma dell’art. 146 L. Fall. costituiscono un’azione unica ed inscindibile, sta solo a significare che il medesimo curatore non potrebbe pretendere di esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita, cui dette azioni concorrono, e significa che l’eventuale mancata specificazione del titolo per il quale il curatore agisce fa presumere che egli abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe tali azioni. Quella espressione non può essere, invece, intesa nel senso della indifferenziazione delle domande proposte dall’organo della procedura ai sensi dell’art. 2393 o dell’art 2394; dette domande che, pur se ormai accomunate dalla comune legittimazione, continuano ad avere presupposti diversi, il danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, nell’uno caso, l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale nell’altro, e ad essere soggette ad un diverso regime giuridico, non solo per quel che riguarda l’onere della prova, ove si tenga fermo che l’azione di responsabilità dei creditori sociali non ha carattere surrogatorio bensì diretto ed aquiliano, ma anche con riferimento ai termini di prescrizione ed alla loro decorrenza. Non altrimenti si spiegherebbe la pacifica possibilità che, anche in ambito concorsuale, un’azione risulti prescritta e l’altra possa ancora essere utilmente esercitata” (negli stessi termini cfr. cass. n. 10488/1998). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Una volta accertata la natura autonoma dell’azione proposta ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c. rispetto a quella di cui all’art. 2393 c.c., consegue come il vantaggio che, all’esito della stessa, potrà eventualmente ottenere il creditore non consista semplicemente in un incremento del patrimonio della società, ma in un ristoro diretto per il patrimonio del medesimo creditore, come si desume dalla stessa rubrica dell’art. 2394 c.c.

Esclusa qualsivoglia natura surrogatoria dell’azione di responsabilità dei creditori sociali rispetto all’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c., ne consegue che l’eventuale esito favorevole per il creditore della stessa non potrà comportare un’alterazione della par condicio creditorum dal momento che tale principio attiene alla violazione del riparto dei crediti vantati dai creditori nei confronti della società e non già, come avviene nel caso in esame, al soddisfacimento del singolo creditore per un danno subito ad opera di un soggetto diverso dalla società debitrice, quale è l’amministratore che, tra l’altro, non potrà successivamente neppure agire in via di regresso nei confronti della società da lui amministrata.

All’esito di tutte le valutazioni esposte, pare utile evidenziare come, sia pure talora in maniera solo incidentale ed episodica, già altra giurisprudenza di merito, anche recente, abbia statuito e abbia raggiunto analoghe conclusioni affermando la piena compatibilità ed ammissibilità dell’azione in contestazione nei riguardi di amministratori di società in concordato preventivo (cfr. corte d’appello Brescia, 14 maggio 2014, in motivazione; tribunale Napoli, 25 luglio 2013 in www.ilcaso.it ; tribunale Napoli, ordinanza cautelare 5 luglio 2013; tribunale di Vicenza, ordinanza cautelare 26 luglio 2010; tribunale Bologna, 8 agosto 2002; tribunale Torino, 28 maggio 1997; corte d’appello Milano, 14 gennaio 1992; tribunale Reggio Emilia, 19 giugno 1979). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

L’azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 c.c. si basa su un sistema di responsabilità volto a tutelare i soci ed i terzi, che si fonda sul presupposto di un pregiudizio arrecato direttamente al patrimonio del singolo senza che da ciò derivi un danno per la società. Infatti, l’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità rispetto all’azione sociale (art. 2393 c.c.) ed a quella dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) è rappresentato dall’incidenza "diretta" del danno sul patrimonio del socio o del terzo: mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio sociale, che incide soltanto indirettamente sul patrimonio dei soci per la perdita di valore delle loro azioni, e l’azione dei creditori sociali mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale in argomento postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società (cfr., ex pluribus, cass., n. 15220/2010; cass. n. 16416/2007; cass. n. 8359/2007; cass. n. 21130/2008).

In altre parole, l’avverbio "direttamente" consente di delimitare l’ambito di esperibilità dell’azione ex art. 2395 c.c., chiarendo che, se il danno lamentato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 2395 c.c., in quanto tale norma richiede che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo.

Peraltro, è da tempo pacifica l’interpretazione dell’avverbio direttamente nel senso di un danno immediato, e non già come "attività svolta direttamente" dall’amministratore, con riferimento alla direzione dell’atto contro un soggetto determinato; la coloritura soggettiva dell’avverbio non trova infatti giustificazioni sistematiche, potendosi l’elemento soggettivo della condotta degli amministratori già ricavarsi dalla qualificazione degli atti come dolosi o colposi. D’altra parte, una diversa interpretazione dell’avverbio qualificante l’atto, non consentirebbe all’art. 2395 c.c. di trovare applicazione in tutte quelle ipotesi in cui non vi sia un rapporto immediato tra l’amministratore ed il soggetto leso. Proprio l’impossibilità di determinare a priori la categoria di soggetti lesi, da cui deriva anche un elemento a favore della natura aquiliana della responsabilità, impedisce di individuare nell’atto una direzione volontaristica che abbia determinato il danno nella sfera patrimoniale del terzo o del socio (cfr. trib. Roma, sez. spec. impr., 5 giugno 2017). Al contrario, non rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia o meno ricollegabile a un inadempimento della società, né infine che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione pone in evidenza che l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito appunto dall’incidenza del danno (cfr., cass. n. 6558/2011; cass. n. 2251/1998; cass. n. 2850/1996). (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

In ragione della mancanza di un vincolo contrattuale tra amministratore ed i terzi che esercitino l’azione di cui all’art. 2395 c.c., l’azione che ne deriva assuma natura extracontrattuale (cfr. cass. n. 15220/2010; cass. n. 6870/2010; cass. n. 4817/1998), per cui, sul piano probatorio, deve ritenersi che ricade in capo al socio o al terzo che agisca in giudizio al fine di far valere la responsabilità diretta dell’amministratore l’onere probatorio in relazione: alla condotta dolosa o colposa dell’amministratore; all’esistenza di un danno che sia qualificabile, da una parte, come diretto (non potendo esso costituire un mero riflesso del danno subito dal patrimonio sociale) e, dall’altra, come ingiusto; al nesso di causalità che deve intercorrere tra l’attività dell’amministratore ed il pregiudizio causato all’attore. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Con riferimento al primo profilo accennato, merita di essere osservato come la responsabilità non possa essere invocata sulla base delle incidenze negative di scelte gestionali inopportune, dovendosi, al contrario, esigere un fatto illecito, cioè un comportamento (doloso o colposo), che integri la violazione degli obblighi dell’amministratore medesimo, sia di quelli specifici inerenti alla carica, sia di generali stabiliti dall’ordinamento a tutela dei diritti dei terzi (cfr., in questa prospettiva, cass. n. 2394/1997).

In relazione, poi, al profilo soggettivo richiesto dalla norma in argomento, il tribunale rileva come il dolo consiste nella volontà di compiere l’atto illecito senza che sia ulteriormente necessario, ad integrare la fattispecie di responsabilità, che il profilo soggettivo sia concretamente diretto contro un determinato soggetto: il dolo dell’amministratore deve consistere nella consapevolezza dell’obiettiva idoneità dell’atto che si accinge a compiere a cagionare un danno ai naturali destinatari dello stesso e nella volontà di compierlo nonostante la previsione che un tale danno possa concretamente verificarsi.

Parallelamente, la colpa, in armonia con i principi generali elaborati in dottrina ed in giurisprudenza, potrà consistere in un comportamento del pari cosciente, ma in cui l’evento pregiudizievole sia indotto non già da premeditazione, quanto piuttosto da negligenza, imprudenza o imperizia.

L’azione concessa dall’art. 2395 c.c. al socio e al terzo presuppone che i danni a questi derivati siano conseguenza di atti dolosi o colposi degli amministratori, che non possono essere ricondotti al mero inadempimento delle obbligazioni della società.

In altre parole, se la società è inadempiente per non avere rispettato gli obblighi ad essa derivanti da un rapporto contrattuale stipulato con un terzo, di questi danni risponde la società e soltanto la società (qui il rapporto di immedesimazione organica tra la società e le persone che per essa vogliono e agiscono si manifesta in tutta la sua portata, per cui, come incisivamente si è detto, l’atto dell’amministratore non è atto compiuto per conto della società, ma è atto "della" società); se viceversa, accanto a questo inadempimento sociale, vengono dedotti specifici comportamenti degli amministratori, dolosi o colposi, che di per se stessi abbiano cagionato ai terzi un danno diretto, di questo risponderanno gli amministratori, la cui responsabilità potrà eventualmente aggiungersi - senza sostituirla o sopprimerla - a quella della società per l’inadempimento (cfr., in questi termini, cass. n. 5723/1991; cass. n. 3843/2001; cass. n. 2251/1998 e, da ultimo, cass. n. 15220/2010).

