CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/11/2016 Scarica PDF

Esercizio provvisorio e concordato fallimentare: un propizio connubio per il futuro concorsuale

Antonio Pezzano, Avvocato in Bologna


Sommario: Prologo - La dispersione del valore aziendale in mancanza di esercizio provvisorio: un ammonimento dal passato - 1. Valore della continuità aziendale nella fase finale dell’impresa: in particolare in sede fallimentare - 2.Un (felice) caso concreto di “continuità aziendale” attuata con l’esercizio provvisorio e successivo concordato fallimentare con assuntore - 3. Considerazioni riepilogative e propositive


     

PROLOGO

La dispersione del valore aziendale in mancanza di esercizio provvisorio: un ammonimento dal passato

 

Le O.M.C. - Officine Meccaniche Calabresi, una realtà industriale di assoluta eccellenza, sorta a Locri negli anni ‘20.

Una grande industria meccanica nel sud Italia, che attirava operai e tecnici anche dal nord: in tutto circa 150 dipendenti, di cui la metà donne.

Aveva realizzato anche la bulloneria per il mitico Rex, oltre che delle avveniristiche moto a due tempi.

Dichiarata fallita il 28 novembre 1933, durante il processo di reclamo dalle prigioni si sente il fallito gridare, invano, al curatore: “Quanti giorni vi erano per distruggere repentinamente le Officine? Se questo abilissimo uomo del curatore avesse voluto e saputo, col solo materiale finito e con quello abbozzato, avrebbe potuto realizzare per i creditori una percentuale vicino all'intera spettanza, lasciando così intatte le Officine. A tutto questo senza pensare che egli non ha capito che il valore di un opificio non è dato dal materiale, macchinario e locali, ma sibbene dall’avviamento, dalla rinomanza industriale e dalle conoscenze contenute nelle tecniche e nei prodotti, cioè a dire non dal materiale ma dall’immateriale [cioè il know how, come si dice oggi]. Se l'ingente materiale delle Officine in attività fosse stato venduto durante la guerra d'Etiopia…”[1]

E l’impresa (recte: la relativa organizzazione)[2] si scioglierà come neve al sole, nonostante l’indubbio favor che già la normativa dell’epoca prevedeva per l’esercizio provvisorio.[3]

Con la legge fallimentare del ’42 si passa ad una disciplina più articolata, ma ancora incompleta e comunque limitante visto che l’antecedente art. 90, comma 1, l.fall. richiedeva anche il requisito dell’”irreparabilità, oltre che del “grave” danno, perché l’esercizio provvisorio fosse disposto.

Solo con il d.lgs. 5/2006 ed il nuovo art. 104 l.fall. abbiamo finalmente una normativa al passo con i tempi di un’impresa che quasi fisiologicamente va più velocemente in crisi pur rimanendo in taluni casi comunque salvabile, come dimostra anche il caso affrontato e brillantemente risolto innanzi ai giudici pistoiesi, qui narrato ed analizzato con il collegato concordato fallimentare.[4]

   

1. Valore della continuità aziendale nella fase finale dell’impresa: in particolare in sede fallimentare

Come già osservato da chi ci ha preceduto, nel nostro attuale ordinamento la continuità aziendale, intesa ai nostri peculiari fini come capacità dell’impresa di proseguire anche per un breve periodo la propria efficiente attività,[5] viene valorizzata per quanto possibile anche durante la fase finale della vita dell’impresa.

In primis, nella fase della liquidazione ordinaria della società.[6] In tale ambito il novellato art. 2487, lett. c), c.c.[7] in tema di modalità dello svolgimento della liquidazione, indica: “i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell'azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi; gli atti necessari per la conservazione del valore dell'impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo”.

E’evidente che, se per (cercare di) conseguire (solo) un “miglior realizzo”, si rischiasse di bruciare senza costrutto liquidità,[8] un diligente liquidatore dovrebbe astenersi dall’attivare l’esercizio provvisorio, salva diversa indicazione dei soci, ma fermo comunque il limite invalicabile della ragionevole certezza di piena soddisfazione dei creditori sociali alla cui tutela i liquidatori sono in primis preposti. [9]

Ovviamente, come auspicabile, anche nella fase di crisi ristrutturatoria dell’impresa il legislatore si è preoccupato sempre più di offrire strumenti a tutela della continuità d’impresa: dai piani attestati di risanamento ex art. 67 bis, comma 3, lett. d, l. fall., agli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall., anche nella sua variante ex art. 182 septies l. fall., e con il supporto per tutti tali strumenti degli accordi di moratoria sempre da tale ultima norma finalmente regolati.

Naturalmente il culmine si è raggiunto con l’espressa disciplina dedicata al concordato preventivo in continuità di cui all’art. 186 bis l. fall.,[10] che, a fronte del salvataggio della continuità d’impresa (ove anche pro nuovo imprenditore in caso di cessione o conferimento aziendale di cui ai commi primo e terzo dell’art. 186 bis l. fall.),[11] sembra rappresentare anche una deroga ai fondanti precetti di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c. allorché permette allo stesso imprenditore di mantenere, a concordato omologato ed eseguito, i propri beni organizzati in attività d’impresa pur non saldando integralmente tutti i propri originari creditori.[12]

Ma anche nell’ambito della crisi d’impresa sfociata in insolvenza e quindi dichiarazione di fallimento, il legislatore di cui al d.lgs. 5/2006[13] si è preoccupato di prevedere una più attenta tutela per la continuità di impresa del debitore fallito, in primis attraverso una rinnovata disciplina dell’esercizio provvisorio (art. 104 l. fall.), ma anche con la previsione ad hoc, sia per l’affitto (art. 104 bis l. fall.)[14] che per la vendita (art. 105 l. fall.) aziendale.[15]

Quantunque il tutto sempre subordinatamente alla tutela del primario interesse dei creditori, i quali, non solo dall’esercizio provvisorio non debbono subire pregiudizio (art. 104, comma 1, l. fall.)[16], ma neppure in caso di affitto d’azienda, che infatti risulta possibile solo “quando appaia utile ad una più proficua vendita” dell’azienda (art. 104 bis, comma 1, l. fall.), e quindi sempre pro migliore soddisfacimento dei creditori, faro che illumina anche lo scenario della complessiva alienazione aziendale (ovvero, gradatamente, di alcuni suoi rami oppure dei beni o rapporti giuridici individuabili in blocco) che, infatti, intanto può disporsi in quanto risulti, come presunto di regola, liquidazione maggiormente profittevole per i creditori sociali rispetto alla vendita atomistica dei singoli beni (art. 105, comma 1, l. fall.).

Ma in tutti i casi i primi due istituti (esercizio provvisorio e affitto aziendale), proprio perché strumentali alla salvaguardia del valore “continuità d’impresa” (in prospettiva, sì, di una migliore alienazione, recte: soddisfazione,pro creditori ex art. 105, comma 1, l. fall., ma comunque in presenza anche di un indubbio valore aziendale in sé),[17] vanno sempre attentamente valutati se comunque utili da percorrere.[18]

Tanto che l’art. 104 ter l. fall. li colloca al primo posto del sempre più importante[19] programma di liquidazione, cioè dell’”atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo” (art. 104 ter, comma 2, l. fall.).[20]

Pur mirando ambedue a preservare la continuità d’impresa, comunque esercizio provvisorio e affitto d’azienda si pongono su piani diversi e conseguentemente con discipline ed effetti differenti, quantunque in taluni casi anche sinergici se non convergenti.

Il primo strumento, rischiando di bruciare, con il maturare di nuove prededuzioni (art. 104, comma 8, l. fall.), liquidità destinata diversamente ai creditori ante,[21] va molto attentamente ponderato (e poi continuamente monitorato ex art. 104, commi 4, 5 e 6, l. fall.), sia che risulti attivato subito in sentenza di fallimento ad opera del Tribunale (art. 104, comma 1, l. fall.), che dopo dal GD su proposta del curatore (art. 104, comma 2, l. fall.).

Ovviamente l’esercizio provvisorio ha il grande vantaggio dell’immediatezza - verrebbe voglia di dire della consecutio - rispetto ad attività di imprese che non possono essere bloccate neppure per pochi giorni, oltre che la prerogativa di potere restare attivato anche per un brevissimo periodo, ad es. per il solo tempo necessario a consentire di esperire una gara tesa alla ricerca di un affittuario ex art. 104 bis, comma 2, l. fall.[22]

Non solo: ove il curatore lo ritenga può proseguire provvisoriamente in tutti i contratti in corso ovvero invocarne la sospensione (oppure anche immediatamente sciogliersi), salvo poi, ad esercizio provvisorio chiuso, decidere in via definitiva il da farsi (art. 104, commi 7 e 9, l. fall.).[23]

Di contro l’affitto d’azienda non pone alcun rischio di far insorgere prededuzioni[24], ma, oltre a non essere immediatamente attivabile (imponendo sempre una qualche preliminare negoziazione e comunque una procedura competitiva ex art. 104 bis, comma 2, l. fall.),rischia comunque di porre problemi di indennizzo in prededuzione in caso di necessità di anticipato recesso dal contratto (art. 104 bis, comma 3, l. fall.), come di rendere più difficoltosa la vendita in caso di concesso diritto di prelazione (art. 104 bis, comma 5, l. fall.)[25] ovvero di esporre il fallimento al rischio di non percepire i canoni o di disperdere possibili informazioni rappresentative del patrimonio aziendale qualora non sia poi l’affittuario ad acquistare l’azienda del fallito.[26] Non solo : a differenza che nel caso di esercizio provvisorio, il contraente in bonis ben potrà recedere dal contratto ex art. 2558, commi 2 e 3 , c.c.,

Allorché si giunga poi al momento della cessione aziendale, la normativa fallimentare, ferma ex art. 105, comma 2, l. fall. la regola della competitività (tesa comunque anch’essa alla ricerca del miglior soddisfacimento pro creditori) nonché delle vendita atomistica, ma solo ove risulti prevedibile che l’alienazione “dell’intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori” (art. 105, comma 1, l. fall.), offre un ventaglio di opzioni per favorirla al meglio, compreso il conferimento dell’azienda o dei rami della stessa in una o più società anche di nuova costituzione (art. 105, comma 8, l. fall.).

Vedremo nei capitoli che seguono che anche un altro strumento, ove ben utilizzato anche rispetto al collegamento con l’esercizio provvisorio (ovvero l’affitto d’azienda), può essere ancora più flessibile della disciplina di cui all’art. 105 l. fall.: il concordato fallimentare ex art. 124 e ss. l. fall.[27]

     

2. Un (felice) caso concreto di “continuità aziendale” attuata con l’esercizio provvisorio e successivo concordato fallimentare con assuntore.

La Società xxx srl, operante nella produzione a ciclo continuo, con relativa commercializzazione a rivenditori terzi, di particolari vasi in materiale plastico, veniva dichiarata fallita nel dicembre 2013 a seguito di declaratoria di inammissibilità del concordato preventivo in continuità diretta ex art. 186 bis l. fall. dalla stessa depositato a fine marzo dello stesso anno.

Lo stato di crisi era da ricondurre ad un insieme di fattori quali:

- il rallentamento del mercato nazionale ed internazionale a seguito della recessione economica mondiale, con un inasprimento della concorrenza ed un aumento di costi delle materie prime dipendenti dal rialzo del petrolio;

- la contrazione del fatturato;

- ma soprattutto i pesanti oneri finanziari per l’alto indebitamento bancario, sia commerciale corrente, che derivanti da un importante investimento effettuato per la realizzazione del nuovo capannone industriale e per la completa automatizzazione della produzione, attuato tutto con il ricorso all’indebitamento bancario a breve ed a medio termine, in assenza di capitali di rischio e fidando la proprietà, probabilmente troppo ottimisticamente, di poter conseguire un aumento di fatturato;

- infine la sensibile diminuzione del grado di giudizio degli istituti di credito (cd. rating) con considerevole accrescimento degli oneri finanziari e riduzione degli importi finanziati, sfociato poi, al momento apicale della crisi, nell’obbligo di rientro rispetto a tutte le linee di credito accordate dal sistema creditizio.

Come sopra precisato, non aveva successo la proposizione di un concordato preventivo c.d. in continuità, che prevedeva, oltre un contenimento dei costi ed innesto di nuova finanza da parte della proprietà (invero effettuato durante la fase di concordato con riserva nella logica ex art. 182 quater, comma 2, l. fall.),[28] la ristrutturazione dell’indebitamento pregresso, in ottica di renderlo sostenibile alla luce delle effettive capacità finanziarie e patrimoniali disponibili.

