Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 28/09/2016 Scarica PDF

Voluntary disclosure. L'applicabilità del raddoppio dei termini di decadenza alle società panamensi

Paolo M. Tabellini, Avvocato in Milano


Sommario. 1. Premesse. – 2. La decisione di una Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate. – 3. L’intestazione a società panamensi di attività illecitamente detenute in Paesi White list. – 4. L’evasione internazionale e la ratio degli accordi per neutralizzarla anche mediante voluntary disclosure. – 5. Le norme per contrastare (le esportazioni di capitali verso) i Paesi black list (paradisi fiscali). – 6. Gli effetti premiali della voluntary disclosure italiana. – 7. L’erronea applicazione delle istruzioni contenute nella circ. 10/E/2015. 8. L’abbattimento del raddoppio dei termini di decadenza conseguente alla voluntary disclosure9. Conclusione.

     

1. Premesse

Il “caso” concreto, sul quale si è pronunciata, in modo peraltro preoccupante, una Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate (la Direzione), è quello di un contribuente che ha intestato a due società panamensi le partecipazioni in due società canadesi, proprietarie di immobili in Canada, da sempre membro dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) [1].

La Direzione ha deciso che, quando le attività detenute all’estero siano state intestate a società collocate in Paesi black list – come è appunto la Republica de Panama – debba sempre applicarsi il raddoppio dei termini previsto dall’art. 12 del d. l. n. 78/2009, anche quando siano state rispettate tutte le prescrizioni stabilite dalla legge n. 186/2014, con l’adesione alla collaborazione volontaria. Ed infatti ha chiesto al contribuente di:

compilare l’istanza a partire dall’anno d’imposta 2004 per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi, in quanto le partecipazioni si considerano detenute in un Paese Black list”.

Io ritengo, invece, che, l’adempimento delle prescrizioni stabilite dalla l. n.186/2014 produca proprio l’effetto di escludere l’applicazione del raddoppio dei termini di decadenza previsto da tale decreto, ma ringrazio la Direzione, per aver giustificato la sua richiesta con la dettagliata motivazione contenuta nella lettera che riporto testualmente in caratteri corsivi (la Lettera). Essa offre a quanti sono coinvolti, a vario titolo, dalle problematiche della voluntary disclosure, di conoscere le ragioni, debitamente scritte, sulle quali l’Amministrazione finanziaria ha fondato la propria decisione su questa importante questione.

 

2. La decisione di una Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate

Ed ecco il testo Lettera:

“…con riferimento alla richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria presentata dalla signora …. si fa presente che relativamente alle azioni detenute dal contribuente nelle società ”ALFA e BETA, entrambe costituite in Panama, è necessaria la compilazione e l’invio dell’istanza integrativa di accesso alla procedura di collaborazione volontaria a partire dall’anno d’imposta 2004, con riferimento alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi.

Come indicato nella relazione di accompagnamento alla richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria dalla ”contribuente“ la società ”ALFA“ possiede il 100% del capitale sociale di ”GAMMA" Ltd., società immobiliare di diritto canadese con sede a Toronto (Canada), mentre la società "BETA" possiede il 100% del capitale sociale di ”DELTA,“ società immobiliare di diritto canadese con sede a Toronto (Canada).

La contribuente ha indicato tali partecipazioni nella sezione II dell’istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria nella colonna dei Paesi Black list con accordo per scambio d’informazioni (giacché le partecipazioni nelle società canadesi sono depositate in Svizzera).

L’Ufficio fa presente che le società ”ALFA e BETA“ sono registrate nel Registro pubblico di Panama, Paese a fiscalità privilegiata, e non rileva, ai fini della determinazione del luogo di detenzione delle rispettive partecipazioni, che le società siano domiciliate in Svizzera.

Inoltre, l’Ufficio fa presente che trattandosi di società interposte, come indicato nella Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015 dell’Agenzia delle Entrate al paragrafo n. 1.2.1, anche in presenza di una detenzione effettiva dell’attività presso un paese collaborativo, nel caso specifico il Canada, quello che rileva ai fini del regime applicabile è lo stato in cui ha sede il veicolo interposto, nel caso specifico Panama.

Pertanto, per le motivazioni sopra esposte, l’Ufficio fa presente che per poter procedere con il perfezionamento della procedura è necessario che la contribuente presenti una nuova istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria con le stesse modalità utilizzate per la precedente, ed esclusivamente con riferimento alle partecipazioni detenute nelle società ”ALFA e BETA“ compilare l’istanza a partire dall’anno d’imposta 2004 per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi, in quanto le partecipazioni si considerano detenute in un Paese Black list.

La decisione della Direzione solleva una questione assai importante, giacché investe una casistica diffusa, collegata all’ampio utilizzo ricevuto dalle società panamensi per occultare all’estero attività patrimoniali e finanziarie; e la questione consiste nell’accertare la rilevanza del territorio dove queste sono realmente detenute al momento in cui si accede alla Voluntary disclosure – oppure, con specifico riferimento al caso considerato, nell’accertare l’irrilevanza delle società panamensi offshore meramente interposte – quando il contribuente abbia già acceduto alla collaborazione volontaria, adempiendone ogni prescrizione.

