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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/09/2019 Scarica PDF

L'insinuazione al passivo dei crediti sopravvenuti: no alla decadenza prevista dall'art. 101 l.f.

Francesca Maria Leo, Avvocato in Lecce


(nota a Cass. Civ. n. 18544/2019)

 

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il caso. - 3. La soluzione proposta dalla Suprema Corte. - 4. Osservazioni conclusive.

     


1. In materia di fallimento, il termine decadenziale previsto dall’art. 101 L.Fall., pari a dodici mesi (prorogabile eventualmente a diciotto mesi) dal deposito dello stato di esecutività dello stato passivo per la proposizione delle domande tardive, non trova applicazione nei confronti dei crediti sopravvenuti da intendersi, quest’ultimi, come quelle pretese creditorie le cui condizioni di partecipazione al passivo fallimentare vengono a esistenza successivamente la sentenza dichiarativa di fallimento[1].

 

2. Nella vicenda che occupa, la richiesta di ammissione al passivo avanzata dalla società ricorrente scaturiva dalla restituzione della caparra confirmatoria versata in forza di un contratto preliminare di trasferimento immobiliare successivamente sciolto dal curatore ex art. 72 L. Fall.

Il Tribunale di Padova, conformemente a quanto già rilevato dal giudice delegato, aveva respinto la domanda di insinuazione al passivo proposta rilevando, tra l’altro, che la stessa fosse oramai da considerarsi tardiva poiché presentata oltre i termini consentiti dall’art. 101 L. Fall.

Secondo il giudice di merito, infatti, la scelta effettuata dal legislatore di non procedere ad alcuna differenziazione tra crediti sorti antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e quelli maturati successivamente, avrebbe avuto quale inevitabile conseguenza quella di sottoporre tutte le posizioni creditorie, senza alcuna distinzione, alla disciplina generale, con l’applicazione dei medesimi termini stabiliti per l’insinuazione al passivo. Pertanto, la richiesta presentata dalla ricorrente, titolare di un credito sopravvenuto, sarebbe stata scandita da due termini: il dies a quo decorrente a partire dalla comunicazione del curatore dello scioglimento del contratto ed il dies ad quem da individuare alla luce dei criteri ordinari fissati dal legislatore fallimentare con l’art. 101 L. Fall. Alla luce della ricostruzione fornita dal giudice di merito, pertanto, il creditore sopravvenuto non avrebbe potuto contare su di un integrale remissione in termini, decorrente dalla data di sopravvenienza del credito, ma, al più, qualora fosse stato nell'impossibilità di rispettare la predetta scadenza, avrebbe potuto esclusivamente formulare domanda ultratardiva, dimostrando l’inimputabilità del ritardo.

Avverso tale provvedimento la società creditrice proponeva ricorso per Cassazione denunciando, tra l’altro, la violazione dell’art. 101 L. Fall. rilevando che, l’assenza di un’espressa differenziazione tra crediti sorti anteriormente al fallimento e crediti intervenuti in seguito alla sentenza dichiarativa “non giustifica la disparità di trattamento che si verrebbe inevitabilmente a creare tra questi ultimi e i creditori anteriori se si convalidasse la tesi espressa dal Tribunale”.

 

3. Dinanzi alle censure poste dalla società ricorrente, le argomentazioni giuridiche prescelte dalla Suprema Corte per la risoluzione del nodo problematico ad essa sottopostole si allineano a quello che risulta oramai l’orientamento consolidato in sede di legittimità. Nell’accogliere il ricorso proposto, i giudici della Prima Sezione della Corte di Cassazione muovono da un presupposto imprescindibile: la formazione di nuove posizioni creditorie costituisce ipotesi certamente non peregrina durante la procedura concorsuale, anche nelle fasi più avanzate della stessa, cosicché l’applicazione ai crediti sopravvenuti del termine decadenziale previsto dall’art. 101 L. Fall., il quale potrebbe essere se non al limite, già scaduto alla data della loro formazione, avrebbe quale unica conseguenza quella di privare i medesimi di uno spazio temporale destinato alla presentazione delle rispettive domande, finendo, pertanto, per sottrarre ai titolari delle pretese la possibilità di concorrere nel fallimento. Orbene, secondo i giudici di legittimità è proprio quel margine temporale, così ristretto o persino azzerato, al quale sarebbero soggetti i crediti maturati in seguito alla dichiarazione di fallimento a determinare una chiara violazione dei principi di uguaglianza e del diritto di azione in giudizio sanciti, rispettivamente, dall’art. 3 e 24 della Carta Costituzionale con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale della norma fallimentare. Precisando meglio i punti di frizione col dettato costituzionale, i giudici della Suprema Corte enfatizzano la chiara distonia che l’applicazione del termine di decadenza annuale previsto dall’art. 101 L. Fall., anche a quei crediti sorti successivamente al dies a quo previsto dalla stessa disposizione fallimentare - id est il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo - avrebbe sul diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Alla lesione del diritto patrocinato dall’art. 24 Cost., si accompagna un’evidente disparità tra crediti: difatti, la pretesa creditoria anteriore, ovverosia quella le cui condizioni di partecipazione al concorso risultano essere già maturate al tempo della sentenza dichiarativa di fallimento, potrà godere non solo del vantaggio riconosciutole nella fase della “tardività”, stante l’effettiva fruizione dell’intero spazio temporale concessole dall’art. 101 L.Fall., ma, per di più,  anche di un ulteriore periodo quello, cioè, destinato alla gestione dell’insinuazione al passivo nella fase anteriore –  che potremmo definire fisiologica- disciplinata agli artt. 93 e ss. della L. Fall.

