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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/01/2017 Scarica PDF

Amministrazione del fondo patrimoniale e diritti della prole: il ruolo nevralgico dell'autorità giudiziaria

Gabriele Mercanti, Notaio


Sommario: 1. Introduzione. - 2. La tutela dei figli minori nell’impostazione “classica” - 3. Il cambio di prospettiva costituito dal riconoscimento dell’interesse proprio dei figli - 4. Il Tribunale di Milano concretizza il principio dell’interlocuzione. - 5. Considerazioni conclusive.


     

1. Un recente provvedimento del Tribunale di Milano[1], ancorchè stringato nella sua stesura materiale, rappresenta un interessante approccio al complesso e tormentato tema del rapporto tra il vincolo derivante dal fondo patrimoniale e gli atti dispositivi aventi ad oggetto i beni ivi conferiti[2].

Una richiesta da parte di due genitori, con un figlio minore, di autorizzazione alla vendita di un appartamento con posto auto - la cui quota indivisa di 1/3 risultava essere stata precedentemente destinata in un fondo patrimoniale – ha costituito, quindi, l’occasione per il Giudice adito di solcare alcuni temi sui quali tradizionalmente la volontaria giurisdizione è chiamata ad esprimersi.

E’, infatti, noto come il laconico dettato dell’art. 169 c.c. – in forza del quale “Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione[3], non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare[4] beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente” – nella prassi non sia stato di per sé sufficiente a dissipare le incertezze operative ingenerate dalla sussistenza del vincolo destinatorio in questione nel nostro sistema generale[5].

 

2. Se inequivocabile è sempre stata la funzione del fondo patrimoniale, cioè quella legalmente riconosciutagli dall’art. 167 c.c. di “far fronte ai bisogni della famiglia[6], è - invece - da sempre discussa (ed irrisolta?) l’enucleazione del delicato punto di equilibrio fra detta funzione e l’altrettanto meritevole principio immanente al nostro Ordinamento dell’autonomia negoziale. Illusorio è ricercarlo nel dettato letterale del cit. art. 169 c.c.: esso, infatti, da un lato sembrerebbe elevare ad arbitro di tale contrasto l’Autorità Giudiziaria – imponendo un’autorizzazione preventiva al compimento degli atti ivi indicati concedenda solo ove sia rinvenibile una necessità o utilità evidente (della famiglia) – ma dall’altro parrebbe “delegittimarlo” attraverso la concessione ai coniugi della facoltà di poterlo surrettiziamente bypassare grazie ad una clausola ad hoc inseribile nell’atto istitutivo del fondo patrimoniale[7].

Infatti, in seno all’interpretazione di tale norma si contrappongono plurime visioni - artatamente fondate in apparenza sul dato letterale dell’art. 169 c.c. – ma senza che, con sufficiente grado di attendibilità, paia rinvenibile il tanto rassicurante orientamento prevalente.

E così per un primo filone, che per mera comodità riassuntiva ci si permette di definire “pubblicistico”, le deroga negoziale alla propedeutica autorizzazione del Tribunale non sarebbe consentita ove (o finchè) vi siano figli minori[8]. Tale assunto si fonderebbe su una lettura “topografica” dell’art. 169 c.c. tale per cui nel momento in cui esso fa riferimento all’espresso consenso dei costituenti, lo farebbe esclusivamente in collegamento con la prima parte dell’articolo medesimo ove è collocato il richiamo al necessario consenso di entrambi coniugi[9]. Quindi: si potrebbe derogare al principio del necessario consenso congiunto, ma non a quello dell’intervento giudiziale in presenza di figli minori.

Una variante speculare e simmetrica dell’orientamento di cui sopra sostiene, inversamente, la derogabilità della necessarietà dell’autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori, ma non quella del consenso congiunto[10].

Per altro orientamento, che – invece – ci si consenta di etichettare come “liberale”, la possibilità di deroga negoziale sarebbe di ampia portata e, quindi, riferibile tanto alla previsione di consenso congiunto da parte dei coniugi quanto a quella di intervento preventivo dell’Autorità Giudiziaria[11]. Ed ancora una volta a sostegno della tesi viene portato l’art. 169 c.c. che – facendo riferimento nel solo suo incipit alla diversa volontà pattizia – dovrebbe avere una portata estensibile a tutto l’intero disposto della norma medesima[12]. Quindi: si potrebbe derogare ad entrambi i principi[13].

