CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/10/2016 Scarica PDF

Divieto di compensazione con crediti scaduti anteriormente al fallimento

Luigi D'Agosto e Sonia Criscuolo, Avvocati


(Nota a Trib. Milano, 25 giugno 2016*)

   

Sommario: 1. “Il caso” affrontato dal decreto n. 7953 del 25 giugno 2016, pronunciata dal Tribunale di Milano - 2. La compensazione in sede fallimentare - 3. Compensazione fallimentare e revocatoria fallimentare. - 4. Compensazione giudiziale in sede fallimentare. - 5. Il divieto di compensazione ex art. 56, co. 2, l. fall.: sintesi dei principali orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sull’interpretazione della norma - 6. Il decreto n. 7953 del 25 giugno 2016, del Tribunale di Milano e la primazia della par condicio creditorum. Segue: 6.1. L’applicazione dell’art. 56, co. 2, l. fall. anche ai crediti scaduti ante fallimento acquistati dal debitore – creditore della procedura nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento. 6.2. Il divieto assoluto di compensazione tra presunzione legale assoluta di frode e abuso del diritto. 6.3. Note conclusive.


     

1. Il provvedimento che si commenta merita di essere segnalato nel panorama degli orientamenti giurisprudenziali in materia di interpretazione del divieto di compensazione di cui all’art. 56, comma 2, l. fall., letteralmente ed espressamente previsto per gli acquisti inter vivos (successivi o entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento) dei soli crediti non ancora scaduti alla data del fallimento.

Il provvedimento emesso dal giudice meneghino definisce una causa di opposizione allo stato passivo promossa da un creditore il quale deduceva, tra le altre, in compensazione, nei confronti del fallimento opposto, un credito già scaduto alla data del fallimento, che lo stesso aveva acquistato, in parte, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e, in parte, in data successiva, in forza di distinti contratti di cessione del credito.

Il fallimento si opponeva alla compensazione contestando la mancanza di prova circa la certezza della data di scadenza anteriore al fallimento dei crediti della opponente e deducendo, comunque, che, anche laddove detti crediti fossero risultati scaduti anteriormente alla dichiarazione di fallimento, comunque non avrebbero potuto essere opposti in compensazione alla procedura ricorrendo, nel caso di specie, un’ipotesi di abuso del diritto perpetrata in danno alla massa dei creditori concorsuali, al solo scopo di azzerare le poste debitorie della opponente nei confronti della fallita.

Sebbene nel provvedimento in commento il Tribunale di Milano abbia ritenuto assorbente, ai fini del rigetto dell’opposizione, la mancata prova dell’esistenza dei crediti opposti in compensazione, lo stesso si è poi premurato di affrontare la vexata quaestio circa l’applicabilità dell’art. 56, comma 2, l. fall., anche agli acquisti inter vivos (posteriori e/o entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento) di crediti già scaduti alla data del fallimento, giungendo all’affermazione del principio per cui il divieto previsto dall’art. 56, co. 2, l. fall., si applica anche nella fattispecie su descritta, pure laddove i crediti acquistati risultino già scaduti alla data del fallimento, conformemente a un antico precedente del medesimo ufficio[1].

Merita sottolineare, in limine, che tale posizione era rimasta, fino a oggi, per lo più isolata e avversata anche da un precedente della Suprema Corte[2], tanto che nel 1999, lo stesso Tribunale di Milano aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, l. fall., ritenuta dalla Corte Costituzionale infondata con sentenza 431/2000[3].

Si comprende, pertanto, l’interesse suscitato da questa pronuncia e l’importanza che l’orientamento in essa sostenuto potrebbe, ancora oggi, ricoprire nella soluzione di una delle questioni più dibattute nel panorama del diritto fallimentare, non ultimo per i riflessi di essa nella realizzazione del principio cardine, in sede concorsuale, della par condicio creditorum.

 

2. La compensazione costituisce, come noto, un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento ma, comunque, a carattere satisfattorio[4].

Essa presuppone l’esistenza di una situazione simmetrica di due soggetti, al tempo stesso, reciprocamente debitori e creditori l’uno dell’altro, di prestazioni omogenee[5], e determina l’elisione delle reciproche posizioni debitorie sino alla concorrenza dello stesso valore[6].

Il primo requisito della compensazione, dunque, sarebbe la reciprocità[7] di crediti e di debiti tra due autonomi o separati centri di interessi giuridicamente rilevanti.

La ratio dell’istituto viene solitamente ravvisata nel comune bon senso e in una sorta di funzione equitativa.

Sotto il primo profilo, rileva l’utilità di evitare inutili spostamenti patrimoniali connessi al duplice pagamento tra coloro che risultano, al tempo stesso, reciprocamente e contestualmente creditori e debitori[8].

In un ottica di giustizia sostanziale, poi, appare certamente meritevole di protezione l’interesse di quello, fra i due soggetti, pregiudicato dall’insolvenza dell’altro, opportunamente salvaguardato da uno strumento di autotutela particolarmente rilevante in ambito fallimentare, qual è appunto la compensazione[9].

Secondo l’opinione dominante la compensazione richiede apposita manifestazione di volontà (che, peraltro, avrebbe natura negoziale)[10], anche laddove operi di diritto, al fine di poter determinare l’estinzione dei due debiti dal giorno della relativa coesistenza.

Nel definire, poi, la fattispecie della compensazione legale, l’art. 1243 c.c., ne individua i requisiti essenziali nell’omogeneità, nella liquidità e nell’esigibilità di entrambi i crediti.

Si distinguono dalla compensazione legale, quella giudiziale (in cui, evidentemente, manca il requisito della liquidità che, in realtà, diventa il risultato del giudizio), destinata a operare ex nunc, e volontaria[11], destinata a operare in assenza di tutti i tre i requisiti sopra ricordati.

Anteriormente alla vigente legge fallimentare si escludeva che la compensazione potesse operare nelle procedure concorsuali[12] ove, tuttavia, nella normativa vigente, essa ha un suo àmbito di operatività[13].

Ai sensi dell'art. 56, comma 1, l. fall., infatti, “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento”.

Il carattere derogatorio, rispetto alla disciplina codicistica della compensazione, viene comunemente rinvenuto nell’esclusione dell’esigibilità del credito dai tradizionali requisiti condizionanti l’effetto estintivo dell’istituto che, permettendo, di fatto, ad alcuni creditori di sfuggire alla regola del concorso[14], ne esalterebbe la funzione di autotutela in ambito concorsuale e aprirebbe un vulnus alla regola della par condicio creditorum conformemente a un’esigenza di equità e, segnatamente, di non costringere il debitore – creditore ad adempiere e attendere il soddisfacimento del proprio contro-credito in moneta fallimentare[15].

La deroga, naturalmente, trova applicazione solo per i crediti (sia quelli del fallito sia i contro-crediti del debitore della procedura) sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento[16].


3. Conseguenza di questa scelta operata dal legislatore, è stato detto[17], sarebbe che contro l’effetto estintivo della compensazione, in sé considerato, non sarebbe esperibile il sistema revocatorio fallimentare, vanificandosi, altrimenti, l’obiettivo perseguito dall’art. 56, l. fall.