La decisione di applicare il regime dei Paesi black list a chi – pur avendo utilizzato società panamensi per occultare attività finanziarie e patrimoniali, peraltro già detenute in Paesi white list (come il Canada) – abbia acceduto alla Voluntary disclosure, rispettandone gli incombenti, solleva subito forti perplessità, poiché appare in contrasto innanzi tutto:

a) con la radicale irrilevanza giuridica delle due panamensi offshore una volta che l’occultamento al quale erano preordinate sia stato neutralizzato dalla disclosure;

b) quindi con la ratio delle convenzioni internazionali alle quali l’Italia ha aderito ed infine con la lettera e la ratio della L. n.186/2013, nonché con le istruzioni della stessa Agenzia delle entrate.

 

3. L’intestazione a società panamensi di attività illecitamente detenute in Paesi White list

Devo ricordare innanzi tutto che l’interposizione considerata ai fini dell’emersione internazionale è strumentale esclusivamente all’occultamento della titolarità delle attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero in violazione della disciplina del monitoraggio, ex art. 4, comma 1, del d.l. 167/1990. Di esse il soggetto interposto è, per definizione, un titolare solo apparente, che evoca la figura del prestanome e la fattispecie della simulazione soggettiva; richiamando forme di titolarità ingannevoli non dissimili da quella desumibile dalle norme dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. 600/1973, in relazione all’interposizione di persona nel possesso diredditi[2].

La Republica de Panama è uno Stato dell’America centrale, notoriamente black list, che ha ideato una «forma» di società dotata di personalità giuridica e privilegiata nel regime impositivo – giacché sostanzialmente esente da qualsiasi prelievo – la quale mantiene lo status originario di società panamense, ancorché domiciliata ed attiva in altri Paesi. Essa, anzi, in tanto gode della sostanziale esenzione fiscale in Panama, in quanto operi e possegga beni soltanto altrove e, quindi sia una offshore. Nei fatti essa, non diversamente dalle società offshore inglesi, domiciliate a Guernsey, mantiene in Panama la sede, la quale è soltanto scritta nell’atto costitutivo, di solito custodito nell’archivio di un studio legale.

Per rendersi conto di quanto siano importanti le prerogative di questo tipo di società è sufficiente ricordare che, di norma, l’ordinamento statuale nega il mantenimento della personalità giuridica e della nazionalità originarie alle società che, costituite nel proprio territorio, trasferiscano in altro Paese la sede dell’attività esclusiva o principale[3].

Le offshore panamensi hanno ricevuto un tale successo fra gli operatori dell’evasione internazionale, da diventare lo strumento d’interposizione più diffuso per l’occultamento della titolarità di attività patrimoniali o finanziarie indebitamente detenute all’estero[4].

 

4. L’evasione internazionale e la ratio degli accordi per neutralizzarla anche mediante voluntary disclosure

Le ricerche e gli studi OCSE dell’ultimo trentennio dimostrano che l’evasione più grave non è quella che lascia i propri frutti nel territorio del Paese dove è stata perpetrata e dove prima o poi sarebbe rivelata dagli stessi trasferimenti per successione mortis causa, quando non fosse stata assorbita dai consumi; ma è quella che sbocca nei c.d. “paradisi fiscali”. E questi sono pericolosi non solo e non tanto perché competono slealmente con gli altri Paesi, offrendo un regime fiscale privilegiato, ma perché proteggono (con il c.d. segreto bancario) i capitali depositati nelle proprie banche dagli evasori di altri Paesi, rifiutando alle rispettive amministrazioni finanziarie qualsiasi informazione. La conclusione è che l’evasione internazionale si combatte soprattutto contrastando i paradisi fiscali, già con misure di carattere economico che vanno dall’isolamento commerciale alle sanzioni; ma soprattutto favorendo l’adesione ad accordi che favoriscono la collaborazione internazionale, mediante lo scambio di informazioni tributarie; infine con provvedimenti che neutralizzano gli occultamenti di capitali detenuti all’estero mediante varie forme di voluntary disclosure, peraltro sempre più diffuse.

La soluzione favorita dall’OCSE è la diffusione dell’adesione, ad accordi internazionali, che favoriscano il monitoraggio dei capitali illecitamente detenuti all’estero; ma una tale adesione non è sempre facile da ottenere, poiché presuppone l’interesse e la disponibilità del Paese black list, ospitante i capitali esportati, a fornire ogni informazione ai Paesi dai quali i capitali provengono.

Proprio muovendosi in questa direzione l’Italia ha stipulato il 29 ottobre 2014 un accordo, efficace già dal 2017, per lo scambio automatico di informazioni, contro l’evasione fiscale internazionale (Common Reporting Standard, elaborato dall’Ocse)[5], con ben 51 Paesi, che diverranno 92 dal 1918[6]. E dall’inizio dello scorso anno il Ministero ha concluso accordi con la Svizzera (23 febbraio 2015), il Principato del Liechtenstein (26 febbraio 2015), il Principato di Monaco (2 marzo 2015), che riflettono gli standard previsti dalla (cd.) Convenzione Maat e che hanno comportato il sostanziale annullamento del segreto bancario preesistente in tali Paesi. Infine ha ratificato, ancora nel giugno dello scorso anno, l’accordo con gli USA per il miglioramento della collaborazione fiscale internazionale[7], dandogli subito esecuzione con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia datato 7 agosto 2015[8].

