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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/04/2021 Scarica PDF

Il deposito telematico in Cassazione e l'art. 369 n. 4) c.p.c.

Mirco Minardi, Avvocato in Ancona


1.- L’art. 369, secondo co., n. 4) c.p.c. onera il ricorrente di depositare gli atti, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda. Da sempre gli avvocati hanno assolto questo onere producendo sic et simpliciter i fascicoli di primo e secondo grado. In realtà, la norma citata non impone il deposito degli interi fascicoli, bensì dei soli atti e documenti funzionali all’esame dei motivi, tanto ciò è vero che nelle rare occasioni in cui la produzione dei fascicoli non è avvenuta la S.C. ha affermato che ciò non determinava ex se l’inammissibilità del ricorso, purché fossero stati presenti gli atti e i documenti necessari (Cass. 402/1979; Cass. 112/1985; Cass. 1640/1990; Cass. 11169/1997).

D’altra parte, la prassi degli avvocati di depositare l’intero malloppo era giustificata dal fatto che aveva ben poco senso intervenire materialmente sul fascicolo, stralciando ciò che non era necessario. Senza considerare la necessità di ricomporlo in caso di cassazione con rinvio. E poi: come si sarebbe potuto dimostrare la produzione di un documento depositato ex art. 87 disp. att. c.p.c. senza la produzione della copertina o dell’elenco sottoscritto dal cancelliere? Dunque, era ed è certamente più semplice depositare i fascicoli tali e quali.

 

2.- In tempi recenti, però, si è avvertita la necessità di formare un “fascicoletto”, che infatti nella prassi ha preso proprio questo nome, contenente solo gli atti e i documenti richiamati dall’art. 369 n. 4) c.p.c. Così, il protocollo siglato il 17/12/2015 tra il Primo Presidente della Corte di cassazione e il Presidente del CNF, nel trattare il principio di autosufficienza, al punto n. 4, stabilisce che esso è soddisfatto quando «siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso».

Sicché, fino ad oggi - ma anche in futuro in caso di depositi cartacei - al consigliere relatore veniva consegnato dal cancelliere, oltre al fascicolo contenente le cosiddette “carte regolamentari”, in cui si trova il ricorso, il controricorso e la decisione impugnata, anche il fascicoletto predisposto dal ricorrente e dal controricorrente.

 

3.- Prima di affrontare il tema oggetto del presente articolo, appare opportuno dare uno sguardo alle modalità di deposito secondo la vecchia maniera.

Nel mondo cartaceo la produzione di un documento poteva (e può) avvenire in quattro modi diversi: a) al momento della costituzione; b) unitamente ad una memoria autorizzata; c) mediante deposito in cancelleria con comunicazione alle altre parti ex art. 87 disp. att. c.p.c; d) mediante produzione in udienza.

In tutti i casi, la produzione era “provata” dal cancelliere, il quale ai sensi dell’art. 74, ul. co. delle disp. att. c.p.c., era (ed è) tenuto a sottoscrivere l’elenco nei casi a), b) e c), mentre nel caso d) era il giudice che faceva menzione nel verbale del deposito. Gli atti, invece, si depositavano in cancelleria e anche su questi il cancelliere apponeva il suo timbro con la data del deposito.

Le norme sono ancora in vigore ovviamente, ma si applicano solo in assenza di depositi telematici.

 

4.- In ambiente digitale è sparita la sottoscrizione del cancelliere in relazione ai depositi di cui alle lettere sub a), b) e c), come pure con riferimento agli atti. Difatti, l’avvenuta accettazione del deposito telematico e il conseguente inserimento dell’atto o del documento nel fascicolo informatico sostituisce di fatto la firma analogica del cancelliere e l’apposizione del timbro con la data di deposito.


5.- Fatte queste premesse, vediamo allora come tutto ciò impatta in caso di deposito telematico del ricorso o del controricorso incidentale.

Va subito detto che appare davvero poco utile riversare tutto il contenuto dei fascicoli di primo e secondo grado nel fascicolo informatico tenuto presso la Suprema Corte, non solo perché non necessario ex art. 369 n. 4) c.p.c., ma anche perché è venuta meno la necessità pratica a cui poc’anzi facevo cenno, in particolar modo, poi, in caso di controricorso puro, senza cioè impugnazione incidentale. Qui il ricorrente potrà limitarsi a depositare l’atto e la procura e quegli atti e documenti necessari per replicare ai motivi di ricorso.

Detto ciò, distinguiamo a seconda del tipo di atto o documento:

a) Il deposito degli atti nativi digitali. Il deposito degli atti nativi digitali, già depositati telematicamente nei precedenti gradi, potrà farsi tanto nella forma del duplicato informatico quanto nella forma della copia informatica, ma in questo secondo caso occorrerà attestare la conformità ex art. 16-bis, comma 9-bis del d.l. 179/2012. Le modalità di attestazione sono previste dal successivo art. 16-undecies, in base al quale l’attestazione di conformità andrà inserita o sull’atto stesso o su un atto separato, ma in questo caso «esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia».