Una volta intervenuto il fallimento, il rischio (assai concreto ed effettivo) era quello di disperdere i valori dell’organizzazione e dell’avviamento aziendale a causa del blocco del processo produttivo a ciclo continuo, con conseguente irrimediabile perdita delle relazioni di fornitura commerciale, soprattutto estere (pari ad oltre 2/3 del fatturato), basantesi in primis sul rispetto della puntualità nelle consegne.

Ciò non è avvenuto grazie al ricorso, prima, all’esercizio provvisorio dell’impresa (disposto dal GD ex art.104, comma 1, l.fall. su istanza del curatore sollecitata da parte di uno degli amministratori e socio della fallita) e, poi, alla presentazione di un concordato fallimentare con assuntore (ex art. 124, comma 4, l. fall.), globale operazione che ha permesso di salvare anche trenta di posti di lavoro.

Per evitare in radice il rischio di bruciare liquidità con l’insorgere di nuove prededuzioni ex art. 104, comma 8, l. fall., era stata presa in esame anche l’ipotesi dell’affitto d’azienda ex art. 104 bis l. fall.

Ma i tempi erano troppo stretti per indire una gara ex art. 104 bis, comma 2, l. fall. rispetto a soggetti concorrenti, peraltro, previamente ricercati dal curatore ma non rinvenuti, forse anche perché il ciclo produttivo richiedeva un particolare know how detenuto essenzialmente da uno degli amministratori e socio della fallita, tanto che l’esercizio provvisorio in esame ha trovato uno dei suoi punti di forza proprio nella collaborazione gestoria gratuita[29] offerta da tale figura manageriale.[30]

 Gli altri elementi, che hanno indotto il GD all’accoglimento dell’istanza ex art.104, comma 2, l.fall. del curatore e poi hanno decretato il successo dell’esercizio provvisorio, sono stati : i) l’esistenza di un convincente piano industriale concordatario preventivo positivamente valutato dal curatore (grazie anche all’innesto della predetta finanza terza effettuata ex art. 182 quater, comma 2, l. fall proprio pochi giorni prima del fallimento); ii) l’impegno dei soci di maggioranza della fallita a garantire la procedura fallimentare da eventuali perdite di gestione dell’esercizio provvisorio[31]; iii) il rapporto di reciproca stima e collaborazione creatosi tra gli organi della procedura, l’amministratore della società fallita ed i professionisti.

Ed infatti i risultati dell’esercizio provvisorio hanno dimostrato che la continuazione dell’attività imprenditoriale non ha disperso ricchezza, anzi ne ha prodotto, consentendo altresì, non solo di preservare l’organizzazione aziendale esistente, ma di dar inizio al nuovo corso, anche organizzativo, già previsto nel piano concordatario preventivo[32], a partire dal reparto amministrativo, per continuare con gli acquisti e la ristrutturazione della contabilità di magazzino, per la quale è stato introdotto un nuovo programma informatico, cominciando così a generare un virtuso contenimento dei costi.

Una parte essenziale del piano è stata poi quella avente ad oggetto l’analisi delle singole voci di costo, con elaborazione per ciascuna di specifiche previsioni nell’ottica della ristrutturazione dell’attività e di una complessiva “spending review”; in particolare si è provveduto a rendere più efficiente l’organico aziendale così da poter ottenere risparmi di spesa, non tanto sul lato costo del personale (pur rispetto ad alcuni elementi ridotto), quanto sul versante dei servizi esterni di vario genere fino a quel momento utilizzati in misura rilevante.

Per gli oneri gestionali diversi rispetto al personale impiegato, le previsioni sono state fatte tenendo conto delle mutate esigenze aziendali, nonché dei provvedimenti complessivi di contrazione dei costi già in atto al momento dell’inizio dell’esercizio provvisorio.

Circa il pagamento dei debiti in prededuzione ex art. 104, comma 8, l. fall., si era evidenziato in piano che, a parte per alcune iniziali necessità meramente finanziarie (in pratica affrontabili già con la suddetta finanza terza), sarebbe stato assicurato - come in effetti poi avvenuto - dai positivi risultati della gestione dell’esercizio provvisorio, che infatti ha chiuso ampiamente in utile dopo 16 mesi di durata[33] grazie alle più proroghe ritenute concedibili dagli organi della procedura per i risultati soddisfacenti man mano conseguiti.

In definitiva, l'adozione di un serio ed articolato piano di ristrutturazione (anche industriale) di indispensabile supporto all’esercizio provvisorio ha contribuito - nella vicenda sopra descritta - ad ottimizzare la gestione aziendale ed anche a generare quel consenso esterno (di fornitori e clienti) necessario al suo buon esito, rafforzandone la credibilità ed ampliando le opportunità di riuscita, specialmente nell'ottica della proposizione di una domanda di concordato fallimentare in effetti poi formulata da un terzo con assunzione ex art. 124, comma 4, l. fall. cui quindi, omologato in via definitiva il concordato, è stato ceduto il complesso aziendale preservato nel suo valore ed anzi già avviato verso il suo migliore risanamento (tra l’altro anche attraverso un alleggerimento della sua componente immobiliare ceduta a terzi dall’assuntore attraverso la facoltà designazione ex art.1401 cc prevista sin dalla proposta iniziale ex art. 124 l. fall.).[34]

Alcune notazioni sul collegamento nella specie tra esercizio provvisorio e concordato fallimentare:

1) La bontà dell’esercizio provvisorio ha fatto sì che alla soluzione concordataria si siano avvicinati più potenziali interessati[35], quantunque solo una società alla fine ha formulato la proposta di concordato fallimentare.

2) Il proponente il concordato fallimentare, allo scopo di evitare che nelle more della procedura minore l’organizzazione aziendale andasse dispersa, ha posto come prima condizione di validità della proposta il mantenimento dell’esercizio provvisorio fino all’avvenuta definitività del decreto d’omologa (cioè del momento di efficacia della proposta concordataria ex art. 130, comma 1, l. fall.), mantenendo inoltre un continuo confronto con il curatore rispetto alle scelte ex art.104, comma7, l. fall. relative ai contratti in corso.

3) Nonostante nei primissimi giorni del fallimento il curatore si fosse sciolto da ogni rapporto di lavoro dipendente, tutti i lavoratori, sebbene ex art. 93 l. fall. avessero già ottenuto il diritto a conseguire il TFR, hanno accettato l’ulteriore condizione di validità della proposta posta dalla società concordataria e consistente nell’adesione di ogni dipendente all’accordo sindacale inerente l’accollo liberatorio per il TFR della fallita società con nuovo accontamento a carico della proponente.

4) Infine la società proponente ed assuntrice ha stilato l’accordo di management con il precedente amministratore della fallita e coadiutore ex art. 32, comma 2, l. fall. del curatore nell’esercizio provvisorio.

In sintesi e per concludere l’esposizione sul caso concreto de quo, può affermarsi che, prima l’esercizio provvisorio e poi il concordato fallimentare, hanno valorizzato al meglio, nella piena e leale collaborazione tra i vari soggetti ed organi interessati, il piano di ristrutturazione aziendale, che era stato elaborato per il concordato preventivo ex art. 186 bis l. fall.,[36] piano che si è rilevato ben congegnato, quanto comunque favorito dalla maggiore flessibilità, nonché forza persuasiva[37] proprie dell’esercizio provvisorio (con effetti positivi poi “saldabili” con il concordato fallimentare) rispetto allo stesso concordato preventivo in continuità.

A partire dalla duttile gestione dei contratti in corso (possibilità per il curatore, a differenza dell’imprenditore concordatario,[38] di scegliere sempre durante l’esercizio provvisorio se proseguirli intanto provvisoriamente,[39] ovvero sospendersi oppure definitivamente sciogliersi ed in genere senza alcun obbligo di indennizzo),[40] sino giungere alla ragionevole certezza di pagamento[41] dei crediti sorti durante l’esercizio provvisorio, certezza che invece non sussiste in caso di concordato preventivoconsiderate alcune recenti sentenze di legittimità in tema di crediti con titolo o causa anteriore al concordato[42] ed atteso che, nonostante l’espressa previsione di prededuzione del nuovo art. 169 bis, comma 2, l. fall, non risulta comunque del tutto chiaro cosa siano le “prestazioni eseguite legalmente ed in conformità agli accordi o agli usi negoziali“ [43]. Probabilmente crediti prededucibili per “prestazioni eseguite legalmente” sorti successivamente al deposito della domanda di concordato preventivo sono solo quelli in cui sussista, sia uno stretto collegamento funzionale al piano tra singola prestazione e controprestazione post, quanto autonomia rispetto a prestazioni e controprestazioni ante, come ad es. nel rapporto di lavoro o di fornitura.[44]

Tanto che solo in caso di fallimento, se ed in quanto il curatore alla fine dell’esercizio provvisorio decidesse di subentrare in via definitiva nel contratto di fornitura (ad es. perché ritenuto strategico rispetto al mantenimento della vitalità aziendale nello stipulando contratto di vendita o di affitto, anche nella logica di una già presentata seria domanda di concordato fallimentare), il contraente in bonis fruirà della prededuzione anche per i crediti relativi alle prestazioni ante ai sensi degli artt. 74 e 104, comma 9, l. fall.;[45] mentre appunto tale eventualità non potrà mai verificarsi in sede concordataria preventiva,[46] se non eventualmente nei limitati ambiti di cui all’art. 182 quinquies, comma 5, l. fall.

Vedremo comunque meglio nel capitolo che segue gli indubbi vantaggi che l’esercizio provvisorio dell’impresa in crisi, richiesto ex artt. 14 e 15, commi 6, 7 e/o 8, l. fall.[47] dallo stesso imprenditore insolvente, può offrire nella prospettiva di vendita d’azienda attraverso un successivo concordato fallimentare, saldato al primo per finalizzarne il risanamento comunque già avviato attraverso la fondamentale salvaguardia della continuità aziendale.

Indubbiamente vi sarà anche il rischio di amplificarne in qualche modo l’originaria funzione di strumenti propri della liquidazione fallimentare e quindi volti a perseguire la sola migliore monetizzazione dell’attivo attraverso la più efficiente conservazione dell’impresa del fallito, più che il suo risanamento.

Certamente così superandoquella logica, quasi istituzionale, quanto statica e comunque non scolpita nella norma fallimentare in esame, che vede nell’esercizio provvisorio unicamente uno strumento, appunto, conservativo dell’attività d’impresa e “sempre che il ceto creditorio non ritenga di trarne nocumento” (così come si esprime la Relazione legis all’art. 104), “pregiudizio ai creditori” che invece è l’unico precetto imposto dall’art.104, comma 1, l.fall., da rispettarsi sempre e comunque ed all’evidenza non necessariamente incompatibile, effettuate le verifiche del caso (ed acquisite se del caso garanzie ,non previste dalla norma ma certamente neppure vietate), con l’inizio di un’attività di risanamento, che invece potrebbe generare, già in sede di gestione caratteristica dell’esercizio provvisorio (come appunto avvenuto nella specie) e comunque poi in fase di dismissione dell’azienda, nette utilità ai creditori che peraltro, dinanzi all’ampiezza del concetto di assenza di “pregiudizio”(come del termine “soddisfazione” del collegato art.105, comma 1, l.fall.), potrebbero essere non strettamente legate al pagamento del singolo credito vantato verso l’imprenditore fallito, ma anche alla profittevole prosecuzione dei rapporti commerciali[48],come tra l’altro ben potrebbe essere poi proposto in sede concordataria fallimentare alla luce dell’ampio ventaglio negoziale consentito dal novellato art.124 l.fall. per ristrutturare i debiti del fallito e soddisfare i relativi creditori.

Naturalmente non potrà che essere un inizio di risanamento[49], non fosse altro perchè l'esercizio ex art. 104 l. fall. è, per definizione, "provvisorio" e pertanto la sua durata, pur non essendo stabilita dalla legge (quantunque oggi non potrà essere di regola mai superiore ai due anni visto il novellato art. 104 ter, comma 3, l. fall.), non potrà che essere "temporanea", come appunto previsto dallo art. 104, comma 2, l. fall.

Diversamente, anche per le indubbie guarentigie pro impresa fallita in esercizio provvisorio, potrebbero porsi anche problemi di (leale) concorrenza, oltre che gravosi limiti all'attività d'impresa dei contraenti in bonis "legati" dalle scelte del curatore ex art. 104, commi 7 e 9, l. fall.[50]

   

3. Considerazioni riepilogative e propositive

Come abbiamo visto, il caso risolto dal Tribunale pistoiese evidenzia plasticamente un naturale passaggio, recte quasi un ideale collegamento tra esercizio provvisorio e concordato fallimentare, che non potrà che essere ulteriormente favorito dall’attuale crisi anche di identità del concordato preventivo[51].