La responsabilità ex art. 2395 c.c. dell’amministratore di società, data la sua natura extracontrattuale, non si estende al danno derivato all’altro contraente dall’inadempimento del contratto stipulato all’esito dell’attività suindicata del quale risponde la società, a titolo di responsabilità contrattuale, ma concerne solo il danno direttamente ricollegabile, con nesso di causalità immediata, ai predetti fatti illeciti dell’amministratore, unicamente di questi ultimi potendosi far carico al medesimo, ai fini del risarcimento del danno all’altro contraente danneggiato (cfr. cass. n. 14/1982).

Sotto il profilo del nesso eziologico, deve sin da ora sottolinearsi come l’azione in argomento è data al terzo e al singolo socio esclusivamente nell’ipotesi in cui gli amministratori abbiano cagionato un danno che abbia inciso, in maniera negativa, direttamente sul patrimonio dell’attore. Il nesso di causalità tra l’atto compiuto dall’amministratore ed il danno costituisce elemento indispensabile di cui l’attore, singolo socio o terzo che sia, è onerato di fornire la prova e si sostanza nella riferibilità all’amministratore medesimo dell’atto da cui scaturisce il pregiudizio.

In definitiva, presupposti dell’azione delineata dall’art. 2395 c.c. sono l’evento dannoso, la diretta incidenza di tale evento sul patrimonio del socio o del terzo; la riferibilità dell’evento stesso all’amministratore convenuto o meglio il collegamento causale tra la condotta dell’amministratore e l’evento, il dolo o la colpa dell’amministratore. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)

Ove il terzo che propone l’azione alleghi che la propria volontà negoziale sia stata in qualche modo determinata (alterandola) dal fatto che dai bilanci risultassero circostanze non rispondenti al vero che lo abbiano indotto a concludere il contratto, egli è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno (cfr., sul punto, già cass. n. 2685/1989); il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità in argomento, impone infatti un esame rigoroso del nesso causale (cfr. cass. n. 21130/2008), secondo un principio di causalità ancorato al criterio del "più probabile che non".

Ben può dunque il bilancio, se non veritiero, essere fonte di responsabilità sia verso i soci e sia verso i terzi in buona fede, tratti in inganno dai dati e dalle risultanze di esso, ove raffiguranti una falsa immagine della situazione economico-patrimoniale della società, tuttavia, chi si duole della falsità di tali dati e risultanze è tenuto ad allegare, e poi a dimostrare, anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde è tenuto a fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito amministrativo-contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto ed in conseguenza dell’illecito commesso.

Così, in ipotesi di bilancio contenente indicazioni inveritiere, che si assumano avere causato l’affidamento del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e la decisione del medesimo di porre essere una determinata attività negoziale, il terzo che agisca per il risarcimento del danno avverso l’amministratore che abbia concorso alla formazione del bilancio asseritamente falso è onerato di provare non soltanto tale falsità, ma anche, mediante qualsiasi mezzo di prova, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno.

Per affermare la responsabilità degli amministratori e dei sindaci, è pur sempre necessario che il socio o il terzo non fossero in grado, utilizzando l’ordinaria diligenza, di conoscere le effettive condizioni patrimoniali ed economiche della società.

Deve, infatti, ritenersi che, pur in presenza di bilanci che non rappresentino correttamente la effettiva situazione patrimoniale della società, sia esclusa una responsabilità risarcitoria degli amministratori ove la situazione patrimoniale effettiva fosse facilmente conoscibile aliunde; in tale caso, infatti, viene meno il necessario nesso di causalità tra la condotta colposa degli amministratori e il pregiudizio patito dal socio o dal terzo; questi, dunque, non avranno accesso alla tutela risarcitoria qualora siano addivenuti alla conclusione del negozio senza usare la diligenza minima necessaria. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Tribunale di Catanzaro

Sezione specializzata in materia di impresa

 

in composizione collegiale, nella persona dei magistrati:

1) dott.ssa Maria Concetta Belcastro presidente

2) dott.ssa Wanda Romanò giudice

3) dott.ssa Ermanna Grossi giudice relatore

letti gli atti ed esaminati i documenti; udito il giudice relatore;

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

Omissis

Fatto e diritto

1. Con atto di citazione ritualmente notificato Grafica Editoriale Printing s.p.a. (di seguito “GEP”), ha convenuto in giudizio M. e A., G. G., s. D., F. P., A. B., A. M., S. L. e R. A. R., in qualità di amministratori p.t. di Edizioni M. s.p.a. in concordato preventivo (di seguito “EM”), nonché G. B., A. D. e Al. M., in qualità di sindaci p.t. della suddetta società e le società di revisione dei bilanci PKF Italia s.p.a. e R. Ernst & Young s.p.a. (ora Ernst & Young s.p.a.) per sentirli condannare, in via solidale ed illimitata, ai sensi degli artt. 2043, 2394, 2395, 2407, 2409 bis, 2630 c.c. e 218 l.f. al pagamento in proprio favore della somma di € 2.840.295,75, oltre interessi e rivalutazione dalla domanda e sino al saldo, ovvero della maggiore o minore somma che dovesse risultare di giustizia, anche alla luce della quantificazione degli interessi sul debito pagati relativamente all’anno 2014.

A fondamento della svolta domanda, GEP ha rappresentato di avere ad oggetto un’attività comunemente definita di editing e consistente nell’ideazione, nella stampa ovvero nella impaginazione grafica e tipografica. Ha riferito di essere una delle due strutture industriali del Gruppo P., società quotata alla Borsa di Milano – segmento MTA – ed operante principalmente nel settore editoriale. Per il suo Gruppo l’attrice procede alla stampa di riviste periodiche edite internamente, nonché alla stampa di inserti e speciali distribuiti in abbinamento ai quotidiani del Gruppo P. Editoriale. Per conto di terzi, invece, GEP si occupa di ideazione grafica e stampa periodici, cataloghi e materiale pubblicitario utilizzato dalla grande distribuzione organizzata, sostenendo peraltro ingenti costi vivi dato che si onera di fornire ai clienti committenti la carta ed i materiali necessari per la stampa, oltre ai servizi accessori.

La società attrice ha riferito di avere intrattenuto rapporti commerciali, a partire dal 1999, con EM, società editrice di numerose e note riviste periodiche come “La prova del cuoco”, “Sani e belli”, “Turisti per caso”, “Le mie Apps”, “Computer bils” e “A sua immagine”. Nell’interesse di EM, GEP ha svolto l’attività di progettazione grafica e stampa di alcune riviste periodiche.

GEP ha ancora allegato che, nel 2012 e nel 2013, EM aveva accumulato un’ingente esposizione debitoria nei suoi confronti, per l’attività di impaginazione e di stampa dei periodici, oltre alla fornitura della carta necessaria, e che, al fine di acquisire le risorse necessarie per proseguire l’attività economica, nonostante lo stato di insolvenza, gli amministratori avrebbero celato all’esterno il fatto che EM non fosse in grado di pagare quanto le veniva fornito. L’obiettivo sarebbe stato perseguito attraverso la predisposizione di rendicontazioni contabili, rivelatesi alterate, a giudicare dalla proposta di concordato preventivo inaspettatamente avanzata da EM nel mese di dicembre 2013 dal quale sarebbe risultata una perdita “monstre” (così definita dal quotidiano economico “Italia Oggi” del 30/7/2014) di 33,4 milioni di euro.

Nella prospettazione attorea, gli amministratori avrebbero riportato valori inveritieri ed alterati nei bilanci chiusi al 31/12/2011 e al 31/12/2012, quest’ultimo depositato solo poche settimane prima dell’istanza concordataria.

Gli artifizi e i raggiri utilizzati dagli amministratori per occultare nei bilanci lo stato di insolvenza della società sarebbero consistiti nella valorizzazione di un magazzino privo di reale consistenza, nella appostazione in bilancio di crediti fittizi e in particolare del credito verso l’ex distributore P. e nella indicazione di immobilizazioni prive di valore. Tali valorizzazioni sarebbero state infatti apertamente confessate nell’istanza concordataria da cui risulta che EM aveva abbattuto il magazzino di 4,1 milioni di euro, azzerato il credito verso il distributore P. e svalutato le immobilizzazioni per ulteriori 5 milioni.

GEP ha quantificato il danno subito nella somma di € 2.625.691,00 portato dai decreti ingiuntivi esecutivi ottenuti dai tribunali di Cosenza e di Bologna nei confronti di EM, fondati sulle fatture emesse negli anni del 2012 e del 2013; ha specificato che l’esposizione insoluta si è formata tra il 20/9/2012 e il 28/6/2013 e che conseguentemente di essa sarebbero responsabili coloro i quali hanno formato i documenti contabili relativi agli esercizi chiusi al 31/12/2011 e al 31/12/2012. Al danno così determinato si aggiungerebbe quello consistente negli interessi sul debito verso le banche creditrici, quantificabili in € 214.605,75, in ragione del fatto che, non avendo ricevuto i corrispettivi per l’attività svolta nei confronti di EM, non avrebbe potuto rimborsare i finanziamenti assunti.

