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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/08/2021 Scarica PDF

Bitcoin ed eredità digitale: quali tutele per il "wallet" trasferito per testamento?

Biagio Campagna, Avvocato, cultore della materia di diritto bancario presso la facoltà di Giurisprudenza della Università 'La Sapienza' di Roma


Sommario: 1. Premessa 2. La normativa applicabile e i suoi limiti. 3. Successione mortis causa e criptovaluta: profili problematici. 4. Successione ereditaria e possesso della criptovaluta. 5. Criptovalute: quali difficoltà legate al subentro nei diritti del defunto? 6. Accesso ai fondi: problematiche tecniche. 7. Riflessioni finali.

   

1. Premessa.

Il tempo trasforma il diritto[1] che, pertanto, proprio cosí come fa il mondo, cambia al ritmo delle stagioni[2]. Le innovazioni tecnologiche, naturalmente, rientrano tra i fattori «modificativi» della società e, quindi, delle sue regole. L’inarrestabile sviluppo del mondo digitale, difatti, ha radicalmente cambiato la nostra vita e le nostre relazioni.

Le cryptovalute, al momento, stanno dando tanta soddisfazione ai titolari di wallet e account di exchange. La quotazione di Bitcoin, per dire, è salita, fra alti e bassi, fino all’80% dall’inizio d’anno (Fonte Sole 24 Ore). Un bel gruzzoletto al riparo da fenomeni di inflazione, se si definisce la cryptovaluta come mezzo di scambio; e sempre più ambìto se la si consideri mezzo di investimento. Ma cosa accade al wallet o al proprio account sulla piattaforma di exchange, nell’infausta evenienza che il titolare venga a mancare? Cosa arriva agli eredi, legittimari o legittimi, insomma?

La risposta al momento è… “non è dato sapersi”, se il titolare non ci ha pensato prima.

Una doccia fredda, senz’altro, su chi intende speculare nel settore crypto, ma che ci introduce in un tema tutt’altro che facile da affrontare: quello della eredità digitale. Le domande alle quali oggi il diritto “analogico” non riesce a dare risposte compiute sono: cosa accade a tutti i dati contenuti negli account, ai contenuti social, ai file conservati nel pc, quelli sparsi tra piattaforme cloud, ai wallet, alle password, agli archivi elettronici di dati, alle foto e video digitali, ai brani musicali, ai post, ai programmi software, alle criptovalute (nei wallet o negli exchange), ai siti web, ai blog, alle e-mail…, insomma a tutto questo materiale con contenuto sia patrimoniale che affettivo e che definisce la nostra identità, al momento della nostra dipartita? E ancora: è possibile affidare le ultime volontà ad un testamento che utilizzi come canale di redazione e di firma le nuove tecnologie? Si procederà pertanto per step per verificare le questioni aperte e le soluzioni possibili.

 

2. La normativa applicabile e i suoi limiti.

L’evoluzione tecnologica[3] ha portato con sé due conseguenze particolarmente significative dal punto di vista successorio: da un lato, grazie alle nuove tecnologie, ogni individuo è attualmente titolare di un proprio patrimonio digitale – si pensi ai giovanissimi, agli adulti e agli anziani che, attraverso un semplice smartphone, producono quotidianamente contenuti digitali (foto, video, messaggi via chat, e-mail, post su social network, ecc.) –; dall’altro lato, il patrimonio personale è andato a comporsi di beni digitali non più solo a contenuto personale, intimo o affettivo, ma spesso anche di carattere patrimoniali[4].

In ragione dell’eterogeneità dei cespiti di cui può essere oggi composto il patrimonio digitale di una persona, è necessario qualificare la natura giuridica delle situazioni soggettive connesse ai beni, in quanto la regolamentazione della successione può esserne condizionata[5].