Nello spirito della stessa Convenzione (Maat) di Strasburgo, del 25 gennaio 1988, l’obbiettivo perseguito dall’OCSE resta quello di diffondere fra tutti gli Stati un soddisfacente grado di trasparenza fiscale, favorito da un efficiente scambio di informazioni (su richiesta, automatico e spontaneo) fra le amministrazioni finanziarie dei Paesi aderenti, in funzione di un rigoroso monitoraggio dei capitali collocati in ciascun Paese dai soggetti residenti negli altri Paesi.

 

5. Le norme per contrastare (le esportazioni di capitali verso) i Paesi black list (paradisi fiscali)

Quando lo scambio d’informazioni è impossibile, il che avviene proprio con i Paesi black list, soccorrono altri rimedi, questa volta nei confronti di coloro che esportano illegalmente i capitali verso tali Paesi. Ed il legislatore tributario italiano, in sintonia con quelli di altri Paesi OCSE[9], ha contrastato la detenzione di attività patrimoniali e finanziarie nei Paesi black list[10], con due strumenti: il raddoppio delle sanzioni amministrative ed il raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento delle imposte e la contestazione delle violazioni. Entrambi i raddoppi sono legittimati dalla presunzione juristantum che gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in tali Paesi siano stati costituiti con «redditi sottratti a tassazione». E, proprio perché raddoppio dei termini di decadenza e raddoppio delle sanzioni riflettono identiche esigenze di contrasto, li ha disciplinati coordinandoli e collocandoli nello stesso provvedimento: l’art. 12, commi 2, 2-bis e 2-ter, del D.L. luglio 2009, n. 78, denominato, appunto, «contrasto ai paradisifiscali». E devo aggiungere che il termine detenzione, usato nel testo dei detti commi, implica la reale collocazione dell’attività finanziaria o patrimoniale nel territorio del Paese black list, pertanto esso deve intendersi nel senso tecnico giuridico che gli è proprio, ex art. 1140, comma 2, del c.c.

 

6. Gli effetti premiali della voluntary disclosure

Nell’apprestare la disciplina della volontaria collaborazione il legislatore ha adottato la stessa tecnica normativa, ovviamente al contrario: ha dimezzato i termini di decadenza e ridotto le sanzioni a favore di quanti abbiano rispettato le prescrizioni della legge 186/2014, pagando le imposte evase ed offrendo all’Agenzia delle Entrate le informazioni necessarie per monitorare le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero. Ed infatti, mentre le norme dell’art. 5-quinquies, co. 4, D.L. 167/1990, disciplinano la riduzione delle sanzioni, quelle dell’art. 5-quater, comma 4, dello stesso decreto[11], disciplinano l’inapplicabilità del raddoppio dei termini per l’accertamento dei redditi, nonché per la contestazione delle sanzioni[12]; e lo fanno collegandosi – e non avrebbe potuto essere diversamente – alle predette norme dei commi 4, 5 e 7, dell’art. 5-quinquies, che disciplinano, appunto, la riduzione delle sanzioni anche in relazione alle attività rimaste in Paesi black list, delle quali sia offerto appropriato monitoraggio (art. 5-quinquies, comma 4, lett.c).

La ratio della legge 186/2014, istitutiva della Voluntary disclosure, è preordinata a tre obbiettivi, raggiunti i quali concede il dimezzamento dei termini di decadenza e la riduzione delle sanzioni applicabili: la neutralizzazione o, comunque, il superamento di ogni occultamento, dovunque e comunque realizzato, tanto più se collocato in un Paese black list; la garanzia del monitoraggio effettivo dei capitali collocati all’estero, anche se detenuti in un Paese black list; il recupero delle imposte evase.

Nel caso considerato dalla Direzione – e qui in esame – il terzo obbiettivo sarà raggiunto quando l’ufficio avrà notificato l’avviso previsto dall’art. 5-quater, comma 1, lett. b), del d.l. 167/1990 ed il contribuente avrà pagato il dovuto; ma i primi due obbiettivi sono stati raggiunti pienamente. Ed infatti, già ora:

a) l’occultamento non esiste più, giacché superato dalla dichiarazione del contribuente – avente l’efficacia probatoria della confessione (cfr. art. 2735 c.c., che richiama art. 2733 c.c.) – di avere, non soltanto la detenzione, ma il possesso diretto, ex art. 4, comma 1, 2° periodo, del d. l. 167/1990, delle attività collocate all’estero e di cui apparivano titolari le società offshore panamensi (interposte). Ciò vuol dire che la disclosure ha reso del tutto innocue tali società, caducandone l’efficacia dissimulante;

b) il monitoraggio è stato pienamente assicurato, giacché il Paese white list – in questo caso il Canada, Paese OCSE – fornirà, sulle attività materialmente costituite/detenute nel suo territorio (immobili e relative società immobiliari), tutte le informazioni che l’Agenzia delle Entrate gli chiederà.

