CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 25/11/2020 Scarica PDF

Noterelle sugli accordi di ristrutturazione agevolati e ad efficacia estesa nel Codice della crisi d'impresa

Federico Rolfi, Magistrato addetto all'Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia


Sommario: 1. Premessa – 2. Gli accordi di ristrutturazione agevolati – 3. Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa: il nuovo assetto del C.C.I.  – 4. Le categorie – 5. Le trattative – 6. L’ambito oggettivo – 7. L’omologazione – 8. Il benchmark del no creditor worse off – 9. L’esonero da revocatoria

 

 

1. Premessa

È assai più che probabile che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d. lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (“Disposizioni integrative e correttive a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2019, n. 20, al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”) – e cioè il lungamente atteso “decreto correttivo” – non segni l’ultimo intervento sul tessuto del Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza (C.C.I.), la cui vita si sta rivelando, del resto, piuttosto tormentata ancora prima della definitiva entrata in vigore. Con l’intervento del Correttivo, tuttavia, può dirsi conclusa una prima fase di elaborazione della nuova disciplina dell’insolvenza, con il conseguente cristallizzarsi di un testo che – salvo sviluppi imprevedibili – non dovrebbe subire stravolgimenti e modifiche radicali, eccezion fatta per quelle rese necessarie per attuare il pieno recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023, preventive restructuring framework.

È, quindi, nell’auspicio che il 1° settembre 2021 veda l’inizio dell’applicazione di un Codice ormai “riveduto e corretto” - e quindi consolidato nel proprio complessivo assetto - che ci si accinge a svolgere una sintetica analisi di due degli istituti sui quali il Codice sembra scommettere in modo particolare, e cioè gli A.D.R. “agevolati” e “ad efficacia estesa”. Il ruolo di queste due figure – una radicalmente nuova e l’altra già introdotta nella Legge Fallimentare ma oggetto di un significativo restyling nel C.C.I. – dovrebbe essere quello di incentivare in modo radicale l’impiego di una figura che, sebbene abbia costituito una delle grandissime novità della Riforma della Legge Fallimentare, ha registrato una diffusione molto inferiore alle aspettative ed alle potenzialità dell’istituto.

Il tentativo di rilancio operato dal legislatore del Codice, invece, si inserisce con piena coerenza nell’ottica di salvaguardia della continuità di impresa che caratterizza l’intero impianto complessivo della nuova disciplina della crisi e dell’insolvenza, e mira a rendere disponibile alle imprese uno strumento potente e flessibile che consenta una risoluzione anticipata della crisi, eliminando alcuni degli ostacoli che in passato hanno reso eccessivamente arduo il ricorso all’istituto. Per giungere a tale risultato il Codice, come ci si appresta a vedere, ha compiuto una serie di scelte radicali che finiscono per modificare profondamente i caratteri degli A.D.R., rendendoli istituto in gran parte diverso da quello delineato dalla Legge Fallimentare.

 

2. Gli accordi di ristrutturazione agevolati

Prendendo allora le mosse dagli A.D.R. “agevolati”, appare opportuno puntualizzare che gli stessi, nonostante la rubrica dell’art. 60 C.C.I. possa indurre ad opinare il contrario, non costituiscono in realtà una figura autonoma rispetto agli A.D.R. “standard” ma si presentano come ipotesi speciale di “abbattimento” della percentuale minima di adesione stabilita dall’art. 57 C.C.I.

L’introduzione degli A.D.R. agevolati costituisce diretta attuazione del principio di delega di cui all’art. 5, comma 1, lett. b), della L. 19 ottobre 2017, n. 155, che anzi – con una scelta assolutamente radicale - aveva espressamente lasciato al legislatore delegato spazio la possibilità di procedere alla eliminazione totale del limite di adesioni del 60% conservato invece nella previsione generale di cui all’art. 57. La scelta del legislatore delegato è stata invece quella più prudenziale di conservare una percentuale minima di adesioni, ma di operare il dimezzamento del limite, in tal modo portato al solo 30% dei crediti vantati da terzi verso l’impresa in crisi. Al di là di tale riduzione, comunque cospicua, opera invece nella sua integralità il regime di cui all’art. 57 C.C.I., a cominciare dall’obbligo di procedere al pagamento integrale dei creditori estranei nella tempistica individuata dal comma 3 della previsione appena citata, a conferma dell’assenza di una vera autonomia della fattispecie di cui all’art. 60.

È evidente che un accordo di ristrutturazione che preveda il pagamento integrale di crediti che possono giungere alla percentuale del 70% dell’indebitamento complessivo risulta accessibile solo ad un’impresa che conservi una rilevante capacità residua di adempiere alle proprie obbligazioni, e che quindi si trovi in uno stato di crisi, verosimilmente ancora embrionale e comunque ancora largamente gestibile. Ipotesi, questa, la cui frequenza verrà in futuro a dipendere strettamente da una piena attuazione della nuova disciplina sugli assetti imprenditoriali enunciata in primo luogo dall’art. 2086 c.c. “riformulato”, nonché da un atteggiamento imprenditoriale pronto ad affrontare i segnali di crisi sin dal loro primo palesarsi. Appare, comunque, ragionevole prevedere che l’ipotesi “estrema” pur resa possibile dalla norma in questione si verrà a verificare con ridotta frequenza, mentre più verosimile è che il ricorso alla previsione avvenga nei casi in cui – anche per l’atteggiamento ostruzionistico di alcuni creditori – risulti precluso, anche se in misura magari ridotta, il raggiungimento della percentuale del 60%.

Da questo punto di vista, la norma in esame si presenta come “concorrente” diretto, e forse strumento più agevole, degli A.D.R. ad efficacia estesa di cui all’art. 61 C.C.I. Come quest’ultima previsione, invero, l’art. 60 C.C.I. mira ed evitare che il ricorso alla soluzione alternativa alla crisi di impresa venga impedito – o piuttosto ostacolato – dall’atteggiamento dei quei creditori che - giocando sul peso decisivo che il proprio credito può avere sulla determinazione della percentuale di adesioni - mirano, non tanto ad ottenere il pagamento integrale del credito (comunque dovuto ove restino estranei agli A.D.R.), quanto a strappare indirettamente anche ulteriori vantaggi (non dovuti) dall’impresa in crisi.

