Civile


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 08/05/2021 Scarica PDF

Spunti di dottrina sull'art. 1153 CC.: una norma, molteplici sfaccettature a tutela della buona fede

Micaela Lopinto, Avvocato in Brescia


Sommario: 1.- Una possibile doppia veste degli effetti del possesso ex art. 1153 cc. tra apparentia iuris e manifestazione del possesso; 2.- L'art. 1153 cc. come ipotesi di apparentia iuris; 3.- La qualificazione come manifestazione del possesso; 4.- Conclusioni.


Abstract.

The following paper wants to describe, in short, two possible way to read the article 1153 civil code. By this article, the Italian State gives to purchesers chance to become owners of chattels when the seller hasn't got the property of chattels. As a matter of fact, if the purcheser is able to prove to judges he had the chattel possession exactly on the delivery and he was in good faith, he can obtain the chattel property. Despite the real owner position, the purcheser can become the unique owner of the chattel. According to part of the doctrine, the described situation could be considered as an other case of "apparentia iuris" owing to the fact that the seller (to all appearances) seems to be the real chattel owner. However, these few words could contain a different shade. According to this different opinion, the article 1153 civil code could be read as an other way to protect the possession which can be offered by the Italian State to purchesers due to the fact they can demonstrate a good faith possession.



1.- Una possibile doppia veste degli effetti del possesso ex art. 1153 cc. tra apparentia iuris e manifestazione del possesso.

"Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell'acquirente. Nello stesso modo si acquistano i diritti di usufrutto, di uso e di pegno". L'art.1153 cc., poc'anzi riportato, rubricato effetti dell'acquisto del possesso, viene generalmente considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come uno dei modi di acquisto a titolo originario della proprietà.

La ratio di tale qualificazione può essere spiegata a mezzo dell'antico brocardo nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet, il quale chiarisce che nessuno può trasferire, mediante il semplice consenso ex art. 1376 cc., espressione del principio del consenso traslativo o principio consensualistico che dir si voglia, la proprietà o altro diritto reale senza esserne preventivamente titolare (fatte salve le ipotesi di rappresentanza e salvi i relativi rapporti gestori che, tuttavia, esulano dalla sfera applicativa della norma in esame, dal momento che la stessa presuppone non solo una carenza di titolarità del non dominus ma anche una carenza di legittimazione[1]). Ciò in quanto nessuno può, di fatto, trasferire più di quello che possiede e, pertanto, se il bene non è posseduto dall'alienante in qualità di proprietario[2] non potrà civilisticamente prodursi nessun effetto traslativo nella sfera giuridica dell'acquirente[3].Tali conclusioni trovano conferma ed ulteriore fondamento nello stesso comma secondo del sopra citato articolo, il quale chiarisce che la proprietà del bene, da parte dell'acquirente, si acquista libera da pesi e, dunque, priva dei vincoli ed oneri che normalmente discendono dall'acquisto a titolo derivativo[4].

Pertanto e conseguentemente, appare logico annoverare l'acquisto dell'acquirente dall'alienante non dominus (poiché non titolare del diritto reale) nel genus dell'acquisto dei cd. "nuovi diritti[5]; diritti che sorgono ex novo in capo ad un determinato soggetto in ragione dell'esistenza di specifici requisiti di legge (in questo caso, il possesso di buona fede del terzo al momento della consegna e l'esistenza di un titolo astrattamente idoneo). La veste solo apparentemente derivativa cede il passo ad una sostanza di acquisto a titolo originario, la quale consente, da un lato, di dirimere in modo efficace il conflitto tra alienante non dominus possessore e dominus reale[6] non possessore a vantaggio del terzo che - mediante il meccanismo dello spossessamento del non dominus - acquista la proprietà per cristallizzazione degli effetti del possesso di buona fede, possesso che lo stesso terzo dovrà acquisire al momento della consegna in danno del reale proprietario (il quale, al più, agirà nei confronti del non dominus alienante).