Pertanto reputiamo di essere facili profeti nel preconizzare che lo strumento dell'esercizio provvisorio risulterà sempre più utilizzato, in alternativa o in associazione con l'affitto d'azienda, non solo dal curatore ma, di fatto, anche dall'imprenditore insolvente, che reputi la sua azienda ancora salvabile.

Infatti, consapevole tra l’altro sempre più che il concordato preventivo non offre le esimenti da responsabilità penale (ex art.236 l.fall.) e civile[52], ben potrà accadere che l’imprenditore, anche solo per risparmiare gli esborsi per le competenze dell'attestatore ovvero per le spese di giustizia (ma, come accennavamo, oggi ben altre potrebbero essere le ragioni di sì tale scelta),[53] si determini a proporre un'istanza di fallimento in proprio ex art. 14 l. fall.,[54] ma corredata, oltre che dai documenti di rito, da un serio piano di continuità redatto alla stessa stregua dei fondanti principi in tema dell'art. 186 bis l. fall.[55] ed in cui il debitore, recte: il relativo management, si offra, se del caso anche gratuitamente, come coadiutore ex art. 32, comma 2, l. fall. nella veste di gestore dell’impresa in esercizio provvisorio.

Ed è molto probabile che, qualora il tribunale (ovvero il GD successivamente al fallimento) si convinca della bontà del piano formulato dal debitore (casomai disponendo una veloce CTU all’uopo in forza delle previsioni dell’art. 15, commi 6, 7 e/o 8, l. fall.), autorizzi l’esercizio provvisorio, verosimilmente partendo con un breve periodo di prova.

Naturalmente una positiva decisione potrà essere favorita dalla sussistenza, come nel caso qui rappresentato, di un contratto atipico di “garanzia per la differenza”, cioè dell’impegno di un terzo a coprire le eventuali perdite che l’esercizio provvisorio dovesse generare, negozio senz’altro teso a realizzare un interesse meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., che potrebbe inquadrarsi, come genus, tra i contratti con obbligazioni del solo proponente regolati dall’art. 1333 c.c., ovvero, qualora specificatamente miri a garantire tali eventuali perdite rispetto all’attività del predetto management, fra gli atti di cui all’art. 1381 c.c.[56]

Trascorso un anno dall’avvenuto fallimento, e quindi sostanzialmente dall’inizio dell’esercizio provvisorio, ben potrà l’imprenditore fallito (recte i relativi soci e/o management)[57], ovvero società a cui egli partecipi o società sottoposte a comune controllo, formulare ex art. 124, comma 1, l. fall. una proposta di concordato fallimentare che gli consenta, ove abbia esito finale positivo, di riprendere al meglio le redini della propria impresa, senz’altro ristrutturata sul piano debitorio pregresso, ma verosimilmente anche sul quello industriale.

E’naturale che il concordato fallimentare, essendo comunque una procedura liquidatoria (ed al contempo direttamente satisfattiva dei creditori),[58] risulti soggetta al regime della competitività,[59] che è d’altra parte regola madre di ogni procedura concorsuale se si pensi anche all’innesto dal 2015 delle offerte e delle proposte concorrenti in seno alla procedura concordataria preventiva.

Peraltro tale modalità di affrontare la crisi d’impresa può offrire, come anche testimoniato dall’esperienza supra descritta, indubbi vantaggi per tutte le parti interessate

Anzitutto per i creditori concorsuali anteriori perché, se è pur vero che rischiano l’erosione di attivo in conseguenza dell’aumento di crediti poziori prededucibili, è indubbio che la preventivata (a mezzo di apposito piano che, ove anche redatto dal debitore, risulterà comunque poi verificato dagli organi della procedura fallimentare) gestione caratteristica positiva dell’esercizio provvisorio e comunque di finale migliore alienazione dovrebbe sterilizzare un ‘si’tale rischio, considerati anche i continui e diversificati controlli ai quali, nel suo itinere, l’esercizio provvisorio è sottoposto (art. 104, commi 3, 4 , 5 e 6, l. fall.)

Ancora una volta il virtuoso caso qui raccontato è emblematico (anche) al riguardo: “L’istituto di cui all’art. 104 l. fall. presenta una duplice finalità: non solo quella privatistica di Consentire il miglior risultato della liquidazione concorsuale, ma anche quella pubblicistica della conservazione dell’impresa del fallito o da questi gestita, sempre che il ceto creditorio non ne ritragga pregiudizio.

Nel caso di specie, come si desume dal contenuto della istanza e dalla allegata documentazione, il proposto esercizio provvisorio realizza entrambi le finalità: conservazione dell’avviamento e dei posti di lavoro, mancato deprezzamento delle merci in magazzino ed evasione degli ordini già acquisiti per E. 1.277.353.

Quanto sopra esclude la ragionevole possibilità di pregiudizio per i creditori”. [60]

Ma è lato salvataggio del valore impresa – e quindi anche per il debitore che l’affronti per tempo con l’istanza di auto fallimento - che lo strumento dell’esercizio provvisorio può far apprezzare al meglio i suoi vantaggi, ove poi coniugato ad una proposta di concordato fallimentare.

Anzitutto perché - come accennato - il curatore, eventualmente grazie alle indicazioni emergenti dal piano fatto redigere ad hoc dallo stesso debitore, potrà subito sciogliersi dai contratti più onerosi o comunque non più utili, senza esborsi risarcitori da dover affrontare (art. 72, comma 4, l. fall., a differenza peraltro che in caso di concordato preventivo alla luce dell’art. 169 bis, comma 2, l. fall.).

Come ai sensi dell’art. 104, comma 7, l. fall., potrà proseguirli provvisoriamente [61], ad es., sin quando il curatore non avrà trovato un fornitore da sostituire ad uno ritenuto essenziale ma esoso ovvero semplicemente per poi sciogliersi definitivamente a fine esercizio provvisorio ex artt. 104, comma 9, l. fall.[62] Scevro così dal rischio di subire l’interpello ex art. 72, comma 2, l. fall. ovvero di soggiacere ai ristretti limiti temporali previsti ex lege rispetto a taluni contratti (artt. 79, 80 e 81 l. fall.).

Tra l’altro, senza neppure che l’impegno al pagamento (in prededuzione ) non adempiuto regolarmente possa provocare la risoluzione contrattuale, sia perché l’esercizio provvisorio del curatore non comporta un’attività, recte rischio d’impresa da parte del medesimo, trattandosi pur sempre di una fase (eventuale) della procedura fallimentare svolta come organo di giustizia rispetto all’impresa del fallito, sia in quanto anche tali pagamenti sono da assolversi secondo i criteri procedurali, non negoziali ma concorsuali, previsti dall’art. 111 bis l. fall.[63]

E proprio il diritto alla prosecuzione (anche provvisoria) dei contratti ancora in corso apre una finestra davvero interessante, oltre che rispetto ai rapporti di fornitura delle utility, relativamente ai contratti di finanziamento.

Infatti, se fino alla novella del d.lgs. 5/2006 non era seriamente dubitabile che tutti i contratti di credito dovessero considerarsi tutti alla stessa stregua di crediti scaduti ai fini e per gli effetti del concorso ex art. 55 l. fall., a partire dall’introduzione degli artt. 72 ter, comma 2, e 72 quater, comma 1, l. fall. qualche certezza granitica potrebbe incrinarsi[64].

Difatti tali nuove disposizioni prevedono l’espressa possibilità, rispettivamente, che i contratti di finanziamento destinati ad un specifico affare e di leasing possano proseguire anche durante il fallimento[65].

Dunque, salvo che il curatore decida diversamente, dovrebbe proseguire, intanto provvisoriamente ex art. 104, comma 7, l. fall., un contratto di apertura di credito con affidamento non completamente utilizzato (ad es. in caso di finanziamento a “sal”) o una linea di credito autoliquidante[66] relativi ad un‘attività d’impresa del fallito in cui il curatore, pur sempre un pubblico ufficiale e terzo, così decida, esponendosi peraltro al possibile rischio di personale responsabilità qualora, per colpa[67], la prededuzione maturanda non risulti soddisfatta, ovvero - sotto un diverso angolo visuale - i creditori ante risultino pagati in misura minore o addirittura totalmente insoddisfatti, per aver negligentemente dato corso (ex art.104, comma 2, l.fall.)[68] ovvero proseguito l’esercizio provvisorio.

D’altra parte, come risulterebbe mai immaginabile un serio esercizio provvisorio ai sensi del nuovo art. 110, comma 3 e 5, d.lgs. 50/2016 rispetto alla prosecuzione di un contratto d’appalto pubblico se, ad es., l’eventuale concesso finanziamento a “sal” ancora da realizzare non potesse venire più utilizzato?

Peraltro per il contraente finanziante in bonis non sarà semplice sottrarsi alla prosecuzione del rapporto, neppur recedendovi su base pattizia, altrimenti il cogente disposto dell’art. 72, comma 6, l. fall., prescrivente l’inefficacia delle clausole di risoluzione automatica del contratto in caso di fallimento, rischierebbe di venire comunque aggirato.

Ma forse è nella possibilità di stipula da parte del curatore di un nuovo contratto di finanziamento durante l’esercizio provvisorio[69] che può essere valorizzata la forza della continuità dell’attività d’impresa in sede fallimentare.

Ovviamente l’istituto finanziatore dovrà essere stimolato alla concessione di nuova finanza, oltre che dal conseguimento della prededuzione ex lege e prima ancora dalla valutazione del merito creditizio dell’operazione (favorito, appunto, anche da un serio piano del debitore predisposto a supporto dell’esercizio provvisorio, se del caso nell’auspicio di un concordato fallimentare proprio o di una società di gruppo), da un remunerativo tasso di interesse, finanziandosi pur sempre un’operazione con un certo grado di rischio. Purtroppo, però, l’attuale normativa “anti usura”[70] non prevede, incredibilmente, alcunché in proposito. In fondo basterebbe la previsione di una soglia più alta di tassi di interessi rispetto al particolare finanziamento delle imprese in crisi, se del caso distinguendo anche tra piani di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d l. fall. e accordi di ristrutturazione ex artt. 182 bis e septies l. fall., da una parte, e concordati ed esercizi provvisori fallimentari, dall’altra.

Peraltro tale mancato adeguamento denota un difetto di coordinamento anche rispetto alla citata normativa sugli appalti pubblici, perché appare poco coerente implementare ivi, giustamente, l’istituto dell’esercizio provvisorio (art. 110, comma 3, e 5 d.lgs. 50/2016) e poi, nonostante il previsto controllo del GD e dell’ANAC, non favorire, concretamente l’accesso a nuovo credito bancario.

Ecco che, in un tale contesto di impresa sempre “viva”, ben si può innestare una proposta di concordato fallimentare.[71]

D'altra parte, se è pur vero che lato impresa anche una compravendita ex art. 105 l. fall. potrebbe, recte può, condurre al relativo definitivo salvataggio, non vi è dubbio che, prendendo in esame anche il punto di vista della procedura fallimentare, grazie al concordato vi sarebbe, come già accennato, anche l’incontestabile vantaggio di definitivamente chiudere il fallimento (tra l’altro evitando tutte le ipotesi di riapertura della stessa ex art. 121 l. fall., salvi gli eventuali casi di risoluzione o annullamento del concordato).

Inoltre il concordato fallimentare, a differenza della semplice compravendita aziendale, potrebbe consentire al meglio:

i) di modulare ex art. 124, comma 2, lett c, l. fall. nel modo più variegato, anche temporale, la soddisfazione dei creditori e quindi in ultima analisi di saldare il prezzo (anche della cessione aziendale ricompresa nel perimetro della proposta concordataria)[72], che invece nel caso dell’art. 105 l. fall. può avvenire solo in denaro e con il limitato accollo di cui all’art. 105, comma 9, l. fall., oltre che ragionevolmente non superare una dilazione di dodici mesi alla luce del novellato disposto dell’art. 107, comma 1, l. fall.[73]

ii) di coltivare ex art. 124, comma 4, l. fall. azioni non ancora intraprese contro terzi (anche) rispetto all’azienda ceduta e che la semplice cessione non sempre pare consentire con certezza.[74]

iii) di favorire, possedendo il proponente i requisiti soggettivi, la prosecuzione imprenditoriale degli esercizi provvisori inerenti le imprese di farmacie (art. 113 r.d.l. 27 luglio 1934, n. 1265) nonché gli appalti e le concessioni pubbliche (art. 110 d. lgs. 50/2016).[75]

iv) ma soprattutto di maggiormente fidare che gli eventuali finanziamenti o linee autoliquidanti concessi in sede di esercizio provvisorio non vengano revocati a danno del proponente il concordato ex art. 2258, comma 2, c.c. (disposizione senz’altro analogicamente applicabile anche all’ipotesi di trasferimento aziendale a mezzo concordato fallimentare). Difatti l’ente finanziatore, oltre ad aver diritto ad incassare senz’altro in prededuzione quanto maturato (ad es. per rate, interessi, spese e commissioni) ante definitività del decreto di omologa del concordato, manterrà comunque tale “super privilegio”[76] anche rispetto al proprio residuo credito che verrà utilizzato successivamente, in quanto il relativo contratto è sorto comunque durante l’esercizio provvisorio.