Accanto al profilo di neutralizzazione del moral hazard dei creditori, nella previsione in esame viene ad operare un meccanismo premiale correlato ai suoi presupposti di operatività. La possibilità di avvalersi della percentuale ridotta di adesioni, infatti, è subordinata al duplice presupposto sia della mancata attivazione del meccanismo della convenzione di moratoria di cui all'articolo 62 (art. 60, comma 1, lett. a) sia del mancato ricorso allo strumento delle misure protettive temporanee (art. 60, comma 1, lett. b). In altri termini, il legislatore viene a ricollegare indirettamente la possibilità di avvalersi dell'accordo di ristrutturazione agevolato ad una attivazione talmente anticipata dello strumento di risoluzione alternativa della crisi di impresa da consentire all'imprenditore di escludere la possibilità di aggressione da parte dei creditori. La rinuncia al sistema complessivo di "protezioni", infatti, risulta evidentemente praticabile solo per un soggetto che, o sia in grado di escludere ragionevolmente l'eventualità che qualcuno dei creditori estranei assuma iniziative aggressive, oppure sia comunque in grado di sostenere tali iniziative senza concreta compromissione delle possibilità di accesso all'accordo di ristrutturazione. Torna ancora ad assumere rilevanza la capacità dell’imprenditore di attivarsi tempestivamente (anzi, anticipatamente) per affrontare la crisi d’impresa al suo primo manifestarsi, evidenziandosi in tal modo che il meccanismo premiale degli A.D.R. agevolati viene a collegarsi in modo diretto e palese ad assetti imprenditoriali efficienti, capaci di far attivare l’impresa prima ancora che ad attivarsi siano i creditori.

Per quanto riguarda la mancata proposizione della moratoria dei creditori estranei, peraltro, è forse persino superfluo puntualizzare che ad essere escluso è il ricorso all'estensione della convenzione di moratoria ai non aderenti, laddove la conclusione regolare di un simile tipo di convenzione con tutti o alcuni membri del ceto creditorio che aderiscano agli A.D.R. risulta evidentemente compatibile con l'art. 60. In sintesi, ad essere esclusa dall'art. 60 è la possibilità di avvalersi delle forme di protezione "imposte" previste dall’art. 62, e cioè ottenute attraverso un provvedimento di estensione adottato dal tribunale, mentre nessun ostacolo si pone con riguardo ai meccanismi di “congelamento” che siano oggetto di una apposita e libera pattuizione con i creditori

Forse il profilo di maggior interesse della previsione di cui alla lettera a) è costituito dal fatto che il legislatore viene in tal modo ad escludere una compatibilità tra A.D.R. agevolati ed estensione della convenzione di moratoria ex art. 62. Questa constatazione, tuttavia, non sembra poter condurre l'interprete ad affermare in modo ulteriore la incompatibilità del meccanismo di cui all'art. 60 con quello di cui al precedente art. 61, e cioè gli A.D.R. ad efficacia estesa, considerata l'autonomia delle fattispecie di cui agli articoli 61 e 62 (profilo, questo, su cui si avrà modo di tornare).

Per ciò che concerne, invece, il presupposto di cui alla lettera b), è interessante notare che l'articolo 60 esige che il debitore non solo non abbia richiesto tali misure, ma anche "rinunci" a richiederle. Il legislatore, quindi, sembra esigere una espressa dichiarazione da formularsi, evidentemente, nel ricorso volto ad ottenere l'omologazione degli A.D.R. o nel precedente ricorso di accesso alla procedura, di cui al combinato disposto degli artt. 40 e 44, comma 1, lett. b), C.C.I.

La possibilità di invocare la percentuale ridotta, infatti, non è esclusa nel caso in cui l'imprenditore chieda il termine compreso tra 30 e 60 giorni contemplato all'articolo 44, comma 1, lettera a), dal momento che nel nuovo meccanismo del C.C.I. la fissazione del termine di quello che nella attuale legge fallimentare viene convenzionalmente definito "concordato in bianco" non comporta (a differenza di tale ultima figura) alcun effetto protettivo automatico, essendo le misure protettive rimesse ad una specifica istanza del debitore.

Quindi:

a) nel caso del ricorso per omologazione “pieno”, il debitore non solo verrà ad invocare la percentuale ridotta del 30% dei crediti aderenti ma dovrà ulteriormente: I) evidenziare che non è stata formulata richiesta di estensione della (eventuale) convenzione di moratoria ai creditori estranei; II) dichiarare espressamente di rinunciare all'attivazione delle misure protettive di cui agli articoli 54 e 55;

b) nel caso del ricorso artt. 40 e 44, comma 1, lett. a), C.C.I. il debitore, nel chiedere la fissazione del termine, dovrà enunciare l’intenzione di avvalersi del disposto di cui all’art. 60, e quindi dichiarare di rinunciare ab initio sia alla richiesta di adozione delle misure protettive sia all’istanza di estensione di una eventuale moratoria.

Il profilo interpretativo forse più problematico connesso al presupposto della lettera b) è costituito dalla individuazione delle "misure protettive temporanee" cui fa riferimento il legislatore. Se, infatti, è indubbio che la locuzione si riferisce alle misure disciplinate articoli 54 e 55, ci si può invece interrogare se la locuzione debba essere estesa anche alle misure protettive chieste ed ottenute durante il procedimento di composizione assistita della crisi, disciplinate all'articolo 20.

La risposta positiva al quesito potrebbe essere corroborata dalla valutazione della finalità della previsione in corso che, come visto in precedenza, è quella di premiare non tanto la mancata attivazione in sé dei meccanismi di protezione del patrimonio dell'impresa, quanto una attivazione dell'imprenditore nell'accedere alle soluzioni alternative alla crisi talmente anticipata (e peraltro del tutto coerente con i nuovi principi in tema di assetti organizzativi dell'impresa e della società introdotti dagli artt. 375 e 377 del Codice) da neutralizzare il rischio di iniziative aggressive dei creditori. Ragionando in questi termini l'inclusione delle misure protettive di cui all'art. 20 nella fattispecie di cui all'art. 60 risulterebbe ampiamente coerente e funzionale, non senza osservare che proprio l'attivazione tempestiva e anticipata da parte del debitore dovrebbe consentirgli di predisporre l'accordo di ristrutturazione saltando di slancio la fase del procedimento di composizione assistita, e rendendo quindi superfluo anche il ricorso all'articolo 20. Va poi considerata anche la valutazione unitaria che delle misure protettive compiono l’art. 8 e – a livello superiore – l’art. 6, par. 8 della Direttiva (UE) 2019/1023, dai quali è possibile evincere una sostanziale omogeneità delle misure di cui all’art. 20 con quelle di cui all’art. 54.

La risposta negativa, invece, risulta corroborata da considerazioni soprattutto di natura funzionale, e cioè dall’esigenza di evitare che la fase davanti all’OCRI vada a generare un detrimento per il debitore, laddove è evidente che tale fase mira invece ad assisterlo nell’elaborazione di una soluzione alla crisi d’impresa alternativa alla liquidazione giudiziale.

È lecito domandarsi, infine, cosa possa avvenire quando il debitore, dopo aver presentato una domanda di omologazione di un A.D.R. agevolato con espressa rinuncia alla richiesta di misure protettive temporanee, venga successivamente a trovarsi nella contingenza di dover invece chiedere la concessione di tali misure.

Non sembra ipotizzabile che la rinuncia operata inizialmente precluda in via definitiva la richiesta di concessione delle misure protettive, rendendo una eventuale istanza in tal senso processualmente inammissibile, a meno di ricondurre alla rinuncia l’effetto di un’abdicazione definitiva ed irrevocabile della facoltà processuale.