Sussisterebbe pertanto la responsabilità, ai sensi degli articoli 2394, 2395, 2043, 2449, 2055 e 218 della legge fallimentare, degli amministratori e, ai sensi degli articoli 2407, 2043 e 2055 c.c. dei sindaci, oltre che delle società di revisione che si sono succedute nel periodo considerato, ai sensi dell’art. 2409-bis c.c. per avere indotto GEP, attraverso una falsa rappresentazione della situazione economica e finanziaria della società, a proseguire nelle forniture.

Sulla scorta di tali premesse, GEP ha concluso come sopra riportato.

Si è costituita in giudizio R. Ernst & Young s.p.a. per chiedere il rigetto delle domande attoree.

Si sono costituiti in giudizio anche i dottori A. M., S. L., A. B., F. P., eccependo in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per essere omesso o incerto il requisito di cui all’art. 163, terzo comma, n. 4, c.p.c.; nel merito, hanno chiesto il rigetto di tutte le domande svolte da GEP nonché la condanna dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria.

Si sono costituiti pure i convenuti M. Sesti, A., G. G. e s. D., per eccepire in via preliminare l’inammissibilità delle azioni avanzate dalla società attrice ai sensi degli articoli 2394 e 2395 c.c., per essere la prima improponibile nelle ipotesi in cui la società, il cui patrimonio sia stato intaccato dall’azione degli amministratori, sia sottoposta – come nella specie – al procedimento di concordato preventivo omologato; la seconda per la mancata allegazione, da parte della società attrice, del danno che le condotte degli amministratori avrebbero direttamente provocato al suo patrimonio. Ha comunque richiesto, nel merito, il rigetto delle domande attoree.

Si sono costituiti pure i sindaci A. D. e Al. M., chiedendo il rigetto delle domande attoree.

Si è costituita anche PKF Italia s.p.a. per chiedere, in via preliminare, il rigetto delle domande attoree. La società ha pure eccepito il concorso di colpa della GEP ed ha richiesto pertanto la riduzione del danno eventualmente risarcibile nella misura non inferiore al 30% e comunque non inferiore al 18,50% corrispondente alla percentuale di credito insoluto vantato da GEP nei confronti di EM da soddisfarsi all’esito della procedura di concordato preventivo. Ha chiesto un’ulteriore riduzione del 22% corrispondente all’IVA applicata da GEP sulle fatture insolute che dovrà essere recuperata all’esito della procedura di concordato preventivo ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/1972. In via riconvenzionale, ha inoltre domandato la condanna degli amministratori, dei sindaci e della precedente società di revisione R. Ernst & Young s.p.a. a rimborsare in suo favore le somme che fosse condannata a pagare a GEP in forza della emananda sentenza. In via subordinata ha infine avanzato domanda di garanzia nei confronti degli Assicuratori dei Lloyd’s in virtù della polizza assicurativa in atti.

A seguito della tempestiva costituzione in giudizio dei convenuti A. M., A. B., S. L. e PKF Italia s.p.a. che hanno domandato di essere autorizzati a chiamare in causa i primi tre la compagnia assicuratrice Chubb Insurance Company of Europe S.E. e l’ultima gli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra, previo spostamento della prima udienza di comparizione delle parti, la causa, iscritta al n. 5435/2014 R.G.A.C. ed assegnata al dott. Luca Nania, è stata rinviata all’udienza del 29/9/2015 con onere, a carico dei convenuti richiedenti, di chiamare in giudizio le rispettive compagnie assicuratrici.

A seguito della notificazione dell’atto di citazione per la chiamata in causa del terzo, si sono costituiti in giudizio gli Assicuratori dei Lloyd’s eccependo in via preliminare l’incompetenza del tribunale adito in favore del collegio arbitrale in forza della clausola n. 19 delle Condizioni speciali di assicurazione, l’incompetenza per territorio in favore del tribunale di Milano, in virtù della clausola XI delle Condizioni generali di Assicurazione come. In via subordinata e nel merito hanno rassegnato le conclusioni in epigrafe riportate.

I convenuti A. M., A. B., S. L., sebbene autorizzati, non hanno per contro provveduto a citare in giudizio la propria compagnia assicuratrice, alla cui chiamata in causa hanno espressamente rinunciato all’udienza del 29/9/2015.

In data 13/4/2015 GEP ha peraltro depositato un’istanza con cui ha dedotto l’omessa notifica dell’atto di citazione al dott. R. R. stante l’irreperibilità del destinatario e ha chiesto di essere autorizzata alla rinnovazione della vocatio in ius, sfruttando il termine a comparire già assegnato in seguito al rinvio ex art. 269 c.p.c. Il giudice, con provvedimento del 5/5/2015, ha autorizzato la richiesta.

A seguito della rinnovazione della citazione, si è costituito in giudizio anche il dott. R. A. R., eccependo in via preliminare la nullità dell’atto di citazione per essere omesso o incerto il requisito di cui all’art. 163, terzo comma, n. 4, c.p.c.; nel merito, hanno chiesto il rigetto di tutte le domande svolte da GEP nonché la condanna dell’attore al risarcimento dei danni per lite temeraria.

All’udienza 29/9/2015, previa dichiarazione della contumacia dei convenuti F. P. e G. B., il tribunale ha concesso alle parti i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.

Sennonché, a seguito di apposita istanza avanzata dal difensore della società attrice finalizzata ad ottenere la revoca della dichiarazione di contumacia del convenuto F. P., il tribunale ha revocato l’ordinanza emessa all’udienza del 29/9/2015 nella parte in cui ha dichiarato la contumacia di F. P. e concesso i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.

A seguito della rinnovazione della citazione, si è pertanto costituito anche il dott. F. P., per chiedere la reiezione delle domande attoree e la condanna di GEP per lite temeraria.

In data 11/5/2016 si è costituito in giudizio anche il dott. G. B., chiedendo, in via principale, il rigetto integrale delle domande attoree e, in via subordinata, il riconoscimento del proprio diritto di agire in regresso nei confronti degli altri convenuti responsabili in solido, ciascuno per la quota di responsabilità su di essi ricadente.

All’udienza del 24/5/2016, davanti al g.o.t., per intervenuto trasferimento ad altro ufficio del magistrato precedentemente designato, i convenuti hanno insistito nelle proprie difese e richiesto nuovamente la concessione dei termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.

Il g.o.t., ritenuta la propria incompetenza tabellare, ha rimesso gli atti al presidente di sezione, che ha designato quale giudice istruttore della causa lo scrivente magistrato, che - con decreto del 6/6/2016 - ha fissato, per la prosecuzione del giudizio, l’udienza del 10/11/2016.

In data 5/10/2016 il dott. A. D. si è nuovamente costituito in giudizio mediante il deposito di un atto denominato “comparsa di risposta” con cui ha chiesto, in via preliminare, di differire l’udienza per essere autorizzato a chiamare in manleva la propria compagnia assicuratrice, sempre insistendo, nel merito, per il rigetto integrale delle domande attoree.

Con provvedimento reso a scioglimento della riserva assunta nell’udienza del 10/11/2016, il giudice ha rigettato la richiesta di chiamata in causa della compagnia assicuratrice Lloyd’s tardivamente avanzata dal dott. A. D., già ritualmente costituito in giudizio, ed ha assegnato alle parti i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 10/4/2017, fissata per la decisione sulle richieste istruttorie avanzate dalle parti, il tribunale, alla luce della complessità della causa e della astratta idoneità a definire la controversia delle eccezioni sollevate dalle parti in via preliminare, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 14/9/2017, all’esito della quale ha rimesso la causa al collegio per la decisione, previa assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

 

2. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di nullità dell’atto di citazione avanzata da alcuni dei convenuti.

Per costante insegnamento giurisprudenziale, “In tema di azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, l’atto di citazione deve essere caratterizzato da adeguata determinazione dell’oggetto del giudizio, dovendo esso indicare espressamente tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, con espresso riferimento alla violazione dei doveri legali e statutari, nel rispetto del disposto dell’art. 163, terzo comma, n. 3 e 4, c.p.c. Tuttavia, perché sussista la nullità dell’atto di citazione ex art. 164, quarto comma, c.p.c. è necessario che tali elementi risultino incerti ed inadeguati a tratteggiare l’azione, in quanto l’incertezza non sia marginale o superabile, ma investa l’intero contenuto dell’atto” (cfr. cass. n. 28669/2013).

Nella specie, deve escludersi la mancanza o comunque l’inadeguatezza degli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità esercitata dalla società attrice, per avere quest’ultima indicato i periodi in cui ciascuno dei convenuti ha ricoperto la carica e le condotte, individuali od in concorso, imputate.

D’altronde tutti i convenuti, ivi compresi quelli che hanno eccepito la nullità dell’atto introduttivo, hanno ampiamente articolato le proprie difese rispetto alle richieste formulate dalla società attrice, con una condotta processuale del tutto incompatibile con la eccepita nullità.