A maggior ragione se si consideri che anche la procedura di concordato fallimentare dovrebbe generare prededuzioni a favore dei creditori del proponente vista le chiara lettera dell’art. 111, comma 2, parte seconda, l. fall., salvo volerla considerare - ma non vediamo proprio come - qualcosa di diverso da una “procedura concorsuale”.

Ed il che, in un diritto dell’insolvenza che ha visto oramai già sorgere ipotesi di prededuzioni sostanziali,[77] cioè esulanti anche da procedure non concorsuali (ci riferiamo ovviamente a quelle degli ADR ex art. 182 bis l. fall., anche nella sua variante “septies”, di cui agli ex artt. 182 quater e 182 quinquies l. fall.), potrebbe aprire davvero nuovi ed interessanti scenari implementativi di una prassi comunque virtuosa quale quella qui narrata.



¨ Questo articolo sull’importanza dell’esercizio provvisorio è nato dal confronto con il Prof. Antonio Rossi e con il supporto degli amici di studio Alessia Gafforio, Carlotta Puliti e Mario Soldaini. A loro, come all’antesignano Vincenzo Bruzzese dell’O.M.C., un sentito grazie.

[1]Cfr. FUTIA S., Lo scandalo delle Officine Meccaniche Calabresi, Franco Pancallo Editore, Locri, 2009, p. 220.

[2] Nell’impresa moderna, sull’importanza sempre maggiore dell’elemento organizzativo, è stato acutamente osservato come “l’imprenditore individualista instancabile, dotato di intuito, e di audacia, è stato il solo eroe degli economisti. La grande organizzazione aziendale non riscuote uguale ammirazione (…). Il dover sostenere, per amore della verità, la superiorità dell’organizzazione dell’individuo a importanti fini sociali è una dura prospettiva. Tuttavia è necessario farlo. È agli organismi, non agli individui che è passato il potere dell’impresa e sulla società.”(J.K. Galbraith, Il nuovo stato industriale, Torino, Einaudi, 1968, 54). Con particolare riguardo al tema della nostra indagine, cfr. ROSSI, Il valore dell’organizzazione nell’esercizio provvisorio dell’impresa, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale,Milano, Giuffrè, 2013. V. anche; Galletti, Panizza, Danovi, Ferri, Riva, Cesare, Quagli, Esercizio provvisorio e strumenti alternativi per la continuità aziendale, Milano, IPSOA, 2013.

[3] V. Codice del Commercio del 1882:

art. 750. Il curatore anche provvisorio può essere autorizzato dal giudice delegato a vendere le cose soggette a deterioramento o ad imminente diminuzione di valore e quelle di dispendiosa conservazione; ed a continuare l’esercizio del commercio del fallito, se non può essere interrotto senza danno dei creditori.

Le forme e le condizioni della vendita, e le cautele necessarie per la continuazione del commercio, sono determinate dal giudice delegato.

L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva, ma è soggetta a richiamo quanto all’autorizzazione di continuare l’esercizio del commercio.

art. 794. “La vendita dei beni è pure sospesa, se i creditori deliberino che si continui in tutto o in parte ad amministrare il patrimonio commerciale del fallito, per la durata, colle limitazioni e colle condizioni che devono essere da essi precisamente determinate.

Tale deliberazione non può essere presa, che colla maggioranza di tre quarti dei creditori, in numero ed in somma; i creditori dissenzienti ed il fallito possono farvi opposizione davanti al tribunale, ma questa non sospende l’esecuzione della deliberazione.”

Per un commento dell’epoca dei due articoli, v. CUZZERI E., Il codice del commercio commentato, Bolaffio e Vivante, vol. VIII Del fallimento, 1911, Torino, rispettivamente 296-302 e 424-426.

[4] Ci riferiamo all’esercizio provvisorio con successivo concordato fallimentare di cui, rispettivamente, ai provvedimenti del GD del Tribunale Pistoia del 28 dicembre 2013 ed al successivo decreto di omologa dello stesso Tribunale del 01 aprile 2015, in www.ilcaso.it.

[5] In generale, con riguardo al cd. “going concern” in sede di principi di redazione del bilancio ex art. 2423 bis c.c., cfr. Creaco, il principio della continuità aziendale, ODCEC, Il Commerci@lista,Biella, 2015. Sui diversi criteri di valutazione degli organi sociali (ex ante) e del giudice (ex post) dei presupposti concernenti l’insussistenza della continuità aziendale (come definita dai principi contabili nazionali e sovranazionali), al fine di accertare le eventuali ipotesi di scioglimento della società ex art. 2484 n. 2 e 4 c.c., v. Trib. Milano, 19 aprile 2016, in www.ilsocietario.it. Con particolare riguardo alla crisi di impresa, cfr. Marcello, La continuità aziendale nella crisi d’impresa, Fondazione Nazionale dei Commercialisti, documento del 15 ottobre 2015.

[6]Che infatti, a mente dell’art. 2484 c.c., ben può aprirsi per autonoma scelta dei soci o comunque per ragioni diverse dalla crisi d’impresa ed in ogni caso per venuta meno della continuità aziendale.

[7]L’attuale formulazione consegue alla riforma intervenuta con il d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, art. 4, c. 1, decorrente dal 01 gennaio 2004. In precedenza la normativa non prevedeva il riferimento all’esercizio provvisorio.

[8]Senza costrutto perché anche la gestione caratteristica del breve periodo non è profittevole ovvero perché non sussistono probabili, quasi certe chance di miglior realizzo, tali da risultare compensative, e con un surplus rispetto alla liquidità consumata.

[9]Come ricavabile dal combinato disposto degli artt. 2491 c. 3 c.c. e 2489 c. 2 c.c., cfr. in tema Rossi, Il nuovo diritto delle società (a cura di) Maffei Alberti, Padova, Cedam, 2005, 2220 nonché 2239.

[10] Espressa perché in fondo anche in precedenza la continuità concordataria era consentita dall’art.160 l. fall., sin dall’originaria formulazione. E’comunque indubbio che la continuità sia stata privilegiata, rispetto alle altre forme concordatarie (compresa quella, invero rara, liquidatoria con garanzia), dalle scelte legislative del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 proseguite sino al d.l. 27 giugno 2015, n. 83 conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132: e quindi a partire dalla nuova data di decorrenza degli effetti concordatari di cui agli artt.168, 169 e 184 l. fall., come dal concordato con riserva di cui all’art. 161 l. fall. sino a giungere alle ripetutamente integrate discipline di cui agli artt.160, 163, 182 quater, 182 quinquies e 182 sexies l. fall.

[11]Non è questa la sede per soffermarci sulla vexata quaestio della continuità indiretta a mezzo affitto d’azienda, anche perché sembra oramai prevalere, dopo la riforma pro continuità di cui al d.l. 27 giugno 2015, n. 83 conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132, l’indirizzo dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 186 bis l. fall. anche in caso di affitto. Cfr. post riforma, Trib. Udine, 05 maggio 2016; Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016, ambedue in www.ilcaso.it. Precedentemente all’”Altra” riforma (la citazione è tratta dalla prefazionedi AA.VV., La nuova riforma del diritto concorsuale, commento operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, Torino, Giappichelli, 2015), si segnalano Trib. Roma, 24 marzo 2015 e Trib. Bolzano, 10 marzo 2015, ambedue in www.ilcaso.it.

V. anche Trib. Massa, 29 settembre 2016, in www.ilcaso.it; Trib. Siracusa, 23 dicembre 2015, in www.centrostudisiracus.wix.com; Trib. Busto Arsizio, 01 ottobre 2014, in www.ilcaso.it, che valorizzano in particolar modo l’aspetto qualitativo in sé della continuità aziendale, a prescindere quindi dal principio della prevalenza, fatto invece proprio dal Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in www.ilcaso.it, soprattutto per il timore di eventuali abusi che potrebbero perpetrarsi allorché “qualsivoglia segmento di continuità possa trasformare il concordato liquidatorio in concordato sottratto alla regola dello sbarramento, col che la regola verrebbe agevolmente aggirata”.

D’altra parte basterebbe ricordare l’origine del “186 bis”.

Tutti lamentavano la mancanza di una norma che favorisse la continuità diretta da parte del debitore/imprenditore e che quindi bisognava favorire attraverso una disciplina ad hoc.

E nessuno si sognava di considerare come c.p. in continuità quelli indiretti a mezzo (appunto) affitto d’azienda, perché comunque non permettevano il salvataggio, sia della crisalide (il debitore/imprenditore concordatario) che della farfalla (la sua impresa). D’altra parte risultava (come risulta tuttora, forse non del tutto condivisibilmente visto anche il novellato art. 182 quinquies, c. 3, l. fall. che espressamente valorizza la funzionalità del finanziamento, non pro imprenditore in crisi, recte o relativi creditori, bensì pro impresa) inconcepibile pensare di offrire il beneficio della prededuzione ai finanziatori dell’imprenditore affittuario, come di consentirgli lo scioglimento dei contratti in corso.

Al contempo si avvertiva l’esigenza di preservarsi dai concordati preventivi in continuità “al buio”, cioè privi di qualunque disciplina ad hoc e quindi non esenti dal rischio di consumare senza controllo giudiziale ulteriore patrimonio, in fondo, già appartenente ex art. 2740 c.c. ai creditori anteriori.

Ed il 186 bis l. fall. (e collegati articoli) è finalmente giunto con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 e successiva modifica di cui all’art. 13 l. 21 febbraio 2014, n. 9, quantunque oggi richieda senz’altro una riscrittura, se non rispetto al tema sopra trattato (comunque auspicabile per eliminare ogni incertezza sul punto), quantomeno per coordinarlo con la previsione del nuovo art. 110 c. 3, 4 e 5 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (cfr. in tema Pezzano - Ratti, Nuovo codice degli appalti e procedure concorsuali: prime riflessioni, Fallimento, 2016, 757).

[12] Non solo, anche ad utilizzare i frutti eccedenti della continuità come finanza terza, e quindi liberamente disponibili, allorché’la relazione ex art. 160, c. 2, l. fall. dimostri che la proposta di concordato in continuità paghi più dell’alternative liquidatorie concretamente praticabili; cfr. Trib. Massa 04 febbraio 2016 e Trib. Prato 07 ottobre 2015, entrambe in www.ilcaso.it.

[13]Ed ora anche quello del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in materia di appalti e concessioni pubbliche con la coraggiosa previsione di cui all’art. 110 c. 3 e 5; per i primi commenti in tema, cfr. Attanasio, Procedure concorsuali e appalti pubblici, in www.osservatorio-oci.org; Perrino, Codice dei contratti e degli appalti pubblici e concordato preventivo con continuità aziendale: tra distonie, incongruenze e rischio di cortocircuito, in Foro It., 2016, V, 304; Pezzano - Ratti, Nuovo codice degli appalti e procedure concorsuali: prime riflessioni (nt. 11).

[14]Invero, anche in precedenza ritenuta dai più ammissibile: Pajardi Manuale di diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 1998, 395; Mastrogiacomo, L’affitto d’azienda nel fallimento, Fallimento, 1996, 942 e Bonsignori, Il fallimento, Trattato Galgano, 640. Contra Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 1974, 1598. In giurisprudenza l’ammissibilità dell’affitto d’azienda in caso di fallimento trova uno dei suoi primi precedenti in Cass., 25 marzo 1961, n. 682, in Giust. Civ., 1961, I, 969. In generale sull’affitto d’azienda in sede fallimentare, cfr. ex multis Bassi, L’affitto d’azienda, in Trattato di Diritto Fallimenttare Bonocore – Bassi, vol. III, 319; Fimmanò, Affitto d’azienda concordato in continuità e fallimneto del locatore, in Gir. It, 2012, fasc. X; Patti, L’affitto dell’azienda, in Fallimento, 2007, 1088.

[15]Oltre che in qualche modo anche con le peculiari ipotesi di cui all’art. 72 bis l. fall. (contratti relativi ad immobili da costruire in cui il curatore opti per l’esecuzione del contratto), all’art. 81 l. fall. (contratto d’appalto privato in cui il curatore scelga la prosecuzione del contratto, ovviamente soprattutto nella veste di appaltatore), ed infine all’art. 155 l. fall (nelle ipotesi dei patrimoni destinati ad uno specifico affare).