Se, tuttavia, non appare revocabile in dubbio che l’effetto estintivo conseguente all’applicazione dell’art. 56, l. fall., non sia suscettibile di revocatoria fallimentare, tale conclusione non sembra poter aprioristicamente estendersi agli atti con i quali (e/o in forza dei quali) il debitore della procedura abbia soddisfatto altri creditori della stessa acquistandone le ragioni poi validamente opposte in compensazione fallimentare; e ciò, invero, tutte le volte in cui quei pagamenti si traducano in depauperamento della massa fallimentare, come accade quando, mediante un determinato pagamento, il debitore – creditore della procedura abbia estinto anche un proprio debito verso il debitore soggetto a procedura concorsuale; ovvero, il che è sostanzialmente lo stesso, in tutti i casi in cui il contro-credito del debitore che oppone la compensazione fallimentare nasca da un pagamento, dallo stesso effettuato a favore di altri creditori del debitore soggetto a procedura, cui si accompagni un rapporto (anche autonomo) di “provvista” tra quest’ultimo e il solvens[18], sì da determinare, con quell’unico atto satisfattivo, estinzione del debito del primo verso il creditore e del secondo verso il primo[19], anche solo e proprio mediante compensazione[20] - i cui presupposti, del resto, anche quando essa opera in sede fallimentare – e, anzi, proprio per poter operare in sede fallimentare – devono essersi verificati in momento anteriore alla data di apertura della procedura.

Tali atti, invero, anche laddove sfuggano al divieto di cui all’art. 56, comma 2, l. f., rientrerebbero, a buon diritto, quantomeno tra gli atti revocabili ai sensi dell’art. 67, comma 2, l. fall. (pagamenti di terzi), tutte le volte in cui siano compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento e il curatore riesca a provare la conoscenza dell’insolvenza in capo all’accipiens (il creditore soddisfatto dal terzo debitore – creditore della procedura)[21]; anche se, recentemente, proprio il Tribunale meneghino è giunto alla conclusione che tali atti ben possano essere considerati pagamenti anomali e, come tali, revocabili ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall., laddove compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e con inversione dell’onere della prova negativa in capo al creditore convenuto in revocatoria[22].

In definitiva, la revocabilità dei pagamenti di terzi potrebbe risultare ontologicamente compatibile con la compensazione opponibile ex art. 56, l. fall., dal solvens al fallito, laddove si aderisca alla tesi per cui, ai fini della revocatoria ex art. 67, l. fall., è sufficiente che il pagamento venga eseguito da un terzo legato al debitore originario, poi fallito, da un rapporto di debito – credito in grado di estinguersi per compensazione[23].


4. Parte della dottrina, peraltro, ammette l’operatività nel fallimento persino della compensazione giudiziale[24], anche se l’obiezione principale (condivisibile, ad avviso di chi scrive) che tale tesi suscita è proprio il fatto che, operando essa ex nunc, finirebbe inammissibilmente con estinguere il rapporto obbligatorio successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Secondo alcuni autori[25], peraltro, l’obiezione sarebbe facilmente superabile considerando che le condizioni per la coesistenza dei reciproci crediti si sarebbero comunque determinate anteriormente alla stessa dichiarazione di fallimento, anche considerando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il credito del debitore convenuto dal fallimento può sempre essere opposto a condizione che il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento[26], sicchè sarebbero solo gli effetti della compensazione, in ultima analisi, a verificarsi successivamente al fallimento[27].

Pur prendendo atto dell’orientamento dominante nella Suprema Corte, tuttavia, ci sembra, francamente, che non siano solo gli effetti, ma anche gli stessi presupposti della compensazione (giudiziale) a verificarsi successivamente al fallimento; il che induce a dubitare fortemente della sua applicabilità in sede fallimentare.

La preesistenza del credito e del contro – credito rispetto alla data di apertura della procedura concorsuale, presupposto richiesto dalla giurisprudenza consolidata [28] e dalla pressochè unanime dottrina[29], costituisce senz’altro condizione necessaria ma, a nostro avviso, non anche sufficiente all’applicabilità della compensazione in sede fallimentare[30].


5. L’art. 56, comma 2, l. fall., infine, prevede un’eccezione alla regola disposta dal comma 1 e, in particolare, dispone che “Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore".

La norma tende, evidentemente, ad evitare le cessioni fraudolente dei crediti vantati verso il fallito da parte dei creditori ad altri creditori, allo scopo di alterare la par condicio[31] .

 Anzitutto, per “acquisto del credito” ai sensi del predetto comma, secondo dottrina e giurisprudenza pressochè unanime, si intende solo quello effettuato a mezzo di atto inter vivos(la lettera della norma, del resto, non lascia dubbi), restando pacificamente esclusi gli acquisti mortis causa[32].

Secondo autorevole dottrina, nella categoria “acquisti inter vivos”, rilevanti ai fini dell’art. 56, co. 2, l. fall., invero, andrebbero ascritte, non solo la cessione in senso stretto, bensì qualsiasi altra fattispecie idonea a produrre il trasferimento del credito, indipendentemente dalla forma utilizzata e, dunque, anche l'accollo, l'espromissione e la surrogazione legale, sia a titolo oneroso che gratuito[33].

Altra parte della dottrina, tuttavia, esclude che l’art. 56, co. 2, l. f., si applichi al caso di acquisto obbligato, o ex lege, come la surrogazione nel credito[34], o comunque nei casi in cui sia da escludere un intento fraudolento in capo al creditore che compensa[35].

Controverso è, poi, se l'art. 56, co. 2, l. fall. possa applicarsi (nonostante il tenore letterale in senso contrario) anche agli acquistiinter vivosdi crediti già scaduti alla data del fallimento, quando detto acquisto sia anteriore (purché entro l'anno dalla data del fallimento) ovvero successivo alla dichiarazione di fallimento.

Si è già detto più sopra che parte della dottrina[36] e della giurisprudenza, tra cui la stessa Corte di Cassazione, già in passato, hanno avuto modo di escludere espressamente l'applicazione dell’art. 56, co. 2, l. fall., ai crediti già scaduti[37]; tanto che il Tribunale di Milano, orientato verso un’interpretazione estensiva dell’art. 56, co. 2, l. fall., anche agli acquisti (posteriori o entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento) di crediti scaduti ante fallimento, con ordinanza 28.06.1999, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3, Cost., in relazione al diverso trattamento, operato dall'art. 56, co. 2, l.f., tra crediti scaduti e non, ritenuta infondata dal giudice delle leggi siccome scelta spettante alla discrezionalità del legislatore[38].

Altra autorevole dottrina[39] riterrebbe, invece, possibile l'estensione del divieto anche agli acquisti (entro l'anno anteriore o successivamente al fallimento) di crediti già scadutialla data del fallimento.

La tesi è stata sostenuta anche dal Trib. Milano[40] che, in direzione totalmente opposta alle conclusioni della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, è tornato a ribadire tale conclusione con la decisione qui commentata, avente riguardo a un caso in cui il debitore parrebbe aver opposto al fallimento dei crediti scaduti ante fallimento, parte dei quali acquistati successivamente alla dichiarazione di fallimento e parte entro l'anno precedente alla stessa.