 

4. Le motivazioni addotte dai giudici di legittimità nella pronuncia in commento impongono, necessariamente, la disamina della disciplina prevista dal legislatore fallimentare in tema di domande tardive, la cui ratio permette, infatti, di plaudere alla soluzione proposta dai giudici di legittimità.

Brevemente, quando si parla di domande tardive ci si riferisce a quelle richieste di insinuazione al passivo trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima della data dell’udienza di verifica ai sensi dell’art. 93 L. Fall.; nell’ipotesi in cui i creditori presentino le proprie istanze oltre il terminepocanzi indicato, il legislatore fallimentare ha previsto un regime in parte diversificato. Una premessa, tuttavia, appare d’obbligo: la distinzione tra le due tipologie di domande non concerne il procedimento di accertamento del passivo e, in effetti, sotto tale profilo le richieste non differiscono in alcunché; entrambe costituiscono, infatti, fasi analoghe di un medesimo ed unitario procedimento di accertamento giurisdizionale tant’è che, conformemente, la disposizione cardine dedicata alla disciplina delle domande qualificate come tardive, l’art. 101 L. Fall., fa espresso rinvio agli artt. 93 e ss. L. Fall. Per tali ragioni, appare chiaro che la classificazione delle istanze in termini di domande tempestive o tardive si attesti unicamente sul piano cronologico (la presentazione delle istanze prima o dopo il decorso del termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica)[2].

All’interno del più ampio genus delle domande tardive il legislatore ha poi effettuato un’ulteriore differenziazione distinguendo tra quelle domande che, seppur intempestive, siano state depositate in cancelleria entro il termine di dodici mesi (eventualmente prorogabile a diciotto mesi) decorrente dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e quelle presentate oltre il suddetto limite annuale, qualificate come “ultratardive”, per le quali è richiesta la prova della non imputabilità del ritardo, pena la loro inammissibilità[3]: spirato tale ultimo termine, pertanto, il creditore verrà definitivamente escluso dal concorso.

Seppur non divergenti sul profilo procedimentale, l’opzione temporale non è, tuttavia, priva di effetti per i creditori, i quali, qualora ammessi, non potranno partecipare comunque alle ripartizioni parziali dell’attivo liquidato già effettuate. E in effetti, alla domanda di ammissione il legislatore non attribuisce alcun effetto prenotativo sulle somme già distribuite, cosicché il titolare della pretesa creditoria intempestiva assumerà la veste di creditore concorrente esclusivamente a far data dalla esecutività dello stato passivo supplememtare, e soltanto da tale momento, potrà partecipare alle ripartizioni parziali che verranno eseguite[4].