Sulla vendita aziendale in caso di fallimento, cfr. ex multis Ferro, La liquidazione dell’attivo, fase preliminare di osservazione dell’impresa in esercizio fase di progettazione e fase di attuazione nelle nuove vendite, Dir. Fall., 2006, 805; Fimmanò, Liquidazione programmata, salvaguardia dei valori aziendali e gestione riallocativa dell’impresa fallita, in Comm. Jorio-Fabiani, 2007, II, 245; Nonno, sub art. 105, in Commentario Ferro, 1429; Signorelli, Liquidazione dell’attivo, in www.ilfallimentarista.it; Vattermoli, commento sub art. 105 in Comm. Nigro – Sandulli – Santoro, 1454.

[16]Tanto nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto dal tribunale con la sentenza di fallimento (art. 104, c. 1, l. fall.) quanto allorché avvenga successivamente su autorizzazione del GD (art. 104, c. 2,l. fall.), sebbene tale seconda disposizione non richiami espressamente il presupposto de quo, come invero neppure quello del “danno grave”. In senso conforme Trib. Terni, 28 ottobre 2010, in Banca Dati DeJure che ritiene necessaria la sussistenza dei duplici presupposti in ambedue le ipotesi. Contra Trib. Bologna 14 agosto 2009, in Giur. comm. 2010, 6, II, 1174, secondo cui l’esercizio provvisorio disposto ai sensi dell’art. 104, c. 2, l. fall. mira soltanto alla miglior valorizzazione dell’attivo fallimentare, senza considerare le altre finalità previste dal primo comma della norma.

[17] Cfr. su tali specifiche tematiche, Rossi, L’esercizio provvisorio nella mission della procedura fallimentare, in Giur. Comm., fasc. VI, parte II, 2010, 1177 ss., che suggestivamente parla di azienda viable ritenendo che solo in tale ipotesi l’esercizio provvisorio possa disporsi ex art. 104, c. 1, l. fall., concretizzandosi in tale eventualità un “danno grave” dalla cessazione dell’attività d’impresa. Per un approfondimento, cfr. sempre lo stesso Autore, Il valore dell’organizzazione nell’esercizio provvisorio dell’impresa (nt. 2).

[18]Quindi - e per restare all’esercizio provvisorio - ove anche il tribunale non avesse ritenuto sussistente in prima battuta l’opportunità, recte “danno grave“ ex art. 104 c. 1 l. fall., comunque ben potrà poi il GD, del caso fruendo delle valutazioni di un curatore manager del settore (dell’impresa fallita) nominato ex art. 28, c. 1, lett. c, l. fall., concludere, pur sempre velocemente, che l’esercizio provvisorio quantomeno si appalesi più funzionale ad una migliore liquidazione dell’azienda (Trib. Bologna 14 agosto 2009 - nt. 16).

[19]Tanto che il legislatore è ripetutamente intervenuto sull’art. 104 ter l. fall., sia in sede di d.l., 22 giugno 2012, n. 83 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134; d.l. 03 maggio 2016, n. 59 conv. in l. 30 giugno 2016, n. 119.

[20]E proprio sulla possibilità di rispetto dei termini previsti nel programma di liquidazione si gioca, oltre che la responsabilità o quantomeno il mantenimento della carica da parte del curatore (art. 104 ter, c. 1 e 10, l. fall.), la scommessa dei legislatori 2015 e 2016 in ordine alla velocizzazione della chiusura delle procedure fallimentari e rispetto a cui, quindi, il curatore dovrà prendere sempre più piena consapevolezza del suo ruolo di principale attore, fortemente voluto sin dal d.lgs. 5/2006 in uno con il ruolo terzo di arbitro e non più gestorio del Giudice (v. artt. 25 e 31 l. fall.).

Pertanto, visto anche i nuovi finali due commi dell’art. 28 l. fall., il curatore dovrà aumentare la propria professionalità ed organizzazione (aprendosi quindi verso fenomeni associativi e societari, in linea peraltro con l’art. 28, c. 1, lett. b l. fall.), ricorrendo al contempo sempre più a delegati e coadiutori di sua fiducia ex art. 32 l. fall. (basti pensare all’importanza di un’iniziale e profonda due diligence, non solo contabile, ma anche legale e se del caso industriale), senza timori di riduzioni del proprio compenso, che infatti, di fronte a risultati soddisfacenti, troverà comunque adeguata liquidazione, tendendo se del caso verso i valori massimi di tariffe, compensandosi quindi così le riduzioni subite ex art. 32 l. fall.).

[21] Ove la gestione caratteristica non risulti di segno positivo ovvero non sia compensata in eccesso dal maggior valore del prezzo di vendita dell’azienda mantenuta in vita.

[22]Cfr. Bottai, in Commentario Ferro, 1378. Quantunque dovrebbe ritenersi ammissibile anche la fattispecie dell’affitto “ponte”, cioè immediato, con riserva se del caso di indire in una fase successiva la procedura competitiva. Difatti, l’art. 107 c. 1 l. fall prescrive l’adozione di procedure competitive (esclusivamente) per “gli atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione”.Ed il novellato art. 104 ter c. 4 l. fall. si preoccupa di ribadire tale precetto, con l’espresso richiamo dell’art. 107 l. fall., anche rispetto alle incombenze della procedura di liquidazione dell’attivo affidata ad altri professionisti o società specializzate. Di contro, allorché non sia stato ancora possibile redigere il programma di liquidazione e sussistano ragioni di urgenza per il compimento dell’atto (pena il rischio di provocare “pregiudizio all’interesse dei creditori”), l’art. 104 ter, c. 7, l. fall. richiede esclusivamente che l’atto sia autorizzato ad hoc dal GD, sentito il comitato dei creditori se già nominato. Quindi appare evidente che in tali casi il legislatore si sia preoccupato di esentare il curatore dall’incombente de quo, o, quanto meno, dal doverlo esercitare previamente e/o nei rigorosi limiti temporali prescritti dal novellato art. 107 c.1 l. fall. Quindi, ben potrà accadere che la procedura competitiva fallimentare sia fissata successivamente ad un urgente affitto “ponte”; in fondo come accade oggi nell’omogenea (almeno quanto a regime della competitività) sede concordataria con il nuovo art. 163 bis l. fall., in cui il contratto d’affitto spesso pre-esiste alla stessa domanda di concordato. (Trib. Bergamo, 23 dicembre 2015, in www.ilcaso.it)..

[23]Cfr. con riguardo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, l’oramai celebre Cass., 19 marzo 2012, n. 4303, in Fallimento, 1222, con nota di Patti, Rapporti pendenti ed esercizio provvisorio tra prededuzione e concorsualità, alla ricerca della regola da applicare; v. anche in Giur. Comm.2013, II, 845 con nota di Di Girolamo, Subentro ex lege del curatore nei rapporti giuridici pendenti a seguito dell’esercizio provvisorio e prededucibilità.

[24] Come non pone problemi di vincoli di solidarietà ex artt. 2112 e 2560 c.c. in caso di retrocessione dell’azienda alla luce del rassicurante disposto dell’art. 104 bis, c. 6, l. fall.

[25] Ed a voler prescindere dal diritto di prelazione ex lege di cui all’art. 11, c. 2, l. 9/2014, secondo cui : “nel caso di affitto o di vendita di aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa, hanno diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura”. Quanto invece ai possibili rapporti d’affitto sorti in relazione alle fattispecie di cui all’art. 3 l. 223/91 e proseguiti poi durante la procedura concorsuale interessante l’affittante, va ricordato che il Supremo Collegio è fermo nell’insegnamento secondo cui il diritto di prelazione ex lege previsto da tale norma non spetta all’affittuario qualora non sia più de jure tale al momento della definitiva determinazione del prezzo di vendita previsto per la procedura concorsuale alienativa (cfr. ex multis Cass., 16 aprile 2015, n. 7753, in Dir. Giust. 2015, 17 aprile).

[26]Esprime queste condivisibili preoccupazioni, Bottai, in Commentario Ferro, 1378, quantunque il rischio della mancata percezione dei canoni potrebbe, recte: dovrebbe, essere previamente sterilizzato dal curatore attraverso l’imposizione di adeguate garanzie ex art, 104 bis, c. 2, l. fall. Per un’analitica comparazione dei possibili pro e contro tra i due istituti, cfr. anche PASQUARIELLO, Esercizio provvisorio d’impresa, www.il Fallimentarista.it, che evidenzia, tra l’altro, come in caso di revoca del fallimento l’esercizio provvisorio si appalesi, evidentemente, strumento più funzionale per ripristinare lo status quo ante.

[27]Istituto che il Giudice di legittimità ha avuto modo di ben valorizzare allorché ne ha difeso la stessa tenuta costituzionale di fronte alle eccezioni sul punto del Procuratore Generale, precisando che “i dubbi di legittimità costituzionale in tal modo prospettati appaiono peraltro il frutto di una rappresentazione soltanto parziale della complessa disciplina risultante dalla riforma, i cui molteplici aspetti devono essere adeguatamente tenuti in conto ai fini di una corretta valutazione. L'apertura ai terzi della legittimazione ad avanzare la proposta di concordato non mira infatti soltanto ad agevolare la soluzione della crisi dell'impresa attraverso strumenti che, nel favorire la riallocazione dei fattori produttivi, consentano al tempo stesso di salvaguardare l'unità dell'azienda, trasferendola nelle mani di chi sia in grado di gestirla utilmente, ma, facendo venir meno la posizione di monopolio riconosciuta al debitore dalla disciplina previgente, risponde anche all'esigenza di facilitare la chiusura del fallimento, nell'interesse dei creditori, in quanto rende possibile la presentazione anche di più proposte concordatarie, in concorrenza tra loro (omissis)… Il pregiudizio cui restano esposti i creditori non insinuati per effetto della limitazione della responsabilità del terzo non si differenzia d'altronde, nella sostanza, da quello che essi sono destinati a subire nell'ipotesi in cui si pervenga celermente alla liquidazione dell'attivo ed alla chiusura del fallimento, e, nell'ipotesi in cui il fallito continui a rispondere dei propri debiti, si configura come un pregiudizio di mero fatto, potendo essi fare pur sempre affidamento sulla capacità del debitore di ricostruire in futuro un patrimonio aggredibile” (Cass. 29 luglio, 2011, n. 16738, in Fallimento, 2012, 51, con nota di Bottai, Abutendo juribus? Il concordato fallimentare tra mercato, equità e giusto processo). Su alcuni degli aspetti più delicati affrontati dalla giurisprudenza di legittimità rispetto al nuovo concordato fallimentare, v. Pezzano - Crivelli, Abuso e non abuso del diritto nel concordato fallimentare, in www.osservatorio-oci.org. In generale sul concordato fallimentare, Buccarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, Milano, Giuffrè, 2016; Di Lauro, Il nuovo concordato fallimentare, Cedam, Padova, 2011; Minutoli – Blatti, sub art. 124, in Commentario Ferro, 1712; Perrino, Il nuovo concordato fallimentare, Foro It., 2006, parte V, 200.

[28]Infatti, secondo l’indirizzo prevalente, il finanziamento “in funzione” previsto dall’art. 182 quater c. 2 l. fall. deve risultare già effettuato al momento dell’eventuale provvedimento giudiziale autorizzante la prededuzione; cfr. Ferro – Filocamo, sub art. 182 quater, in Commentario Ferro, 2606; Lamanna, La legge fallimentare dopo il “decreto sviluppo”, Milano, Giuffrè, 2012, 9; Stanghellini, Finanziamento – ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Fallimento, 2010, 1346. In giurisprudenza v. Trib. Milano, 23 febbraio 2013, in Fallimento, 2013, 859; Trib. Terni, 06 febbraio 2012, in www.osservatorio-oci.org; Trib. Pistoia, 24 ottobre 2011, in www.osservatorio-oci.org.

[29]In fondo sempre ben possibile se l’art. 32 c. 2 l. fall. la consente anche ad opera dello stesso fallito.

[30]Fidante di poter poi, salvaguardata intanto la fondamentale continuità aziendale, dar vita ad un’acquisizione aziendale o ad un concordato fallimentare o comunque ad un accordo con i futuri acquirenti dell’impresa, ipotesi,quest’ultima, poi concretizzatasi.

[31] Impegno formulato unitamente a quello dell’amministratore teso a coadiuvare il curatore nell’esercizio provvisorio d’impresa. Sulla natura dell’impegno de quo, ci soffermeremo più diversamente infra sub 3. Indubbiamente sulla relativa validità, pur nella sua atipicità, non pensiamo comunque possa dubitarsi essendo senz’altro diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1323, c.2, c.c.).

