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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/09/2016 Scarica PDF

La rivisitazione del piano attestato di risanamento

Saverio Mancinelli, Dottore Commercialista in Pescara



Sommario: 1. Premessa – 2. Finalità e generalità dell’istituto – 3. Oggetto della deroga – 4. Attestazione necessaria e professionista abilitato – 5. Veridicità dei dati aziendali – 6. Fattibilità del piano - 7. Nomina del professionista ed indipendenza - 8. Pubblicità del piano e “benefici”- 9. Rivisitazione del piano - 10. Principi enunciati dalla Suprema Corte - 11. Conclusioni


     

1. Premessa

La Corte di Cassazione con sentenza 05 luglio 2016, n. 13719, effettuando un parallelo con il piano (attuativo della proposta) del concordato preventivo, ha ritenuto la sindacabilità, entro certi limiti, del piano attestato di risanamento ex art. 67, co. 3, lett. d) L.F.: la “conseguenza obbligata” dell’interpretazione è che l’atto esecutivo di un piano attestato, non può dirsi con certezza esentato da revocatoria.

La sentenza è la prima specifica della Cassazione civile in argomento, in quanto si riscontra solo un “generico” precedente intervento, reso in sede penale[1].

Al fine di poter meglio analizzare i principi enunciati dalla Suprema Corte, è indispensabile ripercorrere, in breve, i profili dell’istituto del “piano attestato di risanamento”[2].

 

2. Finalità e generalità dell’istituto

Il piano di risanamento è una (ulteriore) previsione di privatizzazione dell’insolvenza introdotta dal legislatore già nella primissima decretazione d’urgenza che ha inaugurato la riforma del diritto fallimentare (D.L. 35/2005). Scopo del legislatore è quello della salvaguardia dei c.d. “piani di salvataggio” attuabili dall’imprenditore (fallibile)[3] fuori da procedure concorsuali, trovando in tal modo ingresso nella disciplina una nuova tipologia di atto stragiudiziale che garantisce l’esonero da revocatoria, purché posto in essere con determinate modalità. La deroga vuole privilegiare la continuità aziendale alla sola condizione della credibilità del piano di risanamento, dove non sussistono i vincoli del concorso tra i creditori e del rispetto del grado di prelazione. Il progetto diventa, quindi, l’elemento portante dell’iniziativa e dovrà essere sufficientemente particolareggiato, affinché al suo interno possano essere lette le ragioni che giustifichino gli atti compiuti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse.

In estrema sintesi la finalità dell’istituto è di “tendere una mano” all’imprenditore in difficoltà ed in particolare ai soggetti con cui intrattiene rapporti commerciali, che prima della riforma potevano veder revocati eventuali atti, pagamenti e garanzie compiuti nel periodo di incubazione dell’insolvenza; tale rischio che viene oggi ridotto dalla possibilità che si dimostri che le operazioni compiute dal debitore, nel(l’ormai breve) periodo “sospetto”, sono mirate al risanamento della attività e non costituiscono meri adempimenti (anche preferenziali) effettuati “senza una rotta” nella “burrasca” della crisi della propria impresa.

Il piano attestato di risanamento costituisce un atto unilaterale (eventualmente anche articolato in atti plurimi) dell’imprenditore, a formazione contrattuale meramente eventuale[4]: caratteristica peculiare del “piano” è, infatti, la non indispensabile conclusione di un accordo (stragiudiziale) con i creditori, essendo un programma interno dell’impresa e potendo l’imprenditore scegliere la strada della predisposizione di un piano di risanamento senza negoziare nulla con alcun creditore[5]. Per tale motivo l’istituto presenta caratteristiche controverse e sfuggenti: non esiste alcuna fase di garanzia dell’intervento giudiziario, né alcun contratto, seppur di natura privatistica, viene suggellato tra debitore e creditori, che conseguentemente non esprimono alcun consenso sul “piano”[6].

   

3. Oggetto della deroga

Lo spazio di operatività dell’esenzione appare circoscritto alla revocatoria fallimentare; infatti, la collocazione della norma (art. 67, co. 3, lett. d) sembra deporre nel senso che l’esenzione è riferita agli atti disciplinati dai due commi precedenti dell’articolo e non ad altri (ad esempio, quelli regolati dagli artt. 64 e 65 L.F.), né tantomeno alla revocatoria ordinaria[7].