Di tale quadro interpretativo, a colui che come un novello Diogene di Sinope si approcciasse alla tematica, non resterebbe che prenderne malinconicamente atto.

 

3. Da questa palude concettuale sembra aver trovato inaspettata linfa vitale la recente - e per certi versi dirompente - pronuncia della Cassazione, sez. I civ., 8 agosto 2014 n. 17811[14]. Tra i tanti punti toccati dalla pronuncia in commento, spicca un evidente cambio di prospettiva rispetto all’angusto dibattito – sommariamente esposto nel precedente paragrafo – tra preminenza dell’interesse pubblico su quello privato e viceversa. Gli Ermellini, infatti, partendo da una problematica notoriamente controversa quale la legittimità dello scioglimento consensuale del fondo patrimoniale in presenza di figli minori, ne ammettono sì la tendenziale ammissibilità, ma attribuiscono un ruolo particolarmente pregnante ai figli medesimi. Questi, infatti, non sono più spettatori inerti del contrasto tra tesi “liberale” e tesi “pubblicistica”, ma sono elevati - dalla pronuncia citata - a portatori di un proprio diritto soggettivo in ordine alla consistenza lato sensu del fondo medesimo. Posto, allora, che il fondo patrimoniale fa nascere sui beni ivi conferiti un vincolo di destinazione teleologicamente preordinato al soddisfacimento dei bisogni familiari, diventa un’esigenza insopprimibile attribuire ai figli un ruolo attivo nella “gestione” di questo vincolo di destinazione: la famiglia nella sua globalità diventa, così, la stella polare di riferimento nelle dinamiche giuridico-economiche che coinvolgono i beni destinati ed, a maggior ragione, non può più prescindersi dal ruolo che in detto orizzonte rivestono i soggetti maggiormente deboli quali i figli minori. Questo riconoscimento di titolarità di un diritto soggettivo in capo ai figli minori, pare rimescolare le carte rispetto al passato: non ha più senso incaponirsi su interpretazioni letterali più o meno audaci del più volte cit. art. 169 c.c., in quanto nel contesto del fondo patrimoniale i figli minori avrebbero già una tutela propria ed in re ipsa garantita dall’ordinamento. Questa tutela, secondo i Giudici del Palazzaccio, si estrinseca nel loro diritto di “interloquire sulle opzioni operative effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni facenti parte del fondo”, diritto che - come inevitabile che fosse ma comunque precisato dalla citata pronuncia - non può certo essere paralizzato dalla generalizzata facoltà di deroga negoziale consentita dall’incipit del cit. art. 169 c.c.. Per quanto attiene, però, alle concrete modalità attuative di tale diritto di interlocuzione, il Supremo Collegio nulla ha detto, lasciando dunque all’operatore l’individuazione delle modalità maggiormente confacenti allo scopo; tuttavia, ne è parsa conseguenza ineluttabile l’arrembante discesa in campo del curatore speciale, stante la sussistenza di un conflitto di interesse tra le ragioni del minore (rappresentato) e quelle dei genitori (rappresentanti)[15].

 

4. E’ in questa scia di pensiero, ed in particolare sul sopra citato rivitalizzato diritto del minore nelle dinamiche gestionali del fondo patrimoniale, che si colloca il Decreto del Tribunale di Milano sopra menzionato.

Ancorchè non sia desumibile dalla pronuncia se i ricorrenti avessero chiesto di essere autorizzati ad uno scioglimento consensuale del fondo patrimoniale preordinato ad una vendita dell’immobile ivi conferito o se, invece, avessero presentato un’istanza autorizzativa di vendita[16], il Collegio si allinea al portato della cit. Sentenza Cassazione, sez. I civ., 8 agosto 2014 n. 17811 riportandone tutti i principi cardine e precisamente: che lo scioglimento consensuale del fondo patrimoniale è di per sé ammissibile anche in presenza di figli minori; che i figli, in quanto componenti della famiglia i cui bisogni il fondo patrimoniale è strumentalmente finalizzato, sono portatori di una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti dispositivi in genere; che non possono inficiare quanto detto né la natura gratuita del fondo patrimoniale né le eventuali deroghe convenzionali esercitate dai coniugi sulla base del generale riconoscimento di cui all’art. 169 c.c..