Un diverso orientamento intermedio, infine, riterrebbe il divietoexart. 56, co. 2, applicabile ai crediti scaduti solo quando il loro acquisto, da parte del debitore che li oppone in compensazione, sia avvenuto in data successiva al fallimento[41], ed anche tale orientamento ha trovato un certo seguito giurisprudenziale[42].

Merita, da ultimo, segnalare anche la sentenza del Tribunale di Monza, 12 ottobre 2015[43] che, dopo aver affermato l’interpretazione restrittiva dell’art. 56, co. 2, l. f., negandone l’estensione ai crediti scaduti anteriormente alla dichiarazione di fallimento, ha comunque ritenuto inefficace i gli acquisti di detti crediti successivi al fallimento in applicazione dell’istituto dell’abuso di diritto, fondata sulla sproporzione tra costo della compensazione ex art. 56, l. f., in moneta fallimentare e vantaggio conseguito dal creditore – debitore del fallito, esattamente in un caso in cui il credito opposto in compensazione era stato acquistato dal debitore del fallito a un decimo del suo valore.


6. Dalle note che precedono è facile comprendere l’importanza della decisione del Tribunale di Milano qui commentata[44], la quale si colloca nel dibattito interpretativo dell’art. 56, comma 2, l. fall., onde riaffermare con forza la piena estensione del divieto in esso sancito e, con esso, il valore fondamentale e prevalente della par condicio creditorum, contribuendo – è prevedibile - ad alimentare dibattiti e polemiche, mai sopiti, sulla scelta del legislatore, ancor oggi, in parte oscura.


6.1. Anzitutto preme evidenziare che, sebbene il provvedimento incentri una parte della sua motivazione sull’irrazionalità di un trattamento diverso, in punto di opponibilità della compensazione in sede fallimentare, tra crediti non ancora scaduti alla data di fallimento e crediti scaduti ante fallimento acquistati per effetto di cessione successiva alla sentenza dichiarativa di fallimento[45], non appare dubbio che il principio che con essa si è inteso affermare sia quello della piena estensione del divieto di cui all’art. 56, comma 2, l. fall., anche ai crediti scaduti ante fallimento acquistati per atto inter vivos tanto successivamente quanto nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza.

La fattispecie sub iudice, infatti, riguarda un caso in cui lo stesso Tribunale di Milano ha accertato che “solo una parte dei crediti oggetto di cessione è sorta ab origine in capo al cedente […], laddove la residua parte di tali crediti è sorta in capo ad altra società […], la quale a sua volta l’avrebbe ceduta in favore di [B.] in quattro distinte occasioni e da essa cedute a [C.], cessioni queste tutte anteriori alla dichiarazione di fallimento[46].

Ne consegue, pertanto, che il giudice, nel ritenere inopponibile al fallimento la compensazione del complessivo credito della opponente e nell’affermare il principio dell’applicazione dell’art. 56, comma 2, l. fall., sembra voler aver riguardo sia ai crediti (scaduti) acquistati dopo il fallimento sia a quelli acquistati nell’anno anteriore.

È, infatti, sulla sopra tratteggiata fattispecie che il giudice è intervenuto facendo applicazione deil principio secondo cui, quand'anche si volesse ritenere esistente il credito ceduto da B. (il che non è, per le ragioni suesposte), non potrebbe comunque operarsi la compensazione con il debito contratto da C.T. nei confronti di V., posto il divieto di cui all'art.56, comma 2,L.F., da ritenersi applicabile al caso di specie, benché trattisi di crediti scaduti, conformemente a un antico precedente di questo ufficio (Trib. Milano, 29 ottobre 1984) [47].

Conferma di quanto sopra proviene anche nel ragionamento seguito dallo stesso tribunale, nella parte in cui, dopo aver ricordato che la ratio dell’art. 56, comma 2, l. fall., consiste nella finalità di prevenire e sanzionare tutte quelle operazioni di acquisto del credito realizzate con l'unico intento di estinguere (proprio mediante compensazione) il debito contratto nei confronti dell'impresa poi fallita, in violazione delle regole della par condicio creditorum[48], giunge poi ad affermare espressamente che “Appare ragionevole ritenere che, in sede di acquisto di un credito verso un fallito dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore, con la quasi certezza che il fallito o fallendo non adempirà, l'acquisto del credito avverrà a prezzo vile. Se questo acquisto avviene da parte di un soggetto che sia al contempo debitore nei confronti del fallito, l'effetto sarebbe quello di opporlo in compensazione, giovandosi del meccanismo estintivo di cui al primo comma dell'art.56L.F., con evidente beneficio competitivo del creditore, che ha pagato il credito nummo uno ma che con la compensazione estingue il proprio debito in moneta buona, paralizzando la pretesa del fallimento”.

Meno comprensibile appare il passaggio immediatamente successivo, ove il Tribunale afferma che “Questo vantaggio competitivo può avvenire nel caso in cui il credito oggetto di cessione non sia scaduto né all'atto della cessione (credito futuro), né all'atto della dichiarazione di fallimento (credito non scaduto). Ma la norma si riferisce anche alla cessione dei crediti successiva alla dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore, relativa a crediti non scaduti all'atto della dichiarazione di fallimento, quand'anche scaduti in epoca precedente alla cessione. E' la scadenza del credito rispetto alla dichiarazione di fallimento (e non rispetto alla cessione) che discrimina quelli ai quali non si applica la facoltà di compensazione a termini del comma 2 dell'art.56L.F.rispetto a quelli che possono essere compensati con debiti nei confronti del fallito (del fallimento). Di tal che, non si comprende per quale motivo se la cessione intervenga dopo la scadenza del credito e la scadenza segua di pochi mesi (o giorni) la dichiarazione di fallimento, il trattamento debba essere diverso rispetto a crediti scaduti in epoca precedente la dichiarazione di fallimento (magari di pochi giorni) con cessione successiva alla dichiarazione di fallimento[49].

Parrebbe, cioè, che, secondo il decreto in commento, il fatto che l’art. 56, comma 2, cit., si applichi anche a cessioni successive alla dichiarazione di fallimento di crediti non ancora scaduti alla data della stessa, ma scaduti anteriormente alla cessione stessa, dimostrerebbe che l’elemento rilevante ai fini della sua applicazione sia la scadenza del credito rispetto alla dichiarazione di fallimento, non la scadenza rispetto alla data della cessione; sicchè se la cessione è successiva alla scadenza del credito e quest’ultima successiva al fallimento, non sarebbe pensabile che il trattamento possa essere diverso rispetto ai crediti scaduti ante fallimento e ceduti dopo la dichiarazione di fallimento.

D’altro canto, la stessa limitazione (scadenza del credito successiva alla dichiarazione di fallimento), non avrebbe senso in quanto, ai sensi dell’art. 55, l. fall., tutti i crediti non scaduti si considerano scaduti alla data della dichiarazione di fallimento, di tal ché le cessioni successive alla stessa sarebbero pur sempre cessioni successive tanto alla scadenza del credito tanto alla dichiarazione di fallimento.

