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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/04/2021 Scarica PDF

Le Sezioni Unite si esprimono sul diniego erariale alla transazione fiscale

Lorenzo Gambi, Dottore Commercialista in Firenze


Sommario: 1. Il caso sottoposto alle Sezioni Unite della Cassazione.- 2. Dalla transazione dei ruoli alla proposta di trattamento del credito tributario.- 3. La giurisdizione sul diniego erariale alla proposta di transazione fiscale.- 4. Considerazioni conclusive

   

1. Secondo le Sezioni Unite della Cassazione appartiene al foro fallimentare la giurisdizione sul diniego erariale alla proposta di transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall.         

Ciò è quanto statuito dal Supremo Collegio con ordinanza n. 8504, emessa il 23 febbraio 2021 e depositata il 25 marzo 2021, in relazione al caso che segue.[1]

Una società di capitali, nel corso del 2018, presentava avanti al tribunale fallimentare una proposta di trattamento dei crediti tributari ex art. 182-ter l. fall., nell’ambito di un procedimento per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

L’ente impositore non aderiva alla proposta di transazione fiscale: la società debitrice ricorreva avverso il diniego erariale avanti la commissione tributaria competente, assumendone la natura fiscale.

L’Amministrazione finanziaria, nel costituirsi in giudizio, eccepiva il conflitto di giurisdizione, rilevando come la cognizione sul diniego dell’ente fosse da ricondurre al foro ordinario e, in particolare, a quello fallimentare.


2. Le Sezioni Unite della Cassazione, prima di affrontare il tema in oggetto, hanno richiamato il “prototipo” della transazione fiscale, ovvero la cd. transazione dei ruoli, come introdotta nell’ordinamento tributario dall’art. 3, comma 3, D.L. n. 138/2002.[2]

In base a tale norma, l’Amministrazione finanziaria poteva definire i tributi statali iscritti a ruolo per importi superiori ad euro 1,5 milioni ove, in corso d’esecuzione, il contribuente fosse divenuto insolvente, sempreché l’ipotesi “transattiva” fosse risultata più conveniente rispetto agli esiti della riscossione.

L’istituto in oggetto non trovò ampia diffusione a motivo di alcune criticità, fra le quali, il contrasto con il principio d’indisponibilità della pretesa tributaria, l’incompatibilità con i divieti comunitari in ambito d’aiuti di Stato, le difficoltà applicative circa i tributi il cui gettito fosse stato in parte di titolarità di enti non statali, il rischio che la transazione fosse revocata in caso di successivo fallimento del contribuente.[3]

Preso atto dell’inefficacia dell’istituto nella peculiare prospettiva della risoluzione delle crisi aziendali, ma valutata, allo stesso tempo, l’importanza dello strumento “transattivo” ai fini di cui sopra, il legislatore, con l’art. 146 del D.Lgs. n. 5/2006, introdusse all’interno della legge fallimentare l’art. 182-ter.[4]

L’art. 16, comma 5, D.Lgs. n. 169/2007 estese poi l’applicabilità della transazione fiscale all’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.

Come ricordato dal Supremo Collegio, l’art. 182-ter l. fall. “prevedeva per la prima volta la possibilità di un accordo tra ente impositore e contribuente insolvente sul pagamento parziale non satisfattivo o sul dilazionamento del pagamento dei debiti tributari, ancorché non cristallizzati da iscrizioni a ruolo a titolo definitivo ed anzi nemmeno iscritti a ruolo, pur con alcune rilevanti limitazioni (risorse proprie UE, IVA e ritenute) e condizioni inerenti la graduazione concorsuale[5].

In origine, rilevano le Sezioni Unite della Cassazione, lo strumento della transazione fiscale si caratterizzava per la propria natura “facoltativa”.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il divieto di soddisfacimento parziale del tributo IVA, eccezione alla regola di falcidiabilità dei crediti privilegiati, operava esclusivamente all’interno della domanda concordataria che avesse contenuto la proposta ex art. 182-ter l. fall.[6]

La Cassazione riconobbe, così, la possibilità che un piano d’impresa che non avesse previsto la transazione fiscale avrebbe potuto proporre un soddisfacimento parziale del credito IVA, nel rispetto del criterio generale di capienza patrimoniale ex art. 160, comma 2, l. fall.