Riguardo al testamento pubblico con atto informatico, ci sarebbe l’articolo 4 del decreto legislativo 110/2010, che ha equiparato l’atto notarile analogico a quello informatico. Il punto è che è prevista a pena di invalidità la presenza fisica del notaio. Per rientrare in possesso dei dati postati su piattaforme si potrebbe invece fare appello al Gdpr (regolamento 679/2016), in particolare all’articolo 6, che permette l’accesso ai dati agli eredi subentrati nel contratto (ex art. 6, par. 1, lett.b), nonché in ragione di uno specifico “legittimo interesse” (ex art. 6, par. 1, lett. f) del GDPR). Ma come si vede, le condizioni di legittimazione sono piuttosto restrittive. Altra norma è l’articolo 2 terdecies del nuovo Codice Privacy[6] (Decreto legislativo 196/2003 aggiornato al D.lgs. n. 101/2018), dedicato specificamente ai Diritti riguardanti le persone decedute, che al comma uno recita “I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 (accesso, rettifica, cancellazione/oblio, limitazione del trattamento, portabilità, opposizione anche al trattamento automatizzato di profilazione) del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. Sempre ché, però, l’interessato non abbia vietato l’esercizio dei diritti, in modo non equivoco e chiaro.Visto dal lato del titolare defunto, la sua libertà dispositiva trova un limite: non può infatti produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla sua morte nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi[7].

 

3. Successione mortis causa e criptovaluta: profili problematici.

Ottenere l’accesso al conto bancario di un soggetto deceduto è diventata un’operazione relativamente semplice per gli eredi, ci si trova infatti di fronte ad una normativa ormai consolidata e ad un istituto di credito strutturato che può, seguendo determinate procedure a garanzia degli eredi e della banca, immettere nel possesso dei rapporti i soggetti effettivamente legittimati[8].

Sarebbe lecito attendersi altrettanta, se non maggiore, semplicità quando si parla di criptovalute[9], sistemi di contabilità gestiti paritariamente dagli utenti e improntati alla massima semplicità ed autonomia di utilizzo.

Purtroppo però i sistemi decentralizzati e automatizzati come quelli che fondano le valute crittografiche finiscono per mostrare le loro debolezze proprio nel momento della successione, quando si tratta di consentire ai legittimi eredi dei titolari dei diritti, che non possiedono le credenziali di accesso, l’accesso i valori presenti sui loro sistemi.