L’esenzione da revocatoria fallimentare è inerente ad eventuali atti, pagamenti e garanzie concesse sui beni del debitore; la formula utilizzata (“atti, pagamenti e garanzie”) appare sufficientemente ampia e generica da comprendervi qualsiasi “operazione” effettuata dall’imprenditore, con l’unica limitazione della concessione di garanzie, che va necessariamente circoscritta sui beni propri del debitore.

Per ottenere il beneficio, tali “operazioni” vanno eseguite in esecuzione di un piano attestato che dovrebbe assolvere ad una duplice funzione: assicurare il risanamento dei debiti dell’impresa e garantire il riequilibrio della situazione finanziaria[8]; tuttavia l’unica (scarna) sicurezza nella regolazione, con matrice unilaterale, della crisi viene affidata ad un “professionista”, la cui attestazione è la conditio sine qua non per l’esenzione da revocatoria per gli atti, pagamenti e garanzie posti in essere per l’esecuzione di quanto pianificato.

   

4. Attestazione necessaria e professionista abilitato

Riguardo all’attestazione necessaria per il perfezionamento del piano e al soggetto ad essa abilitato, la norma in commento risulta modificata una prima volta tramite l’intervento “correttivo” del 2007 (D.Lgs 169/2007): l’originario piano di risanamento del D.L. 35/05 con “ragionevolezza” attestata ai sensi dell’art. 2501-bis, comma 4, del codice civile, diviene un piano (di risanamento) la cui ragionevolezza sia attestata, ai sensi dell’art. 2501-bis, comma 4 c.c. [9], da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali e che possieda anche i requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b) L.F.

Successivamente è intervenuta una seconda modifica legislativa (contenuta nel D.L. 83/2012, c.d. “decreto sviluppo”[10]) ove nell’art. 67, co. 3 lett. d) scompare ogni riferimento all’art. 2501-bis, comma 4, del codice civile, che aveva generato alcune confusioni interpretative.

Oggi nella norma, con maggior semplicità, si escludono dalla revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del fallito, posti in essere in esecuzione di un piano di risanamento finanziario dell’impresa, purché sia la veridicità dei dati aziendali che la fattibilità del piano(in sostituzione della sua “ragionevolezza”) [11] siano attestate da un professionista iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare (cioè appartenente ad una delle categorie indicate dall’art. 28, lett. a e b, L.F.) [12].

   

5. Veridicità dei dati aziendali

In linea generale, per l’attestazione della veridicità dei dati aziendali (categoria decisamente più ampia rispetto al “sottoinsieme” dei “dati contabili”, in quanto comprendente anche “fatti extracontabili”, tra cui i contratti stipulati a vario titolo, le partecipazioni societarie dell’impresa e dei soci, gli impegni assunti da terzi a favore della società, il contenzioso in corso in sede giudiziaria, tributaria e previdenziale …) il professionista non deve limitarsi ad attestare la conformità dei dati alle risultanza delle scritture contabili o documentali, ma deve attestare che i dati sono reali.

Il suo compito consiste, quindi, nel verificare sia l’esistenza delle attività dell’impresa (beni mobili, immobili, crediti, ecc.) ed il loro effettivo valore, sia l’entità dell’esposizione debitoria, specificando quali sono i documenti esaminati per il controllo[13].

Non si esclude che nell’espletamento di tale compito il professionista possa procedere con il metodo a campione, ma è chiaro che, ove si ammetta tale possibilità, la scelta del campione utilizzato non dovrebbe essere casuale, ma andrebbe effettuata in modo tale che lo stesso risulti adeguatamente rappresentativo dell’universo[14].