Tuttavia, il Tribunale di Milano riempie uno spazio vuoto lasciato dall’importante dettato della Cassazione come sopra esaminato. Infatti, il Collegio meneghino – peraltro richiamandosi ad una propria precedente pronuncia[17] – detta alcune regole attinenti all’imprescindibile interlocuzione tra i figli ed i genitori in subiecta materia.

La prima regola, se vogliamo in negativo, è quella per cui non necessariamente è ravvisabile un conflitto di interessi tra genitori e figli minori: si ipotizza, allora, che – qualora un siffatto conflitto non esista (ad es., come nel caso di specie, quando “l’operazione negoziale richiesta risponde senz’altro all’interesse preminente della prole”) non si renda necessaria la nomina di un curatore speciale per il minore.

La seconda regola, inevitabile una volta propinata la prima, è che sia l’Autorità Giudiziaria a dover valutare se nel caso di specie il conflitto di interesse sussista in concreto[18].

La terza regola è quella per cui la valutazione dell’interesse del figlio minore può ben essere attuato anche con strumenti diversi rispetto alla nomina di un curatore speciale come ad esempio attraverso il di lui ascolto in seno alla procedura come regolata dall’art. 336 bis c.c.

Dalla sintesi di quanto sopra esposto, il consesso ambrosiano ha accolto il ricorso – autorizzando la vendita – senza né l’intervento di un curatore speciale né l’audizione del minore, fondando la propria decisione sulla palese rispondenza dell’operazione richiesta con l’interesse della prole.

 

5. Il Provvedimento in commento ha certamente il merito di dare un’attuazione concreta alla nuova petizione di principio che, come visto sopra, dovrebbe costituire la ideale dimensione della dialettica genitori-figli nell’amministrazione del fondo patrimoniale. A parere di scrive, tuttavia, resta ancora aggrovigliato nel Decreto in commento il nodo gordiano dell’effettiva portata della soggettivizzazione dell’interesse dei figli minori al mantenimento della consistenza oggettiva del fondo patrimoniale. Se, infatti, il minore deve essere reputato titolare di un vero e proprio diritto di vigilanza in senso lato sull’operato dei genitori, non è del tutto soddisfacente l’idea che - poi - questo delicato compito possa essere “assorbito” tout court dall’istituzionale, se non addirittura paternalistica, funzione della Volontaria Giurisdizione. O meglio, una volta affermato che il minore è titolare di un diritto proprio di interloquire con le scelte genitoriali, si è ormai scoperchiato il famigerato vaso di Pandora, da cui la fatale apertura del procedimento camerale a qualche forma di inevitabile coinvolgimento del minore che, volenti o nolenti, avvicini il rito camerale a quello ordinario. Potrà trattarsi di uno strumento forte come la nomina di un curatore speciale o di uno più sfumato come l’audizione del minore, non sta certo alla scrivente deciderlo, ma pare che - ormai - il solco sia stato inesorabilmente tracciato con la conseguente impossibilità di ignorarne la profondità, essendo vana difesa l’arroccarsi nella sola argomentazione della sussistenza di interesse preminente della famiglia.



[1] Trattasi del Decreto del Trib. Milano, sez. IX civ., del 29 febbraio 2016 consultabile integralmente dal link http://news.ilcaso.it/news_2262/05-01-17/Fondo_patrimoniale.

[2] In questa sede si daranno, quindi, per note le caratteristiche basilari del fondo patrimoniale e così per quanto attiene alla sua struttura tipologica essenziale: a) che trattasi di una convenzione matrimoniale (in quanto è volto a regolare aspetti patrimoniali dell’assetto coniugale), cfr. Cass. Sezioni Unite del 13 ottobre 2009 n. 21658 in Corriere del Merito, 2010, 6, 630 nota di G. Travaglino; b) che trattasi di un patrimonio separato (in quanto i beni che ne fanno parte – pur essendo di titolarità di uno o entrambi i coniugi - non sono soggetti al generale regime di responsabilità debitoria di cui all’art. 2740 c.c.), cfr. Cass. 18 novembre 2011 n. 21494 in Notariato, 2012, 1, 9; c) che trattasi di un patrimonio destinato (in quanto i beni ivi compresi sono soggetti ad una specifica funzione costituita dal soddisfacimento dei bisogni familiari), cfr. Cass. 29 novembre 2000 n. 15297; d) che è soggetto ad un regime di parziale indisponibilità (in quanto, come meglio si dirà anche infra, i coniugi sono soggetti a limitazioni gestionali), cfr. Cass. 6 maggio 2016 n. 9128. Per una capillare panoramica omnicomprensiva sul fondo patrimoniale, vedasi G. Oberto, “Lezioni sul fondo patrimoniale” consultabile integralmente dal link http://www.giacomooberto.com/fondopatrimoniale/lezioni_sul_fondo_patrimoniale.htm.