La completa automazione dei processi e il fatto che questi sistemi si affidano ad algoritmi piuttosto che a personale fisico fanno sì che, in assenza di un’adeguata programmazione ereditaria da parte del de cuius[10], possa risultare davvero difficile accedere ai valori investiti in valute digitali crittografiche. Queste debolezze incidono negativamente sulla diffusione e sulla portata, comunque dirompente, delle valute digitali, essendo che uno dei motivi per la scelta di un investimento da parte di un soggetto è costituita proprio dal grado di sicurezza e dalla facilità con cui sarà possibile far arrivare ai propri eredi questi valori. I problemi che però si incontrano nel momento della successione sono molteplici, molti dei quali, però, si potrebbero risolvere con un’adeguata programmazione del fine vita da parte del proprietario dei fondi digitali. In primo luogo bisogna tener presente che l’assenza di una chiara normativa lascia il campo a diverse interpretazioni sulla natura stessa delle valute digitali e sul loro atteggiarsi di fronte al fenomeno successorio. Sono infatti pochi gli stati che hanno normato il fenomeno della successione digitale con riferimento alle criptovalute[11] (ad esempio il Delaware con lo House Bill 345/2014) e per questo motivo gli eredi non possono contare su soluzioni normative nel caso incontrino delle problematiche nel recuperare i valori digitali del de cuius. Pur in assenza di un quadro normativo compiuto si può comunque affermare con sicurezza la patrimonialità dei diritti di credito espressi in valute digitali, con la conseguenza, a mente del diritto italiano, della caduta in successione di tali diritti[12]. Saranno quindi gli eredi a poter accedere ai fondi in bitcoin o in altre valute assimilabili che erano in possesso del defunto; degli stessi si potrà disporre per testamento e, in mancanza di questo, verranno divisi tra gli eredi secondo la normativa in tema di successione legittima. A questo punto il problema diventa però il modo in cui questi soggetti potranno, di fatto, accedere ai fondi caduti in successione. Una criptovaluta è infatti regolata da complessi sistemi crittografici che rendono tendenzialmente autonomo l’operare dell’utente sul “libro mastro” digitale che contiene tutte le operazioni effettuate nonché il saldo attuale. Senza la chiave crittografica non è quindi possibile accedere al portafogli virtuale e, di prassi, nessuno possiede tale chiave se non il proprietario del portafogli. Se prendiamo ad esempio il sistema Bitcoin, l’utente non entra in contatto con alcun intermediario fatta eccezione per l’exchange (il soggetto da cui acquista i bitcoin) e il fornitore del portafogli (che può essere una app o un servizio online) con il quale gestisce le proprie transazioni. Non è poi nemmeno necessario che questi soggetti siano a conoscenza dei dati personali dell’utente, molte criptovalute devono infatti la loro fama proprio al (quantomeno potenziale) anonimato dell’utilizzatore finale. L’unico dato di riferimento univoco al conto è appunto la chiave crittografica privata, chiave che può essere conservata in un dispositivo oppure online protetta da password. Questa chiave è, sostanzialmente, il “titolo” che consente di operare sul portafogli bitcoin, a prescindere dal soggetto che compie l’operazione. Di fatto, quindi, basterebbe che il de cuius trasferisse la chiave privata agli eredi per consentir loro di operare sul portafogli senza nemmeno coinvolgere il soggetto che ha venduto i bitcoin, il fornitore del portafogli o altre autorità. Purtroppo però è complicato trasmettere questa chiave senza esporla -esponendo così di conseguenza i propri valori- a soggetti diversi dai destinatari designati. Inserire ad esempio la chiave in un testamento potrebbe essere problematico in quanto lo stesso deve essere poi esibito a tutti gli eredi e in numerose occasioni da questi ultimi ad ulteriori soggetti per gli adempimenti burocratici del caso. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di inserire in un testamento la chiave di un ulteriore file criptato contenente, quest’ultimo, la chiave del portafogli bitcoin, ovvero di lasciare ai potenziali eredi una chiave che possa sbloccare i fondi solo se utilizzata congiuntamente a quella in possesso di un esecutore testamentario designato. Esistono poi alcuni servizi che si propongono di gestire l’eredità dei file bitcoin con un sistema di tipo “keep-alive” che invia delle email al proprietario del conto e trasferisce i fondi ad un altro portafogli (precedentemente indicato) in caso di mancata risposta entro un dato periodo. Le soluzioni, in caso di programmazione del fine vita, sono quindi comunque molteplici ed efficaci e consentono di far arrivare agli eredi il portafogli bitcoin con un certo grado di sicurezza. Molto più problematico è il caso in cui gli eredi non siano a conoscenza della chiave privata ovvero del luogo/dispositivo in cui questa è conservata. Sapere che il de cuius possedeva fondi in bitcoin e magari rintracciare il numero del portafogli (la c.d. chiave pubblica del portafogli, ben diversa da quella, segreta e privata, che permette all’utente di operare) non risolve il problema, non essendoci un’autorità centrale cui rivolgersi per richiedere i fondi.

Sarà necessario infatti recuperare l’accesso alla chiave privata del portafogli bitcoin per ottenere l’effettivo possesso del portafogli.

Questo accesso potrà essere ottenuto recuperando il dispositivo (ad esempio uno smartphone) sul quale è contenuta la chiave, oppure ottenerla con la collaborazione del gestore del portafogli (che sarà anzi obbligato a collaborare con gli eredi dell’utente per immetterli nel possesso di quello che è loro per diritto di successione). Il gestore potrà però operare solamente nei limiti delle sue possibilità tecniche. Molti portafogli bitcoin, ad esempio, sono gestiti, per garantire maggior sicurezza agli utenti, con procedure automatizzate e non consentono nemmeno ai fornitori del servizio di accedervi e di “forzare” il portafogli per conto degli eredi. I problemi si moltiplicano poi nel caso in cui non solo non si abbia accesso alla chiave privata del de cuius, ma questi non abbia fornito i propri dati al momento della registrazione dell’account relativo al portafogli. In quest’ultimo caso risulta difficile anche ottenere la collaborazione del gestore del wallet, dovendosi in primo luogo dimostrare a questi di essere gli effettivi titolari (nella veste di eredi) del portafogli “anonimo” gestito. Il problema attuale, più che di tipo giuridico, è quindi di fatto. Certo è il diritto degli eredi ad ottenere i valori in valute digitali del de cuius, incerto è il loro effettivo ottenimento in assenza di una ponderata programmazione da parte del defunto. Non bisogna infatti dimenticare che uno degli scopi principali dei portafogli che contengono le criptovalute è quello di proteggere queste somme dall’accesso da parte di soggetti terzi, e che questo scopo compromette la possibilità di accedere a queste somme anche da parte degli eredi dopo la morte del proprietario di queste valute digitali.