Pertanto, con il perfezionamento della procedura, al quale manca solo il pagamento del dovuto, non sussisterà più alcuna ragione per applicare il raddoppio dei termini di decadenza e delle sanzioni.

Già da questi argomenti risulta evidente che la richiesta contenuta nella Lettera contrasta, non soltanto con la ratio della voluntary disclosure; ma anche con quella delle convenzioni internazionali alle quali l’Italia ha aderito. Ma vedremo appresso che essa contrasta anche con l’interpretazione letterale delle norme contenute nella legge n.186/2014, che è poi uno degli strumenti con cui l’Italia ha attuato tali convenzioni.


7. L’erronea applicazione delle istruzioni contenute nella circ. 10/E/2015

La Direzione ha giustificato la decisione di procedere al recupero delle imposte ed all’applicazione delle sanzioni, applicando il raddoppio dei termini di decadenza, adducendo l’applicazione delle istruzioni contenute negli ultimi tre periodi del paragrafo 1.2.1, della circolare n. 10/E/2015, rubricato (sub 1.2. “Ambito oggettivo”) come: “Gli investimenti e le attività estere di natura finanziaria”.

È però sufficiente scorrere l’indice della circolare per notare che il capitolo n. 1 è rubricato “La collaborazione volontaria internazionale” 1.1. “Ambito soggettivo”: 1.2. “Ambito oggettivo”. Ed è agevole rilevare anche che le istruzioni relative sono soltanto descrittive e qualificatrici degli ambiti, soggettivo ed oggettivo, ai quali la procedura di collaborazione si applicherà, quando il contribuente vi avrà acceduto. Esse, pertanto, precedono, non soltanto graficamente, ma concettualmente e precettivamente, le istruzioni, contenute nei capitoli 4, 5, 6 ed 8, riservate a chi abbia acceduto alla procedura.

Queste affermazioni sono confermate dallo stesso contenuto degli ultimi tre periodi del paragrafo 1.2.1, della circolare n. 10/E/2015, applicati dalla Direzione e qui di seguito trascritti:

Il principio generale valorizza la localizzazione dell’attività ove è ubicata la stessa. Qualora, però, venga utilizzato un veicolo per garantire l’occultamento della reale disponibilità, è la sede di quest’ultimo che determina il paese di detenzione dell’attività. Pertanto, anche in presenza di una detenzione effettiva dell’attività presso un paese collaborativo, quello che rileva ai fini del regime applicabile è lo stato in cui ha sede il veicolo interposto.

Tale criterio generale non opera però in tutte le ipotesi in cui la localizzazione dell’attività sia stata già idonea a garantire l’occultamento al fisco italiano della reale detenzione.

Ad esempio, un immobile ubicato in Francia o addirittura in Italia, la cui effettiva disponibilità in capo ad un contribuente italiano è stata schermata attraverso la fittizia intestazione ad una società panamense, si considera detenuto in Panama. Di contro, le attività finanziarie illecitamente detenute da un contribuente italiano presso un istituto di credito con sede in Svizzera, si considerano detenute nella Confederazione elvetica a prescindere dal fatto che la relazione bancaria sia stata fittiziamente intestata ad una società localizzata in un paese black list. Infatti, in tale caso, la semplice allocazione delle attività finanziarie in Svizzera era, grazie al segreto bancario ivi vigente, già di per sé in grado di garantire sufficientemente l’occultamento al fisco italiano della disponibilità delle stesse in capo al contribuente nazionale”.

Dopo aver evocato il principio generale che “valorizza la localizzazione dell’attività ove è ubicata la stessa”, la circolare passa alle eccezioni, che ricorrono tutte le volte in cui “venga utilizzato un veicolo per garantire l’occultamento della reale disponibilità”.

L’evidente obbiettivo di questo passo, della circolare, è soprattutto quello di contrastare l’occultamento di attività finanziarie e patrimoniali mediante strumentazioni societarie collocate nel territorio di Paesi black list (paradisi fiscali), in funzione dell’applicazione delle norme (già richiamate) dell’art. 12, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, denominato, appunto, «contrasto ai paradisi fiscali»[13]. Risulta infatti evidente che la circolare, utilizza il termine “detenzione”:

a) innanzi tutto per assorbire quello di “disponibilità”, con ciò rispettando il rilievo assegnato al termine “detenzione” dalle norme dell’art. 4, comma 1, del d.l. 167/1990, nonché da quelle che più qualificano l’emersione internazionale quando richiamano le attività localizzate all’estero[14];

b) ma soprattutto per contrastare l’occultamento di attività realizzato in un paradiso fiscale. Ed infatti afferma:

Qualora, però, venga utilizzato un veicolo per garantire l’occultamento della reale disponibilità, è la sede di quest’ultimo che determina il paese di detenzione dell’attività. Pertanto, anche in presenza di una detenzione effettiva dell’attività presso un paese collaborativo, quello che rileva ai fini del regime applicabile è lo stato in cui ha sede il veicolo interposto”;

ed è appunto il caso considerato.