Peraltro, in questo caso, non si sarebbero prodotti né gli effetti di consolidamento del debito fiscale, né gli effetti di cessazione delle liti fiscali pendenti, previsti, rispettivamente, dal secondo e dal quinto comma dell’art. 182-ter l. fall.

In tale contesto, ove l’Amministrazione finanziaria avesse votato in senso sfavorevole ad una proposta di concordato preventivo non contenente la transazione fiscale, la procedura avrebbe potuto essere comunque omologata secondo gli ordinari criteri maggioritari.

Successivamente, il legislatore, con l’art. 1, comma 81, L. n. 232/2016, recependo i principi della giurisprudenza comunitaria[7], modificò l’art. 182–ter l. fall., con decorrenza 1° gennaio 2017.

Per effetto di tale intervento, è venuto definitivamente meno il divieto di trattamento parziale tanto del credito IVA, quanto delle ritenute erariali.

Dal 1° gennaio 2017, tutti i crediti gestititi dalle agenzie fiscali possono essere soddisfatti anche in misura non integrale, sempreché la domanda per l’accesso alla procedura contempli l’iter di cui all’art. 182-ter l. fall.[8]

In questo quadro, con riferimento al concordato preventivo, la posizione erariale non è più espressa attraverso un atto “autonomo” (accoglimento ovvero rigetto della proposta), bensì, con il tipico strumento del voto, ex art. 177 l. fall.

Con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, la posizione erariale è invece espressa attraverso un autonomo e formale atto di adesione ovvero di diniego alla proposta di trattamento del credito tributario.

 

3. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto non applicabili al caso sottoposto alla propria attenzione le disposizioni previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in tema di transazione fiscale-contributiva.

Né il Collegio ha ritenuto applicabile ai fini di cui sopra l’art. 3, comma 1-bis, D.L. n. 125/2020, che ha introdotto all’interno della legge fallimentare, in via anticipata, quanto previsto dal CCII in punto di cram down circa il trattamento dei crediti fiscali-contributivi.

Al riguardo, secondo la Corte, la “fonte normativa novellante non contiene disposizioni di diritto transitorio e quindi, trattandosi di norme processuali, deve senz’altro applicarsi il principio tempus regit actum. Ciò tuttavia non può valere che per i procedimenti iniziati dopo il 04/12/2020, mentre quello che ha generato il regolamento preventivo di giurisdizione è iniziato ben prima”.

Peraltro, le Sezioni Unite hanno ritenuto di fare riferimento alle nuove norme in tema di ristrutturazione “forzosa” dei debiti fiscali-contributivi in una prospettiva ermeneutica, considerati i profili di continuità tra il regime attuale ed il regime riconducibile allo schema previsto dal CCII.[9]

Quanto sopra, considerato che la novella ex art. 1, comma 81, L. n. 232/2016 ha introdotto l’obbligatorietà della transazione fiscale quale sub-procedimento “necessario” all’interno del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Per effetto del carattere obbligatorio del trattamento del credito tributario - rileva la Suprema Corte -, la ratio concorsuale dell’istituto finisce con il prevalere rispetto alla propria ratio fiscale.

Si verifica, in sostanza, un “incidente” tributario avente lo scopo di pervenire ad una definizione concordata del rapporto giuridico d’imposta attraverso l’applicazione delle regole previste dal diritto concorsuale.

Rilevata la continuità fra disciplina attuale e quella a venire, la Cassazione ha ricordato come le modifiche apportate agli artt. 180, comma 4, e 182-bis, comma 3, l. fall., ad opera del D.L. n. 125/2020, forniscano una chiara indicazione in ordine alla cognizione sul diniego alla proposta di trattamento dei crediti tributari.

Le nuove norme indirizzano, in modo marcato, la questione della mancata adesione dell’ente impositore alla proposta transattiva verso il foro fallimentare, collocando, “ancor più chiaramente, l’istituto de quo all’interno delle procedure concorsuali ed alle loro peculiari finalità, piuttosto che all’ambito delle procedure di attuazione dei tributi”.

Alla luce degli interventi emergenziali di cui al D.L. n. 125/2020 in punto di cram down, la transazione fiscale risulta adesso solidamente “incastonata” nella struttura del diritto concorsuale.

