Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19999 - pubb. 21/06/2018

Revocatoria della vendita quando il prezzo ricavato sia stato utilizzato per pagare un creditore privilegiato

Cassazione civile, sez. VI, 14 Maggio 2018, n. 11652. Est. Terrusi.


Azione revocatoria - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - "Eventus damni" - Oggetto - Lesione della "par condicio creditorum" - Presunzione legale assoluta - Fattispecie



Ai fini della revoca della vendita di beni effettuata dall'imprenditore successivamente fallito, l' "eventus damni" è "in re ipsa" e consiste nel fatto stesso della lesione della "par condicio creditorum", ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'uscita del bene dalla massa a causa dell'atto dispositivo; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall'imprenditore per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito da ipoteca) non esclude la possibile lesione della "par condicio", né fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale era stata accolta l'azione revocatoria relativa ad un patto di futura vendita annesso ad un contratto di locazione di immobili oggetto di ipoteca a favore di istituti di credito). (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente -

Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -

Dott. MARULLI Marco - Consigliere -

Dott. TERRUSI Francesco - rel. Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

che:

la curatela del fallimento di (*) s.r.l. conveniva la B. Distribuzioni s.r.l. avanti il tribunale di Nola con azione revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1, o in subordine ex art. 67, comma 2, stessa legge, di un contratto di locazione di immobili con annesso patto di futura vendita;

l'azione revocatoria veniva accolta "per la parte concernente il solo patto di futura vendita";

la corte d'appello di Napoli, adita con gravame della società, confermava la sentenza ritenendo, in sintesi, che il patto di futura vendita aveva alterato l'originario assetto negoziale e che dunque l'operazione doveva considerarsi ricadente in periodo sospetto;

aggiungeva che correttamente era stata dal tribunale ravvisata la sproporzione tra le prestazioni, tenuto conto del confronto tra i prezzi contrattuali e i valori di iscrizione a bilancio degli immobili oggetto di locazione con patto di futura vendita, e che tale giudizio era stato supportato dalla c.t.u.;

inoltre, per quanto essendo gli immobili risultati oggetto di ipoteca in favore di alcuni istituti di credito, l'esistenza del pregiudizio per la massa era da considerare sussistente, operando la afferente presunzione assoluta con conseguente sussistenza altresì dell'interesse ad agire in revocatoria; difatti non era stata eccepita e provata la concreta e attuale esistenza di un debito gravante sul venditore del quale dovesse rispondere l'acquirente del bene ipotecato ai sensi dell'art. 602 c.p.c. e in ogni caso non era stato dedotto che i cespiti fossero stati assoggettati a esecuzione da parte di creditori fondiari ovvero alienati in sede esecutiva a un prezzo inferiore a quello dei crediti vantati dai mutuatari fondiari;

la società B. Distribuzione ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi, al quale la curatela ha replicato con controricorso e memoria.

 

che:

il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, per essere l'impugnata sentenza una sorta di fotocopia della prima) è manifestamente infondato, dal momento che quella in esame non è una sentenza motivata per relationem;

la corte d'appello ha esaminato i profili di doglianza semplicemente ritenendoli infondati alla stregua di argomentazioni conformi a quelle del primo giudice; il che è certamente consentito senza determinazione di nullità di sorta;

va ribadito che nel processo civile la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, "atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d'imparzialità del giudice, al quale non è imposta l'originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive" (Cass. Sez. U n. 642-15);

il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 41 T.u.b., della L. Fall., art. 67, n. 1 e dell'art. 100 c.p.c.) è inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c.;

il motivo pone la questione dell'esistenza o meno dell'interesse ad agire in revocatoria fallimentare quando il bene sia gravato da ipoteca in ragione di mutui fondiari: si sostiene che se il bene andasse all'asta dovrebbe ricavarsi una somma volta in primo luogo a soddisfare i creditori ipotecari e solo dopo gli altri, eventualmente tutelati dall'azione revocatoria, mentre nella specie il ricavato della vendita non sarebbe sufficiente a coprire neppure i crediti ipotecari;

il ragionamento in generale contrasta con quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte e in ogni caso non tiene conto dell'essere la fattispecie in esame correlata alla revocatoria di un patto di futura vendita;

è stato chiarito che ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall'imprenditore poi fallito l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'uscita del bene dalla massa conseguente all'atto di disposizione; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia poi utilizzato dall'imprenditore per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito da ipoteca) non esclude la possibile lesione della par condicio, nè fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poichè è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi (v. Cass. Sez. U n. 7028-06);

tale orientamento rende ragione della ritenuta esistenza, nel caso di specie, dell'interesse ad agire e determina l'assorbimento di ogni questione sul punto;

le spese processuali seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2018.