Ed è questa una scelta che, sotto un profilo rigorosamente letterale, eccede la portata del d. l. 2009, n. 78, la quale usa il termine detenzione per indicare la collocazione reale nel territorio del Paese black list delle proprio attività finanziarie e patrimoniali e non dello strumento costituito per occultarle; ma è una estensione che può considerarsi coerente con gli obbiettivi del d. l. n. 78/2009, giacché contrasta il Paese black list che ha permesso la costituzione dello strumento (di occultamento) nel proprio territorio.

E’ però evidente che, tanto l’occultamento quanto lo strumento interposto per realizzarlo, sono neutralizzati dalla disclosure, ossia dall’emersione della reale titolarità delle attività finanziarie e patrimoniali – già indebitamente detenute all’estero – mediante l’esecuzione degli “adempimenti a carico del contribuente”, illustrati in prosieguo (dopo il capito 1), nel capitolo 4 della stessa circolare. Le istruzioni ivi contenute, infatti, esplicative della l. 186/2014, hanno la funzione di far emergere quelle attività, mediante il superamento, dell’occultamento interposto, che il contribuente ottiene denunciando “spontaneamente all’amministrazione finanziaria la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, commessa fino al 30 settembre 2014[15]. Denuncia che – giova ripeterlo – ha la stessa efficacia probatoria, ex art. 2735, della confessione stragiudiziale, che poi è la stessa di quella giudiziale (art. 2733 c.c.).

Ogni diversa opinione, non soltanto sarebbe contraria al buon senso ed al dovere di interpretare la circolare, rispettando l’ordine degli argomenti ivi trattati, che non è soltanto grafico. Gli ultimi tre periodi del paragrafo 1.2.1, infatti, sono proprio funzionali alla identificazione delle situazioni alle quali:

c) si applicherà la procedura premiale qualora il contribuente vi acceda;

d) si applicherà, invece, il rigore del d.l. 78/2009, qualora il contribuente non vi acceda.

Ma, come dicevo, una diversa interpretazione di questi tre periodi renderebbe le istruzioni in essi contenute:

e) innanzi tutto illegittime, poiché le porrebbe in conflitto, addirittura frontale:

i) già con le norme degli artt. 5-quater, coma 4, del d.l. 167/1990, le quali dispongono:

4. … non si applica il raddoppio dei termini di cui all'articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, qualora ricorrano congiuntamente le condizioni previste dall'articolo 5-quinquies, commi 4, primo periodo, lettera c), 5 e 7 del presente decreto[16]. E’ infatti evidente che, se il raddoppio non si applica quando ricorre la condizione prevista dalla lettera c), quando cioè le attività restano nel Paese black list, a maggior ragione non si applicherà quando ricorrono le condizioni previste dalle lettere a) e b), dell'articolo 5-quinquies, comma 4;

ii) quindi con le norme dell’art. 5-quinques, comma 4, soprattutto lettera b), del d. l. n. 167/1990.

f) in secondo luogo irragionevoli, anzi irrazionali, poiché le porrebbe in contrasto:

i) con le istruzioni dei capitoli 5. Ambito temporale della procedura di collaborazione volontaria, 6. Aspetti sanzionatori, ed 8. Perfezionamento della procedura, della stessa circolare n. 10;

ii) nonché con altre disposizioni che, per economia, tralascio di richiamare, ritenendo assorbente la Circ. 16luglio2015,n.27, che ha dedicato l’intera pagina 34 alla Republica de Panama.


8. L’abbattimento del raddoppio dei termini di decadenza conseguente alla voluntary disclosure

La circolare n. 27 è singolarmente importante perché ben tre dei suoi paragrafi rilevano ai fini del raddoppio dei termini di decadenza. Dal loro esame risulta evidente che, mentre le norme del d. l. n.78/2009 contrastano i paradisi fiscali, punendo, con il raddoppio dei termini di decadenza, coloro che continuano ad utilizzarli mantenendovi società interposte; le norme della l. 186/2014, continuano a contrastarli favorendo, con l’esclusione del raddoppio, coloro che li abbandonano, neutralizzando tali società con la disclosure.

Risolutivo è già il paragrafo “5.1. Raddoppio dei termini ai sensi dell’articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legge n. 78 del 2009 per procedura attivata prima dell’entrata in vigore della legge” (sub “5. Ambito temporale della procedura di collaborazione volontaria”) il quale, alla domanda se “in caso di istanza di collaborazione volontaria presentata prima dell’entrata in vigore della legge, risulta applicabile il raddoppio dei termini di cui all’articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legge n. 78 del 2009 ?”, risponde di sì, ma subito dopo aggiunge:

Al riguardo si evidenzia che la deroga a tale normativa, ai soli fini della procedura di collaborazione volontaria e qualora ricorrano congiuntamente determinate condizioni, è prevista dall’articolo 5-quater, comma 4, del decreto legge, come risultante per effetto della modifica apportata dalla legge; ciò comporta necessariamente che la disapplicazione del raddoppio dei termini prevista da tale ultima disposizione non potrà applicarsi alle istanze di collaborazione volontaria pervenute prima della entrata in vigore della legge che l’ha prevista”.