Ove, tuttavia, si escluda che la preliminare rinuncia alle misure protettive abbia un effetto preclusivo di natura processuale rimane tuttavia lo scoglio determinato dall’automatico innalzamento della soglia minima di adesioni, e dalla conseguente necessità per l'imprenditore di acquisire ulteriori adesioni in misura tale da poter raggiungere la percentuale standard del 60% di cui all'articolo 57.

Anche in questo caso la risposta non può essere univoca, ma deve operare una distinzione.

a) Nel caso in cui il debitore abbia semplicemente presentato ricorso artt. 40 e 44, comma 1, lett. a), non sembrano frapporsi ostacoli ad una “virata” del debitore, fermo restando che, a norma dell’art. 54, comma 3, la concessione delle misure protettive sarà subordinata all’attestazione della pendenza di trattative con creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, con conseguente necessità per il debitore di estendere tempestivamente la platea dei creditori interessati dalle trattative medesime;

b) Nel caso in cui il debitore abbia invece già depositato una domanda “piena” con percentuale di adesioni inferiore al 60%, si pone lo spinoso tema della possibilità per il debitore di ottenere ulteriori adesioni all'accordo nelle more dell'omologazione, possibilità che la giurisprudenza subordina alla sussistenza della percentuale minima già al deposito della domanda, pena l’inammissibilità di quest’ultima. Questo vorrebbe dire che una domanda ammissibile al momento del suo deposito potrebbe divenire a posteriori inammissibile per effetto della presentazione di domanda di concessione di misure protettive, a meno di ritenere che l’originaria ammissibilità della domanda non consenta al debitore di raccogliere sino al momento dell’omologa le ulteriori adesioni necessarie per il raggiungimento della quota del 60%. Conclusione che potrebbe apparire spericolata, ma che consentirebbe di conservare la domanda evitando lo scenario deteriore della declaratoria di inammissibilità del ricorso per omologazione, con non improbabile sbocco nella liquidazione giudiziale.

Il problema appena delineato sembra però trovare una soluzione lineare e molto pratica già nel dato normativo. È infatti evidente che un così drastico mutamento della percentuale di adesione viene ad integrare una "modifica sostanziale" del piano, conducendo allo scenario disciplinato all'articolo 58, il quale, a ben vedere, è una chiara ipotesi normativa di stand-by della procedura di omologazione, finalizzata a consentire la revisione dell’architettura degli A.D.R.

Il debitore, quindi, ottenuta la misura protettiva si troverà nella necessità di rivedere il piano, fare rinnovare l'attestazione da parte del professionista e chiedere il rinnovo delle manifestazioni di consenso da parte dei creditori che abbiano già aderito alla prima versione dell'accordo (fermo restando che a questo punto sarà probabile una modifica degli A.D.R. anche nei contenuti). Va solo aggiunto che nulla sembra vietare, a questo punto che, nelle more di tale rielaborazione, il debitore venga ad avvalersi anche del meccanismo di estensione della convenzione di moratoria di cui all'articolo 62.

Su questo scenario incide, tuttavia, il problema interpretativo in ordine alla possibilità di cumulare o meno gli artt. 60 e 61 C.C.I. considerati i riflessi che esso presenta in primo luogo sul ventaglio di scelte strategiche dell’imprenditore.

Ove si acceda alla tesi per cui le due previsioni sono incompatibili, l’impresa avrà modo di scegliere gli A.D.R. agevolati qualora abbia la sola necessità di superare vere e proprie condotte abusive dei creditori non aderenti, mentre opterà per gli A.D.R. ad efficacia estesa quando abbia la possibilità di raggiungere comunque la percentuale di adesione del 60% di crediti, ma intenda estendere anche ai non aderenti il trattamento convenuto con i creditori aderenti, migliorando la performance dell’accordo.

Ove, invece, si ritenga possibile costruire “A.D.R. agevolati ad efficacia estesa”, all’impresa in crisi si aprirà la possibilità di raggiungere l’accordo con creditori che rappresentino unicamente il 30% dei crediti ma, ulteriormente, di estendere il trattamento convenuto ai non aderenti compresi nelle categorie omogenee, alla condizione che gli aderenti in tali categorie raggiungano comunque il 75% della categoria.

In realtà non sembrano sussistere elementi concreti per affermare la incompatibilità concettuale o sistematica dei due istituti, dal momento che, da un lato, gli A.D.R. agevolati costituiscono una mera ipotesi speciale di A.D.R. nei quali viene ad operare una percentuale di adesioni più ridotta, mentre, dall’altro lato, gli A.D.R. ad efficacia estesa, nonostante l’ampliamento dell’ambito di operatività stabilito dal C.C.I. non costituiscono una figura autonoma e distinta rispetto agli A.D.R. standard,e ben possono essere attivati in presenza dei presupposti stabiliti dall’art. 60.

L’unico concreto elemento ostativo ad una operatività congiunta degli artt. 60 e 61, è costituito dal fatto che in tal modo il debitore, con una percentuale di adesioni del solo 30% si troverebbe nella possibilità di estendere il trattamento a creditori non aderenti, purché venga a collocare questi ultimi nell’ambito di “categorie” nelle quali gli aderenti raggiungono il 75% dei crediti.

Considerazioni non dissimili, del resto, apparentemente avevano condotto, in sede di conversione del d.l. 83/2015, ad espungere dall’art. 182-septies l’originario secondo comma, il quale prevedeva che i creditori non aderenti cui fosse stata estesa l’efficacia dell’accordo venissero conteggiati ai fini del calcolo della percentuale minima di adesioni. L’espunzione, infatti, venne giustificata con la insostenibilità di un meccanismo che avrebbe consentito di giungere all’omologa dell’accordo con una percentuale di crediti aderenti inferiore al 50%, e quindi “deteriore persino rispetto al concordato preventivo”[2]. 

Le argomentazioni contrarie ad una estensione della percentuale di cui all’art. 60 alla fattispecie di cui all’art. 61 debbono però confrontarsi con una duplice obiezione.

In primo luogo lo scenario alla base delle considerazioni che hanno condotto all’amputazione del secondo comma dell’art. 182-septies L.F. risulta mutato nel C.C.I. Che un accordo di ristrutturazione possa essere omologato nonostante riscuota una percentuale del solo 30% di adesioni costituisce ormai dato di diritto positivo, per quanto tale dato si ponga in controtendenza rispetto al principio maggioritario che permea il concordato preventivo, ma forse in piena coerenza con una “lettura” degli accordi di ristrutturazione tuttora svincolata da meccanismi di tipo “assembleare”, nonostante non manchino letture in senso contrario[3]. Preso, quindi, atto del fatto che nel Codice il favor (peraltro di matrice eurounitaria) per gli A.D.R. è ormai giunto a superare – seppure in uno scenario particolare – il “feticcio” maggioritario, l’unico concreto problema che può porsi (al di là delle alchimie aritmetiche indubbiamente ardue nel caso in esame[4]) è se tale superamento sia comunque compatibile con un’altra fattispecie peculiare nella quale comunque meccanismi di adesione maggioritaria sono previsti. Il che si traduce nel domandarsi se non vi sia una contraddizione tra l’imporre entro le singole categorie una percentuale di adesioni del 75%, ed ammettere tuttavia che tali adesioni possano poi raggiungere il solo 30% del montante complessivo dei crediti.