Rimane, tuttavia, oggettivamente difficile cogliere il passaggio logico che da tale premessa porta il Tribunale ad affermare che l’art. 56, comma 2, l. fall., si deve applicare anche ai crediti scaduti ante fallimento, e dunque anche alle cessioni compiute nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Nondimeno, non pare ragionevolmente revocabile in dubbio che, tanto per le cessioni anteriori quanto per quelle successive di crediti scaduti anteriormente alla dichiarazione di fallimento (che, si ricorda, determina sempre e comunque la scadenza anche dei crediti non precedentemente scaduti), non può non valere allo stesso modo il rilievo che “da un lato, consentire al soggetto ab origine debitore nei confronti del fallito di soddisfarsi in violazione delle regole concorsuali, paralizzando l'azione di recupero del credito del fallimento nei suoi confronti e, così, liberandosi dalle proprie obbligazioni; dall'altro, consentire al soggetto ab origine creditore del fallito di ottenere un corrispettivo immediato, al di fuori di qualunque controllo rispetto alle percentuali di soddisfazione nella procedura fallimentare, senza alcun beneficio per la massa, anzi con detrimento della stessa per l'operatività del suddetto meccanismo compensativo”.

Che, infatti, il credito, magari già scaduto ante fallimento, venga acquistato dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore (ossia, quando l’impresa è comunque in “odore” di fallimento), ciò non sembra poter assurgere a rilievo scriminante ai fine dell’applicazione di un divieto il cui scopo è e rimane, secondo il Tribunale meneghino, prevenire e sanzionare tutte quelle operazioni di acquisto del credito realizzate con l'unico intento di estinguere (proprio mediante compensazione) il debito contratto nei confronti dell'impresa poi fallita, in violazione delle regole della par condicio creditorum.

Solo in questo modo, invero, può spiegarsi la parte finale della motivazioni in cui il Tribunale conclude che “l'esigenza di prevenire e sanzionare la realizzazione di operazioni poste in essere in violazione della par condicio creditorum, ricorre sia in caso di acquisto di crediti giunti a scadenza prima dell'apertura della procedura fallimentare, sia in caso di acquisto di crediti non ancora scaduti all'atto della dichiarazione di fallimento, presumendosi in entrambi i casi l'operazione di acquisto del credito posta in essere al solo fine di sottrarre alla falcidia concordataria il credito del cedente e, al contempo, liberare il cessionario dalle obbligazioni contratte nei confronti della società fallita. Le considerazioni sin qui esposte assorbono l'ulteriore indagine in ordine al momento in cui i crediti ceduti da B. sono giunti a scadenza, dovendosi ritenere esclusa, in ogni caso, l'operatività del meccanismo compensativo[50].

Da un lato, infatti, l’indagine in ordine al momento della scadenza dei credi acquistati dall’opponente è inutile, come in effetti afferma il Tribunale, solo se si ammette che anche quelli, tra essi, acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento rientrino nel divieto di compensazione, dovendosi altrimenti fare un distinguo che in nessuna parte del provvedimento è dato, invero, rinvenire.

Dall’altro, se la finalità della norma è quella antielusiva nei termini più sopra ricordati[51] e, sulla base di essa, si ritenga che non abbia senso discriminare in base alla scadenza del credito in ordine agli acquisti successivi alla dichiarazione di fallimento, allora non è pensabile che una tale distinzione sia predicabile per gli acquisti di crediti compiuti nell’anno anteriore, siano essi scaduti ante fallimento ovvero alla data del fallimento ex art. 55, l. fall.


6.2. L’aspetto forse più innovativo della decisione in commento riguarda, tuttavia, il confine tra il divieto di cui all’art. 56, comma 2, l. fall., e l’istituto dell’abuso del diritto, evidentemente chiamato in gioco proprio dalla funzione antielusiva messa in luce dallo stesso Tribunale: “Appare fondato ritenere che il legislatore abbia espressamente previsto la non operatività del meccanismo compensativo con presunzione iuris et de iure di danno alla massa dei creditori, introducendo una presunzione di frode alla massa in ordine alla finalità con cui l'atto di cessione viene posto in essere: Appare evidente la differenza dell'ipotesi della compensazione di crediti propri del debitore (art.56, comma 1,L.F.), che consente un'eccezionale ipotesi di deroga al principio della par condicio creditorum, rispetto alla compensazione conseguente all'acquisto di crediti verso il fallito dopo il fallimento. Nel primo caso si evita che il creditore del fallito sia costretto ad adempiere per poi ripetere il proprio credito in moneta fallimentare (una sorta di solve et repete in moneta fallimentare), nel secondo caso si vuole evitare che il debitore del fallito si avvalga di questo strumento acquistando crediti del fallito a fallimento dichiarato (o in odore di fallimento), pagandoli a prezzo vile, allo scopo di evitare di essere costretto ad adempiere un proprio debito senza vantare alcun controcredito in epoca precedente la dichiarazione di fallimento. Questa ipotesi costituisce, come correttamente osservato dall'opposto, un evidente caso di abuso del diritto, perché consente al debitore del fallito di servirsi dello strumento compensativo al di fuori del caso per il quale lo stesso era stato pensato (contemporanea sussistenza di debiti e crediti in capo al creditore-debitore del fallito). Tuttavia non è necessario fare ricorso all'istituto dell'abuso del diritto in costanza dello strumento normativo di cui all'art.56, comma 2,L.F., ritenendosi applicabile tale norma anche alle cessioni successive alla dichiarazioni di fallimento di crediti scaduti all'atto della sentenza dichiarativa di fallimento. La ratio della norma del comma secondo dell'art.56L.F., essendo volta a evitare di applicare l'eccezionale compensabilità tra crediti e debiti omologhi a chi, non essendo debitore del fallito, acquisti crediti del fallito secondo l'id quod plerumque accidit nummo uno con vantaggio competitivo per il creditore e detrimento della massa (una sorta di eccezione dell'eccezione, come efficacemente osservatosi)[52], non può essere limitata ai soli acquisti di debiti non scaduti all'atto della dichiarazione di fallimento[53].

Secondo il Tribunale di Milano, in altri termini, non solo l’art. 56, comma 2, l. fall., si applica anche ai crediti scaduti anteriormente alla dichiarazione di fallimento, siano essi acquistati successivamente alla stessa o nell’anno anteriore, e dunque conferendo alla stessa disposizione la massima latitudine ermeneutica ma, soprattutto, la norma configurerebbe una vera ipotesi di praesumptio iuris et de iure (ossia una presunzione legale assoluta insuscettibile di prova contraria) di danno alla massa dei creditori.

La formula usata dal tribunale meneghino, infatti, non sembra lasciare adito a dubbi sul fatto che, in quanto presunzione legale assoluta, il divieto di compensazione sia destinato a operare a prescindere da qualsiasi prova concreto di danno alla massa e, anzi, senza nemmeno lasciare al creditore opponente la possibilità di provare il contrario; ed allora, correttamente, l’istituto dell’abuso di diritto[54] diviene inconferente, presupponendo lo stesso la prova dell’utilizzo dello strumento compensativo al di fuori del caso per il quale lo stesso era stato pensato (ossia, la contemporanea sussistenza di debiti e crediti in capo al creditore-debitore del fallito); prova che, conformemente all’orientamento consolidato della giurisprudenza oramai diritto vivente[55], è stata efficacemente individuata (nelle decisioni che ne hanno fatto applicazione) nella sproporzione tra vantaggio conseguito dal debitore – creditore opponente e il depauperamento della massa attraverso la perdita in moneta fallimentare[56].