Dall'altro consente, mediante il suo meccanismo, di garantire una più rapida circolazione dei crediti cartolarizzati e di agevolare la probatio diabolica nell'azione di rivendica ex art. 948 cc.[7]. Nonostante tali indicazioni lascino da sole intendere una portata notevole della norma, una parte della dottrina arricchisce il suo significato, annoverandola nell'elenco delle ipotesi di apparentia iuris[8]. Al fine di comprendere il senso della predetta affermazione, che rappresenta il punto di partenza per l'individuazione di due possibili versioni della norma in esame, qui oggetto di attenzione, può essere utile evidenziare come il nostro ordinamento giuridico identifichi l'istituto della apparentia iuris come strumento di tutela del legittimo affidamento dei terzi e, dunque, come strumento di garanzia della circolazione dei diritti. Più precisamente, dottrina e giurisprudenza sono solite riconoscere l'esistenza di due tipi di apparenza: l'apparenza pura, ancorata al dato normativo e l'apparenza colposa, di creazione pretoria.

Brevemente e nei limiti di quel che più interessa - e, soprattutto, mettendo da parte le pure peculiari ipotesi di società apparente e le ipotesi, tutte amministrativistiche, di utilizzo del predetto istituto al fine di preservare gli effetti favorevoli per il terzo che discendano dai provvedimenti amministrativi emanati dal funzionario di fatto[9] - la prima forma di apparentia iuris trova espresso riconoscimento in alcune disposizioni codicistiche, ovvero, esemplificativamente, negli artt. 1189 cc.[10], 1415 cc. e 534 cc.[11]. L'art. 1189 cc., rubricato pagamento al creditore apparente, dispone che il debitore, che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. La norma, dunque, tutela il legittimo affidamento (incolpevole) che il debitore fa nella qualifica del creditore a mezzo dell'istituto in esame. Ai fini dell'operatività della predetta tutela, l'ordinamento giuridico richiede che sussista una buona fede del terzo/debitore[12] nonché richiede il requisito della univocità delle circostanze.

Tale ultimo requisito - esplicitato solo nel caso del creditore apparente, ma, implicitamente, estendibile anche alle altre due ipotesi che si esamineranno a breve - può essere identificato nell'esistenza di una complessa serie di circostanze che lasciano presupporre l'apparenza di legittimazione del creditore e nella insussistenza di comportamenti specificamente colposi del titolare effettivo del diritto, posti in essere, in questo caso, in danno del terzo/debitore, al fine di indurlo esplicitamente in errore. Alla presenza dei predetti requisiti oggettivi, il debitore sarà liberato, con conseguente estinzione dell'obbligazione. Il creditore, invece, sarà tenuto alla restituzione verso il vero creditore del pagamento ricevuto. L'istituto, pertanto, ingenera un effetto benefico nella sfera giuridica del terzo; un effetto negativo, per contro, nella sfera giuridica di chi, a conti fatti, ha ingenerato lo stato di apparenza. Più articolata è la portata dell'art. 534 cc.

La norma è posta a tutela dell'acquirente dal creditore apparente e chiarisce, al comma primo, che l'erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo. Al comma secondo, fa salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede apparente[13], dai terzi i quali provino di aver contrattato in buona fede. Anche in questo caso, per la tutela dell'avente causa dall'erede apparente, si rende necessaria la buona fede. Tuttavia, diversamente rispetto alla norma precedentemente esaminata, si verifica non una estinzione dell'obbligazione, bensì un acquisto di un diritto reale da parte dell'avente causa, a condizione che sussista sempre anche quella situazione di apparenza "non indotta dal titolare del diritto", esplicitata nella precedente norma a mezzo del requisito della "univocità" delle circostanze, che in questa sede è omessa.