In secondo luogo, è evidente che nello scenario di compatibilità degli artt. 60 e 61 C.C.I. non verrebbe comunque a riproporsi il meccanismo dell’originario secondo comma dell’art. 182-septies L.F., in quanto, mentre quest’ultima ipotesi generava una vera e propria “conversione” della mancata adesione in vera e propria adesione ai fini del calcolo del montante di crediti aderenti (con un meccanismo che, peraltro, risulta assai affine a quello previsto dagli artt. 48, comma 5, e 80, comma 3, C.C.I., con buona pace del principio maggioritario, e che in teoria – si faccia attenzione - potrebbe operare proprio anche negli A.D.R. agevolati e negli A.D.R. ad efficacia estesa), nel caso in esame la percentuale "ridotta" di adesioni del 30% dovrebbe comunque essere calcolata con riferimento ai soli crediti dei creditori aderenti e non anche con riferimento ai crediti dei creditori cui venga estesa per effetto del provvedimento del tribunale l'efficacia dell'accordo di ristrutturazione. Il che si tradurrebbe nel concludere che (costituendo il 30% dei crediti aderenti almeno il 75% - e quindi ¾ - dei crediti collocati in ciascuna categoria) il meccanismo di estensione degli effetti dell’accordo dovrebbe consentire di “acquisire” alle condizioni dell’accordo un ulteriore 10% di crediti (cioè un ulteriore quarto).

Una risposta definitiva, tuttavia, può venire solo da un approfondimento sui “nuovi” A.D.R.  ad efficacia estesa.

 

3. Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa: il nuovo assetto del C.C.I.

La figura, com’è noto è stata introdotta con il D.L. 83/2015 sulla falsariga di figure presenti in altri ordinamenti (la Sauvegarde finncière accélerèe e lo Scheme of arrangement) nell’ottica di recepire le sollecitazioni provenienti dalla Raccomandazione della Commissione U.E. del 12 marzo 2014[5], ed in particolare il paragrafo 20 di quest’ultima (“Per rendere più efficace l’adozione del piano di ristrutturazione, gli Stati membri dovrebbero inoltre garantire che possano adottarlo soltanto determinati creditori o determinati tipi o classi di creditori, a condizione che gli altri creditori non siano coinvolti.”).

L’impostazione di fondo, quindi, era quella di costruire uno strumento “speciale” destinato esclusivamente ai creditori aventi la qualifica di banche ed intermediari finanziari, in virtù del quale quello che sino a quel momento costituiva uno dei principi cardine dell’accordo di ristrutturazione – l’integrale pagamento dei creditori “estranei” - veniva ad essere parzialmente superato, consentendo l’estensione degli effetti degli A.D.R. anche a creditori “non aderenti”. La finalità era quella di superare le condotte di chicane poste in atto dai creditori finanziari più “piccoli”, i quali, avvalendosi del carattere decisivo della propria adesione per il raggiungimento della percentuale di legge del 60% e della possibilità di far naufragare integralmente l’ipotesi di A.D.R., riuscivano a conseguire, col proprio hold-out, lo scopo di ottenere il pagamento integrale del credito, spesso dalle altre banche partecipanti all’accordo[6].

Di qui l’elaborazione di un meccanismo articolato, basato sulla creazione di “categorie” omogenee di creditori (comunque finanziari), sul conseguimento, nell’ambito di tali “categorie” di una maggioranza di aderenti pari al 75% dei crediti compresi in ciascuna classe, e su una fase di omologazione finale che – in ogni caso ed al di là della presenza di opposizioni[7]  – vede comunque il tribunale chiamato ad uno scrutinio assai più approfondito di quello previsto per l’ipotesi standard di A.D.R., dal momento che il tribunale medesimo è comunque tenuto a verificare la conformità a buona fede di tutta la fase delle trattative che hanno condotto all’accordo, nonché la correttezza dei criteri di formazione delle “categorie”.

Nonostante i caratteri di marcata peculiarità della fattispecie – non da ultimo a causa della dichiarata deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c., oggetto di critiche in dottrina – la figura di cui all’art. 182-septies L.F., conserva gran parte dei caratteri degli A.D.R. standard, tali da renderla una mera ipotesi speciale di A.D.R. (o, com’è stato detto, una “porzione” dell’A.D.R.[8] una sua “integrazione”[9] o una “giustapposizione”[10]), limitata tuttavia alla categoria degli intermediari finanziari e tale da non rivoluzionare in via generale i caratteri generali dell’accordo. Ciò è comprovato dalla persistente operatività della regola generale di cui all’art. 182-bis L.F. per ciò che concerne i creditori “non intermediari finanziari”, cui il contenuto dell’accordo non può essere in alcun modo esteso, e la cui adesione può rivelarsi ancora necessaria nell’ipotesi in cui l’adesione degli intermediari finanziari non consenta di raggiungere la soglia minima del 60% di crediti. L’art. 182-speties, si limita a “ritagliare” nella generalità dei creditori un’area soggettiva speciale (i creditori intermediari finanziari, appunto), cui applicare una “sotto-regola” speciale, senza tuttavia creare uno strumento parallelo ed alternativo all’art. 182-bis L.F., che conserva valenza generale.

Questo quadro – che riusciva a conservare dei margini di stabilità – è stato invece rivoluzionato dal C.C.I. nel momento in cui – in precisa attuazione della delega contenuta all’art. 5, comma 1, lett. a) della delega di cui alla L. 155/2017 (“(…) a) estendere la procedura di cui all’articolo 182-septies del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, all’accordo di ristrutturazione non liquidatorio o alla convenzione di moratoria conclusi con creditori, anche diversi da banche e intermediari finanziari, rappresentanti almeno il 75 per cento dei crediti di una o più categorie giuridicamente ed economicamente omogenee;”) – l’art. 67 – a fronte di una previsione generale sugli A.D.R. alquanto scarnificata rispetto all’art. 182-bis L.F. (art. 57) – riduce la figura destinata agli intermediari finanziari ad una mera “sotto ipotesi” destinata agli A.D.R. liquidatori (comma 5), mentre per le ipotesi in continuità rende gli A.D.R. ad efficacia estesa figura a valenza generale nei confronti di tutti i creditori, quale che ne sia la qualifica.