   

6. Fattibilità del piano

Per quanto attiene il vaglio sulla fattibilità del piano, sembra indispensabile che nella relazione attestativa siano compiutamente illustrate le valutazioni che il professionista, a seguito del predetto controllo sulla veridicità dei dati aziendali, è chiamato a formulare riguardo alle concrete prospettive di successo dell’operazione di risanamento, specie con riferimento alle modalità e ai tempi di pagamento dei creditori, in modo non difforme da quanto previsto, in tema di concordato preventivo, dall’art. 161, 2° comma, lett. e), dove si richiede che la domanda di concordato venga accompagnata da un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. In breve il professionista deve stimare, oltre ai valori dell’attivo e del passivo, il cash-flow della gestione corrente, il fabbisogno di capitale circolante, la struttura dell’impresa e gli scenari di mercato, tenendo presente le finalità / strategie di risanamento concretamente individuate nel piano. Inoltre, particolare attenzione dovrebbe essere posta alla valutazione della strumentalità degli atti rispetto al piano, in quanto operazioni (che potrebbero essere) esenti da revocatoria e/o da censure penali.

L’attestazione del professionista non dovrebbe difettare di analiticità e motivazione dei dati: a tal fine la dottrina ha elaborato un documento[15] a cui anche la giurisprudenza di merito ha fatto riferimento.

   

7. Nomina del professionista ed indipendenza

Circa la nomina del professionista cui è affidata l’attestazione sullaveridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano di risanamento, dopo interpretazioni non univoche [16], appare oggi pacifico, per espressa disposizione di legge introdotta mediante modifica nell’art. 67, L.F. apportata dal D.L. 83/2012, che il professionista è designato (esclusivamente) dal debitore e, conseguentemente, si è dissolta ogni disputa.

Sempre tramite il D.L. 83/2012 è stato specificato, con un’individuazione alquanto ampia, che il professionista attestatore deve essere “indipendente”. L’indipendenza si concretizza nella mancanza di legami con l’impresa e con coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale, tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio.

In particolare, per disposizione di legge, l’attestatore:

a) non può essere legato all’impresa debitrice, né a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento, da relazioni di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio;

b) deve essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 2399 c.c., ovvero non deve trovarsi in una delle cause d’ineleggibilità e di decadenza previste per la carica di sindaco di società. Ad esempio, non può essere legato alla società debitrice, o ad imprese dalla stessa controllate, o che la controllano o che sono sottoposte a comune controllo, da un rapporto di lavoro, di consulenza o prestazione d’opera retribuita, ovvero da altre relazioni di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza;

c) non deve, neppure per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, aver prestato, negli ultimi cinque anni, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, oppure aver partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.

nel contempo si ritiene che l’attestatore non dovrebbe:

d) partecipare alla predisposizione del piano, anche se, in relazione a “bozze” dello stesso, potrebbe rappresentarne eventuali profili di criticità riscontrati;

e) essere creditore del debitore, per ragioni diverse dalla prestazione professionale attinente l’incarico di attestazione; dal che si ritiene che dovrebbe astenersi dallo svolgere l’attività di attestazione in presenza di crediti professionali vantati in favore della medesima impresa ricorrente, per similare e precedente attività di asseverazione (di un piano di risanamento, di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di un concordato dichiarati inammissibili, rigettati o cessati per le più varie ragioni).

   

8. Pubblicità del piano e “benefici”

Il legislatore del 2012 si è anche (ex novo) occupato della pubblicità del piano, prevedendo che lo stesso “può essere pubblicato, su richiesta del debitore, presso il Registro delle imprese[17]: tale facoltà consente di attribuire una data certa al piano di risanamento, all’attestazione del professionista, nonché alle operazioni compiute in esecuzione del progetto di riduzione dell’esposizione debitoria, ovvero di riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa.

La pubblicazione del piano nel Registro delle imprese conduce a benefici fiscali[18]: ulteriore novità del D.L. “sviluppo” 2012 è rappresentata dalla circostanza che il legislatore si è premurato di avviare un coordinamento tra le disposizioni del D.P.R. 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi - c.d. TUIR) e quelle della legge fallimentare.

Infatti, il TUIR continuava, anche dopo la riforma fallimentare, ad ignorare l’esistenza del piano attestato di risanamento. In particolare, l’ultimo periodo dell’art. 88, comma 4 del TUIR, modificato dal decreto “sviluppo”, prevede oggi che, nel caso di piano attestato di risanamento, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la quota del provento che eccede le perdite pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84 TUIR, a condizione che il piano di risanamento sia iscritto nel Registro delle imprese[19].