 

4. Successione ereditaria e possesso della criptovaluta.

Il sistema di gestione e circolazione delle criptovalute è l’aspetto che maggiormente interessa il diritto delle successioni e, in particolare, il passaggio generazionale della ricchezza digitale, è quello della loro detenzione che si può realizzare:a) attraverso fondi comuni di investimento, certificati, futures o altri strumenti finanziari comuni che abbiano come sottostante il valore della criptovaluta.In questo caso non esiste una criptovaluta di proprietà del defunto in quanto ciò che rileva è unicamente la quotazione dello strumento finanziario che riflette il valore della criptovaluta di riferimento; b) attraverso un account aperto presso un istituto bancario o altri intermediari on-line (c.d.exchange). Il servizio di exchange si occupa di convertire la valuta “fiat” in criptovaluta secondo la quotazione del momento e di fornire all’utente un account per operare con la criptovaluta detenuta (ovvero scambiare nuovamente la criptovaluta con moneta fiat, inviare e ricevere pagamenti). Per effettuare le operazioni sulla blockchain, l’exchange utilizza sempre la propria chiave privata, riconducibile esclusivamente al proprio portafoglio, e tiene traccia dell’effettiva giacenza di ciascuno dei propri utenti all’interno del proprio portafoglio (come una banca ordinaria che tiene traccia della giacenza sui conti correnti di ciascun cliente).L’utente del servizio di exchange deve conservare e custodire i dati di accesso al proprio account come un qualunque servizio on-line. L’exchange, di norma, conosce tutti i dati dell’utente e risulta dunque sempre in grado di recuperare i dati di accesso all’account in caso di decesso.c) direttamente dall’utente. In questo caso, la chiave privata è detenuta direttamente dall’utente il quale potrà custodirla attraverso: 1)i c.d. “paper wallet”, ovvero un semplice foglio cartaceo (o un documento informatico) sul quale è stampata la complessa chiave privata in caratteri alfanumerici o codificata attraverso un QRcode; 2) i c.d. software wallet, ovvero applicazioni, accessibili tramite password, che contengono la chiave privata. Trattasi di un software installato su un device grazie al quale sarà possibile generare la chiave privata (la quale resterà memorizzata esclusivamente sul medesimo) per disporre della criptovaluta ed effettuare le transazioni sulla blockchain; 3) i wallet di tipo hardware (c.d. hardware wallet, quali Ledger Wallet, Trezor), ovvero dei device esteticamente simili a memorie flash Usb e collegabili a un computer con le stesse modalità, contenenti sia la chiave privata sia un’interfaccia per il sistema di firma attivabile mediante un PIN complesso. In altre parole, la chiave privata viene generata dal dispositivo, protetto crittograficamente dall’utente con un PIN scelto dallo stesso e ivi rimane memorizzata senza mai essere esposta. Frequentemente il dispositivo opera in combinazione con un’applicazione software (simile al software wallet) destinato tuttavia solo alla predisposizione della transazione.

     

5. Criptovalute: quali difficoltà legate al subentro nei diritti del defunto?

Bisogna partire dal presupposto che se la criptovaluta è utilizzata solo quale indice di uno strumento finanziario l’acquisizione del suo possesso, in questo caso dunque non presenta particolari problematiche, essendo l’oggetto della successione costituito unicamente dallo strumento finanziario.

Al contrario quando invecela criptovaluta sia detenuta direttamente dal defunto, la questione appare più complessa sotto due profili ovvero:

i) se le criptovalute sono detenute attraverso un software wallet, al fine di entrare in possesso delle stesse, i problemi da superare saranno legati all’accesso, da un lato, al device all’interno del quale è stato installato il software di custodia della chiave privata e, dall’altro lato, al software medesimo che, infatti, è protetto da una password. Le criticità relative al recupero della chiave privata non differiscono di molto da quelle per l’accesso a un qualsiasi file criptato, con l’aggravante di una eventuale localizzazione non sempre agevole nel caso di un moderno sistema operativo che sia efficacemente protetto da quella che a tutti gli effetti risulta essere un’esfiltrazione di dati malevola[13];