[3] Sulla reale portata di tale inciso avrà modo di tornarsi successivamente. E’ forse pleonastico ad ogni modo precisare che, nonostante la cit. norma faccia riferimento all’espresso consenso da apporsi nell’ “atto di costituzione”, è fuori discussione che analoga previsione possa essere inserita anche in occasione di una modifica dell’atto costitutivo posto che il fondo patrimoniale, essendo - come detto sopra - riconducibile al novero delle convenzioni matrimoniali, è in ogni tempo modificabile ai sensi del combinato disposto dagli artt. 162 e 163 c.c., così Quesito n. 539-2008/C del Consiglio Nazionale del Notariato a cura di A. Ruotolo e G. Trapani.

[4] Per la tesi estensiva tale per cui l’art. in commento riguardi non solo le tipologie negoziali ivi indicate, ma – più in generale – tutti gli atti di straordinaria amministrazione, vedasi L. Genghini, “La volontaria giurisdizione ed il regime patrimoniale della famiglia”, Cedam, 2010, 304.

[5] Quanto, poi, alle conseguenze derivanti dal compimento di un atto di straordinaria amministrazione senza la necessaria autorizzazione preventiva l’arco dottrinale – in assenza di una esplicita norma ad hoc – ha praticamente coperto ogni possibile posizione: nullità, annullabilità, inefficacia. Per una breve ma puntuale ricostruzione delle singole posizioni, vedasi G. Oberto, op. cit.

[6] In questa sede può solo accennarsi all’evoluzione di pensiero che ha riguardato tale concetto intrinsecamente dai contorni non certo marcati. Deve - però - notarsi, come le maglie della giurisprudenza, anche per la malcelata necessità di reprimere prassi negoziali distorsive, si siano ormai allentate sino a rendersi quasi impercettibili. Sul punto, infatti, si è passati da una nozione già particolarmente ampia del bisogno familiare, tale per cui vi sarebbero ricomprese le esigenze “volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi” (così a far tempo da Cass. 7 gennaio 1984 n. 134 in Nuova Giur. Civ., 1985, I, 19 nota di G. Cian, e tralatiziamente nei decenni a seguire) sino ad arrivare ad immedesimare in un’endiadi indissolubile l’esigenza “collettiva” della famiglia con quella individuale del suo singolo componente (così Cass. del 24 Febbraio 2015 n. 3.738 che include tra le esigenze familiari anche quelle volte a potenziare le capacità lavorative dell’attività professionale o d’impresa del singolo coniuge).

[7] Già si è detto della parificabilità quoad effectum tra atto istitutivo del fondo patrimoniale e sua modifica.

[8] Così: Trib. Savona del 24 aprile 2003 in Famiglia e Diritto, 2004, 67 nota di M. Capecchi; Trib. Terni 12 aprile 2005; G. Cian e G. Casarotto, “Fondo patrimoniale della famiglia”, in Noviss. Dig. it., App. III, Torino, 1982, 834. Per quanto consta, non sono editi precedenti in sede di legittimità.

[9] Oltre alla spiegazione letterale di tale convincimento, vi è anche una motivazione sistematica: la tutela del coniuge costituisce un interesse tendenzialmente disponibile, mentre quella del minore – consacrata dalla previsione di una necessaria autorizzazione da parte del Tribunale – è generalmente indisponibile.

[10] Così: Jannuzzi e Lorefice, “Manuale della volontaria giurisdizione”, Giuffrè, 2002, 563; Quesito n. 348-2006/C del Consiglio Nazionale del Notariato a cura di S. Metallo. Anche per questa tesi viene riportata altresì una motivazione di sistema costruita su di una doppia concatenazione: infatti, posto che l’art. 168 III co. c.c. richiama in tema di amministrazione generale del fondo patrimoniale le regole della comunione legale dei beni e rilevato che ai sensi dell’art. 210 III co c.c. dette regole sono definite inderogabili, se ne è concluso per l’illegittimità di un assetto organizzativo del fondo patrimoniale tale da scardinare il principio di inderogabilità suddetto.