Più chiara di così l’Agenzia delle entrate non avrebbe potuto essere!

Altrettanto chiare sono le istruzioni contenute nel paragrafo successivo, “5.2. Raddoppio dei termini ai sensi dell’articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legge n. 78 del 2009 nel caso di attività detenute sia in Svizzera che a Panama”. Dopo aver precisato che sono considerate solo «le attività illecitamente detenute in Panama», intendendo così richiamare solo quelle materialmente (fisicamente) collocate nel suo territorio, la circolare chiarisce gli adempimenti che il contribuente deve rispettare:

Con riferimento alle attività illecitamente detenute in Panama, nel corso dei periodi d’imposta 2006 e 2007, si evidenzia che sono tutt’ora sanzionabili sia le violazioni relative ai redditi connessi con le suddette attività sia le violazioni degli obblighi dichiarativi in materia di monitoraggio fiscale. Nel caso in cui il contribuente aderisca alla procedura di collaborazione volontaria dovrà evidenziare tali attività dimostrando la loro dismissione o il loro rimpatrio in Italia. Le sanzioni relative alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale verranno irrogate nella misura del minimo edittale (ovvero 5 per cento) del valore delle attività alla fine di ciascuno dei due periodi d’imposta. Tali sanzioni saranno comunque ridotte della metà in caso di dismissione definitiva (che ricorre ad esempio quando le attività sono state oggetto di liberalità a favore di un terzo o sono state destinate al consumo) o nel caso in cui siano state rimpatriate in Italia o in uno dei Paesi facenti parte dell’UE o dello SEE. Nel caso in cui le attività siano state trasferite in Paesi diversi e siano tutt’ora nella diponibilità del contribuente, la riduzione della specifica sanzione sarà collegata alla destinazione che questi darà alle stesse a seguito dell’attivazione della procedura”.

E’ agevole notare che l’ultimo periodo, come già quello del paragrafo precedente, riflettono quasi testualmente – e non avrebbe potuto essere diversamente – la procedura di collaborazione volontaria, disciplinata dalle norme dell’art. 5-quinquies, comma 4, a loro volta richiamate da quelle dell’art. 5-quater, comma 4, nonché dalle istruzioni dei capitoli 5 e 6, della circolare n. 10. Trattasi di norme di legge e di istruzioni il cui ambito applicativo segue quello degli ultimi tre periodi del paragrafo 1.2.1, i quali – giova ripeterlo – descrivono e qualificano giuridicamente la situazione di occultamento anteriore alla procedura o comunque applicabile ove questa manchi. E’ infatti evidente che, se dimezzamento dei termini di decadenza e riduzione delle sanzioni sono applicati alle attività che, già detenute materialmente in Panama, “siano state rimpatriate in Italia o in uno dei Paesi facenti parte dell’UE o dello SEE” (così la circ. n.27/E/2015), analogo trattamento deve essere riservato a chi, avendo fatto emergere i capitali, neutralizzando lo strumento di occultamento (società offshore) costituito in Panama, dimostri che le attività sono state sempre detenute “in Italia o in uno dei Paesi facenti parte dell’UE o dello SEE”.

In tal caso, che poi riguarda anche l’OCSE, quindi il Canada, il monitoraggio è stato pienamente ottenuto ed infatti: l’occultamento è stato eliminato; ogni informazione sulle attività è stato garantito dall’appartenenza all’OCSE del Canada che le ospita. Ha infatti precisato la Circ. 16 luglio 2015, n.27 nel paragrafo 6.3. Detenzione di attività finanziarie in uno Stato che consente un effettivo scambio di informazioni con l’Italia non aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo”:

Come già chiarito nella circolare n. 43/E del 2009 in tema di emersione di capitali all’estero, tenuto conto della disposizione di cui all’articolo 56 del trattato 25 marzo 1957 istitutivo della Comunità europea, che vieta qualsiasi restrizione ai movimenti di capitale non solo tra Stati membri, ma anche tra Stati membri e paesi terzi, si deve ritenere possibile che il trasferimento e la detenzione di cui alle sopracitate lettere a) e b) dell’articolo 5-quinquies, comma 4, del decreto legge, sia possibile anche verso o nei Paesi extra UE con i quali è in atto un effettivo scambio di informazioni secondo il recente standard ONU/OCSE. Pertanto, in aggiunta ai Paesi della UE e alla Norvegia e all’Islanda, si ritiene non necessaria la presentazione del waiver nel caso di detenzione delle attività finanziarie in Paesi dell’OCSE che non hanno posto riserve alla possibilità di scambiare informazioni bancarie. Sarebbe, infatti superfluo, in tal caso, aggiungere il c.d. monitoraggio rafforzato, alla possibilità già esistente di scambiare informazioni con il Paese in cui le attività stesse sono detenute” (pag. 40).