[32]Indubbiamente superando quella logica quasi istituzionale, quanto statica e comunque non scolpita nella norma fallimentare in esame, che vede nell’esercizio provvisorio essenzialmente uno strumento conservativo dell’attività d’impresa. Cfr in tali termini, Fimmanò, Prove tecniche di esercizio provvisorio riformato, in Giur. Comm., 2007, I, 761; Patti, (nt. 23), 1225; Rossi, L’esercizio provvisorio nella mission della procedura fallimentare, in Giur. Comm., 2010, II, 1183. Sabatelli, L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento, tra interessi concorsuali, interessi particolari dei creditori e interessi c.d. “sociali”,in Dir. Fall., 2011, I, 130.Si pone, invece, su un solco di maggiore apertura alla possibilità di riorganizzazione dell’attività d’impresa, Stanghellini, Le crisi d’impresa fra diritto e economia. Le procedure d’insolvenza, Bologna, Il Mulino, 46, il quale, sul presupposto che non si tratta del risanamento del fallito, bensì eventualmente della sua impresa, correttamente evidenzia che “l’insorgere della crisi non è certo un segnale di salute dell’impresa ma non è neppure un segnale altrettanto inequivocabile dell’opportunità di cessare l’impresa” che ovviamente non significa certo che “l’impresa in crisi debba essere sempre salvata”. In senso sostanzialmente conforme, Barachini, La nuova disciplina dell’esercizio provvisorio: continuità dell’impresa in crisi nel (e fuori dal) fallimento, in Campobasso – Cariello – Di Cataldo – Guerrera – Sciarrone Alibrandi, in Società, Banche e crisi d’impresa, Torino, UTET, 2014, 2874, che parla di possibile “realizzazione di gestioni innovative - tali cioè da incidere sull’originaria fisionomia del complesso aziendale – (perché) potrebbe risultare funzionale ad assicurare una migliore e più efficiente allocazione sul mercato dell’azienda nel suo complesso… non essendovi cioè – almeno in linea teorica alcuna inconciliabilità con gli obiettivi liquidatori tipici della procedura fallimentare”. In linea si pone anche Fabbio, L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento, in ESI, Napoli, 2011, 64; Ferri, Le forme di esercizio dell’impresa fallita, in Riv. Dir. Comm., 2010, I, 183; v. anche Pasquariello, Gestione e organizzazione dell’impresa nel fallimento, Milano, Giuffrè, 2010, 113. In giurisprudenza, nel senso propugnato dai due Autori, v., pur se in un obiter, Cass., 09 gennaio 1987, n. 71, in Giur. Comm, 1987, II, 562; contra Trib. Messina, 08 luglio 1981, in Dir. Fall., 1982, II, 1257, Trib. Avellino, 14 ottobre 1964, in Foro Padano, 1965, I, 1417. D’altra parte, anche la prassi sembra abbracciare tale indirizzo ed in un settore, quale quello giuslavoristico davvero di rilievo, allorché afferma che spetta per i lavoratori la fruizione “di CGIS, -per la causale di crisi aziendale di cui all’art. 21 lett. b del d.lgs 148/2015“ quando l’impresa sottoposta a fallimento presenti rispetto al disposto esercizio provvisorio “un programma di crisi aziendale in cui il piano di risanamento sia volto alla concreta e rapida cessione dell’azienda o di parte di essa” (Circolare n. 24 del 26 luglio 2016 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in www.ilcodicedeiconcordati.it).

[33] Una sì tale ampia durata è stata favorita, oltre che dai positivi risultati che man mano emergevano, dalla circostanza che la proposta di concordato fallimentare, nelle more intervenuta, risultava condizionata alla prosecuzione dell’attività d’impresa della società fallita.

[34] Facoltà che reputiamo senz’altro ammissibile, considerato anche il favor della riforma per le soluzioni negoziali delle crisi di impresa, anche attraverso lo strumento concordatario fallimentare che d’altra parte trova conferma nella piena libertà di forma lasciata al proponente dall’art. 124 c. 2 l. fall., v. Trib. Torino, 27 giugno 1997, Fall. 1997, 1040. Opzione che peraltro legittimamente ha consentito evidenti risparmi fiscali da doppio passaggio (anche in considerazione che gli effetti automatici di trasferimento dei beni all’assuntore, conseguenti alla definitività dell’omologa, possono pattiziamente differirsi ad un momento successivo, come, ad es. all’avvenuta esecuzione della proposta, se del caso operata dallo staggittario, cioè un liquidatore del concordato fallimentare, cfr. ex multis Cass., 09 maggio 2013 n. 11027, in www.ilcodicedeiconcordati.it. Cfr. in dottrina, Buccarella, Il Concordato fallimentare coattivo e straordinario, 253 (nt. 27) Di Lauro, Il nuovo concordato fallimentare, Padova, CEDAM, 2011, 204). Come, per le stesse ragioni, li ha consentiti la scelta dell’assuntore di non attribuirsi la liquidità presente nelle casse fallimentari, rispetto a cui va sempre ben specificato, in caso di patto di limitazione delle responsabilità ex art. 124, c. 4, l. fall. (non presente nella specie), che trattasi liquidità comunque destinata, così come gli ulteriori apporti del proponente, esclusivamente a favore dei creditori ricompresi nel perimetro concordatario (v. in tema Trib. Milano 05 maggio 2016, in www.ilfallimentarista.it). Per una completa disamina delle diverse tassazioni inerenti le varie voci di beni passibili di assunzione concordataria, cfr. Circolare Agenzia delle Entrate del 21 giugno 2012, n. 27/E, in www.agenziaentrate.gov.it.

[35] Va evidenziato come il curatore, al fine di favorire al massimo ogni possibile competitività, si sia alacremente attivato in proposito offrendo, previa autorizzazione ex art. 90, c. 3, l. fall. ed assunzione degli opportuni obblighi di riservatezza, tutte le informazioni del caso, anche relativamente agli esiti man mano emergenti dall’esercizio provvisorio.

[36] Cfr., sugli aspetti aziendalistici del piano concordatario in continuità, le interessanti riflessioni di Ranalli, in Rolfi - Ranalli, Il concordato in continuità, Giuffrè, Milano, 2015, 109 -219.

[37] Quasi eccessiva per certi versi rispetto al regime dei rapporti in corso alla luce della disciplina prevista dall’art. 104 c. 7, 8 e 9 l. fall rispetto allo snodarsi - e relativi effetti - dei contratti, sia durante l’esercizio provvisorio che nella fase post, tanto che qualche Autore ha parlato suggestivamente di “dumping da procedura concorsuale”: la creativa affermazione è di Fimmanò (nt. 15), 1612, ripresa adesivamente da Patti (nt. 23), 1230. V. anche, a commento di Cass. 19 marzo 2012, n. 4303 con nota di Di Girolamo (nt. 23), 849. D’altra parte non va dimenticato che l’impresa in esercizio provvisorio opera sul mercato senza rischio, non tanto e non solo perché priva di capitale (appunto di rischio), ma soprattutto perché fruisce di tutte le guarentigie sulla permanenza, sostanzialmente coattiva ed a prescindere dall’eventuale inadempimento del curatore, dei rapporti negoziali (cfr. Cass., 09 gennaio 1987, n. 71, Fall., 1987, 590 e Cass., 06 febbraio 1986, n. 719, Fall., 1986, 96).

[38] In grado di farlo solo sino all’ultimo termine utile per modificare la proposta concordataria (prima ex art. 175 c. 2 l. fall. ed ora anche anticipato ex art. 172 c. 2 l. fall.) di cui la richiesta di scioglimento contrattuale rappresenta comunque un elemento; cfr. in tema l’oramai leggendario Trib. Pistoia, 09 luglio 2013, in www.ilcaso.it.

[39]Salvo poi a fine esercizio decidere il da farsi ex art. 104 ult c. l. fall. Con tutti gli effetti quasi didascalicamente enunciati nel noto arresto di cui a Cass., 19 marzo 2012, 4303, con nota di Di Girolamo, Subentro ex lege del curatore nei rapporti giuridici pendenti a seguito dell'esercizio provvisorio e prededucibilità (nt. 23).

[40]Se non, come noto, nelle ipotesi di cui agli artt. 79 e 80 e l. fall., ed - ovviamente – slavo che il curatore non possa invocare una causa di validità/inefficacia del contratto.

[41] Invero, pur sussistendo la prededuzione ex art. 104, c. 8, l. fall,. anche tale tipologia di crediti soggiace alla disciplina accertativa e distributiva di cui all’art. 111 bis l. fall. e quindi dell’eventualità di cui all’ultimo comma di tale norma (insufficienza di attivo), che ove davvero si verifichi rischia di esporre il curatore a possibili responsabilità qualora si dimostri che con negligenza non abbia valutato i rischi di grave insuccesso dell’esercizio provvisorio. Infatti, pur ritenendosi generalmente che il curatore non possa mai rivestire la qualifica di imprenditore allorché come pubblico ufficiale dia corso all’esercizio provvisorio (Cass., 22 dicembre 1994, n. 11047, in Fallimento 1995, 743; contra Maffei Alberti, in Commentario Maffei Alberti, 703), la sua responsabilità professionale potrebbe in ogni caso risultare impegnata se, per colpa grave (qualora si acceda alla tesi della sola applicabilità dell’art. 2236 c.c.), venisse a crearsi una situazione di totale o parziale incapacità di pagamento dei creditori prededucibili sorti durante l’esercizio provvisorio amministrato dal curatore medesimo (sul tema in generale, cfr. Trentini, La responsabilità civile del curatore fallimentare, in www.ilcaso.it). A maggior ragione se si consideri che, una volta scelto il curatore di proseguire, anche provvisoriamente, nel contratto, il contraente in bonis non può sciogliersi, recte: invocare la risoluzione per inadempimento, neppure se poi il curatore non risulti in grado di adempiere al dovuto (Cass., 09 gennaio 1987, n. 71, cit.; in senso conforme, Cass., 06 febbraio 1986, n. 719 – nt. 37). Peraltro dubiteremmo che la risoluzione (o quantomeno l’eccezione di autotutela ex artt. 1460 e 1461 c.c.) possa fondatamente impedirsi anche qualora, decretato dal GD il diritto al pagamento ex art. 111 bis c. 3 l. fall., comunque il curatore non adempia ovvero si verifichi l’ipotesi di insufficienza di attivo prevista dall’art. 111 bis c. 4 l. fall.

[42]Difatti, rispetto ad alcuni rapporti di durata (come il contratto di locazione), i Giudici di legittimità hanno concluso che anche i crediti per canoni scaduti post concordato hanno comunque nell’originario contratto il titolo (quindi) anteriore ex art. 168, c. 1, l. fall. e pertanto non fruiscono in alcun caso della prededuzione (quindi anche qualora il novellato art.169 bis, c. 2, l. fall. fosse stato applicabile alle fattispecie oppure) ove anche divenuti, meramente esigibili, post deposito del concordato. Ci stiamo riferendo alle note Cass., 25 novembre 2015, n. 24046 e Cass., 20 gennaio 2015, n. 825, ambedue in www.ilcodicedeiconcordati.it.

[43] Per una possibile chiave di lettura, Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, in www.ilfallimentarista.it, 2015, 8-10, «la norma riserva la prededucibilità ai crediti relativi a prestazioni eseguite legalmente ed in conformità agli accordi o agli usi negoziali. Si tratta di puntualizzazione non proprio chiarissima, ma evidentemente intesa a evitare che il beneficio sia richiesto dalla controparte con riferimento a prestazioni rese al di fuori dei patti contrattuali o che, secondo buona fede, si potrebbero evitare in una fase di incerto esito del contratto». Negli stessi termini, Staunovo-Polacco, Speciale decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: I contratti pendenti nel concordato preventivo art. 169-bis l. fall., in www.ilfallimentarista.it, 2015, 8, «il tutto, purché le prestazioni post-pubblicazione ed anteriori alla comunicazione di sospensione/scioglimento siano state eseguite “legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali”, vale a dire seguendo le pattuizioni contrattuali o gli usi inter partes e senza che, pertanto, il contraente in bonis possa profittare del beneficio per eseguire prestazioni esorbitanti rispetto a quelle negozialmente convenute». V. anche, con alcune puntualizzazioni rispetto alla stessa spettanza del credito, Pezzano, in AA.VV., La nuova riforma del diritto concorsuale, commento operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, 226 (nt. 11).