Lo specifico termine decadenziale previsto, correlato alle limitazioni nella partecipazione ai riparti dei creditori tardivi, evidenzia come il legislatore abbia optato per un regime particolarmente rigoroso e chiaramente sfavorevole per i creditori non tempestivi, in ragione della necessità di pervenire a un accertamento del passivo maggiormente celere, non soggetto a pretestuose e strumentali azioni da parte dei titolari di alcune pretese creditorie. Ebbene, la necessità che il regime previsto sortisca un effetto incalzante nei confronti dei creditori induce a sostenere che il legislatore, mediante l’art. 101 L. Fall., abbia fatto riferimento a un procedimento fallimentare che si potrebbe definire “standard”, all’interno del quale la cristallizzazione della massa passiva si è già realizzata con la sentenza dichiarativa del fallimento, e non abbia, invece, intenso riferirsi a quei casi in cui l’insinuazione al passivo sia stata richiesta da creditori titolari di una pretesa sorta successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Del resto, occorre sottolineare come la previsione di un termine annuale, qual è quello indicato dall’art. 101 L. Fall., appare diretto non solo, come anticipato, a garantire la rapidità della procedura ma, inevitabilmente, anche a tutelare il creditore attraverso l’attribuzione al medesimo di un lasso di tempo apprezzabile per la proposizione della domanda[5]: se così è, allora, quest’ultima esigenza, non può essere sacrificata in favore del solo ed esclusivo interesse alla tempestività della procedura.

La necessità di un corretto bilanciamento tra interessi contrapposti segna, dunque, la soluzione finale prescelta che, discostandosi dall’applicazione dell’art. 101 L. Fall., si attesta su un’interpretazione logico sistematica della disciplina fallimentare conforme al dettato costituzionale.

In conclusione, la pronuncia in commento, fedele a un quadro giurisprudenziale oramai consolidato, è volta a riconoscere ai creditori sopravvenuti un adeguato margine temporale utile alla partecipazione al concorso, per tali ragioni, gli stessi godranno di un termine annuale per la presentazione delle relative domande, con una precisazione: il principio della par condicio creditorum impone che suddetto termine decorra, in tutti i casi in cui il credito abbia maturato le condizioni di partecipazione al passivo dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, dal momento stesso in cui si siano verificate le dette condizioni.



[1] In senso conforme Cassazione civile sez. I, 31/07/2015, n.16218 in Giustizia Civile Massimario 2015; Cassazione civile sez. I, 31/07/2018, n. 20310; Cassazione civile sez. I, 18/01/2019, n.1391 in Giustizia Civile Massimario 2019.

[2] Sui profili generali in tema di domande tardive cfr. A. NIGRO, D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Le procedure concorsuali, IV ed., Il Mulino, 2017 p. 220; M. SANDULLI, G. D’ATTORE, Manuale delle procedure concorsuali, G. Giappichelli, Torino, 2016, pp. 127-128; A. JORIO, Fallimento e concordato preventivo, Tomo II, Utet giuridica, Torino, 2016, pp. 2082 ss.; M. ALBERTI, Commentario breve alla Legge Fallimentare, V ed., Cedam, Padova, 2009, sub art. 101 L. Fall. In giurisprudenza, Cassazione civile sez. I, 26/03/2012, n.4792 in Giust. civ. Mass. 2012, 3, 401, secondo cui «la nuova disciplina delle domande tardive, introdotta dal d.lg. n. 5 del 2006 - applicabile nella specie "ratione termporis" - comunque, in nulla differisce, quanto a forme e procedure da quella stabilita per le domande tempestiva».

[3] Sulla distinzione tra creditori tardivi e creditori supertardivi cfr. M. FERRO, La legge fallimentare, Cedam, Padova, 2014, pp. 1312 ss.; M. FABIANI, G.B. NARDECCHIA, Legge fallimentare, Ipsoa, 2014 pp.1046 ss. Con riferimento alla definizione del concetto di causa non imputabile del ritardo nella presentazione delle domande esso ha riguardo ad eventi causali esterni, ovverosia cause non riferibile a colpa del creditore e, dunque, non riconducibile ad incuria, negligenza, trascuratezza e malafede, ovvero ricollegabile ad un fatto involontario, dovuto a forza maggiore, a caso fortuito o ad errore incolpevole di fatto: in tal senso Corte App. Torino 11.06.1985 ne Il Fallimento 1986, p. 306, Trib. Macerata 11.11.2008, ne Il Fallimento 2009, pag. 453. Tale valutazione richiede un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, così cfr. Cassazione civile sez. I, 08/03/2018, n.5560 in Guida al diritto 2018, 22, 50.

[4] Cfr. G. LO CASCIO, Codice commentato al fallimento, sub. art. 101 L. Fall., IV ed., Ipsoa, 2017, pp. 1378-1379. La regola soffre, tuttavia, di due eccezioni e non trova applicazione per i creditori muniti di titolo di prelazione e per i chirografari la cui tardività nell’insinuazione dipende da causa ad essi non imputabile.

[5] In tali termini Trib. Vicenza, 24/09/2012 in Redazione Giuffrè 2013.


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