[11] Così: Trib. Roma del 27 giugno 1979 in Riv. Notar.,1979, 952; Trib. Trapani del 26 maggio 1994 in Vita Not., 1994, 2, 1559; Trib. Verona del 30 maggio 2000 in Nuova Giur. Civ., 2001, I, 170 con nota di E. Quadri; Trib. Lecco  del 1° ottobre 2002 e del 5 dicembre 2002 in Riv. Notar., 2003, 2, 448; Trib. Milano del 29 aprile 2010 in Famiglia e Diritto, 2011, 1, 53 con nota di M. Baldini. Per quanto consta, non sono editi precedenti in sede di legittimità.

[12] E’ da rilevare che tale tesi, più o meno consapevolmente, affonda le proprie radici nel più ampio principio di autonomia negoziale, o comunque in una sorta di favor verso la circolazione immobiliare in genere, che sarebbe desumibile dal nostro sistema, così Pret. Barra, 8 dicembre 1978, in Foro it., 1982, I, 1031.

[13] Si noti, ad ogni modo, che anche una volta ammessa la derogabilità del consenso congiunto per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione ciò non significa – come apparentemente potrebbe sembrare – che ciascun coniuge possa disporre liberamente di qualunque bene conferito in fondo, ma semplicemente che possa disporne singolarmente il solo coniuge che ne è proprietario. In sostanza la deroga in esame non potrebbe mai consentire al coniuge non proprietario di disporre dei beni dell’altro, dato che - altrimenti - si creerebbe una sorta di tagliola espropriativa priva di giustificazione. In tal senso, L. Genghini, op. cit., 302.

[14] In Nuova Giur. Civ., 2015, 1, 24 con nota di L. Ballerini; Foro It., 2014, 12, 3483; Famiglia e Diritto, 2014, 11, 1037. La Sentenza è altresì oggetto di commento da parte di A. Musto e M. Bellinvia nella sezione “Segnalazione Novità Giurisprudenziali” del Notiziario del Consiglio Nazionale del Notariato in data 18 settembre 2014 nonché di A. Busani “Il fondo patrimoniale si scioglie con il sì dei figli” sul sole 24 ore del 9 agosto 2014.

[15] Così A. Musto e M. Bellinvia op. cit.; G. Santarcangelo, “La risoluzione consensuale del fondo patrimoniale in presenza di figli minori”, Notariato, 2014, 6, 686.

[16] Il dubbio nasce dal fatto che la parte motiva del Provvedimento richiama più volte la problematica dello scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale, mentre quella decisionale autorizza esclusivamente la vendita del bene ivi conferito. Circa le conseguenze derivanti dalla dicotomia de qua, si rimanda alla cit. Cass. sez. I civ., 8 agosto 2014 n. 17811 la quale è cristallina nel precisare come “del tutto diversa è l'ipotesi di alienazione di beni del fondo - che comunque nonostante l'atto dispositivo incidente sulla sua consistenza conserva la sua validità ed efficacia - rispetto a quella di cessazione dello stesso che ne determina l'estinzione”.

[17] Tribunale di Milano, sez. IX civ., Decreto 30 marzo 2015 la cui massima è rinvenibile dal link http://www.ilcaso.it/articoli/882.pdf.

[18] Da questo passaggio deve necessariamente desumersi che il Collegio Giudicante abbia aderito alla prevalente tesi giurisprudenziale (cfr. su tutte Cass. 30 maggio 2008 n. 14.481) in base alla quale il conflitto di interessi rilevante tra rappresentante e rappresentato è solo quello concreto ed attuale e giammai quello astratto e potenziale. Giova, tuttavia, notare che spesso nella prassi operativa il discernimento tra concretezza ed astrattezza ovvero tra attualità e potenzialità di un conflitto di interessi è diagnosticamente implausibile, da cui la tendenza dell’operatore – anche per evitare patologie dei conseguenti atti negoziali – a richiedere con frequenza inusitata l’intervento del salvifico curatore speciale.


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