   

9. Rivisitazione del piano

L’istituto del piano attestato è collocato nell’ambito della disciplina delle revocatorie, o meglio viene previsto dal legislatore tra le eccezioni alla regola generale di revocabilità degli atti, pagamenti e garanzie; ne consegue pacificamente che il piano, anche nella massima buona fede degli attori interessati, potrebbe non andare a buon fine nel risultato e conseguentemente potrebbe non produrre gli effetti per cui era predisposto (in altre parole il piano attestato potrebbe essere seguito da un fallimento e potrebbero non verificarsi i presupposti per l’eccezione, cioè non implicare l’esenzione da revocatoria).

Peculiare aspetto da verificare potrebbe essere il legame esecutivo di strumentalità tra l’atto potenzialmente revocabile ed il piano di risanamento. Infatti, in caso di esito infausto del piano, ove il curatore, ricorrendone tutti i presupposti, proponga azione revocatoria fallimentare avverso un atto di disposizione compiuto dal fallito nel periodo sospetto, il convenuto in revocatoria che voglia provocare il rigetto di tale domanda in base all’esenzione in commento, dovrebbe provare che quell’atto si pone in (fedele) attuazione-esecuzione di un piano di risanamento attestato ai sensi di legge; infatti, l’ampiezza della formula utilizzata è tale da ricomprendervi, sostanzialmente, ogni atto dell’imprenditore (tra cui le garanzie “sui beni del debitore”) purché “attuativo-esecutivo” del piano attestato.

Ovviamente, se non soggetto a pubblicità, il piano e l’attestazione del professionista, dovrebbero essere muniti di data certa (anteriore alla dichiarazione di fallimento) al fine dell’opponibilità alla procedura concorsuale delle operazioni compiute (sia in esecuzione del progetto di riduzione dell’esposizione debitoria, che di riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa). In assenza di data certa, l’eccezione del convenuto non può che essere respinta e ricorrendo i fatti costitutivi della stessa, la domanda di revoca del curatore dovrebbe trovare (assai probabile) accoglimento.

In ogni caso, dopo il fallimento del debitore, il giudizio sulla revocatoria è la sede naturale per la rivisitazione del piano da parte del giudice, anche sotto il profilo del merito della sua idoneità a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e il riequilibrio della sua situazione finanziaria; infatti, ad essere messa in discussione sarà l’idoneità del piano, nonché la correttezza delle attestazioni del professionista[20].

Riassumendo, per la stabilità degli atti necessita che, quali condizioni minime, si integrino tutti gli elementi della fattispecie esonerativa da revocatoria, ovvero che:

a) l’atto sia esecutivo / strumentale del piano di risanamento, che deve avere data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento;

b) il piano appaia idoneo (con valutazione ex ante, stante la dimensione prognostica che caratterizza la fattispecie)a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria;

c) l’attestazione sia resa da un professionista avente le caratteristiche soggettive di legge ed indipendente[21];

d) l’asseverazione resa abbia ad oggetto la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.

   

10. Principi enunciati dalla Suprema Corte

Si evidenzia che la sentenza di Cassazione di cui in premessa, attiene un piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d) L.F. nel testo vigente anteriormente alle modifiche cui al decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (come detto il legislatore del 2012 ha stabilito che il professionista deve attestare – anche - la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, uniformando la dizione della norma in commento con quella dell’art. 161, L.F.).

Da ciò la prima interpretazione della Cassazione, secondo cui, in vigenza della norma precedente al decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, la verifica dei dati aziendali doveva essere eseguita ex ante esclusivamente allo scopo di verificare la ragionevolezza del piano di risanamento[22], ma non doveva essere caratterizzata (come invece richiesto dalla citata modifica normativa) da una vera e propria attestazione di veridicità dei dati medesimi. In altre parole, sino all’intervento correttivo del 2012, l’esplicita assenza del disposto di legge, circa attestazione del professionista sulla veridicità dei dati aziendali, non appare invocabile per “scardinare” l’esimente da revocatoria.