ii) se invece le criptovalute sono detenute attraverso un hardware wallet, oltre alle difficoltà di reperimento dell’hardware medesimo, sarà necessario recuperare la password di accesso alla chiave privata o alle funzionalità del token, rinvenendo indizi utili attraverso investigazioni sugli averi del defunto o, come extrema ratio attraverso il c.d. “chip off” – ovvero la rimozione fisica dei componenti dalla scheda logica finalizzata ad un accesso fisico al componente contenente la chiave privata da estrarre – procedimento questo estremamente rischioso e di esito assolutamente incerto, data la presenza della cifratura, che può volatilizzare una fortuna qualora non giunga a buon fine[14].

Altro caso è quello in cui, invece, la criptovaluta sia detenuta da un exchange, l’acquisto del suo possesso non si rivela (rectius, non dovrebbe rivelarsi) particolarmente complesso. Saranno infatti applicabili le norme previste per l’accesso all’account del defunto, ovvero a) il Regolamento UE 679/2016 sul trattamento dei dati personali, b) il d. lgs. 196/2003, come modificato dal d. lgs. 101/2018, eventualmente in combinazione tra loro.

Tuttavia, la prima (oltre che più semplice) forma di acquisizione delle criptovalute depositate presso un exchange e accessibili tramite un account, resta sempre l’accesso attraverso lo stesso (o gli stessi) devices (personal computer, smartphone, tablet, ecc.) in uso al defunto (se accessibili ab origine).

In parole semplice, qualora i chiamati all’eredità siano riusciti ad accedervi, potranno tentare di entrare nell’account del defunto utilizzando il suo personal computer, il suo tablet o il suo smartphone. I programmi di navigazione (browser), anche al fine di agevolare l’utente, consentono infatti di memorizzare localmente le credenziali di accesso ai diversi servizi in rete (il browser utilizzato per la navigazione in internet conserva tutte le password che l’utente ha deciso di salvare in occasione del primo accesso ad un account o alla modifica delle password medesime).

 

6. Accesso ai fondi: problematiche tecniche.

In materia successoria[15], ad oggi, ottenere l’accesso al conto bancario di un soggetto deceduto è un’operazione non particolarmente complessa per gli eredi del de cuius, grazie una normativa consolidata che può immettere nel possesso i soggetti effettivamente legittimati in maniera piuttosto celere, tutelando altresì la posizione degli istituti di credito. Lo strumento per indirizzare la sorte della propria eredità digitale è il testamento. La dottrina[16] evidenzia che, in linea di principio, le risorse online passano nella disponibilità dei successori “mortis causa ed individua gli strumenti giuridici più idonei a disporne: per attribuire a determinati soggetti l’accesso a risorse informatiche protette da credenziali (pin, password, username) si può ricorrere alla figura del mandato “post mortem[17] o alla nomina di un esecutore testamentario.

Tuttavia, nel campo delle criptovalute – che fondano le loro basi sulla decentralizzazione e sull’anonimato – l’accesso alle quote ereditarie non risulta così immediato, evidenziando enormi debolezze (anche) in materia successoria.Pur in assenza di un quadro normativo specifico in materia, si può tuttavia affermare con sufficiente certezza che anche i diritti di credito espressi in valute digitali abbiano natura patrimoniale, e dunque, sono in grado di rientrare a pieno titolo nella massa ereditaria oggetto di successione. Saranno dunque gli eredi del de cuius a poter accedere a tali fondi; degli stessi si potrà disporre per testamento e, in mancanza di questo, si procederà alla divisione ereditaria secondo la normativa in tema di successione legittima. Tuttavia, per entrare nell’effettivo possesso del patrimonio, i successori hanno la necessità di conoscere la chiave privata corrispondente all’indirizzo privato del portafoglio virtuale del de cuius ovvero la sua formula di decriptazione. Le criptovalute basano, infatti, il loro funzionamento su complessi sistemi crittografici che rendono tendenzialmente anonimo l’utente sulle piattaforme di scambio, garantendo altresì lo stesso livello di anonimato e sicurezza ai conti deposito dei proprietari. Senza la chiave crittografica è impossibile accedere ai fondi e, di prassi, nessuno possiede tale chiave se non il proprietario del portafoglio. Il problema in questione si può teoricamente risolvere procedendo in uno dei due modi evidenziati: i) prevedere il recupero del dispositivo (ad esempio uno smartphone o una chiavetta USB) sul quale è contenuta la chiave crittografica; ii) richiedere la collaborazione del gestore del portafogli. In tal caso, il gestore sarà obbligato a collaborare con gli eredi dell’utente per immetterli nel possesso di quello che è loro per diritto di successione, operando solamente nei limiti delle sue possibilità tecniche.