Ancora, l'apparentia codicistica trova estrinsecazione nel sopra citato art. 1415 cc., norma operante in materia di simulazione. Con essa, si dispone che la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi in buona fede. Ancora una volta, dunque, a prevalere è l'acquisto del terzo di buona fede che, facendo legittimo affidamento sulla posizione dell'alienante simulato - anch'essa non meglio definita dal dato codicistico - vede fatto salvo il proprio diritto. Diversa, ancora, è l'ipotesi di apparentia colposa. La stessa non risiede nelle norme del codice, come precedentemente indicato, bensì trova conferma nella volontà giurisprudenziale, rivolta a far prevalere il legittimo affidamento del terzo nella specifica ipotesi in cui lo stesso sia stato vittima non di una situazione di univoca apparenza, poc'anzi tre volte esaminata, bensì di un colposo e voluto atteggiamento della controparte o, più precisamente, del rappresentato. L'apparentia colposa, infatti, trova terreno fertile nell'istituto della rappresentanza. Come si è avuto modo di accennare, l'effetto traslativo può essere ricollegato anche ad un mandato unito ad una procura e, dunque, può sussistere una scissione tra parte sostanziale e parte formale del contratto, tanto da poter parlare di rappresentato che aliena a mezzo del rappresentante. In siffatti contesti, in assenza di valido rapporto gestorio o procura, il contratto concluso tra rappresentante e terzo è, secondo l'orientamento prevalente, non nullo e neppure giuridicamente irrilevante, bensì inefficace[14].

Ciò in quanto il rappresentante non può essere vincolato da un contratto di cui non è parte ed il rappresentato non può divenire parte sostanziale senza apposito rapporto gestorio. Tale principio, tuttavia, non vale nell'ipotesi in cui sia stato proprio il rappresentato ad aver ingenerato colposamente (e, dunque, non sulla sola base di complesse circostanze univoche, come richiedono, in alcuni casi esplicitamente, in altri implicitamente, le norme codificanti ipotesi di apparentia pura) la convinzione dell'esistenza di un valido rapporto di rappresentanza. In tali contesti, per volere giurisprudenziale, il legittimo affidamento del terzo sarà oggetto di tutela da parte dell'ordinamento a mezzo della salvezza di effetti contrattuali, in danno del rappresentato che sarà costretto a divenire parte sostanziale del contratto. La distinzione sin qui operata consente di comprendere per quale ragione una parte della dottrina annoveri l'art. 1153 cc., inizialmente descritto, come una ulteriore ipotesi di apparentia pura[15].

Secondo questa visione, la norma celerebbe in sé una ipotesi di tutela dell'affidamento codicistico dal momento che: a. l'alienante non dominus si atteggerebbe alla stregua di un titolare apparente, ovvero di un soggetto apparentemente titolare del diritto reale oggetto di ipotetico - ma civilisticamente non possibile, per le ragioni prima esposte - trasferimento; b. l'avente causa - a condizione che sussista un titolo astrattamente idoneo (ovvero di un contratto viziato solamente dalla insussistenza di legittimazione/titolarità ad alienare del non dominus) - farebbe salvo il proprio acquisto in ragione del proprio stato di buona fede, presente in tutte le ipotesi di apparentia. Diversa, per contro, è la posizione di altra parte della dottrina[16]. Aderendo a tale visione, si sarebbe di fronte ad una ipotesi di manifestazione degli effetti del possesso. Tale orientamento consente di ritenere che, pur volendo ipotizzare l'esistenza di una "titolarità apparente", in assenza di possesso (sempre di buona fede) dell'avente causa dal non dominus non si verrebbe a creare nessuna posizione giuridicamente tutelabile, a differenza delle ipotesi di apparentia pura precedentemente illustrate, le quali, nel caso del creditore apparente, non prevedono nessun acquisto e, ancora, nel caso del simulato alienante o erede apparente, non richiedono nessun atto di spossessamento (sia il simulato alienante sia l'erede apparente, di fatto, il possesso possono anche non averlo[17].



2.-L'art. 1153 cc. come ipotesi di apparentia iuris.