La seconda interpretazione di legittimità concerne l’applicabilità all’art. 67, comma 3, lett. d) - nel testo vigente anteriormente alle modifiche cui al decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 - del principio enunciato dalla sentenza di Cassazione n. 11497 del 2014, secondo cui se il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica del piano di concordato preventivo, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilità economica, intesa come realizzabilità dei fatti del medesimo, può essere svolto solo nei limiti della verifica della sussistenza o meno di un’assoluta, manifesta mancanza di attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi.

La sentenza offre, infine, il seguente principio di diritto: “il giudice, per ritenere non soggette alla domanda della curatela gli atti esecutivi del piano attestato medesimo ha il dovere di compiere, con giudizio ex ante, una verifica mirata alla manifesta attitudine all’attuazione del piano di risanamento, del quale l’atto oggetto di revocatoria da parte della curatela costituisce uno strumento attuativo”. In sintesi, viene affidato al giudice di rinvio il compito di vagliare, con valutazione ex ante, se il piano appare(iva) idoneo alla soluzione della crisi. Ne consegue che, volendo applicare il principio di legittimità (che risulta fedelmente adesivo al dettato normativo), non necessita vagliare se era evidente che il piano manifestasse “inattitudine”, ma occorre sindacare la “manifesta attitudine” del piano al risanamento, all’epoca della sua confezione, ravvisando la Suprema Corte la necessità del giudice di merito di vagliare la “macroscopica valutazione di attitudine del piano alla realizzazione dei suoi scopi”.

   

11. Conclusioni

L’esenzione dell’art. 67, co. 3, lett. d) va a ledere il presupposto oggettivo della revocatoria fallimentare (preordinata alla salvaguardia del patrimonio del debitore, destinato alla soddisfazione dei creditori secondo disposizioni di legge), introducendo una deroga alla par condicio creditorum, potenzialmente idonea a favorire i creditori più ostinati e contrattualmente più forti.

Nel piano attestato:

· il debitore elabora il progetto autonomamente e non in contraddittorio con i creditori;

· il debitore non ha obbligo di pubblicazione nel Registro delle imprese o di esternazione a terzi;

· per i creditori non sussistono possibilità di opposizioni;

· non è richiesta alcuna omologazione dell’autorità giudiziaria ed il piano “resta in un cassetto” del debitore[23], in attesa di essere utilizzato, ove si dovesse presentare la realtà della procedura fallimentare[24].

Da quanto sopra emerge che si tratta di un’esenzione (che sembrerebbe contenere in sé una contraddizione) quanto mai difficile da giustificare: da un punto di vista logico, infatti, l’eventuale successiva dichiarazione di fallimento sta(rebbe proprio) a dimostrare che, al di là delle “assicurazioni” del professionista, il piano non era adeguato allo scopo ed al riguardo vi potrebbe essere il timore della “copertura” in troppe situazioni, nelle quali il piano attestato risulti ben oltre i limiti della par condicio.

Il “vuoto” normativo è anche rappresentato dalla circostanza che il legislatore non definisce il piano che dovrebbe apparire idoneo a consentire il risanamento[25]: maliziosamente si era argomentato (oltre un decennio fa)[26] che il “piano” potrebbe anche essere esclusivamente finalizzato a precostituire una causa di esenzione da revocatoria e tale argomentazione non sembra essere stata smentita dalla prassi formatasi, ove frequentemente sono gli stessi istituti di credito, in caso di “tensione finanziaria” del debitore, che chiedono che atti, pagamenti “di rientro” e garanzie concesse siano assistite dal c.d. “Piano 67[27].

Pertanto, a volte, si assiste ad un rovesciamento del sistema: lo scopo del piano diviene quello di favorire taluni creditori forti (banche e grandi gruppi societari) che modificano la qualità del loro credito e/o ricevono soddisfazione, senza sostenere il piano con nuova finanza e/o collaborazione imprenditoriale, mentre la ratio dell’istituto dovrebbe essere quella della continuità dell’attività, evitando un effetto “quarantena” del debitore e salvaguardando soprattutto gli operatori che intrattengono rapporti con l’impresa in crisi.

Ovviamente ogni creditore potrebbe in qualsiasi momento impedire al debitore di compiere operazioni “mirate”, intraprendendo tutte le eventuali azioni ritenute idonee per la tutela delle proprie ragioni, ma tale intervento presuppone la conoscenza del piano che, si ripete, non necessariamente potrebbe essere esternalizzato.