6.3. Il decreto è rimasto laconico in relazione al principale argomento tradizionalmente addotto a sostegno della tesi dell’inapplicabilità dell’art. 56, comma 2, l. fall. [57]

Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’infondatezza[58] della questione di legittimità costituzionale sollevata dallo stesso Tribunale nel 1999 in relazione all’interpretazione - fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione[59] -in senso restrittivo, dell’art. 56, comma 2, l. fall., censurata dal remittente per il diverso trattamento riservato ai crediti scaduti ante fallimento rispetto ai crediti non ancora scaduti[60].

Non sembra, in effetti, che la sentenza della Corte Costituzionale abbia valenza preclusiva rispetto all’interpretazione fatta propria dal Tribunale di Milano.

Come pur è stato osservato[61], si tratta di una semplice sentenza di rigetto che, peraltro, non esclude in alcun modo la possibilità di un interpretazione diversa da quella assunta dal giudice remittente nella questione di legittimità costituzionale prospettata con l’ordinanza di rimessione[62].

D’altro canto, nella prospettiva adottata dal Tribunale di Milano, ove il divieto di cui all’art. 56, comma, 2, l. fall., viene configurare un’eccezione all’eccezione, pare dover cadere anche l’argomento che esclude un’interpretazione ampia della norma sulla base di una presunta eccezionalità, in realtà solamente apparente.

Maggiori perplessità suscita, invece, il mancato intervento sulla norma, da parte del legislatore del d. lgs. 5/2006[63], soprattutto considerato che, come dato atto anche dal Giudice delle leggi nella sentenza di rigetto n. 431/00, anche la Suprema Corte ne aveva sollecitato l’intervento onde porre fine ai problemi interpretativi posti dall’art. 56, comma 2, cit.

Sennonchè, pretendere di trarre conferma da un’omissione del legislatore pare, francamente, argomento che prova troppo.



* Il decreto si trova pubblicato in questa rivista, Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15507.

[1] Il riferimento è a Trib. Milano, 29 ottobre 1984, in Dir. Fall., 1986, II, 61, con nota di Tarzia, secondo cui “Il divieto di compensazione, specificamente previsto dal 2° comma dell'art. 56 l. fall. per il caso di acquisto dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore, di crediti non scaduti, in considerazione della ratio della norma deve estendersi anche al caso di acquisto, in quei termini, di crediti scaduti”.

[2]Cfr., Cass. Civ., 2 ottobre 1989, n. 3955, in Giur. Comm., 1991, II, 732, secondo cui “La cessione di un credito, stipulata nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento del debitore, anche se in previsione di detto fallimento e con l'intento di consentire al cessionario, a sua volta debitore del fallito, di far valere in compensazione il credito cedutogli, si sottrae alla revocatoria fallimentare, non potendo essere considerata come atto del fallito medesimo (o di un terzo che lo sostituisca nella gestione del patrimonio), e resta soggetta alle regole dell'art. 56 r.d.l. 16 marzo 1942 n. 267, in tema di compensazione in sede fallimentare, con la conseguenza che la compensazione stessa è opponibile al fallimento, ove il credito ceduto sia scaduto prima dell'apertura della relativa procedura”.

[3] Cfr., C. Cost., 20.10.2000, n. 431, in Diritto Fallimentare e delle società commerciali,2001, II, 5.

[4] Cfr., Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1992, 177.

[5] Cfr., Di Prisco, I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Tratt. Rescigno, 9, Torino, 1999, 310.

[6] Cfr., Abate F., sub art. 56, l. fall., in LO CASCIO G. (diretto da), Codice Commentato del fallimento. Disciplina UE e Transfrontaliera. Disciplina tributaria, Milano, 2013, p. 643.

[7] Reciprocità che la manualistica tende a riferire ai soggetti, v., per tutti, Angeloni, La compensazione, in Diritto civile, III, 1, Il rapporto obbligatorio, diretto da Lipari-Rescigno, Milano, 2009, 287. Contra, nel senso che la nozione di reciprocità andrebbe strettamente collegata alla nozione di patrimonio più che a quella di soggetto, v. Cicero C., voce “Compensazione”, in Dig./Civ., I aggiornamento, Torino, 2012.

[8] Parla di economia degli adempimenti, Cicero C., op., cit.

[9] Per la compensazione come mezzo di autotutela, diritto potestativo e come onere per evitare la decadenza dai privilegi e dalle garanzie del proprio credito verso terzi, cfr., Abate F., op., loc., ult., cit.

[10] Manifestazione che potrebbe essere fatta sia in sede processuale che stragiudiziale, cfr., Zuddas G., voce “Compensazione”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1988, p. 4.

[11] La compensazione volontaria può operare sia mediante accordo volto a regolare posizioni di credito/debito già esistenti, sia mediante accordo regolamentare preventivo. In dottrina è stata individuata un’ulteriore ipotesi, c.d., di compensazione facoltativa, con riguardo alla fattispecie in cui il potere di compensare è rimesso ad una delle parti. In tale àmbito, dunque, dovrebbe essere tenuto distinto il patto di futura compensazione, rispetto all’atto (unilaterale) al quale va ricollegata l’efficacia estintiva, cfr., Bianca, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1994, 510.

[12] Bonelli, Del fallimento, I, Milano, 1923, 488.

[13] La compensazione opera anche nel concordato preventivo in virtù del richiamo presente nell’art. 169l. fall. In caso di dichiarazione di fallimento che consegua alla previa ammissione del medesimo debitore alla procedura di concordato preventivo, si applica il principio di consecuzione delle due procedure, con conseguente retrodatazione alla domanda di ammissione al concordato del calcolo degli interessi e della data di opponibilità della compensazione, risultando lo stato di crisi accertato dal tribunale di natura irreversibile, dunque sostanzialmente identico al presupposto dell’insolvenza di cui all’art. 5, l. fall., Cicero, Compensazione, cit.

[14] Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in Comm. Scialoja e Branca, a cura di Bricola-Galgano-Santini, Bologna-Roma, 1988, 163.

[15] Abate F., sub art. 56, l. fall., cit., pp. 645 e s.

[16] Cfr., per tutte, Cass. Civ. SS.UU., 16 novembre 1999, n 775, in Fall., 2000, 524. L’affermazione è oramai pacifica ma, poi, diventa problematica in alcune applicazioni concrete ove risulta particolarmente difficile l’individuazione dei criteri per stabilire la nozione di “fatto anteriore” o “radice causale”; specialmente quando sono la dichiarazione di fallimento e la stessa attività del curatore a concorrere nel far sorgere o rendere attuale il diritto del creditore in bonis. Cfr., Abate F., op., cit., p. 647, il quale ricorda, tra le fattispecie più significative in questo senso, il caso dei crediti alle restituzioni susseguenti allo scioglimento del contratto preliminare, ovvero quello del socio escluso per effetto della sua dichiarazione di fallimento.

[17] Abate F., sub art. 56, l. fall., cit., pp. 645 e s.