[44] Rispetto a tale ultimo negozio, cfr., soprattutto con riguardo alla procedura fallimentare, le lucide considerazioni di Di Girolamo, Subentro ex lege del curatore nei rapporti giuridici pendenti a seguito dell’esercizio provvisorio e prededucibilità.(nt. 23), 850; stimolanti anche le riflessioni di Dimundo – Patti, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, Milano, Giuffrè, 1999, 251; v. pure Patti, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Milano, Giuffrè, 2014, 103.

[45]Cfr. Cass., 19 marzo 2012, n. 4303, (nt. 23.) secondo cui “conclusivamente, alla luce dei principi giurisprudenziali richiamati e delle norme introdotte dalla riforma, occorre distinguere i crediti che potrebbero esser maturati in tre successivi ma distinti segmenti temporali: a) ante fallimento, b) in pendenza dell'esercizio provvisorio, c) successivi al termine dell'esercizio provvisorio. I crediti del segmento b) sono sempre indiscutibilmente prededucibili; quelli del segmento c) sorgono ovviamente solo se il curatore al termine dell'esercizio provvisorio abbia optato per il subentro nel contratto e, in tal caso, sono del pari sicuramente prededucibili; quelli del segmento a) sono o meno prededucibili a seconda che, sempre al termine dell'esercizio provvisorio, il curatore abbia scelto di subentrare o di sciogliersi dal contratto. Tale ultima soluzione - come ha avvertito una parte della dottrina - è giustificata da ciò che la continuazione del contratto è frutto di opzione legislativa e non del curatore”.

[46]Cfr. Cass., 18 maggio 2005, n. 10429, in Fallimento 2006, 1, 37; Cass. 30 gennaio 1997, in Giur.It. n. 468 e Cass., 05 agosto 1996, n. 7140, in Giust. civ. 1997, I,1029.

[47] Infatti, tanto attraverso una mirata fase istruttoria quanto addirittura in fase cautelare (Fimmanò, Prove tecniche di esercizio provvisorio riformato, 762 - nt. 32), ben potrà lo stesso debitore fruire allo scopo degli strumenti previsti dal procedimento pre-fallimentare comune di cui all’art. 15 l. fall. Conseguentemente, dopo aver ben documentato la propria istanza ex art. 14 l. fall. (e quindi, con un idoneo piano, anche oltre le strette previsioni normative), il debitore potrà senz’altro richiedere, a conferma dei propri assunti, una consulenza o comunque un atto istruttorio finalizzato a dimostrare l’utilità dell’esercizio provvisorio nel dichiarando fallimento o addirittura nella stessa fase pre-fallimentare ex art. 15, c. 8, l. fall.

[48] Cfr. anche in tema, ROSSI, L’esercizio provvisorio nella mission della procedura fallimentare, 1182 (nt. 17)

[49] E giammai una ricostituzione ex novo dell’organizzazione d’impresa attraverso le risorse proprie dell’attivo fallimentare, non essendo peraltro estensibile al fallimento la facoltà prevista dall’art. 1 d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270 sulla “riconversione delle attività imprenditoriali” (cfr. Rossi, - nt. 2).

[50] V. nt. 37

[51]Come è noto, la riforma di cui al d.l. 27 giugno 2015, n. 83 conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132, ha segnato un’evidente inversione di tendenza rispetto al favor per le soluzioni negoziate delle crisi d’impresa, con la previsione del limite minimo obbligatorio “assicurato” del 20% per i concordati liquidatori, del silenzio-rifiuto in tema di voto, nonché delle offerte e proposte concorrenti. Fra le opere più sistematiche, quanto critiche, in argomento, cfr. AA.VV., La nuova riforma del diritto concorsuale, commento operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, (nt. 11). Per l’autorevolezza delle riflessioni, v. anche Fabiani, I nuovi vincoli alla proposta di concordato preventivo visti dal prisma di una “lettura difensiva”, in Fallimento, V, 2016. D’altra parte le prime decisioni sul concetto di “assicurare” sembrano corroborare i timori della dottrina: cfr. Trib. Rovigo, 1 agosto 2016 e Trib. Treviso, 29 luglio 2016, ambedue in www.fallimentiesocietà.it. Offre una diversa chiave di lettura, più in linea con lo spirito di fondo delle riforme degli ultimi dieci anni e delle principali decisioni dei massimi giudici (Corte costituzionale, Ord., 12 marzo 2010 n. 98 e Cass. S.U., 15 gennaio 2013, n. 1521, ambedue pubblicate e commentate in più riviste, fra le quali la prima in Giur. comm., fasc.1, 2011, 80 e la seconda in Foro it. 2013, 5, I, 1534), Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in www.ilcaso.it che precisa come “debba affermarsi in modo netto che tale impatto non si è risolto nel introdurre un vincolo contenutistico della proposta che possa qualificarsi in termini di promessa di pagamento di una determinata percentuale del credito. Nessuna traccia di un tale intento del legislatore si rinviene nella riforma del 2015, anzi al contrario in sede di conversione del D.L. 83/15 sono stati eliminati quei passaggi che potevano risultare equivoci (ad esempio, l’art. 161, co. 2, lett. e) prevedeva nel testo originario l’espressione “utilità procurata” in favore di ciascun creditore, mentre all’art. 163 co. 5 “l’impegno al pagamento” del 40% dei crediti chirografari è stato sostituito da una proposta che “assicuri” ecc) e non vi è dubbio che, in caso contrario, si sarebbe espressamente dato conto di una così stravolgente innovazione, che renderebbe invero impraticabile per definizione il concordato liquidatorio”.

[52]In generale, sulle varie problematiche afferenti l’azione di responsabilità nel concordato preventivo (anche rispetto alle possibili ricadute ex art. 173, ovvero ex artt. 186-138 l. fall.), cfr. in giurisprudenza, Cass., 14 settembre 2016, n. 18090 in www.ilcaso.it; Cass., 01 giugno 2016, n. 11395, in www.ilcodicedeiconcordati.it;Trib. Bologna, 16 agosto 2016; Trib. Trento, 10 giugno 2016; Trib. Bolzano, 30 aprile 2015; Trib. Piacenza, 12 febbraio 2015; ambedue in Fallimento, 2015, p. 955 ss.; App. Brescia, 14 maggio 2014, Trib. Padova, 23 ottobre 2014, Trib. Monza, 2 novembre 2011, tutte in www.ilcaso.it. In dottrina, D’Attorre, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, in Riv. soc., 2015, 15; Fabiani, Dalla meritevolezza al rapporto dialogico fra frode e responsabilità nel concordato preventivo, in Fallimento, 2015, p. 965; La Croce, La “confessio” salvifica degli atti in frode ai creditori. Un equivoco pericoloso, denso di antinomie, contrasti costituzionali e violazioni cedu, Fallimento, 2015, 314-316; Pagni - Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo: un dialogo a due voci, Società, 2015, p. 601. Sui doveri e responsabilità degli organi amministrativi in caso di crisi d’impresa, cfr. Bozza, Diligenza e responsabilità degli amministratori di società in crisi, Fallimento, 2014, 1097; Luciano, La crisi preconcorsuale delle società, in www.ilsocietario.it; Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Società, 2013, 669; Rossi, La governance dell’impresa in fase di ristrutturazione, Fallimento, 2015, 253; Sallorenzo, Responsabilità degli organi gestori nell'approssimarsi dell'insolvenza: nuovi “sistemi di allerta” e disciplina vigente, in www.ilfallimentarista.it.

[53] V. nt. 51.

[54] Un esempio in tema viene offerto dalla decisione del Trib. Alessandria, 09 febbraio 2016, in www.ilfallimentarista, in cui l’imprenditore in crisi, preso atto che il progetto di c.p. non aveva concrete possibilità di successo, ha volontariamente scelto la strada dell’istanza di fallimento in proprio con contestuale richiesta di esercizio provvisorio.

[55] Cfr. Rolfi-Ranalli (nt. 36). Ovviamente di grande supporto potranno risultare anche le linee guida del L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento, redatte dal CNDCEDC, Quaderno Maggio 2016, par. 35. Tra l’altro non va dimenticato che il relativo credito professionale fruirà della prededuzione ex art. 111, c. 2, l. fall.; v. Cass., 09 settembre 2014, n. 18922, in www.ilcodicedeiconcordati.it.

[56]Probabilmente i veri giuristi farebbero riferimento anche all'istituto germanico della "Differenzhaftung", cioè alla "responsabilità per la differenza" valevole con peculiare riferimento a quella dei soci nel caso dei conferimenti attraverso prestazioni di servizi o d'opera, introdotta anche dal nostro legislatore con la riforma societaria del 2003 e segnatamente con il novellato art. 2464, c. 6, c.c., secondo cui "Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l'intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d'opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l'atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società". In questa prospettiva, la previsione di una Differenzhaftung comporta l'obbligo del socio di integrare in danaro la minusvalenza dell'apporto (indipendentemente dalla causa che l'ha prodotta) rispetto al valore nominale della quota sottoscritta. E consente di affermare che, anche nella società a responsabilità limitata italiana, "dietro ogni obbligo di eseguire [un conferimento d'opera o di servizi] c'è un'obbligazione sussidiaria di copertura in danaro", che si estingue procurando alla società prestazioni "con corretta ed obiettiva valutazione". Si è ritenuto infatti che l’oggetto del conferimento non sia la prestazione di opera o di servizi, (vista la scarsa idoneità dell'opera e dei servizi ad essere valutati con criteri tendenzialmente oggettivi, per gli elevati rischi legati alla persona), ma oggetto del conferimento sia il suo valore garantito dalla polizza o dalla fideiussione bancaria. (cfr. Portale, La riforma societaria: aspetti sostanziali - Profili dei conferimenti in natura nel nuovo diritto italiano delle società di capitali, in Corriere Giur., 2003, 1663).

[57]Infatti l’art. 124 c. 1 l. fall. si limita a sancire la temporanea improponibilità della domanda solamente rispetto al fallito, società cui egli partecipi o società sottoposte a comune controllo. E rappresentando la disposizione de qua in fondo una limitazione all’attività d’impresa e quindi alla libera concorrenza, quantomeno rispetto ai predetti soggetti che non siano il fallito, non può che interpretarsi quale disposizione eccezionale e quindi di stretta interpretazione. Cfr. Zanichelli, I concordati giudiziali, UTET, Torino, 2010, 366. Comunque la conclusione non è pacifica, come compiutamente argomenta Buccarella, Il concordato fallimentare, coattivo e straordinario, 26 (nt. 27).

[58]Anzi la procedura liquidatoria per eccellenza poiché mira in unico contesto a chiudere il fallimento ed in via definitiva, a differenza che nei casi di cui all’art. 118 n. 3 e 4 l. fall. in cui l’apertura è sempre possibile nei 5 anni dall’avvenuta chiusura del fallimento al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 121 c. 1 l. fall. (salvo ovviamente risoluzione o annullamento del concordato ex artt. 137 e 138 l. fall.). Ed a tacere che, alla luce della fictio chiusura prevista dal novellato art. 118 di cui al d.l. 27 giugno 2015, n. 83 conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132, nella sostanza molti degli effetti fallimentari continuano comunque ad avere esplicazione considerato il proseguire delle liti attive in corso con i conseguenti riparti e problematiche connesse; cfr. sul tema Bilò, La chiusura del fallimento per ripartizione finale dell’attivo dopo il decreto legge 28.06.2015, n. 83, convertito in legge 06.08.2015, n. 132, in www.osservatorio-oci.org.

[59]In tema è già chiaro l’art. 125, c. 2 l. fall., ma in fondo ancor di più il combinato disposto degli artt. 104 ter, c. 1, lett. “b” (riguardante appunto l’eventuale sussistenza di proposte di concordato fallimentare) e 107 c. 1 l. fall., allorché prescrive che ogni atto di liquidazione del programma ex art. 104 ter l. fall., e quindi non solo le vendite, debba scontare il regime competitivo.