Non mette conto nella presente sede operare una valutazione degli effetti che tale rivoluzione può avere sull’annosa questione della classificazione degli A.D.R. come procedura concorsuale o meno[11]. Ciò che rileva è che l’enorme portata espansiva dell’intervento vale a conferire alla fattispecie di cui all’art. 61 una valenza generale tale da determinare il superamento definitivo e generale del principio di intangibilità dei creditori “estranei”. Il tutto, peraltro, con l’ulteriore problema di confrontare tale risultato con l’impostazione seguita dalla successiva Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 sui quadri di ristrutturazione, il cui art. 15, par. 2 prevede invece che “Gli Stati membri provvedono affinché i creditori che non sono coinvolti nell'adozione del piano di ristrutturazione ai sensi del diritto nazionale non siano interessati dal piano.”.

Interessa, questo punto, verificare la nuova valenza dell’istituto possa determinare una revisione dei principi che si sono venuti a sedimentare in sede di interpretazione dell’art. 182-septies L.F. 

Il primo problema è se possa ancora ritenersi – come è avvenuto con la norma da ultimo citata – che gli A.D.R. ad efficacia estesa costituiscano una mera ipotesi di trattamento speciale dei creditori rispetto alla previsione generale degli A.D.R., o se gli stessi non vengano a costituire una vera e propria figura autonoma.

Sul piano concreto, è indubbio che gli A.D.R. ad efficacia estesa presentino l’indubbio vantaggio di consentire al debitore di estendere il trattamento convenuto con i creditori aderenti (rectius con le singole categorie di creditori aderenti) anche ai non aderenti, aprendo in ipotesi estrema lo spazio ad uno scenario nel quale gli effetti dell’accordo potrebbero essere estesi a tutti i creditori, alla sola condizione di conglobare questi ultimi in categorie autonome, e di raggiungere in ciascuna categoria adesioni pari al 75% dei crediti. In questo scenario, quindi, la distinzione tra creditori aderenti e creditori non aderenti finirebbe per rilevare ai soli fini del calcolo della percentuale di adesioni (peraltro per necessità aritmetica pari o superiore al 60%, salvo quanto ipotizzato in merito alla possibilità di configurare “A.D.R. ad efficacia estesa agevolati”) ma non ai fini della determinazione del trattamento. Si tratta, tuttavia, di uno scenario limite la cui improbabilità sembra surrogata proprio dal fatto che il debitore potrebbe optare, a questo punto, per il concordato preventivo, il quale non richiede maggioranze così elevate (sempre, si ribadisce, ove non si ritenga applicabile l’art. 60 all’art. 61).

Lo scenario più probabile, quindi, è quello di un ricorso che veda la “costruzione” di alcune categorie di creditori, allo scopo di estendere gli effetti degli A.D.R. ai non aderenti facenti parte di tali categorie, ed un gruppo di creditori non aderenti lasciato fuori dalle categorie e destinato a ricevere il trattamento previsto dall’art. 57. Anche in virtù dell’estensione soggettiva operata dall’art. 61 C.C.I., infatti, non sembra condivisibile la tesi per cui sia preclusa al debitore l’individuazione dei creditori estendere gli A.D.R.[12], dal momento che, nello scenario di cui all’art. 61 una simile affermazione si tradurrebbe nell’estensione degli A.D.R. a tutti i creditori non aderenti, con effetto finale affine a quello del concordato preventivo.

Se poi si considera che la percentuale minima di adesioni non viene modificata – almeno dall’art. 61 – sembra corretto ritenere che nel C.C.I. venga a configurarsi una figura generale di A.D.R. costituita dal complesso degli artt. 57 e 61, rispetto al quale gli A.D.R. “puri” (cioè senza estensione) contemplati dall’art. 57 verranno a costituire ipotesi speciale, senza che tuttavia possa parlarsi di due vere e proprie fattispecie autonome, a conferma della persistente (seppur multiforme) unità dell’istituto.

È’ statisticamente verosimile, quindi, che il debitore, ottenute le adesioni pari alla soglia minima, “ceda alla tentazione” di cercare la strada dell’estensione ad alcuni non aderenti, soprattutto perché tale estensione consentirà di liberare risorse per il soddisfacimento degli altri creditori non destinatari dell’estensione. Si può anzi osservare che nei casi in cui, raggiunta la percentuale minima di adesioni, il debitore non riesca comunque a liberare risorse per il pagamento dei non aderenti, l’estensione costituirà passaggio obbligato proprio per raggiungere tale risultato finale. Da questo punto di vista, non può non rilevarsi che il meccanismo dell’efficacia estesa non vale semplicemente a superare atteggiamenti di chicane di alcuni creditori, ma rende praticabile la strada degli A.D.R. anche in situazioni in cui, pur in presenza della percentuale minima di adesioni, non si verrebbe a generare la liquidità necessaria per il pagamento integrale dei non aderenti. Il ricorso agli A.D.R. “puro”, quindi, si avrà quando il debitore non abbia necessità di ottenere l’estensione (non avendo creditori “ostici” ed essendo in grado di liberare risorse adeguate anche con la sola percentuale minima di legge), semplificando in tal modo la fase dell’omologazione che, in tal caso, non dovrà soffermarsi sulla valutazione dei profili richiamati dall’art. 61 C.C.I.

 

4. Le categorie

È noto che in ordine all’impiego nell’art. 182-septies del termine “categorie” anziché “classi”, ha ormai registrato una convergenza, anche se non l’unanimità, sulla tesi delle sostanziale assimilabilità del primo termine al secondo[13], ferma restando invece l’autonomia funzionale delle due figure, dal momento che scopo delle “categorie” è quello di ottenere l’estensione ad alcuni creditori dissenzienti del trattamento convenuto con gli aderenti senza determinare disparità di trattamento rispetto ai creditori aderenti[14], mentre il ruolo delle classi nel concordato è più ampio, e collegato alla tutela della par condicio ed alla formazione delle necessarie maggioranze[15].

Negli A.D.R. ad efficacia estesa della Legge Fallimentare, tuttavia, risultano ancora dibattuti alcuni profili, a cominciare dalla necessità o meno per il debitore di formare più classi e non una sola[16], e della possibilità di operare un trattamento differenziato dei creditori collocati nella medesima classe[17], nonché della correlata necessità di concludere con gli aderenti compresi nella medesima categoria un solo atto unitario di accordo e non tanti accordi distinti, sia pure di identico contenuto[18].

L’estensione dell’ambito di operatività contemplata dall’art. 61 C.C.I. non può tuttavia non indurre a ripensare alcuni di questi profili, risolvendoli in modo forse diverso da quanto in precedenza ipotizzato.