Delineate così succintamente le due posizioni, può essere utile provare ad esaminare alcuni risvolti positivi dell'una e dell'altra sfumatura. Volendo cominciare ad esaminare la teoria dell'apparentia iuris, occorre considerare come l'incardinamento dell'art. 1153 cc. tra le ipotesi di apparenza del diritto appare coerente con la considerazione secondo la quale tanto il simulato alienante quanto l'erede ed il creditore apparenti ingenerano una situazione diversa da quella reale senza alcuno specifico comportamento. Non sussiste, infatti, in relazione all'art. 1153 cc. nessuna estrinsecazione o chiarificazione in ordine alla posizione del non dominus: egli può essere di buona o di mala fede, la norma non lo indica[18]. Si limita, analogamente a quanto avviene nelle altre fattispecie di apparentia pura, ad evidenziare l'assenza della titolarità effettiva del diritto reale e, dunque, l'assenza di legittimazione. Tale assunto ben si concilia con il prima ricordato requisito della sussistenza del titolo astrattamente idoneo al trasferimento, richiesto dalla norma ai fini dell'acquisto da parte dell'avente causa dal non dominus, in assenza del quale la fattispecie acquisitiva non si perfeziona.



3.- La qualificazione come manifestazione del possesso.

Il momento perfezionativo della fattispecie di acquisto a titolo originario, tuttavia, e volendo proseguire il precedente ragionamento, si sposta in avanti e richiede la prova del possesso di buona fede ovvero l'atto di spossessamento. In assenza di tale atto gli effetti del possesso non si cristallizzano, a differenza delle fattispecie di cui agli artt. 1189 cc., 534 cc. e 1415 cc., le quali, come detto, non solo non richiedono lo spossessamento ma, nel caso del creditore apparente, neppure presuppongono necessariamente un acquisto. Tali considerazioni inducono a porre l'accento più che altro sulla situazione possessoria ingenerata dalla norma. Tale tesi avrebbe, inoltre, il pregio di raccordare l'art. 1153 cc. all'art. 1159 cc. che, com'è noto, prevede una ipotesi di acquisto della proprietà mediante usucapione abbreviata a condizione che l'acquirente (di buona fede) dal non dominus possa vantare un possesso decennale sul bene unitamente alla trascrizione dell'atto di acquisto, che, in questo frangente, si atteggia ad elemento costitutivo della fattispecie. Inoltre, lo stesso nomen iuris con il quale si identifica la fattispecie acquisitiva - "possesso vale titolo" - induce ad apprezzare tale ragionamento.



4.- Conclusioni.

La propensione per l'una o per l'altra visione di dettaglio, per quanto sempre interessante a livello teorico, perde rilievo se posta su un piano strettamente pratico. Da un lato, l'esaltazione della tutela dell'affidamento del terzo di buona fede, il quale, sulla base di circostanze univoche, non sempre estrinsecate ma pur sempre presenti, vede tutelato il proprio diritto alla liberazione dall'obbligazione o diritto di proprietà che sia. Dall'altro, la tutela di una situazione possessoria al momento della consegna che prescinde dalla qualificazione della posizione del non dominus, il quale, che sia di buona o di mala fede, non importa, deve semplicemente privarsi di un possesso che è tale e dunque svincolato dal titolo di proprietà che appartiene al dominus reale, il quale, di fronte al terzo possessore (o al terzo che, tra tanti, acquisisce per primo il possesso ex art. 1155 cc.[19]), risulta soccombente. L'effetto è ugualmente ed in entrambi i casi quello di garantire tutela dei traffici giuridici e certezza nella circolazione della ricchezza, producendo una cristallizzazione di una sola realtà giuridica; dunque, certezza del diritto[20].



[1] La norma, infatti, secondo l'orientamento dottrinale di gran lunga maggioritario, si riferisce alla figura del ladro/venditore, al soggetto che, pochi minuti prima di procedere alla alienazione, aveva già alienato il medesimo bene ad un terzo, a chi aveva a sua volta acquistato il bene in precedenza in base ad un titolo nullo. Così, tra tanti, A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffré, 2007, p. 324 e ss.

[2] O di rappresentante, dotato a tal fine di valida procura e stipulante un contratto che lo leghi al rappresentato e lo obblighi ad adempiere.

[3] Così anche MENGONI, Gli acquisti a non domino, Milano, 1994, p. 74 e ss.

[4] "Salvo che l'acquirente non fosse a conoscenza della esistenza [dei predetti pesi], o non dovesse esserne a conoscenza, risultando essi dal titolo o da altra fonte conoscibile con quel minimo di diligenza che è implicito nel concetto di buona fede". Così, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Cedam, 2015, p. 505.