Per completezza si rileva che la stessa corposità e analiticità delle difese articolate da tutte le parti evidenzia, oltre ogni dubbio, come esse siano state in grado di comprendere le allegazioni dell’attrice e di svolgere tutte le argomentazioni ritenute rilevanti.

 

3. Le difese di alcuni convenuti hanno preliminarmente eccepito, con ampie argomentazioni, l’inammissibilità ovvero l’improcedibilità dell’azione instaurata da parte attrice nei loro confronti, ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c., assumendo che la stessa non potrebbe essere articolata nei riguardi di organi sociali che hanno operato per la EM, sottoposta, a far data dal 20/12/2013, alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, omologato con provvedimento del tribunale di Cosenza in data 21/1/2015.

Nella prospettazione dei convenuti, una volta che la società attrice sia stata soddisfatta nella misura stabilita con il concordato, il credito dalla stessa vantato dovrebbe considerarsi estinto. Di conseguenza, essa non potrebbe più esperire l’azione di cui all’art. 2394, alla quale sono legittimati appunto solamente i creditori sociali.

I convenuti muovono peraltro dal presupposto che, atteso l’effetto vincolante della procedura, sia per i creditori consenzienti, che per quelli dissenzienti, e in considerazione dell’effetto esdebitatorio che ne deriva, si dovrebbe ritenere che, qualora si ammettesse che il singolo creditore vincolato dall’accordo concordatario, possa poi azionare un giudizio di contenuto risarcitorio nei riguardi dei singoli amministratori della società, si avrebbe la conseguenza, del tutto ingiustificabile, che, all’esito di una azione eventualmente vittoriosa, venga alterato il principio della par condicio creditorum, con locupletazione di un singolo creditore rispetto alla percentuale di soddisfacimento concordata in sede di procedura concorsuale per tutti i creditori in analoghe condizioni.

Le difese hanno ulteriormente evidenziato come la posizione degli amministratori in una società di capitali non possa essere in alcun modo assimilata a quella di coobbligati ovvero di fideiussori della stessa, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 184 l. fall., in virtù del principio della distinta soggettività giuridica dell’una e degli altri, non residuando spazio di sorta neppure per l’applicazione nel caso di specie della clausola di salvezza della stessa disposizione.

Analoghe conclusioni sono state, quindi, prospettate dalle difese affrontando il tema secondo un differente percorso argomentativo, al di fuori dell’ambito specifico della procedura concorsuale, facendo riferimento alla natura dell’azione di cui all’art. 2394 c.c. prospettata da parte attrice, da ritenersi di indubbia valenza surrogatoria, ai sensi della previsione di cui all’art. 2900 c.c.

Ritiene il collegio di non poter condividere le pur pregevoli e articolate argomentazioni svolte dalle difese convenute.

E invero, per come osservato dalla più recente giurisprudenza di merito, è vero, da un lato, che l’art. 184 l. fall. sancisce il principio della natura vincolante del concordato preventivo concluso, affermando l’effetto esdebitatorio per i creditori della procedura medesima e la conseguente operatività del concordato alla stregua di un pactum de non petendo di natura privatistica ovvero, secondo alcuni, con una permanente natura anche pubblicistica (con le sole eccezioni ricomprese nella medesima disposizione con riferimento alla posizione dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso); è anche vero però che l’efficacia vincolante indicata, idonea a rendere inesigibile l’originario maggior credito, senza peraltro novarlo, non possa essere utilmente invocata qualora l’iniziativa assunta dal creditore concordatario si fondi su un differente titolo e sia finalizzata al risarcimento, non già nei riguardi della stessa società in concordato preventivo, ma nei confronti di un soggetto diverso da essa, quale è il singolo amministratore, che è del tutto estraneo rispetto ai soggetti tra i quali è intervenuto l’accordo concordatario (cfr. trib. Piacenza, 12 febbraio 2015).

Né pare prospettabile l’assunto secondo il quale, a seguito del concordato, sia venuta meno la qualità di creditore in capo al soggetto che agisca ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c., con conseguente carenza di legittimazione sul punto, dato che il creditore concordatario conserva la sua qualità di creditore al di fuori dell’ambito concorsuale che non estingue il credito originario, come ben si desume dalla previsione dell’ultima parte dell’art. 184 l. fall. che sancisce il diritto del medesimo di agire, comunque, per l’intero, in quanto creditore, nei riguardi dei coobbligati ovvero dei fideiussori.

Il collegio non condivide nemmeno le articolate argomentazioni svolte dalle difese dei convenuti con specifico riferimento alla natura dell’azione proposta ai sensi dell’art. 2394 c.c.

Proprio con riferimento a tale tema, a sostegno della natura autonoma extracontrattuale e non surrogatoria dell’azione in questione appare significativa e dirimente la giurisprudenza della corte di cassazione la quale ha, anche in epoca recente, ribadito l’assoluta autonomia esistente tra la disposizione di cui all’art. 2394 c.c. e quella di cui all’art. 2393 c.c. e ha escluso la natura surrogatoria della prima rispetto alla seconda.

In particolare, la corte ha ribadito come integri addirittura una domanda nuova inammissibile, qualora proposta in corso di causa, la richiesta di risarcimento formulata, oltre che ai sensi della previsione di cui all’art 2393 c.c. anche ai sensi dell’art. 2394 c.c. “in considerazione della diversità delle due azioni di responsabilità, l’una regolata dall’art. 2393 c.c. di natura contrattuale, fondata sull’inadempimento dei doveri imposti agli organi sociali dalla legge o dall’atto costitutivo, l’altra disciplinata dall’art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale, priva di carattere surrogatorio e dotata di un autonomo regime giuridico dell’onere della prova e della prescrizione” (cfr. cass. n. 13765/2007).

La decisione citata ha, in motivazione, evidenziato che “l’affermazione frequente nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le due azioni di responsabilità rispettivamente previste dagli artt 2393 e 2394 c.c. quando sopravvenga il fallimento della società e siano congiuntamente esercitate dal curatore a norma dell’art. 146 L. Fall. costituiscono un’azione unica ed inscindibile, sta solo a significare che il medesimo curatore non potrebbe pretendere di esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita, cui dette azioni concorrono, e significa che l’eventuale mancata specificazione del titolo per il quale il curatore agisce fa presumere che egli abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe tali azioni. Quella espressione non può essere, invece, intesa nel senso della indifferenziazione delle domande proposte dall’organo della procedura ai sensi dell’art 2393 o dell’art 2394. Domande che, pur se ormai accomunate dalla comune legittimazione, continuano ad avere presupposti diversi, il danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, nell’uno caso, l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale nell’altro, e ad essere soggette ad un diverso regime giuridico, non solo per quel che riguarda l’onere della prova, ove si tenga fermo che l’azione di responsabilità dei creditori sociali non ha carattere surrogatorio bensì diretto ed aquiliano, ma anche con riferimento ai termini di prescrizione ed alla loro decorrenza. Non altrimenti si spiegherebbe la pacifica possibilità che, anche in ambito concorsuale, un’azione risulti prescritta e l’altra possa ancora essere utilmente esercitata” (negli stessi termini cfr. cass. n. 10488/1998).

Una volta accertata la natura autonoma dell’azione proposta ai sensi della previsione di cui all’art. 2394 c.c. consegue come il vantaggio che, all’esito della stessa, potrà eventualmente ottenere il creditore non consista semplicemente in un incremento del patrimonio della società, ma in un ristoro diretto per il patrimonio del medesimo creditore, come si desume dalla stessa rubrica dell’art. 2394 c.c.

Esclusa qualsivoglia natura surrogatoria dell’azione di responsabilità dei creditori sociali rispetto all’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c., ne consegue che l’eventuale esito favorevole per il creditore della stessa non potrà comportare un’alterazione della par condicio creditorum dal momento che tale principio attiene alla violazione del riparto dei crediti vantati dai creditori nei confronti della società e non già, come avviene nel caso in esame, al soddisfacimento del singolo creditore per un danno subito ad opera di un soggetto diverso dalla società debitrice, quale è l’amministratore che, tra l’altro, non potrà successivamente neppure agire in via di regresso nei confronti della società da lui amministrata.

All’esito di tutte le valutazioni esposte, pare utile evidenziare come, sia pure talora in maniera solo incidentale ed episodica, già altra giurisprudenza di merito, anche recente, abbia statuito e abbia raggiunto analoghe conclusioni affermando la piena compatibilità ed ammissibilità dell’azione in contestazione nei riguardi di amministratori di società in concordato preventivo (cfr. corte d’appello Brescia, 14 maggio 2014, in motivazione; tribunale Napoli, 25 luglio 2013 in www.ilcaso.it ; tribunale Napoli, ordinanza cautelare 5 luglio 2013; tribunale di Vicenza, ordinanza cautelare 26 luglio 2010; tribunale Bologna, 8 agosto 2002; tribunale Torino, 28 maggio 1997; corte d’appello Milano, 14 gennaio 1992; tribunale Reggio Emilia, 19 giugno 1979).