In ordine alla necessità di formare più “categorie” vi è da dire che detto vincolo sembra ormai discendere anche dalle indicazioni provenienti dalla Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 sui quadri di ristrutturazione, il cui art. 9, par. 4 prevede invece che “Gli Stati membri provvedono affinché le parti interessate siano trattate in classi distinte che rispecchiano una sufficiente comunanza di interessi, basata su criteri verificabili, a norma del diritto nazionale. Come minimo, i creditori che vantano crediti garantiti e non garantiti sono trattati in classi distinte ai fini dell'adozione del piano di ristrutturazione.”, trovando peraltro un riflesso coerente nell’art. 85, comma 4 C.C.I. Già tale indicazione sembra rendere evidente che, anche nella sola categoria degli intermediari finanziari la creazione di categorie distinte sia resa necessaria dalla semplice presenza di crediti chirografari e crediti muniti di garanzia. Nel caso dell’art. 61, peraltro, l’estensione dell’ambito di applicazione alla generalità dei creditori e non più alla sola categoria – comunque ristretta - dei creditori intermediari finanziari, viene a palesare l’inevitabilità di procedere alla creazione di più categorie, con la sola eccezione dell’ipotesi in cui il debitore riesca a creare una sola categoria di creditori totalmente omogenei, nel cui ambito sia riuscito ad ottenere adesioni pari alla soglia minima di legge.

Una novità dell’art. 61 C.C.I. rispetto alla corrispondente previsione dell’art. 182-septies L.F. è costituta invece dal venire meno della previsione speciale contenuta nel terzo comma di quest’ultima norma, e cioè della regola per cui non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese. La previsione in questione ha la funzione non di rendere inefficaci in radice dette iscrizioni – in relazione alle quali, semmai, opererebbe il meccanismo della revocabilità nel successivo fallimento – bensì di impedire che una iscrizione ipotecaria operata in extremis (comunque efficace nell’ipotesi in cui non si giunga all’omologazione con estensione, ma alla omologazione “semplice”)[19] venga ad imporre al debitore l’onere di inserire il creditore in una categoria di creditori privilegiati ipotecari, legittimando invece l’inserimento nella categoria dei chirografari, “sterilizzando” a tal fine l’iscrizione. La Relazione Illustrativa tace sulle ragioni dell’espunzione, che probabilmente è stata dettata proprio dalle perplessità manifestate dagli interpreti in ordine ad una corretta interpretazione. La ricaduta concreta è il venir meno nel C.C.I. della “sterilizzazione”, con conseguente piena valenza delle ipoteche in questione ai fini della “costruzione delle categorie”, e con effetti di possibile incentivazione dei creditori all’acquisizione frenetica di titoli di prelazione quando il debitore non abbia l’accortezza di attivare le misure protettive di cui agli artt. 20 e 54 C.C.I.

In ordine alla possibilità di diversificare il trattamento anche nell’ambito della medesima categoria, va subito rammentato che nessun ostacolo in tal senso può ravvisarsi nella par condicio creditorum, la quale non opera negli A.D.R., così come non vi opera il principio del soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati[20]. A generare perplessità circa la possibilità di un trattamento differenziato “endo-categoria” è soprattutto il profilo concernente l’estensione dell’accordo ai non aderenti compresi nella categoria. Invero sia l’art. 182-septies L.F. sia l’art. 61 C.C.I. nel predisporre il meccanismo di estensione sembrano ragionare nel senso dell’estensione di un unico trattamento già convenuto con gli aderenti, e non dell’estensione di uno tra più possibili trattamenti. A tale considerazione di matrice letterale si aggiunge, ovviamente, il problema della eventuale individuazione del trattamento da estendere. Ove si ritenesse possibile estendere ai creditori non aderenti in via alternativa più trattamenti comunque rispettosi della regola del no creditor worse off (comunque espressamente richiamata dalle norme in esame), si porrebbe evidentemente un problema di natura competitiva tra l’interesse del debitore ad estendere il trattamento a sé più favorevole – e quindi quello meno vantaggioso per il creditore – ed il contrapposto interesse del creditore non aderente.

A tale considerazione si aggiunge poi l’estrema difficoltà di dimostrare un adeguato coinvolgimento dei creditori non aderenti nella fase delle trattative, quando queste abbiano generato una pluralità di accordi. Al riguardo, anzi, sembra ragionevole ritenere che il debitore debba “concepire” le classi se non già nella fase anteriore a quella in cui coinvolge i creditori nelle trattative, sicuramente durante le medesime, in modo da consentire a questi ultimi di valutare pienamente anche lo scenario della successiva possibile estensione. È evidente che tale possibilità verrebbe ad essere compromessa nel caso in cui il singolo creditore venga ad essere genericamente coinvolto senza adeguata contezza di quelle che possono essere le intese oggetto dell’accordo.

Da ultimo vi è da domandarsi se l’omogeneità delle categorie non venga a dipendere anche dall’unitarietà del trattamento ad esse applicato, dal momento che la diversificazione dei trattamenti determina anche una diversificazione degli interessi dei singoli creditori, generando, anzi, il rischio che l’inclusione di singoli non aderenti entro una singola categoria nessun altro fine persegua, se non quello di un “annegamento” del non aderente ai fini dell’estensione nei suoi confronti di un trattamento forse rispettoso del no creditor worse off, ma comunque non favorevole[21].

Alla luce di tali elementi, sembra ragionevole concludere – soprattutto nello scenario “ampliato” dell’art. 61 C.C.I. - che per ogni categoria debba essere individuato un trattamento unitario, oggetto poi dell’estensione ai non aderenti in presenza dei presupposti di legge.

Quanto alla necessità di conglobare l’accordo con i creditori appartenenti ad una categoria in un documento unitario, la stessa non sembra in alcun modo imposta dalle peculiarità dell’istituto, essendo sufficiente che ciascun singolo accordo riproduca le condizioni convenute con i creditori della categoria.

Un tema affrontato dalla dottrina che ha approfondito l’art. 182-septies L.F. è costituito dalla necessità o meno che il professionista proceda ad attestare anche la omogeneità delle categorie, come invece è espressamente stabilito dalla correlata disciplina della convenzione di moratoria (art. 182-septies, quinto comma, L.F.)[22].

L’opinione affermativa, tuttavia, necessita di una verifica alla luce del dettato dell’art. 62 C.C.I., nel quale l’attestazione del professionista in ordine alla omogeneità delle categorie ai fini dell’applicazione della moratoria non compare più. La scelta del legislatore del Codice sembra quindi corroborare una soluzione diametralmente opposta a quella ipotizzata da alcuni. La soluzione peraltro sembra trovare una spiegazione nel fatto che compito del professionista è quello di attestare quanto previsto dall’art. 57, comma 4, C.C.I. (sul quale l’art. 61 non incide), e che rispetto a tale attestazione l’omogeneità delle categorie (e la conseguente possibilità di estendere il trattamento riservato agli aderenti anche ai non aderenti compresi nelle categorie medesime) costituisce in realtà un postulato, su cui l’attestazione stessa viene a basarsi. La valutazione di omogeneità, del resto, sembra esulare in gran parte dalle cognizioni tecniche richieste al professionista, sollecitando profili di valutazione più giuridica che economica.