Dal punto di vista giuridico, attenta dottrina rileva che le monete virtuali – che sono essenzialmente copie di registri di transazioni (cd. blockchain) trasferibili attraverso una serie di nodi validabili con chiavi crittografate – possono essere detenute in modo indiretto o diretto[18].

Al fine di garantire maggior sicurezza agli utenti, tuttavia, un numero sempre crescente di portafogli virtuali, sviluppato negli ultimi anni, viene gestito con procedure automatizzate che non consentono nemmeno ai fornitori del servizio di accedervi e di “forzare” il portafogli per conto degli eredi.

Ulteriori problemi possono sorgere nel caso in cui il de cuius, al momento della registrazione dell’account relativo al portafogli, non abbia fornito i propri dati proprio al fine di risultare anonimo nel sistema. In tal caso, il gestore del portafogli potrebbe tranquillamente rifiutare di collaborare, richiedendo a propria tutela la dimostrazione di essere gli effettivi titolari (nella veste di eredi) del portafogli “anonimo” gestito.

Al momento, le procedure appena citate sono le uniche che consentono di disporre delle criptovalute in caso di successione ereditaria; ciò evidenzia una palese lacuna di tutela in materia che costituisce, se vogliamo, la parte negativa dell’eccessiva libertà del sistema delle criptovalute.

Per ovviare a questo problema, si è teorizzato l’uso dei “paper wallet”, rappresentazione cartacea del conto virtuale, custodito in un luogo accessibile solo a seguito della morte del disponente, una sorta di testamento cartaceo per l’accesso alle valute digitali che andrebbe a collidere con il principio di dematerializzazione, anonimato e crittografia insito nell’uso delle criptovalute[19].

Dunque, con riferimento all’accesso dei legittimati alle quote testamentarie, ad oggi, il problema non risulta essere prettamente giuridico, ma tecnico.

   

7. Riflessioni finali.

Le criptovalute si sono affermate negli ultimi anni come veri e propri asset, fino a fare arrivare Bitcoin ad essere considerato una sorta di “oro digitale” e riserva di valore.

Nel corso del tempo le criptovalute sono diventate non solo un diffuso mezzo di scambio, ma soprattutto un innovativo mezzo di investimento, però, nonostante la crescita esponenziale di utilizzo e popolarità, la sua regolamentazione delle criptovalute presenta ancora ampie lacune normative e delle possibili trappole nel caso debbano rientrare nell’asse ereditario.

La successione del patrimonio digitale presenta criticità che si legano alle questioni tecnologiche del momento. Restando nel campo dell’eredità economica, i principali temi da affrontare sono la presenza di credenziali personali, i contratti stipulati con i diversi provider, la difficoltà di quantificare patrimoni polverizzati tra diversi siti.

Un account è uno spazio virtuale solitamente di proprietà della piattaforma e solitamente le condizioni generali di contratto non permettono il trasferimento a terzi.

Quindi come potrebbero gli eredi far valere i propri diritti?

Il modo c’è, ma prevede che il titolare sia così previdente da inserire questi asset digitali nel suo testamento. Un testamento che deve essere redatto correttamente ed in una forma prevista dalle leggi vigenti.