 

4. Sennonché, pur essendo teoricamente ammissibile, deve escludersi che la domanda avanzata da GEP possa essere qualificata ai sensi dell’art. 2394 c.c. È sufficiente richiamare, al riguardo, il costante insegnamento della giurisprudenza della corte di cassazione secondo cui “In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall.” (cfr. cass. n. 8458/2014; negli stessi termini cfr. cass. n. 6870/2010).

Nel caso di specie, va evidenziato che la società attrice ha dedotto che gli amministratori di EM avrebbero occultato la reale situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, omettendo di evidenziare, nei bilanci relativi agli esercizi chiusi al 31/12/2011 e al 31/12/2012, la perdita del capitale dovuta alla non tempestiva svalutazione e/o rettifica del credito verso il fornitore P., del valore del magazzino e di quello delle immobilizzazioni, unita alla costante ed ingente previsione di oneri pluriennali all’attivo, nonostante gli stessi fossero da tempo insuscettibili di produrre reddito.

E però le condotte lamentate, tutte asseritamente preordinate al consapevole inadempimento delle obbligazioni assunte, non hanno determinato alcuna situazione di insufficienza patrimoniale della società, potendo al limite ritenersi idonee a procurare, sussistendone i presupposti, il denunciato danno diretto al patrimonio della società attrice, indotta a proseguire nel rapporto contrattuale con EM, alla quale ha rinnovato il proprio credito sulla base dei bilanci asseritamente artefatti dagli amministratori.

Sulla base dei fatti dedotti dalla società attrice, la domanda deve essere dunque qualificata ai sensi dell’art. 2395 c.c. E ciò in quanto la lesione del diritto di credito di GEP non deriva dalla insufficienza patrimoniale (a sua volta cagionata dalla illegittima condotta degli amministratori), quale danno riflesso dalla perdita patrimoniale subita dalla società; deve piuttosto ritenersi che, nella prospettazione attorea, la condotta degli amministratori abbia determinato essa stessa un danno immediato e diretto al patrimonio di GEP, provocando una perdita patrimoniale corrispondente alle forniture non pagate.

 

5. Così qualificata l’azione proposta da GEP, appare opportuno soffermarsi, sia pure brevemente, sulla natura della responsabilità diretta dell’amministratore verso i terzi di cui all’art. 2395 c.c., che costituisce la norma di chiusura del sistema codicistico della responsabilità civile degli amministratori di società di capitali.

La norma delinea un sistema di responsabilità volto a tutelare i soci ed i terzi, che si fonda sul presupposto di un pregiudizio arrecato direttamente al patrimonio del singolo senza che da ciò derivi un danno per la società. Infatti, l’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità rispetto all’azione sociale (art. 2393 c.c.) ed a quella dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) è rappresentato dall’incidenza "diretta" del danno sul patrimonio del socio o del terzo: mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio sociale, che incide soltanto indirettamente sul patrimonio dei soci per la perdita di valore delle loro azioni, e l’azione dei creditori sociali mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale in argomento postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società (cfr., ex pluribus, cass., n. 15220/2010; cass. n. 16416/2007; cass. n. 8359/2007; cass. n. 21130/2008).

In altre parole, l’avverbio "direttamente" consente di delimitare l’ambito di esperibilità dell’azione ex art. 2395 c.c., chiarendo che, se il danno lamentato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 2395 c.c., in quanto tale norma richiede che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo.

Peraltro, è da tempo pacifica l’interpretazione dell’avverbio direttamente nel senso di un danno immediato, e non già come "attività svolta direttamente" dall’amministratore, con riferimento alla direzione dell’atto contro un soggetto determinato. La coloritura soggettiva dell’avverbio non trova infatti giustificazioni sistematiche, potendosi l’elemento soggettivo della condotta degli amministratori già ricavarsi dalla qualificazione degli atti come dolosi o colposi. D’altra parte, una diversa interpretazione dell’avverbio qualificante l’atto, non consentirebbe all’art. 2395 c.c. di trovare applicazione in tutte quelle ipotesi in cui non vi sia un rapporto immediato tra l’amministratore ed il soggetto leso. Proprio l’impossibilità di determinare a priori la categoria di soggetti lesi, da cui deriva anche un elemento a favore della natura aquiliana della responsabilità, impedisce di individuare nell’atto una direzione volontaristica che abbia determinato il danno nella sfera patrimoniale del terzo o del socio (cfr. trib. Roma, sez. spec. impr., 5 giugno 2017).

Al contrario, non rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia o meno ricollegabile a un inadempimento della società, né infine che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione pone in evidenza che l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito appunto dall’incidenza del danno (cfr., cass. n. 6558/2011; cass. n. 2251/1998; cass. n. 2850/1996).

È, peraltro, opinione prevalente, in dottrina ed in giurisprudenza, che, data la mancanza di un vincolo contrattuale tra amministratore ed i terzi che esercitino l’azione, l’azione che ne deriva assuma natura extracontrattuale (cfr. cass. n. 15220/2010; cass. n. 6870/2010; cass. n. 4817/1998).

La natura extracontrattuale della responsabilità in argomento non è scevra di conseguenze in ordine al regime probatorio (oltre che in ordine al regime della prescrizione, non rilevante, però, nella fattispecie in esame). Ed infatti, proprio in ragione di tale inquadramento, deve ritenersi che ricade in capo al socio o al terzo che agisca in giudizio al fine di far valere la responsabilità diretta dell’amministratore l’onere probatorio in relazione: alla condotta dolosa o colposa dell’amministratore; all’esistenza di un danno che sia qualificabile, da una parte, come diretto (non potendo esso costituire un mero riflesso del danno subito dal patrimonio sociale) e, dall’altra, come ingiusto; al nesso di causalità che deve intercorrere tra l’attività dell’amministratore ed il pregiudizio causato all’attore.

Con riferimento al primo profilo accennato, merita di essere osservato come la responsabilità non possa essere invocata sulla base delle incidenze negative di scelte gestionali inopportune, dovendosi, al contrario, esigere un fatto illecito, cioè un comportamento (doloso o colposo), che integri la violazione degli obblighi dell’amministratore medesimo, sia di quelli specifici inerenti alla carica, sia di generali stabiliti dall’ordinamento a tutela dei diritti dei terzi (cfr., in questa prospettiva, cass. n. 2394/1997).

In relazione, poi, al profilo soggettivo richiesto dalla norma in argomento, il tribunale rileva come il dolo consiste nella volontà di compiere l’atto illecito senza che sia ulteriormente necessario, ad integrare la fattispecie di responsabilità, che il profilo soggettivo sia concretamente diretto contro un determinato soggetto: il dolo dell’amministratore deve consistere nella consapevolezza dell’obiettiva idoneità dell’atto che si accinge a compiere a cagionare un danno ai naturali destinatari dello stesso e nella volontà di compierlo nonostante la previsione che un tale danno possa concretamente verificarsi. Parallelamente, la colpa, in armonia con i principi generali elaborati in dottrina ed in giurisprudenza, potrà consistere in un comportamento del pari cosciente, ma in cui l’evento pregiudizievole sia indotto non già da premeditazione, quanto piuttosto da negligenza, imprudenza o imperizia.

Appare, conseguentemente, certo che la responsabilità dell’amministratore ex art. 2395 c.c. sorge da un quid pluris rispetto al mero inadempimento contrattuale della società, che è dato proprio dalla manifestazione dell’elemento soggettivo che presiede all’atto compiuto dall’amministratore, traducendosi in un danno che incide sul patrimonio del singolo socio o del terzo.

La giurisprudenza di legittimità, al fine di integrare la responsabilità ai sensi dell’art. 2395 c.c., ha inoltre ritenuto necessaria anche la individuazione di un comportamento che si trovi in relazione di causalità immediata con il danno e che sia essenzialmente ascrivibile al dolo o alla colpa dell’amministratore agente.

In tale prospettiva, è stato, quindi, sottolineato che l’azione concessa dall’art. 2395 c.c. al socio e al terzo presuppone che i danni a questi derivati siano conseguenza di atti dolosi o colposi degli amministratori, che non possono essere ricondotti al mero inadempimento delle obbligazioni della società. In altre parole, se la società è inadempiente per non avere rispettato gli obblighi ad essa derivanti da un rapporto contrattuale stipulato con un terzo, di questi danni risponde la società e soltanto la società (qui il rapporto di immedesimazione organica tra la società e le persone che per essa vogliono e agiscono si manifesta in tutta la sua portata, per cui, come incisivamente si è detto, l’atto dell’amministratore non è atto compiuto per conto della società, ma è atto "della" società); se viceversa, accanto a questo inadempimento sociale, vengono dedotti specifici comportamenti degli amministratori, dolosi o colposi, che di per se stessi abbiano cagionato ai terzi un danno diretto, di questo risponderanno gli amministratori, la cui responsabilità potrà eventualmente aggiungersi - senza sostituirla o sopprimerla - a quella della società per l’inadempimento (cfr., in questi termini, cass. n. 5723/1991; cass. n. 3843/2001; cass. n. 2251/1998 e, da ultimo, cass. n. 15220/2010).