Dopo il fallimento del debitore, in presenza di atti anormali o normali effettuati nel rispettivo periodo di incubazione dell’insolvenza, l’eventuale giudizio di revocatoria fallimentare instaurato dal curatore è la sede naturale per la rivisitazione del piano da parte del giudice, sia nell’ottica della fattibilità giuridica (intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili, stante l’assoluta mancanza di un preventivo controllo giudiziale), che sotto il profilo della fattibilità economica (intesa come manifesta attitudine del piano attestato a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile singolaremente in relazione alle modalità programmate dall’imprenditore per consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria).

Con un giudizio ex ante, se il piano non appare(iva) manifestamente atto al risanamento, l’esenzione potrebbe essere disattesa dal giudice, nonostante l’attestazione del professionista sulla veridicità dei dati e sulla fattibilità (attestazione che, conseguentemente, risulta essere condizione necessaria, ma non sufficiente), in quanto l’apparenza non risulta assorbita dall’asseverazione.

Differentemente se l’indagine giudiziale ravvisa che il piano presenta(va) i tratti di “macroscopica manifesta attitudine” al risanamento (e dunque il suo esito infausto può essere attribuito a circostanze imprevedibili e sopravvenute) l’esenzione invocata potrebbe sprigionare i suoi effetti.



[1] Cassazione penale, sentenza del 3 marzo 2016, n. 8926, dove si legge che “le condotte distrattive poste in essere dagli amministratori della fallita società in esecuzione di un piano di risanamento ex art. 67 co. 3 lett. d) L.F. redatto in fase precedente non escludono la configurabilità del reato qualora, secondo la valutazione di congruenza e fattibilità operata dal giudice penale (come dal giudice civile in caso di successivo fallimento rispetto all’esenzione da revocatoria di cui all’art. 67 L.F.), il piano attestato non apparisse idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”.

[2] Si premette che dal presente lavoro verranno estromessi i “risvolti”, connessi al piano attestato, inerenti la fattispecie di reato contenuta nell’art. 236-bis L.F. (Falso in attestazioni e relazioni)introdotta dal D.L. 83/2012, a carico del professionista che nell’attestazione di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), L.F., espone informazioni false, ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, nonché inerenti le esenzioni dal reato di bancarotta ex art. 217-bis L.F., introdotte dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, articolo successivamente modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 e dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, che prevede che le disposizioni di cui all'articolo 216, terzo comma e 217, L.F. non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un piano attestato.

[3] Ovviamente se un generico “piano di salvataggio” stragiudiziale è attuabile da qualunque imprenditore, il ricorso all’istituto del “piano di risanamento” appare consentito solo ai soggetti suscettibili di essere sottoposti a fallimento, quidi con i requisiti dimesionali di cui all’art. 1, L.F.; infatti, essendo l’effetto del ricorso indirizzato all’esenzione da revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione del “piano”, pare scontato circoscriverne l’operatività solo ai soggetti fallibili.

[4] Ferro, Piano attestato di risanamento, in AA.VV., Le insinuazioni al passivo. Trattato teorico pratico dei crediti e dei privilegi nelle procedure concorsuali, 2005, Padova, pp. 546-547.

[5] Sintomatico di ciò è lo stesso termine utilizzato dal legislatore (“piano” e non “accordo”); infatti, il “piano” implica una programmazione unilaterale, differentemente “l’accordo” presuppone una negoziazione.

[6] In ogni caso necessita evidenziare che, nella prassi ed anche in assenza di previsione normativa, il piano viene talvolta sottoposto al placet di taluni creditori.

[7] Per quanto concerne i finanziamenti infragruppo, sembra sottratta dall’esenzione la disciplina che, ricorrendone i vari presupposti, impone la restituzione alla procedura fallimentare dei finanziamenti dei soci rimborsati nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento (art. 2467, comma 1°, c.c.) e dei finanziamenti restituiti a chi esercita attività di direzione e di coordinamento o da altri soggetti sottoposti a medesima direzione o coordinamento nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (art. 2497-quinquies c.c.). Tali disposizioni hanno, infatti, l’obiettivo di reprimere il rimborso di finanziamenti, collegati a relazioni particolarmente intense tra finanziatori e società in crisi,cui è del tutto estraneo qualsiasi rapporto con un piano di risanamento aziendale.