C’è chi tenta soluzioni originali, come un’azienda scozzese che ha creato un metodo facile per trasmettere criptovalute agli eredi. Lo schema è diverso da quello dei normali lasciti testamentari e prevede che i possessori di bitcoin si dotino di una card “tramandabilie”, con un codice univoco tipo carta di credito, e ne diano una copia ai beneficiari. Se il titolare muore, i suoi eredi contattano l’azienda che ha prestato il servizio e con il numero della card in proprio possesso, insieme a un certificato di morte e dopo le indagini di rito, ricevono l’accesso ai fondi, che intanto sono al sicuro su un wallet protetto.Chi preferisce fare in maniera tradizionale, può comunque seguire i consigli di un noto portale americano, specializzato in consulenze legali, che suggerisce ai possessori di criptovalute di fare testamento in 3 step, per assicurarsi che i loro cari possano ereditare. Per prima cosa devono citare le criptovalute nel testamento, in modo che gli eredi ne vengano a conoscenza; al tempo stesso devono includere informazioni precise sul proprio portafogli digitale (quale app o wallet fisico, la password, ecc) e come vi si può accedere; last but not least, è bene che scrivano una guida dettagliata per spiegare come i beneficiari possano accedere alla criptovaluta. Quest’ultimo passo può essere il più complicato: spiegare a un profano come funziona un wallet fisico può essere persino più difficile che compilare lo stesso testamento. La blockchain e gli smart contract[20] potrebbero essere utilizzati per costruire una nuova forma di testamento sui generis e “intelligente”, e imprimere data e sottoscrizione certa e autentica alle disposizioni testamentarie, per garantirne la conservazione in sicurezza, l’inalterabilità e finanche per rendere automatica l’esecuzione del processo successorio. dal momento della registrazione dell’atto di morte nella blockchain.

Ma quale può essere l’applicazione pratica di questa tecnologia alle forme testamentarie disciplinate e previste dal nostro codice civile?

Il testamento olografo e segreto si presentano quali atti di ultima volontà formalmente semplici che possono utilmente risentire dei vantaggi della blockchain; il primo richiede la sola redazione per iscritto del suo contenuto, della data e della firma per opera personale ed esclusiva del testatore, nonché presenta inconvenienti notevoli in termini di rischio di smarrimento, di alterazione e di soppressione. Le maggiori cause di impugnazione attengono alla sua provenienza autentica e alla data.

Il secondo è scritto dal testatore o da un terzo e si differenzia sostanzialmente dal precedente perché la sua conservazione viene garantita dal deposito presso un notaio.

La conservazione di tali atti in un registro distribuito e decentralizzato potrebbe garantire l’immodificabilità, la non alterabilità o distruzione e assicurare la validazione temporale delle disposizioni testamentarie, e nel caso del testamento olografo accrescerne la garanzia e il livello di segretezza.

II testatore, tanto per la forma olografa che segreta potrebbe procedere autonomamente alla redazione per iscritto delle sue ultime volontà, sottoscrivendo il testamento nei modi stabiliti dalle legge e datandolo; il documento così redatto dovrebbe essere immesso nella blockchain (anche attraverso i servizi di notarizzazione già sul mercato) e marcato temporalmente. Nel caso del testamento segreto il testatore dovrebbe depositare il documento presso un notaio che ne garantisca la conservazione.

Tale passaggio potrebbe essere integralmente sostituito dalla notarizzazione compiuta dalla blockchain.

Quest’ultima garantirà la conservazione e validazione del documento attraverso il timestamping che ha il compito di certificare (al pari del notaio), il deposito del testamento e imprimere allo stesso la marca temporale. Con la funzione di timestamp è possibile valutare se un certo documento esisteva a una certa data (Prova dell’esistenza) e chi era proprietario di quel documento in quella data (Prova di proprietà); le funzioni crittografiche assicurano che il database non possa essere alterato, e consentono di verificare la corrispondenza tra il documento presentato e il documento registrato sulla Blockchain (Prova di autenticità).

Attraverso l’utilizzo di uno smart contract[21], invece le procedure che normalmente conseguono alla morte di una persona si attiverebbero automaticamente, senza necessità di intermediari e dei costi inerenti (notaio, esecutore testamentario, ecc.) all’avverarsi dell’evento morte. Per sintetizzare, lo smart contract dovrebbe essere programmato per comunicare con i registri delle istituzioni, enti pubblici, agenzie assicurative, intermediari bancari (si pensi al registro comunale degli atti di morte per verificare l’avverarsi dell’evento morte, ai registri PRA per il passaggio di proprietà del veicolo agli eredi, al registro catastale per favorire il trasferimento della proprietà dei beni immobili, al servizio catastale per permettere l’aggiornamento dei dati al riguardo, o ancora al registro assicurativo per la liquidazione di un premio assicurativo, o al conto bancario per trasferirne i fondi agli eredi al conto degli eredi secondo le rispettive quote).