[5] O.T. SCOZZAFAVA, Studi sulla proprietà, Giappichelli, 2014, p. 227 e ss.

[6] In verità, la norma viene più comunemente annoverata come strumento di risoluzione del conflitto tra proprietario reale non possessore e terzo che diviene possessore del bene al momento della consegna, con vantaggio per quest'ultimo, dal momento che ne acquista il relativo diritto/titolo di proprietà.

[7] Così, A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Giuffré, 2007, p. 326.

[8] Principio che parte della dottrina considera un principio generale acquisito nel nostro ordinamento (ex multis, CHINÉ, ZOPPINI, FRATINI, Manuale di diritto privato, Nel diritto editore, 2016/2017, p. 1403 e ss., mentre altra parte della dottrina (F. GALGANO, Sul principio generale dell'apparenza del diritto, in Contratto ed impresa, 2009, p. 1137 e ss.) considera "un principio generale [che] ha la illusoria consistenza di un fantasma".

[9] Si escludano dall'indagine, inoltre, le ipotesi di "presunta" situazione di apparenza nel condominio, oggetto ancora oggi di numerose sentenze. Si veda, a titolo esemplificativo, Tribunale civile Treviso, Sez. III, 19 febbraio 2019, n. 387.

[10] Al riguardo, si legga Corte di cassazione civile, sez. V., 30 Ottobre 2019, n. 27795.

[11] CHINÉ, FRATINI, ZOPPINI, Manuale di diritto civile, VIII Ed., Nel diritto editore, p. 2097 cc. nota n. 386, riferita all'opera di TASSONE, Principio dell'apparenza del diritto, concorso di colpa e responsabilità civile, in www.ipsoa.it. Con tale nota si è precisato che se, da un lato, è pacifica la riconducibilità degli artt. 534 e 1189 cc. al fenomeno dell'apparentia iuris, lo stesso non può dirsi per le altre fattispecie codicistiche.

[12] Da intendersi come assenza di una colpa priva di giustificazione del debitore stesso.

[13] Viene considerato erede apparente, giova ricordarlo "chiunque, in buona o in mala fede, anche senza essere nel possesso dei beni ereditari, con il suo comportamento abbia ingenerato la legittima convinzione di essere successore a titolo universale". La distinzione tra buona e mala fede rileva in punto di effetti negativi che l'erede apparente p chiamato a sopportare. In caso di alienazione di beni ereditari, se l'erede apparente di buona fede, è tenuto alla restituzione all'erede reale del prezzo e del corrispettivo ricevuto. Se di mala fede, per contro, è chiamato addirittura al recupero del bene alienato per restituirlo in natura o a pagarne il relativo valore. Così, M. FRATINI, Il sistema di diritto civile, Vol. 4, p. 221.

[14] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Ed. 2015, p. 1065.

[15] Ex multis, V. ROPPO, Il contratto, 2° Ed., Giuffré, p. 290 e ss. In particolare, l'Autore, preso come esempio tra tanti, chiarisce che "il contratto del falso rappresentante dovrebbe essere inefficace perché concluso da soggetto non legittimato: l'apparenza surroga la legittimazione mancante. La regola si fonda su una ratio di forte tutela dell'affidamento del terzo contraente, che proprio per l'apparenza ha indotto a confidare nell'esistenza del potere e, dunque, nell'efficacia del contratto. E' la stessa ratio che presiede alle fattispecie legali in cui si attribuisce rilievo a situazioni di apparenza, ugualmente considerate idonee a surrogare una legittimazione mancante: così il pagamento al creditore apparente - in realtà soggetto non legittimato a riceverlo - ha lo stesso effetto liberatorio che se fosse fatto al vero creditore, legittimo destinatario del pagamento (art. 1189 cc.), e chi acquista da un soggetto non legittimato a trasferire, ma apparentemente fornito della legittimazione in quanto erede apparente (art. 534 cc.) o titolare apparente per avere il possesso del bene mobile non registrato".