[18] Anche se il rapporto di provvista derivi, per esempio, da un ordine del giudice qual è l’ordinanza di assegnazione del credito escusso con pignoramento presso terzi, cfr., Cass. Civ., 20 dicembre 2012, n. 23652, in Giust. civ. Mass. 2012, 12, 1440.

[19] Cfr., S. C., Cass. Civ., 4 maggio 2012, n. 6795, in Diritto e Giustizia online, 2012, 7 maggio (con nota di Tarantino), in tema di accollo, secondo cui “L'accollo liberatorio c.d. non allo scoperto, che ricorre qualora l'accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento in favore del terzo creditore vale perciò ad estinguere sia la propria obbligazione verso il debitore sia quello di quest'ultimo verso il proprio creditore, rientra tra i modi di pagamento del terzo oggettivamente revocabili”.

[20] Cfr., Trib. Roma, 20 febbraio 2006, in Fall., 2006, 5, 607, secondo cui “Il pagamento effettuato dal terzo, persona fisica, con denaro proprio ad un creditore della fallita è revocabile se il terzo risulta nel contempo debitore della fallita perché, in tal caso, la prestazione effettuata dal terzo determina la compensazione di ciò che le era dovuto, con conseguente suo depauperamento in violazione della “par condicio creditorum”.

[21] Cfr., per tutte, Cass. 4 maggio 2012 n. 6795; Cass. Civ., 25 luglio 2006 n. 16973; nonchè, in motivazione, Cass. Civ., 14 febbraio 2000 n. 1611; Cass. Civ., 2 luglio 1998 n. 6474. Vedi ancheCass. Civ., 23652/12, cit.: “il pagamento del terzo è revocabile nel fallimento quando abbia inciso sul patrimonio del fallito perchè eseguito con suo denaro, o anche per incarico di lui, nei modi della delegazione o dell'accollo cumulativo non allo scoperto, quando cioè il delegato o l'accollante siano obbligati verso il debitore e il loro pagamento vale a estinguere perciò entrambi i debiti […]. Ciò premesso, la fattispecie del pagamento del debitor debitoris, compiuto nell'esecuzione forzata con pignoramento del credito verso il terzo, non si differenzia sostanzialmente, quanto agli effetti sul patrimonio del debitore, dai casi in precedenza ricordati. La circostanza che nella fattispecie in esame vi sia, in luogo di un negozio di delegazione o di accollo, un provvedimento di assegnazione del credito da parte del giudice dell'esecuzione non comporta, ai fini che qui interessano, una differenza significativa: anche in questo caso, infatti, il solvens paga non allo scoperto, ma utilizzando una provvista che deriva dal patrimonio del debitore, perchè, invece di acquistare un credito di rivalsa, egli si libera di un'obbligazione e contemporaneamente estingue un credito compreso nel patrimonio di lui. L'effetto estintivo di entrambe le obbligazioni - quella in esecuzione forzata e quella del terzo pignorato nei confronti del debitore - si verifica, e assume quindi rilievo giuridico, automaticamente con l'unico pagamento eseguito dal terzo, senza necessità di atti ulteriori. 5.1. Il motivo deve essere pertanto respinto in applicazione del principio di diritto che segue: il pagamento del terzo pignorato, debitore del debitore, nell'esecuzione forzata è revocabile nel successivo fallimento dello stesso debitore, quando abbia inciso sul patrimonio del fallito perchè eseguito con denaro a questi dovuto, essendo il solvens obbligato verso il debitore assoggettato a esecuzione forzata e successivamente dichiarato fallito, e valendo il suo pagamento a estinguere entrambi i debiti, suo e del debitore ancora in bonis”

[22] Cfr, Trib. Milano, 7 marzo 2012, in Red. Giuffrè 2012, secondo cui “Costituisce mezzo anomalo di pagamento, rilevante ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria ex art. 67 comma 1 n. 2 l.f., il soddisfacimento del credito da parte di terzi che si siano poi rivalsi nei confronti della società fallita”; e, in sede motiva, che “Ciò che, invero, rileva nella specie non è la sussistenza o meno di un'intesa delegataria (che ricorre, peraltro, sicuramente, alla luce delle surrichiamate circostanze di fatto),ma che, avendo i terzi soddisfatto il convenuto ed essendosi rivalsi verso la società poi fallita, il pagamento sia avvenuto, sostanzialmente, con mezzi economici di quest'ultima, in maniera anormale e con depauperamento del suo patrimonio. In siffatta situazione, invero, risulta pacifica, sia in Dottrina che in Giurisprudenza (Trib. Roma 20.02.2006, in "Il Fallimento", 2006, 607; Cass. n. 3583/2011), la tesi della perfetta revocabilità dell'atto, che questo Giudice condivide pienamente”.

[23] Che è quanto parrebbe doversi ricavare da Cass. Civ., 23652/12, cit., e Trib. Roma, 20 febbraio 2006, cit.

[24] Cfr., Cicero C., Compensazione, cit.; ma, Contra, Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, 953.

[25] Cfr., Cicero C., op., cit.

[26] cfr., per tutte, Cass., 31 agosto 2010, n. 18915, in Giust. civ. Mass.,2010, 7-8, 1108, secondo cui “La compensazione nel fallimento, a norma dell'art. 56 l. fall., è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell'obbligazione sia anteriore alla dichiarazione ”. Preme, tuttavia, ricordare che, in passato, proprio la Suprema Corte, ha però escluso, per esempio, con riferimento al pur diverso caso del fideiussore, la compensabilità del credito surrogato laddove il pagamento del garante sia intervenuto dopo il fallimento, ribadendo che il credito condizionale di rivalsa conseguente all’escussione del fideiussore sorge a titolo originario con il perfezionamento del negozio fideiussorio, purchè il fideiussore abbia pagato il debito principale del fallito in data anteriore al fallimento in quanto devono essere soddisfatte tutte le condizioni richieste dall'art. 1243 c.c. (Cass. civ., 2 agosto 1994, n. 7181, in Fall., 1995, 280, con osservazioni di Fabiani; Cass. Civ., 2 ottobre 1997, n. 9635, in Fall., 1998, 1047, con nota di Panzani). In altri termini, non basta che anteriormente al fallimento si sia verificato il momento genetico del controcredito, ma occorre che in tale momento anteriore si siano verificati anche tutti i presupposti per la compensazione.

[27] cfr., Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, cit., 189.

[28] cfr., per tutte, Cass. Civ., SS.UU., 16 novembre 1999, n. 775, in Fall., 2000, 524.

[29] cfr., per tutti, ABATE F., sub art. 56, l. fall., p. 646.