[60]Cfr. Trib. Pistoia, 28 dicembre 2013, cit. In altri termini, purché non crei un pregiudizio ai creditori, l’esercizio provvisorio può sempre disporsi qualora miri a tutelare il valore dell’organizzazione di un’impresa (e quindi anche delle sue maestranze) meritevole di proseguire il suo corso, quanto meno ai fini di una sua migliore vendita fallimentare ovvero più redditizia liquidazione di semilavorati necessitanti quindi di esser completati. Cfr. in argomento Trib. Catania, 18 giugno 2016, in www.ilcaso.it, che parla di neutralità dell’esercizio provvisorio rispetto ai creditori e di convenienza al fine di mantenere il valore di avviamento. V. anche Trib. Alessandria, 09 febbraio 2016 (nt. 54) che precisa che il tribunale deve “accertare, se non il vantaggio, l’indifferenza per il ceto creditorio della prosecuzione dell’attività aziendale”, aggiungendo come “la valutazione in ordine alla sussistenza del pregiudizio deve essere effettuata tenendo conto dei risultati complessivi della procedura, associando al risultato provvisorio della gestione il plusvalore derivante dall’alienazione di un complesso funzionante, in luogo di una liquidazione atomistica dei beni che compongono l’azienda; ritenuto in altri termini che a tal fine il Tribunale dovrebbe poter disporre ed essere messo in grado di effettuare il confronto tra il prezzo reputato ricavabile dalla vendita dell’azienda a cui si affianchi l’esercizio provvisorio, al netto delle variazioni finanziarie generate dalla sua prosecuzione, il prezzo ricavabile dalla vendita dell’azienda cui non si affianchi l’esercizio provvisorio e infine il valore che si stima ricavabile dalla vendita atomistica dei singoli beni, potendosi disporre l’esercizio provvisorio non solo ove il primo dato sia certamente più favorevole rispetto alle altre due ipotesi liquidatorie, ma anche nel caso in cui il risultato sia sostanzialmente equivalente, posto che anche in tal caso verrebbe rispettato il requisito minimale dell’indifferenza per il ceto creditori”. Negli stessi termini, Trib. Udine, 10 dicembre 2011, in www.unijuris.it, secondo il quale “non è necessario che l’esercizio provvisorio si concluda con risultato positivo dal momento che l’eventuale perdita economica del periodo può essere neutralizzata dal maggior realizzo che, grazie alla conservazione del valore azienda ed in primis dell’avviamento, il curatore riesca a conseguire dalla vendita dell’azienda”. Invero si è anche giunti a sostenere (fortunatamente solo) in un obiter che nell’“autorizzare l’esercizio provvisorio il tribunale può tener conto non solo dell’interesse del ceto creditorio, ma anche della generalità dei terzi fra i quali ben possono essere annoverati i cittadini che usufruiscono del servizio erogato” (Cass. 27 settembre 2013, n. 22209, Foro it. 2014, 1, 113). La conclusione della Suprema Corte non convince; infatti, ove anche sulla connotazione del requisito del “danno grave” si voglia convenire (anche perché oggi, a differenza del passato, non è richiesto che il danno sia anche “irreparabile”), la lettera della legge ci pare inequivocabile allorché impone l’ulteriore, e non certo alternativo, requisito dell’assenza di pregiudizio rispetto alla massa dei creditori.

[61]A differenza di quanto previsto ordinariamente dall’art. 72, c. 1 e 2, l. fall. (ed in precedenza dalla stessa disposizione - l’abrogato art. 90 - sull’esercizio provvisorio che infatti non disciplinava ad hoc il regime dei rapporti pendenti durante l’esercizio provvisorio).

[62] V. anche in tema la cit. Cass., 19 marzo 2012, n. 4303 (nt. 23).

[63] Crf. in senso univoco sulle problematiche trattate le risalenti, ma mai smentite, Cass., 09 gennaio 1987, n. 71e Cass., 06 febbraio 1986, n. 719 (nt. 37). Peraltro i novellati precetti di cui all’art. 72, c. 5 e 6, l. fall., ci sembrano ispirati alla stessa logica, così come, ed anzi ancor più, l’art. 110, c. 3 e 5, d.lgs. 50/2016, con la netta (ndr: eccessiva?) valorizzazione dell’esercizio provvisorio nella prosecuzione ed addirittura stipula di contratti d’appalto e concessione pubblici, pur se con la guarentigia del doppio controllo di GD ed ANAC. Peraltro, come già accennato, dubiteremmo che la risoluzione (o quantomeno l’eccezione di autotutela ex artt. 1460 e 1461 c.c.) possa fondatamente impedirsi anche qualora, decretato dal GD il diritto al pagamento ex art. 111 bis c. 3 l. fall., comunque il curatore non adempia ovvero si verifichi l’ipotesi di insufficienza di attivo prevista dall’art. 111 bis c. 4 l. fall.

[64] Come, dopo la previsione dell’art. 186 bis c. 3 l. fall. sulla non risolvibilità automatica dei contratti, anche rispetto alla continuità concordataria; v. in tal senso. Trib. Marsala, 5 febbraio 2014, con nota di Leuzzi, Note sui mutui pendenti nel concordato preventivo, tra scadenza anticipata e moratoria, in Il Diritto Fallimentare, Cedam, vol. XC, n. 1/2015, 109, che ha ritenuto il contratto di mutuo proseguibile e quindi non soggetto alla disposizione dell’art. 55 l. fall. richiamata dall’art. 169 l. fall.e quindi anche provvisoriamente ex art.104, c. 7 e 9, l. fall. in caso di esercizio provvisorio.

[65]E quindi anche provvisoriamente ex art. 104, c. 7 e 9, l. fall, in caso di esercizio provvisorio, come tra l’altro espressamente prevede per il rapporto di leasing l’art. 72 quater, c. 1, l. fall.

[66]Mentre in caso di concordato preventivo, ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti, anche per le linee di credito autoliquidanti in essere, è comunque necessaria ex art. 182 quinquies, c. 3, l. fall. la previa autorizzazione giudiziale, concedibile tra l’altro solo allorché si dimostri la funzionalità ed urgenza del finanziamento rispetto all’esercizio dell’attività aziendale che in difetto resterebbe irreparabilmente pregiudicata non essendo in grado il debitore di reperire aliunde tali finanziamenti. Non solo, in sede di accordi o convenzioni ex art. 182 septies l. fall., visto il relativo comma sette, in nessun caso vi è modo di mantenere gli affidamenti esistenti rispetto ai creditori non aderenti. Cfr. sub art. 182 quinquies l. fall. Bottai e sub art. 182 septies Bombardelli, in AA.VV., La nuova riforma del diritto concorsuale, commento operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, (nt. 11), rispettivamente 289 e 303.

[67]Colpa che, come osservato (nt 40), deve comunque essere “grave” concernendosi una sfera d’azione, certamente d’ambito professionale e non imprenditoriale, relativa a problematiche la cui soluzione presenta “speciale difficoltà” ex art.2236 c.c. (Cass., 06 febbraio 1986, n. 719; parla invece genericamente di “colpa” e Cass., 09 gennaio 1987, n. 71; - nt. 37) In dottrina, cfr. Pasquariello, Esercizio provvisorio dell’impresa, in www.ilfallimentarista.it, che anche in tali casi di specifico danno verso singoli creditori ipotizza la sola legittimazione passiva della procedura,a propria volta poi legittimata ad agire ex art. 38, c. 2, l. fall., nei confronti del curatore revocato; pur in consapevole dissenso con la giurisprudenza prevalente (puntualmente richiamata), con meditate e convincenti argomentazioni, ipotizza una concorrente legittimazione solidale, soprattutto in caso di già avvenuta chiusura del fallimento, Trentini, La responsabilità civile del curatore fallimentare (nt. 41).

[68] Sulla circostanza che l’autorizzazione giudiziale non sia di per sé esimente cfr. Trentini, La responsabilità civile del curatore fallimentare (nt. 41).

[69]In un tal contesto potrebbe porsi il problema di stabilire se il curatore, una volta disposto l'esercizio provvisorio, possa compiere liberamente anche gli atti di natura straordinaria, per ciò potendosi intendere convenzionalmente (argomentando dall'art. 35, c. 2, l. fall.) quelli prevedenti impegni di spesa superiore ad euro 50 mila.

Dovrebbe concludersi affermativamente. Infatti l’art. 104 l. fall. nulla prevede in proposito, tra l'altro stabilendo che il Giudice possa unicamente decidere se disporre e proseguire l’esercizio provvisorio, determinando specificatamente la sola durata, prevedendo inoltre quanto al Comitato dei Creditori che possa solo chiederne la cessazione. D’altra parte anche la provvisoria prosecuzione di un contratto in essere potrebbe provocare impegni di spesa superiori alla predetta cifra. Peraltro una 'sì tale facoltà determinativa del curatore dovrebbe essere quasi connaturale allo svolgimento, dinamico, di un'attività oggettivamente pur sempre con connotati di imprenditorialità.

D’altra parte, se agirà con la dovuta diligenza, recte: prudenza (anche pro domo proprio), sarà quasi scontato che, eventualmente invocando il precetto dell'art. 104, c. 5, parte seconda, l. fall. (se non direttamente l'art. 35 l. fall.), ricorra al confronto con il Comitato dei Creditori se non anche con il GD.

Naturalmente tutto ciò a maggior ragione ove si acceda alla tesi, derivata dalla giurisprudenza in punto di art. 167, c. 2, l. fall., che gli atti di straordinaria amministrazione sono quelli potenzialmente suscettibili di essere dannosi per la massa dei creditori (Cass., 20 ottobre 2005, n. 20291, in Giust. Civ. Mass. 2005, 7/8).

Ancor di più ove si concluda, come autorevole dottrina (Bozza, I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo, in Fallimento, 2013, 1121), che ogni qual volta la straordinaria amministrazione debba essere rapportata con un'attività in qualche modo d'impresa, la stessa consiste in quegli atti che modificano la struttura economico organizzativa dell’impresa stessa (Cass., 05 dicembre 2011, n. 25952, in Giust. Civ. Mass., 2011, 12, 1727).

Va evidenziato che nel caso pistoiese in esame il GD, in sede i provvedimento autorizzativo ex art. 104, c. 2, l. fall., ha disposto che il curatore richieda l’autorizzazione al GD per compimento degli atti di straordinaria amministrazione.

[70]L. 108 del 7 marzo 1996 e successive modifiche.

[71]Atteso che l'apertura ai terzi della legittimazione ad avanzare la proposta di concordato mira anche “ad agevolare la soluzione della crisi dell'impresa attraverso strumenti che, nel favorire la riallocazione dei fattori produttivi, consentano al tempo stesso di salvaguardare l'unità dell'azienda, trasferendola nelle mani di chi sia in grado di gestirla utilmente”, oltre a rispondere “ all'esigenza di facilitare la chiusura del fallimento, nell'interesse dei creditori, in quanto rende possibile la presentazione anche di più proposte concordatarie, in concorrenza tra loro” (Cass., 29 luglio 2011, n. 16738 – nt. 27).

[72] Sull’ammissibilità anche attraverso il c.f. dell’acquisizione aziendale, e non solo dell’atomistico complesso dei beni, cfr. Tribunale Milano, 16 marzo 2016, www.ilfallimentarista.it.

[73]Infatti non può che indurre a questa conclusione lo specifico richiamo effettuato dall'art. 107, c.1, l..fall. (anche) all'art. 569, c.3, terzo periodo, c.p.c., cioè proprio al periodo riguardante la massima dilazione di mesi dodici.

[74] Difatti, mentre risulta pacifica la possibilità di agire in forza della successione contrattuale ex art. 2558 c.c., invece, allorché si discuta dei c.d. “crediti puri”, cioè non aventi a fronte alcun debito corrispettivo di cui all’art. 2559 c.c., il problema può porsi quantomeno rispetto alle situazioni rappresentative non (ancora) di crediti, bensì di mere pretese (cfr. in tema, pur se con riferimento al fenomeno della cessazione dell’ente sociale, Cass., S.U., 12 marzo 2013 n. 6070, in Foro it. 2014, 1, I, 228).

Ed a tacere che, ove si tratti di credito risarcitorio contro gli organi sociali per lesione provocata al patrimonio dell'azienda ceduta, o esiste la previa delibera sociale (Cass. 06 giugno 2003 n. 9090,in Giust. civ. 2004, I, 2341), e nel qual caso transita automaticamente con il contratto di cessione (Cass., 12 giugno 2007, n. 13765, in Giust. civ. Mass. 2007, 10), salvo patto contrario (Cass., 13 giugno 2006, n. 13676, in Giust. civ. Mass. 2006, 6), oppure solo il c.f. ne consentirà l'acquisizione ex art. 124, c. 4, come, naturalmente, per tutte le altre azioni di pertinenza della massa ove anche non inerenti lo stretto perimetro dell’azienda ceduta con il c.f..

[75] Cfr Pezzano - Ratti, Nuovo codice degli appalti e procedure concorsuali: prime riflessioni, (nt. 11); v. anche Cass. 28 luglio 2016, n. 15698, in www.cortedicassazione.it; Cass. 26 maggio 2009, n. 12140 in www.ilcodicedeiconcordati.it.

[76]Cfr. Vella, L’interpretazione autentica dell’art. 111, co. 2, l. fall. e i nuovi orizzonti della prededuzione pre-concordataria, in www.ilcaso.it.

[77]D’Amora, La prededuzione nell’anno di grazia 2013, in www.osservatorio-oci.org; Pezzano, Sub art. 111,in CommentarioFerro, 2014, 1540.


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