Secondo la Suprema Corte, la comune ratio legis fra le ricordate norme, imperniata sul profilo di obbligatorietà del trattamento, fa ritenere prevalente rispetto all’interesse erariale quello concorsuale, con particolare riguardo alla conservazione dell’organizzazione d’impresa (“bene” primario).

In questo contesto, la transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall. consente di “bilanciare i due interessi, sicché l’ampia discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione nello stipulare accordi transattivi concorsuali […] è bilanciata dal sindacato giudiziale sul diniego alla proposta transattiva chiaramente assegnato, dalla normativa vigente, al giudice ordinario fallimentare”.

Poiché, tuttavia, sotto il profilo sostanziale, il credito oggetto della proposta di trattamento trova la propria fonte nella legge (artt. 23-53 Cost.), occorre trovare, sul piano sistematico, un punto di raccordo fra la norma concorsuale e la norma tributaria, e ciò ai fini del necessario riparto di giurisdizione.

La disposizione “chiave”, in questo senso, è data dall’art. 90, D.P.R. n. 602/1973.

Tale norma prevede che ove il contribuente sia ammesso alla procedura di concordato preventivo, l’agente della riscossione compia, sulla base del ruolo, quanto necessario ai fini della partecipazione al concorso.

In presenza di eventuali contestazioni sul carico tributario iscritto a ruolo, il credito è comunque inserito, in via provvisoria, nell’elenco di cui all’art. 176, comma 1, l. fall.

L’art. 90, D.P.R. n. 602/1973 garantisce così che il credito tributario partecipi alla procedura concorsuale, restando peraltro impregiudicata la cognizione del foro tributario circa il merito della pretesa, ex artt. 2-19, D.Lgs. n. 546/1992.[10]

In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno ritenuto di disattendere quell’orientamento della giurisprudenza di merito secondo il quale la cognizione sul diniego alla proposta di trattamento del credito fiscale appartiene alle commissioni tributarie territoriali.[11]

In conclusione, secondo il Supremo Collegio, la natura fiscale dell’obbligazione non è sufficiente a far rientrare il diniego erariale nel campo di applicazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, assumendo, al contrario, rilevanza sostanzialmente assorbente la finalità “universale” dell’unitario procedimento concorsuale.[12]

 

4. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno statuito la mancata impugnabilità - quale atto “in sé” - del diniego alla proposta di trattamento del credito fiscale, per essere lo stesso vincolato alla funzione “concorsuale” della procedura adita.

Quanto sopra, con particolare riferimento al quadro normativo delineabile dopo le modifiche apportate in seno all’art. 182-ter l. fall. dalla L. n. 232/2016.

L’approdo cui è pervenuta la Suprema Corte, che risolve la querelle circa la cognizione del rifiuto al trattamento del credito tributario, dà concretezza alla scelta adottata dal legislatore - dapprima, con il Codice della crisi, poi, con la normativa emergenziale - di demandare al foro fallimentare la valutazione sulla convenienza della transazione fiscale.

Per giungere a tale conclusione, il Collegio, in mancanza di norme transitorie che consentano l’applicazione diretta delle nuove disposizioni, ha rimarcato, ai fini interpretativi, l’affinità fra il regime in vigore sino al 4 dicembre 2020 (data d’efficacia delle modifiche ex artt. 180, comma 4, e 182-bis, comma 3, l. fall.) ed il regime successivo.

Quanto sopra, assumendo quale elemento qualificante il profilo di obbligatorietà della proposta di trattamento ex art. 182-ter l. fall..

La cognizione sul diniego alla proposta di transazione fiscale, a questo punto, appartiene al giudice “naturale” del procedimento concorsuale nel cui seno la proposta di trattamento sia formulata dal soggetto passivo d’imposta.

La “completezza” del quadro così autorevolmente tratteggiato dalle Sezioni Unite della Cassazione consente (probabilmente) di dare risposta anche all’altra questione ancora aperta, proprio con riferimento alle norme introdotte dall’art. 1, comma 1-bis, D.L. n. 125/2020.

Il richiamo, evidentemente, è al tema se il giudizio di convenienza sul trattamento del credito tributario in ambito concorsuale possa estendersi, oltreché alla mancanza di voto ovvero di adesione alla proposta, anche al “rifiuto” espresso da parte dell’ente pubblico. 

Alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite, qualora il cram down non fosse applicabile al diniego erariale espresso, il contribuente - data l’impossibilità di far ricorso al foro tributario avverso un “atto” ritenuto, in sé, non impugnabile - rimarrebbe sprovvisto di tutela giurisdizionale.

Il che, invero, contrasterebbe con il principio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

Per tale motivo - in conclusione -, si ritiene che la cognizione del foro fallimentare possa estendersi anche al diniego espresso dall’ufficio finanziario in sede di delibazione della proposta di trattamento del credito tributario.



[1] Cass. Civ., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504, pubblicata su Ilcaso.it il 30 marzo 2021 (https://news.ilcaso.it/news_8884).

[2] Convertito, con modificazioni, in L. n. 178/2002.

[3] Secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate con circolare n 8/E/2005, la soluzione transattiva era preclusa se il contribuente avesse rivestito la qualifica d’imprenditore fallibile, salvo che avesse adottato un piano di ristrutturazione dei debiti con la partecipazione dell’intero ceto creditorio.

[4] Al contempo, l’art. 151, D.Lgs. n. 5/2006 abrogò l’art. 3, D.L. n. 138/2002; il legislatore della riforma, al fine di superare uno dei ricordati limiti della transazione dei ruoli, introdusse l’esenzione da revocatoria dei negozi compiuti in esecuzione degli strumenti di gestione della crisi, ex art. 67, comma 3, lett. d-e), l. fall.

[5] Cass. Civ., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504 (anche con riferimento a tutte le altre citazioni nel testo).

[6] In questo senso, si vedano Cass. Civ., Sez. Un., 13 gennaio 2017, n. 760; Cass. Civ., Sez. Un., 27 dicembre 2016, n. 26988; in precedenza, la Cassazione aveva ritenuto che l’art. 182-ter l. fall. costituisse una norma eccezionale, dalla natura sostanziale e non procedimentale, riconducibile al precetto comunitario d’intangibilità delle risorse UE, statuendo che il divieto di falcidia IVA fosse applicabile in ogni caso e, dunque, ove anche la proposta concordataria non avesse contenuto la transazione fiscale (Cass. Civ., Sez. Un., 4 novembre 2011, nn. 22931-22932).

[7] Il richiamo è alla sentenza 7 aprile 2016 con la quale la Corte di Giustizia dell’UE, nell’ambito del procedimento C-546/2014, nel confermare che l’art. 4, par. 3, Trattato UE, nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273, Direttiva 2006/112 impongono agli Stati membri di adottare misure idonee a garantire l’integrale prelievo del gettito IVA, ha riconosciuto la legittimità delle norme interne che consentano all’imprenditore insolvente di soddisfare non integralmente il tributo IVA nell’ambito di una procedura concordataria, laddove: i) il patrimonio non sia idoneo ad assicurare il soddisfacimento integrale del tributo, ii) un esperto indipendente attesti che la posizione creditoria erariale non riceverebbe un trattamento migliore in sede di alternativo fallimento; iii) sia assicurato all’ente finanziario l’esercizio del diritto di voto ai fini dell’approvazione della proposta ed ogni relativa eventuale azione di rimedio in termini di gravame.

[8] La rubrica del nuovo art. 182-ter è mutata da “Transazione fiscale” a “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”.

[9] Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in caso di “continuità” tra vecchia e nuova disciplina, la seconda può essere impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima (Cass. Civ., Sez. Un., 24 giugno 2020, n. 12476).

[10] Cass. Civ., Sez. I, 13 giugno 2018, n. 15414.

[11] Comm. Trib. Prov. di Milano, n. 5429/2019; Comm. Trib. Prov. di Roma, n. 26135/2017; Comm. Trib. Prov. di Salerno, n. 240/2020 (contra: Comm. Trib. Reg. della Lombardia, n. 2703/2020). 

[12] Del resto, secondo la Suprema Corte, la possibilità di ricondurre il diniego erariale all’ambito dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 non è rilevante ai fini della questione di giurisdizione, indicando, tale norma, unicamente - con elencazione suscettibile d’interpretazione estensiva -, la tipologia degli atti che possono essere impugnati avanti al foro tributario.


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