[30] Né in senso contrario parrebbe potersi utilmente invocare la circostanza che l’art. 56, cit., ammette anche la compensazione dei crediti non scaduti alla data del fallimento, considerando che, ai sensi dell’art. 55, l. fall., tutti i crediti sono destinati a scadere automaticamente per effetto della dichiarazione di fallimento; laddove, invece, l’altro presupposto della liquidità del credito, nella compensazione giudiziale, verrebbe ad esistenza solamente in momento successivo al fallimento e, dunque, non sembra utilmente opponibile alla massa, in applicazione del principio per cui i pagamenti eseguiti successivamente alla dichiarazione di fallimento, infatti, sono inefficaci ex art. 44, l. fall., cfr., Cass. Civ., 23652/12, cit.; Cass. Civ., 12 gennaio 2006, n. 463, in Giust. civ. Mass., 2006, 2; Cass. Civ., 14 febbraio 2000, n. 1611, in Fall., 2001, 169, con nota di Lamanna; per la considerazione, infatti, che tutte le modifiche estintive successive al fallimento, quale che ne sia la genesi, sarebbero sempre inefficaci, Trib. Mondovì, 12 gennaio 2005, in Giur. it., 2006, 4, 771.

[31] Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, 2008, 354; Rosapepe, in Buonocore-Bassi, Trattato di diritto fallimentare, II, Padova, 2010, 313.

[32] Secondo Tribunale di Mondovì, 12 gennaio 2005, cit., stante l'art. 2917 c.c., l'acquisto per atto inter vivos sarebbe richiesto solo per l'opponibilità in compensazione dei crediti anteriori non scaduti alla data del fallimento acquistati dal debitore del fallito entro l'anno precedente la dichiarazione del fallimento; ciò in quanto, come più sopra ricordato, le modifiche estintive successive al fallimento, quale che ne sia la genesi, sarebbero, al contrario, sempre inefficaci.

[33] cfr., per tutti, Abate F., sub art. 56, l. fall., cit.,p. 652; Rosapepe, in Buonocore e Bassi, coordinato da Capo, De Santis, Meoli, Trattato di diritto fallimentare, Padova, pp. 314 - 315; Faceuglia, in Caiafa', coordinato da De Matteis e Scarafoni,Le procedure concorsuali, Padova, 2011. In giurisprudenza, cfr., per tutte, Trib. Torino, 11 aprile 1997, in Fall., 1998, 78, ove è stato affermato che “Il principio normativo di cui all'art. 56 l. fall. - secondo cui la compensazione non ha luogo, se il creditore ha acquistato il credito dopo la dichiarazione di fallimento - va interpretato nel senso che il termine "acquisto" non va riferito alla sola ipotesi della cessione del credito, ma ad ogni altro caso in cui, per atto tra vivi, si sia avuto il trasferimento della titolarità dell'obbligazione, non escluso quello di regresso a seguito del pagamento da parte del fideiussore o del terzo non obbligato”.

[34] La surrogazione nel credito, come noto, può avvenire per volontà del creditore, del debitore o per legge; poiché in tale ultimo caso l’acquisto non sarebbe riconducibile a un atto o comunque alla volontà delle parti, parte della dottrina, come detto, ritiene che esso non sia idoneo a integrare il presupposto di cui all’art. 56, co. 2, l. fall.

[35] Gualandi, in Bertacchini, Gualandi, Pacchi S. e Pacchi G.,Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2011, p. 190; Ambrosini,Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma"organica"al decreto correttivo, Bologna, 2008, p. 99.

[36] cfr., Rosapepe, op. cit., p. 314

[37] Cass. civ. 3955/1989, cit.; App. Torino, 20.01.2010, inFall., 10, p. 496 e 701; Trib. Desio, 1.7.2003, inGius., 2004, 5, 719; Trib. Mantova, 14.3.2006, inIlCASO.it, 2006 Degna di particolare attenzione è l'affermazione della Corte d'appello di Torino nella citata sentenza 20.01.2010, secondo cui "La compensazione ex art.56,l. fall.-R.D. n. 267/1942- è condizionata unicamente alla preesistenza alla dichiarazione di fallimento della causa genetica dei crediti contrapposti, ben potendo i requisiti di operatività dell'effetto estintivo realizzarsi anche in pendenza di procedura"; e, ancora, "L'acquisto del credito scaduto finalizzato ad opporre al fallimento la compensazione ai sensi dell'art.56,l. fall.-R.D. n. 267/1942- non ha natura fraudolenta, essendo lecito e legittimo in sé e non rientrando tra i negozi giuridici indiretti o simulati, il cui scopo ulteriore sia tale"; e, quindi, che "A termini dell'art.56, secondo comma,R.D. n. 267/1942, la compensazione è ammissibile da parte del cessionario di crediti scaduti prima della dichiarazione di fallimento, anche se acquistati dopo tale dichiarazione o nell'anno anteriore ad essa". La citata sentenza ha, peraltro, valorizzato anche il dato normativo che il legislatore della riforma fallimentare, non ritenendo di modificare l'art. 56, l.f., avrebbe inteso confermare un'interpretazione letterale dell'art. 56, l.f., nonostante il contrasto dottrinale e giurisprudenziale, da anni, in atto.

[38] Cfr., C. Cost., 20.10.2000, n. 431, in Diritto Fallimentare e delle società commerciali,2001, II, 5.

[39] Cfr., Bozza G. - Schiavon G.,L'accertamento dei crediti nel fallimento, Milano, 1992, p. 424: Fabiani M.,Diritto Fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, p. 304

[40] Cfr., Trib. Milano, 29 ottobre 1984, in Dir. Fall., 1986, II, 61, con nota di Tarzia, secondo cui “Il divieto di compensazione, specificamente previsto dal 2° comma dell'art. 56 l. fall. per il caso di acquisto dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore, di crediti non scaduti, in considerazione della ratio della norma deve estendersi anche al caso di acquisto, in quei termini, di crediti scaduti

[41] Cfr., Ambrosini, in Cottino,Trattato di diritto commerciale, Vol. XI, Padova, p. 387 e 388; Gualandi, op. cit., p. 190; Guglielmucci,Diritto Fallimentare, Torino, 2011, pp. 201 - 202; Tarzia G., Una soluzione controversa in tema di compensazione fallimentare, inIl diritto fallimentare e delle società commerciali, 1986, II, p. 66). (In giurisprudenza: Trib. Alba, 7.3.2006, in Fall., 2006, 8, 973

[42] Cfr., Trib. Mondovì, 12 gennaio 2005, in Giur. it., 2006, 4, 771, che fa espresso riferimento a un caso di opposizione in compensazione di crediti scaduti, ma acquistati dopo la dichiarazione di fallimento, o meglio, crediti scaduti di cui l'opponente non era in grado di fornire prova dell'anteriorità dell'acquisto - prova che, come noto, grava su chi si pretende creditore.

Anche in tale sentenza si confutano, peraltro, le conclusioni assunte dalla corte costituzionale, precisando anche che la Consulta ha ritenuto costituzionalmente non illegittimo l'art. 56, co. 2, l. fall., nell'interpretazione generalmente accolta in giurisprudenza (sia pur con delle eccezioni), ma senza dare a propria volta un'interpretazione della stessa.

La sentenza 431/2000, in altri termini, secondo quel giudice, sarebbe di puro rigetto, non già interpretativa e lascerebbe l'interprete libero di assumere una diversa conclusione, senza dire che la stessa sarebbe intervenuta con riferimento ai crediti scaduti anteriori, acquistati l'anno precedente alla dichiarazione di fallimento, sicchè non riguarderebbe quelli acquistati posteriormente al fallimento.