[8] La condizione di “riequilibrio finanziario” va conseguita fronteggiando i debiti, per entità e scadenza, mediante il realizzo di crediti o con altre fonti di liquidità (con mezzi propri, es. aumento del capitale di rischio, ovvero con mezzi di terzi, utilizzabili nel breve periodo e aventi una scadenza nel medio – lungo periodo che potrebbe essere ragionevolmente fronteggiata). Il legislatore si preoccupa solo del riequilibrio dei profili finanziari della situazioni di crisi dell’impresa, disinteressandosi del profilo economico;in realtà, appare pacifico osservare che il conseguimento del riequilibrio finanziario può essere idoneo solo nel breve periodo a superare la “crisi”, se non viene accompagnato dall’equilibrio economico (ovvero da ricavi sufficienti a fronteggiare i costi e remunerare il capitale di rischio).

[9] La norma civilistica è relativa alla fusione a seguito di acquisizione attraverso indebitamento (leveraged buy out).

[10] Le disposizioni del D.L. 22 giugno 2012 n.83 non hanno avuto effetto immediato, ma si sono applicate ai piani di risanamento elaborati dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto “sviluppo” (Legge 7 agosto 2012 n. 134, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 171 della Gazzetta n. 187 dell’11 agosto).

[11] Il legislatore del 2012 stabilendo che il professionista deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ha uniformato la dizione della norma in commento con quella dell’art. 161, L.F., eliminando eventuali dubbi sollevati in dottrina circa la necessità che il professionista dovesse o meno attestare (anche) la veridicità dei dati aziendali.

[12] Rimangono, quindi, fermi i requisiti soggettivi già previsti dalla normativa prima del D.L. “sviluppo”, cioè di un professionista ordinistico che possieda una “doppia iscrizione” (essendo necessario per lo scopo il possesso di un duplice appropriato bagaglio di conoscenze giuridiche ed aziendalistiche), ovvero di un revisore legale in possesso dei requisiti previsti per essere nominato curatore fallimentare ai sensi dell’art. 28, lettere a) e b) L.F. (avvocato, dottore commercialista, ragioniere iscritto all’Ordine dei dottori commercialisti, studi professionali associati o società tra i suddetti professionisti). La non inclusione del riferimento alla lettera c) dell’art. 28, esplicitamente esclude i non professionisti (ovvero coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, con comprovata capacità) aventi i requisiti per essere nominati curatori fallimentari, anche se in possesso dell’iscrizione nel registro dei revisori legali.

[13] La veridicità dei dati aziendali dovrebbe essere riscontrata anche “incrociando” i dati forniti dal debitore con le risultanze provenienti, ed esempio, da: centrale rischi della Banca d’Italia; certificazione delle esecuzioni mobiliari ed immobiliari presso il tribunale; Agenzia delle Entrate (tramite il “cassetto fiscale” con approfondimenti per eventuali atti o contratti registrati); estratti dai concessionari per la riscossione dei tributi; visure P.R.A., C.C.I.A.A. ed ipo-catastali; banca dati dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ecc.

[14] Soccorrono in tal senso le tecniche di statistica inferenziale, mediante cui si inducono le caratteristiche di una popolazione dall’osservazione di un campione rappresentativo, selezionato mediante un esperimento casuale.

[15]Principi di attestazione dei piani di risanamento”, redatto il 6 giugno 2014 dall’Accademia dei docenti di economia aziendale (AIDEA) unitamente all’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti (IRDCEC).

[16]Prima face, applicandole norme in materia di fusione (art. 2501-bis, comma 4, c.c.) inizialmente richiamate dall’art. 67, comma 3, lett. d), parte della dottrina era giunta alla conclusione che, ove la società avesse avuto forma giuridica di S.p.A. o di S.A.p.A., la nomina del professionista competeva al tribunale. Dopo il “correttivo” la dottrina aveva assunto (uniformemente) tutt’altra posizione, affermando che la nomina del professionista compete sempre ed esclusivamente all’imprenditore. Tale ultima posizione appariva uniformemente suffragata dalle prime posizioni della giurisprudenza (in argomento v. Jorio, I piani di risanamento: chi nomina l’esperto, in Giur. Comm., 2009, I, p. 174).