Peraltro, la responsabilità ex art. 2395 c.c. dell’amministratore di società, data la sua natura extracontrattuale, non si estende al danno derivato all’altro contraente dall’inadempimento del contratto stipulato all’esito dell’attività suindicata del quale risponde la società, a titolo di responsabilità contrattuale, ma concerne solo il danno direttamente ricollegabile, con nesso di causalità immediata, ai predetti fatti illeciti dell’amministratore, unicamente di questi ultimi potendosi far carico al medesimo, ai fini del risarcimento del danno all’altro contraente danneggiato (cfr. cass. n. 14/1982).

Sotto il profilo del nesso eziologico (sul quale ci si dovrà soffermare diffusamente infra), deve sin da ora sottolinearsi come l’azione in argomento è data al terzo e al singolo socio esclusivamente nell’ipotesi in cui gli amministratori abbiano cagionato un danno che abbia inciso, in maniera negativa, direttamente sul patrimonio dell’attore. Il nesso di causalità tra l’atto compiuto dall’amministratore ed il danno costituisce elemento indispensabile di cui l’attore, singolo socio o terzo che sia, è onerato di fornire la prova e si sostanza nella riferibilità all’amministratore medesimo dell’atto da cui scaturisce il pregiudizio.

In definitiva, presupposti dell’azione delineata dall’art. 2395 c.c. sono l’evento dannoso, la diretta incidenza di tale evento sul patrimonio del socio o del terzo; la riferibilità dell’evento stesso all’amministratore convenuto o meglio il collegamento causale tra la condotta dell’amministratore e l’evento, il dolo o la colpa dell’amministratore.

 

5.1. Tanto chiarito in punto di diritto, può passarsi ad esaminare la vicenda sottoposta all’attenzione del collegio.

Occorre osservare al riguardo che tutti i dati contabili, economici e finanziari di EM, ivi compresi i bilanci degli anni dal 2009 al 2013, sono stati oggetto di approfondita valutazione da parte dei commissari giudiziali nominati dal tribunale di Cosenza, ai sensi dell’art. 172 della legge fallimentare, nell’ambito del procedimento di concordato preventivo iscritto al n. 22/2013 di quell’ufficio giudiziario. Per come si evince dalla relazione, i commissari giudiziali “hanno svolto attività di verifica volte a fare emergere eventuali condotte poste in essere dalla società al fine di frodare i creditori, ossia atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, di dolosa omissione nella denuncia di uno o più crediti, di esposizione di passività insussistenti o di altri atti di frode da parte del debitore che avrebbero determinato la revoca dell’ammissione al concordato” (v. pag. 9 della relazione).

I commissari hanno proceduto ad effettuare l’esame dei bilanci degli ultimi cinque anni di EM e valutato l’evoluzione delle voci di bilancio più incidenti dal punto di vista patrimoniale, economico e finanziario; circostanza questa che rende superfluo, in questa sede, il ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio. E ciò anche in considerazione del fatto che la proposta concordataria di EM è stata approvata dal ceto creditorio con larghissime maggioranze: per quanto concerne le classi B e D, con il 100% dei voti; per quanto concerne la classe C (quella dei fornitori chirografari non strategici), con l’80,75 % dei voti.

Va rimarcato al riguardo che la società attrice non ha espresso voto contrario alla proposta concordataria e il suo credito è stato computato tra quelli favorevoli alla proposta concordataria (cfr. doc. 2 allegato al fascicolo dei convenuti Sesti + altri); Nell’ambito di questa operazione, i commissari hanno individuato le cause che hanno condotto gli amministratori a rappresentare, nel bilancio chiuso al 31/12/2013, la variazione in diminuzione delle rimanenze dei prodotti in lavorazione, semilavorati e finiti, la svalutazione delle immobilizzazioni immateriali iscritte nello stato patrimoniale e dei crediti verso l’ex distributore P..

Con riguardo alla variazione delle rimanenze, i commissari giudiziali hanno riferito quanto segue: “La voce in esame, costituente una posta del conto economico ricompresa nel valore della produzione, deve necessariamente essere considerata unitamente alla posta patrimoniale di riferimento, inserita nell’attivo circolante, “Rimanenze di prodotti finiti e di merci”, di cui la posta del conto economico ne evidenzia le variazioni positive o negative rispetto all’esercizio precedente.

Il valore delle rimanenze finali esposte nello stato patrimoniale del bilancio chiuso al 31/12/2009, ammonta d € 5.312.212 a seguito di un incremento registrato dalla voce di conto economico dello stesso anno pari ad € 1.485.720. Nell’anno 2010 le rimanenze finali subiscono un’ulteriore incremento pari ad € 556.982 che ne determina una valorizzazione complessiva pari ad € 5.689.194. Nel 2011 si registra un leggero decremento della posta in esame (- 33.562) che assume il valore di € 4.386.629. Il bilancio chiuso al 31.12.2012 evidenzia un ulteriore incremento della posta (+ 454.406) con una esposizione nello stato patrimoniale di un valore delle rimanenze finali pari ad € 6.290.038.

Il bilancio chiuso al 31.12.2013 evidenzia un forte decremento della posta in esame con una variazione in diminuzione pari ad € 4.382.451 che determina l’esposizione nello stato patrimoniale di un valore complessivo per rimanenze finali pari ad € 1.907.588.

Le rimanenze in esame sono rappresentate da prodotti editoriali collezionabili che verranno immessi sul mercato in periodi successivi”.

Nella relazione si legge ancora che “La valorizzazione delle rimanenze finali effettuate al 31.12.2013 dalla Società, pari ad € 1.907.588, viene ritenuta corretta dall’attestatore, Dott. Massimiliano B., il quale nella sua relazione redatta ai sensi dell’art. 161, comma 3 l.f., attesta di “aver provveduto ad esaminare le risposte pervenute dai depositari circolarizzati, rilevando una differenza, tra valore in giacenza indicato dal depositario e valore riepilogato nel tabulato ricevuto dalla società pari ad € 5K”.

I commissari hanno perciò concluso nel senso che “considerata la sostanziale congruità fra le risposte pervenute all’attestatore dai depositari circolarizzati e quanto valorizzato dalla società, è verosimile ritenere che la Edizioni M. abbia provveduto nell’anno 2013 ad effettuare una più attenta valorizzazione delle rimanenze riconducendo il dato ad un valore coincidente con quello di realizzo desumibile dall’andamento del mercato”.

Con riferimento alla svalutazione delle immobilizzazioni, i commissari giudiziali hanno invece specificato che “La posta di conto economico, “Altre svalutazioni delle immobilizzazioni”, inserita nella voce 10) Ammortamenti e svalutazioni è pari a zero nei quattro anni precedenti il 2013, mentre, in quest’ultimo anno presenta un valore pari a € 4.978.306. Ciò evidenzia la forte svalutazione delle immobilizzazioni immateriali iscritte nello stato patrimoniale effettuata dall’Azienda nell’anno 2013”.

I commissari giudiziali hanno precisato che la svalutazione in questione ha inciso su alcune poste specifiche dello stato patrimoniale, individuate mediante l’indagine sul conto patrimoniale “Immobilizzazioni immateriali” interessato dalle modifiche di valore. Il suddetto conto, esposto nell’attivo dello stato patrimoniale dei bilanci relativi agli anni 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013 presenta nel suo complesso un andamento che evidenzia un aumento di valore nei primi tre anni in esame per poi registrare un decremento pari ad € 1.551.771 nell’anno 2012 ed una forte diminuzione nell’anno 2013.

I commissari giudiziali hanno riferito che “L’indagine analitica del conto patrimoniale in argomento, consente di rilevare che negli anni fino al 2012, i decrementi di valore delle poste specifiche componenti il conto generale “Immobilizzazioni Immateriali” sono sostanzialmente dovuti al calcolo annuale delle quote di ammortamento mentre gli incrementi sono stati determinati da investimenti effettuati dalla società”.

Dalla relazione risulta che i conti specifici, costituenti il conto generico “Immobilizzazioni Immateriali”, maggiormente influenzati dalle svalutazioni effettuate nel 2013 sono i “costi di ricerca sviluppo e pubblicità” e “diritti di brevetto industriale e di utilizzo di opere dell’ingegno”.

I commissari giudiziali hanno evidenziato quanto segue: “L’esame analitico dei conti sopra esposti evidenzia che il conto “Costi di ricerca sviluppo e pubblicità” ha subito negli anni presi in esame un incremento complessivo di € 9.369.505 ed un decremento complessivo per ammortamenti pari ad € 9.254.808 indice di una particolare attenzione da parte dell’azienda agli investimenti pubblicitari per il lancio di nuovi prodotti.

Il conto “Diritti di brevetto industriale e di utilizzo di opere dell’ingegno” evidenzia la volontà dell’azienda di resistere alla crisi di mercato, attraverso l’investimento in detta area.