È invece del tutto ragionevole ritenere che:

- poiché il successo dell’operazione di estensione costituisce postulato dell’attestazione,

e

- poiché (come si vedrà) la mancata omologazione degli “effetti estensivi” non è di per sé incompatibile con l’omologazione degli A.D.R. come A.D.R. “puri” ex art. 57 C.C.I. (ovviamente a condizione che possano condurre al soddisfacimento integrale anche dei creditori estranei cui sia fallita l’estensione del trattamento), conseguentemente il professionista attestatore sia tenuto anche ad operare una valutazione di worst case contemplante la mancata estensione, verificando la tenuta del piano anche in questo scenario.

 

5. Le trattative

L’art. 61 C.C.I., seppure con una diversa formulazione letterale, riprende integralmente i presupposti individuati dall’art. 182-septies L.F. in ordine ai caratteri che devono essere presentati dalla fase delle trattive affinché gli A.d.R. risultino passibili di estensione ai non aderenti.

Nello specifico, tutti i creditori appartenenti alla categoria:

1) devono essere informati dell’avvio delle trattative;

2) devono essere messi “in condizione di parteciparvi in buona fede”;

3) devono ricevere “complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull'accordo e sui suoi effetti”.

La dottrina si è intensamente interrogata in ordine alla valenza del riferimento alla “buona fede” contenuta nell’art. 182-septies L.F. e ripresa dall’art. 61 C.C.I., sia in ordine al carattere “soggettivo” o “oggettivo” di tale buona fede, sia in ordine alla sua riferibilità al debitore o al singolo creditore[23].

Se la buona fede richiamata dalla previsione sembra essere quella “oggettiva” ex artt. 1175 e 1375 c.c. – e cioè fonte integrativa di regole di condotta – va peraltro osservato che gli obblighi in buona fede ex latere debitoris sono in realtà già in gran parte espressi a livello di diritto positivo dalla norma[24], fermo restando il vincolo per il debitore di ottemperare a tali vincoli secondo una lettura “funzionale” finalizzata a veicolare ai creditori un’informazione quanto più ampia ed esaustiva possibile. La lettera della previsione, tuttavia, suggerisce in modo abbastanza chiaro che la regola di buona fede trova applicazione anche ex latere creditoris come “partecipazione in buona fede alle trattative”, ed è forse questo il profilo su cui l’interprete avrà modo di esercitarsi con notevole impegno. La formulazione della previsione, infatti, fa trasparire una certa volontà del legislatore di assoggettare anche il creditore all’osservanza di vincoli di correttezza nella fase delle trattative. Vincoli da intendersi come obbligo di non sottrarsi alle trattative con argomentazioni speciose, di non interferire ingiustificatamente con le trattative intavolate con altri creditori, e financo di motivare la propria mancata adesione.

Non si deve, del resto, obliterare la ratio originaria che ha condotto alla introduzione della previsione, e cioè l’esigenza di neutralizzare condotte di chicane e di moral hazard di singoli creditori. Se si rammenta il collegamento che la dottrina ha stabilito tra clausola generale di buona fede e dovere generale di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., è possibile ipotizzare che la previsione in esame venga indirettamente ad enunciare l’obbligo del creditore di partecipare e collaborare con il debitore nel tentativo di ristrutturazione dell’impresa, e, conseguentemente, di omettere di porre in atto condotte ostative a tale tentativo, e quindi nell’ottica di una soluzione quanto più efficiente della crisi di impresa nell’interesse della generalità dei creditori. Tale obbligo trova unico limite invalicabile nel diritto del singolo creditore a non subire un trattamento deteriore rispetto a quello conseguibile secondo scenari alternativi, e cioè quella regola del no creditor worse off che, non a caso, costituisce il decisivo fattore ostativo all’estensione degli A.D.R. secondo quanto previsto dall’art. 61, comma 2, lett. d), C.C.I.[25].

Da questo punto di vista merita assai più attenzione l’opinione[26] che ha evidenziato che la vera novità di questo richiamo al principio di buona fede è data dalla peculiarità della sanzione collegata alla sua violazione. Mentre, infatti, la violazione della buona fede conduce generalmente a conseguente di tipo risarcitorio, nel caso di specie ci si trova di fronte ad una sanzione di natura reale. Va però detto che questa osservazione, più che attagliarsi alla posizione del debitore[27], il quale si trova meramente a subire una exceptio doli praesentis che conduce alla mancata estensione, sembra da riferirsi al singolo creditore, il quale, ove tenga un atteggiamento non conforme a buona fede nel corso delle trattative, si trova esposto all’estensione di effetti di un accordo cui non ha aderito.

Il coinvolgimento “in buona fede” del singolo creditore nelle trattative ha, quindi, la finalità, da un lato (quello del debitore), di sollecitare il singolo creditore all’adesione volontaria ad un accordo che in ogni caso deve presentare la caratteristica di offrire un trattamento migliore rispetto alle altre alternative concretamente praticabili, e, dall’altro lato (quello del creditore) di valutare (comunque ex fide bona) la convenienza dell’accordo rispetto agli scenari alternativi, e quindi di essere messo nelle condizioni di esprimere un’adesione o un rifiuto di adesione consapevoli ed informati, conseguendo un trattamento equivalente a quello dei creditori della categoria che hanno già aderito, anche se non un trattamento altrettanto vantaggioso quale quello offerto ai creditori di altre categorie, stante la inoperatività della par condicio.

Sulla base di tali premesse l’attività di coinvolgimento nelle trattative che il debitore deve concretamente svolgere si traduce, come già osservato dai commentatori dell’art. 182-septies L.F.[28]:

- in primo luogo nelle trasmissione al singolo debitore di un bagaglio informativo quanto più ampio possibile (in tal modo dovendosi intendere il riferimento alle informazioni “complete ed aggiornate” contenuto nella previsione);

- in secondo luogo nell’invito al creditore a partecipare alle trattative già instaurate con il creditori destinati ad essere collocati nella medesima categoria;

- in terzo luogo nel costante aggiornamento del creditore medesimo sugli sviluppi che le trattative stanno avendo, per quanto non manchino voci che escludono che il debitore debba informare i singoli creditori degli esiti che le trattative stanno avendo con altri creditori[29].

È, infatti, evidente che l’interesse del singolo creditore alla partecipazione può risentire dell’evoluzione dei contatti con gli altri creditori, con la conseguenza che proprio la buona fede richiamata dalla previsione sembra suggerire che il debitore non possa limitarsi ad un “invito” iniziale, ma debba eventualmente aggiornare il creditore degli sviluppi dell’elaborazione degli A.D.R.

Va del resto considerato che in tale fase non può ancora operarsi una distinzione formale tra aderenti e non aderenti, in quanto quest’ultima potrà emergere con nettezza solo all’esito della fase delle trattative. Il vincolo gravante sul debitore, quindi, è quello sia di non escludere ab initio determinati creditori dalle trattative, sia non di condurle con modalità tali da determinare uno svantaggio informativo per il singolo creditore. Quest’ultimo, per contro, non dovrà assumere atteggiamenti o condotte estranei ad una corretta interlocuzione, evitando, ad esempio, di “disturbare” le trattative con altri creditori, di sollecitare ostinatamente notizie o informazioni irrilevanti, di divulgare presso terzi le trattative medesime.