[17] Si ritiene che la pubblicazione del piano, della relazione attestiva e degli allegati dovrebbe essere integrale e non avvenire per estratto.

[18] Sull’altro “piatto della bilancia” occorre porre la riflessione che l’esternalizzazione del potrebbe consentire ai creditori di conoscere ed osteggiare con ogni mezzo eventuali operazioni “mirate” non gradite.

[19] Il coordinamento tra la legge fallimentare e l'articolo 101, comma 5, del TUIR non è invece avvenuto per i piani di risanamento attestati, ma solo per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, purché omologati (tramite il D.L. 83/2012 si ammette per i creditori la deducibilità ex lege delle perdite su crediti solo per gli accordi omologati); pertanto, in caso di piano di risanamento, la deducibilità delle perdite su crediti continua a non essere ammessa per il creditore in modo “automatico”.

[20] Secondo Tribunale Verona 22 febbraio 2016 - Est. Platania, in www.ilcaso.it , la valutazione della inattendibilità del piano attestato deve essere accertata in modo rigoroso, sulla base di elementi noti in data anteriore e non successiva alla sua esecuzione (quindi il piano non va valutato sotto l'influenza di conoscenze acquisibili solo ex post). La sanzione dell’inapplicabilità dell’esenzione dalla revocatoria può, infatti, essere irrogata solo a seguito dell'accertamento di una completa ed evidente inattendibilità del piano, dovuta a contraddizioni interne ovvero a presupposti che, per ciò che normalmente può accadere, non possono trovare oggettiva concretizzazione.

[21] Quale corollario discende che l’attestazione resa da un professionista non “abilitato” o “non indipendente”, è priva di attendibilità e potenzialmente invalida, dove tali vizi trascinano l’invalidità del piano che può essere fatta valere dal giudice, anche su sollecitazione di chiunque vi abbia interesse.

[22] Infatti, la veridicità dei dati, intesa come attendibilità degli stessi, doveva essere necessariamente oggetto di controllo, al fine di verificare che la base dei dati per le proiezioni del piano fosse corretta, pena l’inattendibilità del piano dalle sue fondamenta. Inoltre la verifica ex ante sui dati aziendali appariva implicita nella previsione in forza del(l’allora) richiamo contenutistico all’art. 2501-bis c.c., che a sua volta rinvia all’art. 2501-sexies, per il quale gli esperti nel caso di fusione hanno “diritto ad ottenere dalle società partecipanti alla fusione tutte le informazioni utili e di procedere ad ogni necessaria verifica”.

[23] In linea generale, più il piano resta “in un cassetto” maggiori potrebbero essere le possibilità di riuscita, visto che, al di là delle rassicurazioni del debitore e del professionista, potrebbe anche verificarsi un “effetto quarantena” nei confronti dell’imprenditore.

[24] Non manca chi, già nell’immediatezza della riforma, ha osservato che la circostanza che non sia possibile accertare la condivisione del piano ed effettuare un vaglio da parte dei creditori, potrebbe determinare “un alto rischio di possibili utilizzi strumentali o collusivi e di distrazione preferenziale a favore di alcuni creditori e a danno di altri”; MINUTOLI, In difesa dell’istituto revocatorio, in Diritto fallimentare, 2005, I, p. 816.

[25] Infatti, nella normativa fallimentare non esiste il “piano di risanamento”, in quanto viene esclusivamente disciplinata l’esenzione da revocatoria per operazioni esecutive di un progetto imprenditoriale di indefinita flessibilità.

[26] APICE-MANCINELLI, Manuale breve di diritto fallimentare, Milano 2006, p. 79.

[27] La predisposizione del piano, quindi, anziché aver origine dal debitore “viaggia in senso contrario”, perché nasce dal creditore (più forte) che solitamente interviene anche nominando persone di propria fiducia nel management dell’impresa debitrice, che conseguentemente operano sotto “l’ombrello protettivo” di un piano attestato.


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