La voce infatti presenta nel periodo in esame un incremento complessivo pari ad € 1.962.861 ed un decremento dovuto agli ammortamenti annuali pari ad € 2.137.637.

Le svalutazioni operate sulle due voci in esame pari rispettivamente ad € - 3.159.203 ed € - 1.605.194, per un importo complessivo di € 4.764.397, costituenti la maggior parte delle rettifiche operate sul conto “Immobilizzazioni Immateriali”, sono state determinate, per come attestato dal Dott. B. nella propria relazione ex art. 161, comma 3 l.f., per il Conto “Costi di ricerca sviluppo e pubblicità” dalla completa svalutazione, avvenuta nel corso dell’anno 2013, del residuo valore ammortizzabile al 31.12.2012 relativo ai costi pubblicitari capitalizzati nel periodo 2009-2012, in relazione alla chiusura di alcune testate, mentre, le svalutazioni inerenti il conto “Diritti di brevetto industriale e di utilizzo di opere dell’ingegno” sono state effettuate nell’anno 20123 in relazione decisione di chiudere siti web e testate, decisione assunta in seguito alle mutate prospettive di utilità economica”.

Con riguardo infine alla svalutazione del credito nei confronti dell’ex distributore P. s.p.a. effettuata nell’anno 2012 i commissari giudiziali hanno evidenziato quanto segue: “La decisione adottata nell’anno in esame, afferente la svalutazione del sopra menzionato credito, è collegata alla risoluzione del contratto con il vecchio distributore avvenuta nel luglio del 2012, che ha spinto la Società ad effettuare un’analisi dei prospetti di liquidazione relativi ai periodi precedenti, deducendone addebiti non dovuti in relazione al rapporto con il distributore.

La società nell’anno 2012 ha ritenuto quindi opportuno evidenziare tali crediti in bilancio, pari complessivamente ad € 2.523.718, svalutandone l’importo del 50%, con un accantonamento a fondo svalutazione crediti di un importo pari ad € 1.261.859, in relazione alla situazione di crisi finanziaria del distributore “P. S.p.A.” confermata dalla presentazione, in data 10/05/2013 presso il Tribunale di Roma, della domanda per l’ammissione al concordato preventivo ai sensi dell’art. 161 comma 6 l.f. A seguito di colloquio intercorso tra i Commissari Giudiziali ed il Liquidatore della Società, risulta che la “P. S.p.A.” ha presentato nel corso dell’anno 2014 integrazione al piano di concordato con la previsione di una percentuale di soddisfacimento migliorativa del ceto chirografario. Attualmente non risulta che il Tribunale di Roma abbia adottato il decreto di apertura della procedura concorsuale.

Nell’anno 2013, la Edizioni M., in relazione al contenzioso instauratosi con il vecchio distributore ha ritenuto congruo effettuare una ulteriore svalutazione prudenziale dei crediti vantati nei confronti della P. S.p.A. per un importo pari ad € 2.614.500, che sommati alla svalutazione degli altri crediti, per un importo complessivo di € 1.510.951 ed alle perdite su crediti pari ad € 152.000 ha determinato l’esposizione a conto economico della voce in esame per un importo complessivo di € 4.277.452.

Le argomentazioni sopra esposte consentono di affermare che l’evoluzione del conto in esame, negli ultimi due esercizi, rispecchia gli eventi che hanno caratterizzato il rapporto con il vecchio distributore “P. S.p.A.”.

Dalla relazione dei commissari giudiziari deve pertanto escludersi che gli odierni convenuti abbiano posto in essere condotte illecite al fine di frodare i creditori. I commissari giudiziali hanno infatti concluso la loro relazione sulle cause del dissesto di EM in questi termini: “Sinteticamente si può concludere che ad aggravare la crisi finanziaria della Edizioni M., oltre a fattori esogeni, hanno inciso, in modo particolare, le scelte gestionali effettuate dal Management aziendale tese ad investire nel settore del Web e della riproduzione dei cd dvd e blu ray dvd, sostenute con un consistente ricorso al capitale di terzi che, non producendo i ritorni economici attesi, hanno creato una forte sofferenza sul piano finanziario ulteriormente aggravata dalla chiusura dei rapporti commerciali con il vecchio distributore P.” (v. pag. 70 della relazione).

 

6. D’altronde, pur volendo ritenere - per mera ipotesi - che gli amministratori abbiano colposamente sovrastimato il valore delle rimanenze o tardato a svalutare il credito nei confronti dell’ex distributore P., ritiene il tribunale che, nel caso di specie, parte attrice non abbia adeguatamente provato il nesso causale tra la condotta degli amministratori (e dei sindaci e delle società di revisione) ed il danno subito e, precisamente, tra la condotta dei suddetti soggetti e la decisione di proseguire nei rapporti commerciali con EM.

Sul punto, occorre meglio specificare il requisito del nesso causale nelle azioni intentate ai sensi dell’art. 2395 c.c.: in tale prospettiva, appare opportuno richiamare quando evidenziato da una recente decisione della corte di cassazione (cfr. cass. n. 5450/2015) emessa in un caso simile a quello per cui è causa avuto riguardo al profilo dell’idoneità di un bilancio non veritiero a determinare l’attività negoziale di un socio o di un terzo.

In particolare, ove il terzo alleghi che la propria volontà negoziale sia stata in qualche modo determinata (alterandola) dal fatto che dai bilanci risultassero circostanze non rispondenti al vero che lo abbiano indotto a concludere il contratto, egli è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l’idoneità di esse a trarlo in inganno (cfr., sul punto, già cass. n. 2685/1989); il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità in argomento, impone infatti un esame rigoroso del nesso causale (cfr. cass. n. 21130/2008), secondo un principio di causalità ancorato al criterio del "più probabile che non".

In altre parole, ben può dunque il bilancio, se non veritiero, essere fonte di responsabilità sia verso i soci e sia verso i terzi in buona fede, tratti in inganno dai dati e dalle risultanze di esso, ove raffiguranti una falsa immagine della situazione economico-patrimoniale della società. Tuttavia, chi si duole della falsità di tali dati e risultanze è tenuto ad allegare, e poi a dimostrare, anche l’idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde è tenuto a fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito amministrativo-contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto ed in conseguenza dell’illecito commesso.

Così, in ipotesi di bilancio contenente indicazioni inveritiere, che si assumano avere causato l’affidamento del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e la decisione del medesimo di porre essere una determinata attività negoziale, il terzo che agisca per il risarcimento del danno avverso l’amministratore che abbia concorso alla formazione del bilancio asseritamente falso è onerato di provare non soltanto tale falsità, ma anche, mediante qualsiasi mezzo di prova, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno.

Peraltro, come è stato messo in evidenza dalla dottrina, per affermare la responsabilità degli amministratori e dei sindaci, è pur sempre necessario che il socio o il terzo non fossero in grado, utilizzando l’ordinaria diligenza, di conoscere le effettive condizioni patrimoniali ed economiche della società.

Deve, infatti, ritenersi che, pur in presenza di bilanci che non rappresentino correttamente la effettiva situazione patrimoniale della società, sia esclusa una responsabilità risarcitoria degli amministratori ove la situazione patrimoniale effettiva fosse facilmente conoscibile aliunde. In tale caso, infatti, viene meno il necessario nesso di causalità tra la condotta colposa degli amministratori e il pregiudizio patito dal socio o dal terzo. Questi, dunque, non avranno accesso alla tutela risarcitoria qualora siano addivenuti alla conclusione del negozio senza usare la diligenza minima necessaria.

 

6.1. Tanto chiarito in punto di diritto, in relazione al presupposto in esame, giova subito evidenziare che, alla luce dei principi ora esposti, l’esistenza del nesso eziologico non può essere ricavata, immediatamente e direttamente, dall’accertato inadempimento degli amministratori nel valutare la situazione economica e finanziaria della società. Deve, infatti, indagarsi circa l’idoneità di quell’inadempimento a modificare il comportamento dell’odierna attrice.