E, come già rilevato, il Canada è un Paese OCSE, che ha stipulato tutti gli accordi di collaborazione per lo scambio d’informazioni, secondo gli standard ONU/OCSE[17].

In altri termini, se il dimezzamento dei termini di decadenza e la riduzione delle sanzioni sono accordati alle attività che:

a) materialmente detenute in Panama vengono trasferite in Paesi white list (artt. 5-quater comma 4 e 5-quinquies, comma 4, lett. a);

b) pur essendo state in precedenza (solo) occultate in Panama, mediante società interposte, risultano, per effetto dell’emersione, detenute da sempre in Paesi white list (artt. 5-quater comma 4 e 5-quinquies, comma 4, lett. b);

c) continuano (addirittura) ad essere materialmente detenute in Panama, ma rispettano gli obblighi di comunicazione con il rilascio del Waiver (artt. 5-quater comma 4 e 5-quinquies, comma 4, lett.c.) ;

non vedo come possa chiedersi al contribuente di compilare “l’istanza a partire dall’anno d’imposta 2004” quando, nel suo caso, ricorrono proprio le condizioni previste dal comma 4, lett.b). Ed infatti:

d) gli immobili sono sempre stati collocati in Canada, ossia in un Paese white list;

e) le società che li posseggono sono società di diritto canadese, costituite in Canada e, ovviamente, con sede in Canada;

f) le partecipazioni nelle due società, per quanto possano rilevare, sono depositate in Svizzera, ossia in un Paese che ha stipulato l’accordo di collaborazione lo scorso anno;

g) le due società Panamensi offshore non occultano più niente, avendo il contribuente eseguito gli adempimenti previsti dalle norme sull’emersione internazionale, denunciando “spontaneamente all’amministrazione finanziaria – giova ripeterlo – la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, commessa fino al 30 settembre 2014[18];

h) in relazione ai beni sub d), e) ed f), detenuti in un Paese white list, come il Canada, che ha sottoscritto, da sempre, tutti gli accordidi collaborazione tributaria, l’Agenzia può ottenere tutte le informazioni che vuole dalla locale amministrazione finanziaria (canadese), senza neppure bisogno di ricorrere ad alcun waiver.

Appare del tutto priva di fondamento, pertanto, la decisione di chiedere alla contribuente, “con riferimento alle partecipazioni detenute nelle società” ALFA eBETA, di “compilare l’istanza a partire dall’anno d’imposta 2004 per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di imposte sui redditi, in quanto le partecipazioni si considerano detenute in un Paese Black list”.

 

9. Conclusione

Se si continua a scorrere l’indice della circolare, dopo il capitolo 1, superando i capitoli 2 (“ La collaborazione volontaria nazionale”) e 3 (Le cause di inammissibilità), si trovano i capitoli:

a) 4, con le istruzioni in merito agli “adempimenti a carico del contribuente” che accede alla procedura;

b) 5, con le istruzioni in merito agli effetti premiali, rappresentati dal dimezzamento dei termini di decadenza, riservati al contribuente che abbia acceduto alla procedura rispettando gli adempimenti previsti dai capitoli 4 ed 8;

c) 6, con le istruzioni in merito agli effetti premiali, rappresentati dalla riduzione delle sanzioni amministrative, riservati al contribuente che abbia acceduto alla procedura rispettando gli adempimenti previsti dal capitolo 4 e 8;

d) 7, con le istruzioni in merito alla esclusione delle sanzioni penali;

d) 8, con le istruzioni in merito al perfezionamento della procedura con il pagamento del dovuto.

Nel caso qui in esame, la posizione del contribuente – con riferimento alla successione dei capitoli della circ. n.1°/E/2015 – è al momento quella di chi ha già neutralizzato e reso innocua la situazione (di occultamento) prevista negli ultimi tre periodi del paragrafo 1.2.1, giacché, consapevole di non trovarsi nelle situazioni d’incompatibilità trattate dal capitolo 3, ha attivato la procedura di collaborazione volontaria, dando esecuzione agli adempimenti del capitolo 4 ed apprestandosi a perfezionare la procedura con i pagamenti previsti dal capitolo 8. Egli attende che l’Ufficio adempia, a sua volta, i propri obblighi accertativi, prospettandogli, con l’invito richiamato dall’art. 5-quater, lett. b), del d.l.167/1990, gli ultimi “adempimenti” a suo carico, ossia i pagamenti dovuti. Ed è perfino superfluo rilevare che l’ammontare di questi, in termini di imposte e di sanzioni, saranno determinati dall’Ufficio, applicando la premialità prevista per chi ha rispettato gli “adempimenti” del capitolo 4 e si appresta a rispettare quelli del capitolo 8 della circolare; quindi riconoscendogli il dimezzamento dei termini di decadenza e la riduzione delle sanzioni.

E sarebbe già irragionevole, prima che illegittimo, applicare al contribuente rispettoso della procedura di collaborazione volontaria le misure punitive (raddoppio dei termini, ecc.) previste per chi l’ha del tutto ignorata.