[16] Così, F. GALGANO, Trattato di diritto civile, Vol. I, p. 450 e ss. In particolare, l'Autore - pur non occupandosi, in alcuni suoi scritti, expressis verbis della tematica dell'apparenza dell'acquisto a non domino - ricorda come alle volte si rinviene la considerazione secondo la quale il possesso crea una apparenza di proprietà. "Si trova talvolta la proposizione secondo la quale il possesso fa presumere la proprietà; talaltra quella per cui il possesso crea una apparenza di proprietà. Si intende, con l'una o con l'altra, ad accreditare la conclusione che gli effetti giuridici del possesso e la sua protezione giurisdizionale siano, in tutto o in parte, spiegati da quella presunzione o da quell'apparenza". Tuttavia, fuori dal particolare campo offerto dall'art. 1157 cc., il possesso non fonderebbe alcuna presunzione di proprietà: esso produrrebbe effetti e sarebbe protetto in quanto tale, non in quanto proprietà presunta. Infatti, si chiarisce che "[...]d'altro canto, i principi dell'apparenza del diritto non hanno nulla in comune con la disciplina del possesso: è segnalato a suo luogo che l'apparenza, in quanto è rilevante, è trattata allo stesso modo della realtà (il socio apparente, ad esempio, è trattato alla stregua del socio reale), mentre la disciplina del possesso è una disciplina differenziata da quella della proprietà; senza dire che l'apparenza produce conseguenze svantaggiose per chi l'ha determinata [...] mentre al possesso si collegano conseguenze vantaggiose per il possessore (abilitato a difendere il possesso nei confronti di chiunque)". Ancora, l'Autore non annovera l'art. 1153 cc. nell'elenco delle singole norme dalle quali può estrapolarsi il principio dell'apparentia pura (Trattato di diritto civile, Vol. II, p. 467 e ss.). Sul punto, si legga che F. GALGANO, Sul principio generale dell'apparenza del diritto, in Contratto ed Impresa, op. cit.. L'Autore, in tale scritto, nell'affermare l'evanescenza, tipica di un fantasma, del principio dell'apparenza del diritto, chiarisce che "emerge allora a) che tutte le fattispecie a proposito delle quali è invocato il principio dell'apparenza altro non sono se non fattispecie corrispondenti alla simulazione, che i già citati art. 1415, comma 1°, e 1416 , comma 1°, rendono in opponibile a chi abbia in buona fede acquistato diritti dal titolare apparente ed ai suoi creditori; b) nelle fattispecie non riconducibili alla simulazione l'enunciazione del principio generale è solo un preambolo premesso ad una decisione basata su tutt'altra ratio decidendi". Tuttavia - si può precisare in questa sede - pur volendo porre l'accento sulla vicinanza giuridica tra simulato alienante e alienante non dominus, resterebbe la considerazione che l'acquisto a non domino richiede un quid pluris rispetto alla sola buona fede e parvenza di titolarità. L'Autore - ancora e tornando allo scritto - considera anche la procura apparente come procura tacita simulata, nonché la cessione d'azienda non pubblicizzata, riconducendo anch'essa nelle maglie dell'istituto della simulazione. Rinviene, ancora, il principio dell'apparenza, nel cd. "contratto apparente" asserendo che la tutela dell'apparenza, in tutti i casi nei quali è stata ammessa dalla giurisprudenza, protegge i terzi che hanno in buona fede fatto affidamento sull'esistenza di un contratto solo apparente.

[17] Così M. FRATINI, Il sistema del diritto civile, Vol. IV, Dike, p. 82.

[18] Si pensi, al riguardo, a chi aveva precedentemente acquistato da contratto nullo senza saperlo.

[19] Fermo restando che l'ipotesi di cui all'art. 1155 cc. differisce da quella di cui all'art. 1153 cc., in quanto l'art. 1155 cc. si riferisce al caso in cui il "dante causa" sia stato inizialmente proprietario. Sul punto anche F. GALGANO, op. cit., p. 505.

[20] Sul punto si legga anche M. FRATINI, Il sistema di diritto civile, Vol. IV, Dike, p. 106.



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