Tanto si desume dai seguenti elementi:

- GEP è un partner storico di EM, risalendo i rapporti commerciali fra le due società al 1999: deve pertanto presumersi che la situazione finanziaria di EM fosse ben nota a GEP;

- l’accordo di fornitura del 7/3/2012, che costituisce il contratto che ha dato luogo alla maggior parte dei crediti di GEP rimasti insoddisfatti e per cui è causa, è stato concluso in data precedente alla pubblicazione, alla approvazione e persino alla redazione del bilancio 2011 di EM, che la società attrice assume essere inveritiero;

- non è in contestazione la circostanza – ammessa dallo stesso consulente di parte attrice – che sino al mese di giugno 2012 tutte le posizioni di credito di GEP nei confronti di EM sono state soddisfatte (v. pag. 140-141 della relazione del prof. P. allegata sub doc. 16 al fascicolo di parte attrice);

- nella relazione sulla gestione allegata al bilancio chiuso al 31/12/2011 è stata espressamente inserita l’annotazione che la società avrebbe potuto non essere in grado di poter proseguire ordinariamente nella propria attività di impresa, sussistendo “profili di incertezza derivanti dall’aleatorietà connessa alla realizzazione di eventi futuri”- tali da “comportare effetti negativi sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della Società e delle sue controllate, con riflessi sui criteri di valutazione di alcune poste dell’attivo tra cui le immobilizzazioni immateriali ed i crediti per imposte anticipate che potrebbero esprimere un diverso valore di recuperabilità” - che facevano “sorgere dubbi significativi sulla capacità della Società di continuare ad operare in base al presupposto della continuità aziendale” (v. doc. 6 allegato al fascicolo di parte attrice);

- sul bilancio 2011 di EM è stata emessa una prima relazione, in data 24/4/2012, da parte della società di revisione Ernst & Young s.p.a. contenente l’impossibilità di esprimere un giudizio per errori sul bilancio e per l’impossibilità di svolgere verifiche complete su alcune voci; tale relazione, dopo che la società ha apportato alcune modifiche al bilancio e consegnato alla società di revisione la maggior parte dei documenti non consegnati in precedenza, è stata sostituita da una seconda relazione, datata 23/5/2012, che conteneva eccezioni relative ad alcune poste di bilancio ed un richiamo d’informativa sui rischi di continuità aziendale, nel quale si sottolineava (per come riferito anche dal consulente di parte attrice al punto 6.1.5. del suo elaborato: l’esistenza di una perdita di esercizio e di una posizione finanziaria netta negativa, il mancato rispetto di parametri finanziari previsti da un contratto di finanziamento di importo residuo di circa € 3 milioni, di cui € 1.100 mila iscritti tra i “debiti verso banche con scadenza entro 12 mesi”; il mancato pagamento di alcune rate di mutui; il mancato pagamento di debiti tributari e previdenziali scaduti solo in parte liquidati nei primi mesi del 2012; l’avvenuta predisposizione di un nuovo P. industriale; nella relazione si è dato altresì atto che, per come evidenziato dagli amministratori, “gli obiettivi previsti nel P., seppur ritenuti ragionevoli, presentano profili di incertezza e fattori di rischio, anche a causa dell’aleatorietà connessa alla realizzazione di eventi futuri. L’eventuale mancata attuazione, anche solo in parte, di alcuni degli obiettivi potrebbe comportare effetti negativi sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della Società, con immediati riflessi sulla recuperabilità di alcune significative poste dell’attivo. Gli amministratori evidenziano la presenza di incertezze che possono far sorgere dubbi significativi sulla capacità della Società di continuare ad operare sulla base del presupposto della continuità aziendale”;

- nonostante le perplessità desumibili dalla relazione di gestione e da quelle predisposte dalla società di revisione Ernst & Young s.p.a. rispetto al bilancio chiuso al 31/12/2011, GEP ha stipulato in data 11/12/2012 un nuovo contratto di fornitura relativo a tutto il 2013, oltre ai tre autonomi ordinativi commissionati rispettivamente il 17 dicembre 2012, il 29 gennaio 2013 ed il 14 febbraio 2013;

- nessuna incidenza può avere avuto sulla determinazione a contrarre di GEP il bilancio chiuso al 31/12/2012, approvato in data 31/5/2013, visto che l’ultimo accordo di produzione stipulato con EM risale all’11/12/2012 e l’ultimo dei tre autonomi ordinativi di pagamento successivi a tale accordo reca la data del 14/2/2013;

- GEP ha continuato ad effettuare forniture in favore di EM (e a maturare altri crediti verso la stessa) fino al mese di giugno 2013, sebbene EM avesse smesso di provvedere al tempestivo pagamento dei crediti maturati da GEP a partire già dal gennaio 2013.

Ebbene, tali circostanze dovevano rendere edotta GEP della necessità di compiere ulteriori approfondimenti prima di procedere alla stipulazione degli accordi di produzione e degli ordinativi di pagamento, anche in considerazione del fatto che la relazione di gestione allegata al bilancio chiuso al 31/12/2011 e quelle redatte a cura della società di revisione Ernst & Young s.p.a. avrebbero giustificato l’avvio da parte di GEP di un approfondimento sulle condizioni economiche-finanziarie di EM.

In definitiva, deve necessariamente concludersi che GEP sia addivenuta alla conclusione degli accordi sulla base di valutazioni che prescindono dai risultati dei bilanci di EM chiusi al 31/12/2011 e al 31/12/2012: ma tale circostanza preclude l’accesso dell’attrice alla tutela risarcitoria.

Segue il rigetto della domanda attorea.

 

7. Le statuizioni che precedono assorbono e, ovviamente, rendono superflua la delibazione delle ulteriori questioni e domande svolte dalle parti, e, segnatamente, quelle attinenti ai rapporti tra la compagnia assicuratrice chiamata in causa e la rispettiva assicurata convenuta.

 

8. Va, infine, rigettata anche la domanda proposta dai convenuti di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

Come è noto, l’accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.c., per avere la controparte processuale agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo dell’illecito (mala fede o colpa grave) sia dell’elemento oggettivo (entità del danno sofferto). Ne consegue che, ove dagli atti del processo non risultino elementi obiettivi dai quali desumere la concerta esistenza del danno, nulla può essere liquidato a tale titolo, neppure ricorrendo a criteri equitativi (cfr. cass. n. 12422/1995).

Inoltre, la condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo anche che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi (cfr. cass. n. 15629/2010).

Orbene, nel caso di specie non risulta dimostrato il suddetto elemento soggettivo, nonché il danno subito dalla controparte in relazione all’esperimento del presente giudizio.

 

9. Quanto al regolamento delle spese, la complessità delle questioni trattate e il rigetto delle preliminari eccezioni sollevate da alcuni dei convenuti, ne giustificano la compensazione per la metà. Le spese vengono liquidate come in dispositivo sulla base dei valori medi di cui al d.m. n. 55/2014, per lo scaglione corrispondente al valore del giudizio, diminuiti fino al 50% per le fasi di studio, introduttiva e decisionale e fino al 70% per la fase di trattazione, tenuto conto del carattere sostanzialmente preliminare dei motivi posti a fondamento della presente decisione, nonché del ridotto numero delle attività difensive espletate in corso di causa.

Si precisa che parte attrice deve procedere alla refusione delle spese del giudizio anche nei confronti dei terzi chiamati atteso l’orientamento giurisprudenziale, del tutto condivisibile, secondo il quale le spese sostenute dal terzo chiamato in causa su istanza di parte o d’ufficio, quando non ricorrano giusti motivi per la compensazione, sono legittimamente poste a carico dell’attore soccombente, a nulla rilevando che questi non abbia formulato domanda alcuna nei confronti dello stesso terzo evocato in giudizio (cfr. cass. n. 7674/2008; negli stessi termini cass. n. 5262/2001).

Con riguardo alla posizione dei cinque convenuti assistiti dagli avvocati Augusta Ciminelli, Luigi Romanzi e G. Iannello, la sostanziale coincidenza delle difese giustifica un compenso unico, in virtù dell’insegnamento della corte di cassazione secondo cui “In tema di liquidazione delle spese del giudizio, in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale e costituiti con lo stesso avvocato, è dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dagli artt.

4 e 8 del d.m. n. 55 del 2014 (salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate dalla prima delle disposizioni citate), senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi (art. 4 del d.m. cit.), né che le predette parti abbiano nominato, ognuna, anche altro (diverso) legale, in quanto la "ratio" della disposizione di cui all'art. 8, comma 1, d.m. n. 55 del 2014, è quella di fare carico al soccombente solo delle spese nella misura della più concentrata attività difensiva quanto a numero di avvocati, in conformità con il principio della non debenza delle spese superflue, desumibile dall'art. 92, comma 1, c.p.c.” (cfr. cass. n. 17215/2015).

 

P.Q.M.

Il tribunale di Catanzaro, sezione specializzata in materia di impresa, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza eccezione e difesa disattese e respinte:

- rigetta la domanda attorea;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di M. Sesti, A., G. G. e s. D., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 27.852,00, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti la restante metà;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di A. R. R., F. P., A. M., S. L. e A. B., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 27.852,00, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti la restante metà;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di G. B., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 27.852,00, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti la restante metà;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di A. D. e Al. M., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 27.852,00, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti la restante metà;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di PKF Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 31.251,00 (di cui € 3.399,00 per esborsi ed € 27.852,00 per compensi professionali), oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore degli avvocati Alberto Roda, Norman Regis e Paola Garofalo, compensando fra le parti la restante metà;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di Ernst & Young s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 27.852,00, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti la restante metà;

- condanna Grafica Editoriale Printing s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento della metà delle spese di lite in favore di Assicurazioni dei Lloyd’s, in persona del legale rappresentante p.t., che liquida, complessivamente e per l’intero, nella somma di € 27.852,00, oltre al rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti la restante metà.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 28 marzo 2018.