[1] L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) è un'istituzione  internazionale di studi economici per gli Stati membri, che si identificano con i Paesi più sviluppati, aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un'economia di mercato. Fu costituita con la Convenzione di Parigi del 14 dicembre 1960 ed esordì il 30 settembre 1961. Entrarono a farne parte i Paesi che avevano aderito all'OECE, oltre a Canada e Stati Uniti d'America, mentre, in un secondo momento, aderirono Giappone (1964), Finlandia (1969), Australia (1971), Nuova Zelanda (1973), Messico (1994), Corea del Sud (1996), e infine, dopo la dissoluzione del blocco comunista e delle organizzazioni internazionali quali il COMECON, anche Repubblica Ceca (1995), Polonia e Ungheria (1996), Slovacchia (2000). Il Cile e l'Estonia sono divenuti membri nel 2010, mentre sono stati invitati a far parte dell'Organizzazione anche Israele e Slovenia.

[2] Cfr. P.M. Tabellini, Libertà negoziale e delusione d’imposta, Il problema della titolarità ingannevole dei redditi, Padova, 1995, pagg. 359 e segg.

[3] Gli artt. 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue), in materia di libertà di stabilimento, consentono solo il trasferimento di una sede operativa, ma non permettono che una società costituita in base alle norme di uno Stato membro operi in tutto e per tutto in base alle norme dello Stato membro di destinazione se il diritto nazionale dello Stato membro di origine non lo permette o lo sottopone a restrizioni, come di norma accade (Cass. 7 febbraio 2013, n. 2869, nonché Corte di Giustizia, sent.27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust).

[4] In materia di interposizione cfr. anche: la Direttiva 2014/107/Ue del Consiglio del 9 dicembre 2014, recante «modifica della direttiva 2011/16/Ue per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale»; la stessa circ. 38/E/2013; il provvedimento n. 2013/151663, in data 18 dicembre 2013, del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto: «Modalità di attuazione delle disposizioni relative al monitoraggio fiscale contenute nell’articolo 4 del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, come modificato dall’articolo 9, comma 1, lettera c), della legge 6 agosto 2013, n. 97».

[5] Il Common Reporting Standard per lo scambio di informazioni fiscali tra Stati (Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information), diffuso dall’Ocse il 13 febbraio 2014 ha segnato una svolta significativa nelle relazioni tra gli Stati membri. Il documento disciplina nel dettaglio i dati che devono formare oggetto di scambio, le modalità ed i tempi di trasmissione. Le Amministrazioni fiscali degli Stati membri sono fra l’altro tenute ad acquisire le informazioni sulle attività finanziarie dei non residenti dagli intermediari finanziari e a scambiarle in modo automatico con quelle degli altri Stati con cadenza annuale.

[6] Cfr. il comunicato stampa n. 246, del 29 ottobre 2014, del Ministero dell’Economia e delleFinanze.

[7] Cfr. la legge 18 giugno 2015, n. 95. Per la collaborazione amministrativa fra gli Stati è stata molto importante la politica decisa nel 2010 dagli U.S.A. con il Facta (Foreign Compliance Account Tax Act), tradotto in accordi bilaterali con gli altri Paesi, che obbliga questi ultimi a comunicare all’Irs (Internal Revenue Service) i nominativi dei residenti statunitensi titolari di relazioni finanziarie. «L’accordo bilaterale – comunica il Ministero dell’economia – riflette nei contenuti il Modello di accordo intergovernativo (definito a luglio 2012) per lo scambio automatico di informazioni tra amministrazioni finanziarie da e verso gli Stati Uniti che è stato negoziato tra gli Usa e cinque Paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna)».

[8] Provvedimento n. 106541, di prot., «Disposizioni attuative del decreto del Ministro delle finanze del 6 agosto 2015. di attuazione della legge 18 giugno 2015, n. 95 di ratifica dell’Accordo tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad applicare la normativa FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act). Modalità».

[9] D.L. 1° luglio 2009, n. 78, art. 12, comma 1.

[10] Per semplicità, chiamerò white list i Paesi UE, nonché i Paesi extra UE con i quali è in atto un effettivo scambio di informazioni secondo il recente standard ONU/OCSE; mentre chiamerò black list i Paesi, come la Republica de Panama, con i quali manca un tale scambio di informazioni.

[11] Come modificato dall'art. 10, comma 12-quaterdecies, D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11.

[12] Prevista dall’art. 12, commi 2, 2-bis e 2-ter, del D.L. luglio 2009, n. 78.

[13] Cfr., retro, sub §7.

[14] Che ricorre soltanto nell’art. 5-quinquies, comma 9, per indicare i soggetti collegati.

[15] Provvedimento del Direttore dell’Agenzia, 30 gennaio 2015, pag. 6.

[16] Questo comma è stato così modificato dall'art. 10, comma 12-quaterdecies, D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11.

[17] Cfr., retro, sub §5, anche nelle note.

[18] Provvedimento del Direttore dell’Agenzia, 30 gennaio 2015, pag. 6.


Scarica Articolo PDF