Nello stesso senso, ancora, Trib. Torino, 5 agosto 2016, in ilfallimentarista, 2016, 15 settembre secondo cui “L'inammissibilità della compensazione per crediti sorti o acquistati dopo la dichiarazione di fallimento, di cui all'art. 56, comma 2, l. fall. (e vigente anche nelle procedure di concordato preventivo, in virtù del richiamo operato dall'art. 169 l. fall.) trova fondamento nell'effetto di pignoramento generale prodotto dal fallimento e specificamente nell'art. 2917 c.c., che rende insensibile il credito del fallito a cause estintive sopravvenute. Tale principio trova applicazione sia con riferimento a crediti non scaduti alla data del concorso, che a quelli scaduti, nonostante il tenore letterale dell'art. 56. Anche se testualmente riferita al solo "credito non scaduto", la disposizione di cui all'art. 56, comma 2, l. fall., deve essere estesa per coerenza sistematica anche al credito scaduto”.

[43] cfr., Tribunale di Monza, sez. I, 12 ottobre 2015, n. 2519, in Ilfallimentarista, 2015, 15 dicembre.

[44] Cfr., Trib. Milano, 25 giugno 2016, n. 7953, in ilCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 15507.

[45] Cfr., Trib. Milano, 25 giugno 2016, cit., p. 4: “non si comprende per quale motivo se la cessione intervenga dopo la scadenza del credito e la scadenza segua di pochi mesi (o giorni) la dichiarazione di fallimento, il trattamento debba essere diverso rispetto a crediti scaduti in epoca precedente la dichiarazione di fallimento (magari di pochi giorni) con cessione successiva alla dichiarazione di fallimento”.

[46] Cfr., Trib. Milano, 25 giugno 2016, cit., p. 2, secondo capoverso punto 1.1.

[47] Cfr., Trib. Milano, 25 giugno 2016, cit., p. 4.

[48] Trib. Milano, cit., p. 4.

[49] Trib. Milano, cit., p. 4.

[50] Cfr., Trib. Milano, cit., p. 6.

[51] Si veda anche la relazione del Guarda sigilli al R.D., 16 marzo 1942, in G.U., del Regno d’Italia, 6 aprile 1942, n. 81, parte prima, punto 13, ove si da espressamente atto che la funzione dell’art. 56, comma 2, l. fall., è quella di evitare possibili abusi della deroga disposta in sede concorsuale dal comma 1 della stessa disposizione.

[52] Sempre con riferimento all’art. 56, comma 2, l. fall., di eccezione dell’eccezione, finalizzata a riaffermare la regola generale per cui la compensazione opera solo tra crediti omogenei, liquidi ed esigibili, parla anche Trib. Mondovì, 12 gennaio 2005, cit., il quale giunge alla conclusione che i crediti, sia scaduti che non scaduti alla data del fallimento, ma acquistati successivamente alla dichiarazione di insolvenza, non sono mai opponibili e non per un’applicazione estensiva dell’art. 56, comma 2, bensì per la regola generale dell’inefficacia di circostanze estintive sopravvenute alla dichiarazione di fallimento.

[53] Cfr., Trib. Milano, cit., pp. 4 – 5.

[54] Istituto che, come noto, ha avuto le sue prime applicazioni nell’ambito del diritto tributario.

[55] Cfr., solo ex pluribus, Cass. Civ., 18 settembre 2009, n. 20106, secondo cui “Sono elementi costitutivi dell'abuso del diritto: 1) la titolarità di un diritto soggettivo; 2) la possibilità di plurime modalità di esercizio non predeterminate; 3) un esercizio concreto censurabile rispetto ad un criterio di valutazione giuridico o extragiuridico; 4) una conseguente sproporzione ingiustificata tra il vantaggio ulteriore e diverso da quello indicato dal legislatore da parte del titolare, ed il sacrificio della controparte. Non è invece elemento costitutivo dell'abuso il dolo o una specifica volontà di nuocere”.

[56] cfr., Tribunale di Monza, sez. I, 12 ottobre 2015, n. 2519, in Ilfallimentarista, 2015, 15 dicembre, la quale - in un caso in cui veniva opposto in compensazione un credito acquisto dopo la dichiarazione di fallimento - individua tale sproporzione proprio nel prezzo della cessione (di molto minore) rispetto all’importo del credito estinto mediante compensazione dal cessionario: “essendo la compensazione nel fallimento una deroga alla par conditio creditorum che si fonda su ragioni equitative e che non può minimamente giustificarsi in tutti quei casi in cui venga eccepita, non già da chi si sia trovato ad essere creditore e debitore nell'ambito di un fisiologico svolgimento del rapporto col fallito, bensì da chi, pur non essendo creditore, si sia messo in condizione di divenire tale al precipuo scopo di non essere costretto a pagare un debito, così avvantaggiandosi in termini economici a danno della massa dell'acquisto del credito a prezzo ridotto rispetto al suo valore nominale. Nel caso in esame, gli elementi concreti che inducono il Tribunale a dubitare fortemente della natura fisiologica della cessione di credito intercorsa tra Borghi Italia s.r.l. e .. sono rappresentati dal corrispettivo della cessione, effettuata pro-soluto ad una percentuale assai vicina al 10% del valore nominale del credito ceduto, dalla stretta interconnessione tra le due società, entrambe amministrate da .. (cfr. in tal senso i documenti n. 2 e 13 prodotti dall'opposto), e, non da ultimo, dalla data in cui è stato perfezionato il contratto di cessione, ossia successivamente alla dichiarazione di fallimento e proprio in corrispondenza della missiva inviata dai curatori in data 15.1.2014 (cfr. in tal senso il successivo documento n. 14”.

[57] Cfr., Trib. Milano, 25 giugno 2016, cit., p. 5. Il provvedimento si limita lapidariamente ad affermare: “Non si comprende come questa ratio possa essere differente nei due diversi casi, benché la norma abbia passato indenne la riforma del d. lg. 5/06 (ma non i lavori preparatori) e il giudizio del giudice delle leggi (Corte cost. n. 431/00)”.

[58] Cfr., C. Cost., 20 ottobre 2000, n. 431, cit.

[59] Cfr., Cass. Civ., 2 ottobre 1989, n. 3955, cit.

[60] Cfr., Trib. Milano, ord. 28 giugno 1999, in Giust. civ. 2000, I, 563.

[61] Cfr., Trib. Mondovì, 12 gennaio 2015, cit., che, in verità, osserva anche che la Corte Costituzionale è comunque intervenuta solo sul problema della compensazione dei crediti scaduti ante fallimento e acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza, lasciando comunque aperta una diversa interpretazione quantomeno con riferimento alla compensabilità dei crediti scaduti anteriormente alla dichiarazione di fallimento e acquistati dopo di essa.

[62] Cfr., C. Cost., 431/2000, punto 2.3, della motivazione: “Tanto osservato, ritiene questa Corte che, comunque, neppure se interpretata nel senso restrittivo generalmente accolto, la denunciata norma meriti le censure formulate dal giudice a quo”.

[63] Cfr., d. lgs., 9 gennaio 2006, n. 5, in Gazzetta Uff. 16/01/2006, n.12. Elemento valorizzato da C. App. Torino, 20 gennaio 2010, in Fall. 2010, 702.


Scarica Articolo PDF