Va qui evidenziato che nel mondo analogico l’atto reca il timbro del cancelliere con la data del deposito, mentre in quello digitale no. Tuttavia, qualora fosse necessario dimostrare la data (perché, ad esempio, il motivo censura una statuizione di tardività) bisognerà depositare in forma elettronica le ricevute di accettazione e consegna del deposito avvenuto ex art. 16-bis d.l. 179/2012. In tutti gli altri casi, invece, a mio avviso non sarà necessario dimostrare la tempestività se nel provvedimento impugnato non si fa questione della tardività di un deposito.

b) il deposito degli atti originariamente analogici. In caso di deposito di atti analogici di parte o del giudice formati per immagine (ovvero scansionati dall’originale o dalla copia autentica), andrà inserita l’attestazione di conformità come indicato nel punto precedente ai sensi dell’art. 16-decies del d.l. 179/2012, il quale stabilisce che “1. Il difensore … quando deposita(no) con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia al predetto atto”. Il secondo comma aggiunge che la copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento. Le modalità di attestazione sono le stesse già viste sub lettera a).

c) il deposito di documenti originariamente analogici. Nessuna norma, a quanto mi consta, autorizza il difensore ad attestare la conformità dei documenti presenti nel fascicolo informatico o in quello cartaceo. D’altra parte, però, nemmeno quelli inseriti nel fascicolo cartaceo presentano una sigla del cancelliere tale da identificarli come quelli effettivamente depositati in cancelleria. In questo caso è però importante depositare l’atto attraverso il quale sono stati prodotti (ad es. l’atto di citazione, la comparsa di costituzione e risposta, la 2° memoria ex art. 183 c.p.c., il verbale di causa, ecc.); di quello dovremo sì attestare la conformità secondo le modalità già dette.

d) il deposito di documenti già depositati digitalmente. Anche in questo caso va depositato l’atto con cui furono prodotti, munito di attestazione di conformità come già visto alla lettera a), unitamente alla copia informatica del documento.

e) il deposito dei file eml. Si tratta della soluzione più semplice, essendo sufficiente depositare i file senza necessità di attestazione di conformità.

 

6.- Senza precise linee guida dettate dalla Corte, che certamente sarebbe stato opportuno emanare, non è facile in questo momento poter prevedere quelli che saranno i futuri orientamenti ed il dramma è che li scopriremo non prima di uno o due anni. Di certo si spera in un atteggiamento indulgente e conservatore che rifugga dai formalismi ai quali, purtroppo, nel corso degli anni si è talvolta assistito. Il processo non dovrebbe essere un percorso ad ostacoli e la decisione in rito dovrebbe essere sempre l’extrema ratio. D’altra parte, più volte la stessa Corte Suprema[1] ha espressamente criticato i vuoti formalismi, rammentando che in forza del principio dell’ “assetto teleologico delle forme”, che si ricava dall’art. 156 c.p.c., comma 3, la nullità non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato ed è espressione di un principio generale da cui discende che «anche quando si debba giudicare dell'ammissibilità d'una impugnazione, il giudicante deve badare alla sostanza ed al contenuto effettivo dell'atto».

Ha poi aggiunto che in base al principio della “interpretazione conservativa” «le norme processuali, se ambigue, vanno interpretate in modo da favorire una decisione nel merito, non essendo strumenti deflattivi. Le regole processuali, infatti, costituiscono solo lo strumento per garantire la giustizia della decisione, non il fine stesso del processo». Quest’ultimo principio, oltretutto, si allinea alla giurisprudenza della CEDU che ha ripetutamente affermato che il principio di “effettività della tutela giurisdizionale” va inteso nel senso che la domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile, essere esaminata sempre e preferibilmente nel merito e nell’interpretare la norma il giudice italiano non può più ignorare le regole sovranazionali imposte dal diritto comunitario. L'art. 6, comma 3 del Trattato sull'Unione Europea[2] (c.d. "Trattato di Lisbona") stabilisce che «i diritti fondamentali, garantiti dalla Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (...) fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». Per effetto di tale norma, dunque, i principi della CEDU, tra cui quello dell’effettività della tutela giurisdizionale, sono stati “comunitarizzati” e sono divenuti “principi fondanti dell'Unione Europea” che devono essere osservati da tutti i giudici nazionali.

In questo contesto normativo e giurisprudenziale, anche sovranazionale, vanno allora decisamente scartate tutte quelle scelte formalistiche fine a se stesse che impediscano agli individui di ottenere una pronuncia sul merito della lite.



[1] Da ultimo Cass. 2760/2020.

[2] Ratificato e reso esecutivo con L. 2 agosto 2008, n. 130.


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