Ovviamente per soluzioni di questo tipo sarà necessario un approccio statale quanto mai dinamico e innovativo che abbracci le tecnologie blockchain e la logica dei registri distribuiti e che coinvolga la normazione e l’organizzazione statale.

Le definizioni di Distributed Ledger Technology e il generale inquadramento giuridico degli smart contract introdotte con il Decreto Semplificazioni 2019 rappresentano solo una prima presa di posizione, e la task force di esperti selezionati dal MISE a cui è stato richiesto di formulare proposte per favorire lo sviluppo del settore dell’AI e della blockchain e far fronte alle diverse sfide anche a livello normativo, ne è una conferma.



[1] E tale evoluzione, come osserva A. GIANOLA, Evoluzione e diritto, in Riv. dir. civ., 1997, 2, pp. 413 ss., non è sempre governata da leggi giuridiche ma, spesso, anche da leggi naturali.

[2] Il richiamo è qui all’opera di G. ALPA, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012, laddove l’autore illustra, in maniera sistematica, l’evoluzione interpretativa che ha interessato il diritto privato in generale e il diritto contrattuale in particolare, a partire dal 1942.

[3] E. M. TRIPODI, L'evoluzione delle forme di pagamento su “Internet”, in Disc. comm. serv., 2015

[4] Magnani, L’eredità digitale, cit., p. 521.

[5] Marino, La successione digitale, cit., p. 179.

[6] “L'esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione, l'interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest'ultimo comunicata”.

[7] R. SCALCIONE, Gli interventi delle autorità di vigilanza in materia di schemi di valute virtuali

[8] R. RAZZANTE, “Bitcoin” e monete digitali. Problematiche giuridiche, in Gnosis, 2014

[9] G. VARRASI, Bitcoin e Criptomonete, in Dir. ed Econ. dell'Impresa, 2017, 284 ss

[10] Per un inquadramento generale delle problematiche che possono verificarsi in caso di decesso del proprietario di un computer, Jeffrey SELING, Whose Data Is It, Anyway?, in The New York Times, 3 giugno 2004.

[11] R. BOCCHINI, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. inf. e inf., 2017, 27 ss.

[12] N. MANCINI, “Bitcoin”: rischi e difficoltà normative, in Banca impr. soc., 2016.

[13] Morone, Bitcoin e successione ereditaria: profili civili e fiscali, cit., 6

[14] Arminio Monforte, La successione nel patrimonio digitale, Pacini Giuridica, 101

[15] G. GASPARRI, Timidi tentativi giuridici di messa a fuoco del “bitcoin”: miraggio monetario crittoanarchico o soluzione tecnologica in cerca di un problema?, in Dir. inf. e inf., 2015

[16] Studio n. 6-2007/IG, “Password, credenziali e successione mortis causa”, di Ugo Bechini.

[17] Sul mandato “post mortem”, C.M. BIANCA, Diritto Civile. II. La famiglia. Le Successioni, pp. 495 ss.; PUTORTI’, Mandato post mortem e divieto dei patti successori, in Obbl. e Contr., 2012, 11, 737; G. CAPOZZI, Successioni e Donazioni, pag. 41 e pag. 65, che riconduce a tale figura gestoria l’esecutore testamentario, il terzo ex artt. 630, 631, 632 c.c. e quello incaricato del progetto di divisione di cui all’art. 733 c.c..

[18] Remo Maria Morone, Bitcoin e successione ereditaria: profili civili e fiscali, in: www.giustiziacivile.com del 23 febbraio 2018, p. 4 ss.

[19] M. MANCINI, Valute virtuali e “bitcoin”, in Analisi Giuridica dell'Economia, 2015

[20] Giovanni RINALDI, Smart contracts: meccanizzazione del contratto nel paradigma della blockchain.

[21] Stefano CERRATO, Contratti tradizionali, diritto dei contratti e smart contract, in Blockchain e Smart Contract, a cura di Raffaele BATTAGLINI, Marco GIORDANO, Giuffrè Francis Lefebre, Milano, 2019.


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