E’ evidente che in questo quadro di interscambio informativo assume particolare rilevanza il piano sotteso agli A.D.R.[30], dal momento che lo stesso deve necessariamente contenere tutti gli snodi fondamentali degli A.D.R., con la conseguenza che tra gli obblighi di “aggiornamento” delle informazioni destinate ai creditori rientrerà anche quello concernente la evoluzione nella elaborazione del piano.

Dal momento che questi profili assumono rilevanza cruciale nella decisione del Tribunale di dare il via all’estensione, la dottrina ha evidenziato l’esigenza che il debitore acquisisca adeguati elementi volti a comprovare l’adempimento degli obblighi informativi[31]. È però evidente che un simile incombente – che nel caso dell’art. 182-septies L.F. risulta limitato agli intermediari finanziari e quindi ad una platea di creditori tendenzialmente ristretta – potrebbe subire una significativa espansione con l’art. C.C.I., a causa dell’eliminazione del limite soggettivo. Ne consegue il rischio di un appesantimento degli oneri del debitore, soprattutto nell’ipotesi in cui egli si debba confrontare con una platea elevata di interlocutori, ed il correlato rischio di un elevarsi delle possibilità di contestazioni in sede di omologazione.

Quest’ultimo profilo sembra comunque evidenziare che gli A.D.R. (almeno quelli ad efficacia estesa) continuano a costituire – a differenza del concordato preventivo – strumento di soluzione della crisi concepito soprattutto per quei debitori che presentino un indebitamento primariamente proiettato verso un ridotto numero di creditori a carattere prevalentemente “istituzionale” (anche se non necessariamente intermediari finanziari), o comunque verso una platea di creditori che si presti maggiormente ad una strutturazione in categorie omogenee. Per contro, un debitore che presenti un numero elevato di creditori con caratteristiche ampiamente disomogenee si troverà di fronte a difficoltà quasi insormontabili non solo nella elaborazione di categorie omogenee ma anche nel coinvolgimento della platea complessiva di creditori in trattative che comunque si presentano largamente interrelate.

 

6. L’ambito oggettivo

L’art. 182-septies L.F., com’è noto, opera una limitazione del proprio ambito operativo esclusivamente sul piano soggettivo, riservando il proprio regime speciale ai soli intermediari finanziari. Nell’art. 61 C.C.I., invece, tale limitazione viene meno, o meglio viene conservata come ulteriore ipotesi speciale della previsione. Quest’ultima previsione speciale viene a caratterizzarsi per l’assenza di quella limitazione oggettiva che invece costituisce una ulteriore novità della fattispecie generale dell’art. 61 C.C.I. rispetto alla fattispecie contemplata all’art. 182-septies L.F. 

Infatti, l’art. 61, comma 2, lett. d), C.C.I. (come modificato dal Correttivo di cui al d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147) introduce un ulteriore presupposto per conseguire l’estensione degli A.D.R., e cioè il fatto che “l’accordo abbia carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta ai sensi dell’articolo 84”. Il Correttivo, invece, ha eliminato l’ulteriore presupposto contenuto nella versione originaria della previsione, costituito dal fatto che i creditori venissero “soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale”, limitando il presupposto alla necessità che il piano sottostante gli A.D.R. sia un piano in una prospettiva di continuità, peraltro secondo la nozione alquanto lata offerta dall’art. 84 C.C.I.

L’intervento del Decreto Correttivo pone il problema di stabilire se venga ad essere neutralizzata la regola di cui all’art. 84, comma 3, primo periodo – vera e propria regola di descrizione del carattere della continuità diretta – la quale stabilisce che “nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”.Ci si potrebbe domandare, in sintesi, se l’eliminazione dell’ultimo periodo dell’art. 61, comma 2, lett. d), costituisca indice della volontà del legislatore di sottrarre gli A.D.R. ad efficacia estesa al vincolo stabilito dall’art. 84, comma 3, consentendo l’elaborazione di A.D.R. nei quali – pur in una prospettiva di continuità – i creditori non vengano necessariamente soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità aziendale.

Se l’approdo degli interpreti fosse in quest’ultimo senso, si dovrebbe concludere che gli A.D.R. ad efficacia estesa contemplano una continuità diretta che presenta i soli caratteri dettati dall’art. 84, comma 2, e cioè una figura peculiare e meno rigorosa di continuità diretta.

Sembra tuttavia che si possa individuare una possibilità interpretativa più armoniosa, consistente nell’affermare che l’intervento del Correttivo abbia inteso invece proprio ripristinare la regola generale di cui all’art. 84, eliminando una puntualizzazione sostanzialmente superflua nel momento in cui la regola dell’art. 61 veniva comunque a richiamare quella di cui all’art. 84.

In questo modo verrebbe ad emergere in modo pieno quella che costituisce la finalità della previsione, e cioè quella di consentire l’accesso allo strumento degli A.D.R. ad efficacia estesa subordinatamente al fatto che la finalità dell’operazione sia quella di assicurare la continuità dell’impresa. Ciò in un’ottica che viene ad ammettere il sacrificio parziale dei creditori (quelli soggetti all’estensione) a condizione che lo stesso risulti comunque funzionale al salvataggio della continuità dell’impresa “nell’interesse prioritario dei creditori”, come stabilito dall’art. 84 C.C.I.[32].

Come ricordato prima, rispetto a tale nuovo presupposto generale degli A.D.R. ad efficacia estesa, il comma 5 dell’art. 61 viene a dettare un’eccezione alla regola. Negli A.D.R. ad efficacia estesa con intermediari finanziari – i quali diventano una ipotesi speciale a differenza di quanto stabilito dalla Legge Fallimentare - il vincolo della continuità viene meno e quindi – come negli A.D.R. di cui all’art. 182-septies L.F. – è possibile elaborare degli A.D.R. ad efficacia estesa a carattere liquidatorio. In tal modo, la regola speciale dell’art. 61, comma 5 viene a riallinearsi alla regola generale dell’art. 57 C.C.I, la quale infatti non individua la continuità quale carattere necessario degli A.D.R. .

 

7. L’omologazione

Il profilo dell’omologazione evidenzia come l’art. 61 non disciplini una fattispecie autonoma rispetto agli A.D.R. di cui all’art. 57. Il Codice, infatti, ha espunto la disciplina specifica dell’omologazione contemplata invece al quarto comma dell’art. 182-septies L.F., travasando i profili che in tale ultima previsione erano contemplati (con una certa parziale ridondanza) come oggetto della valutazione del Tribunale direttamente nella parte dedicata all’individuazione dei presupposti veri e propri dell’estensione.

La scelta operata sul piano della formulazione della previsione vale sicuramente ad evidenziare che la disciplina dell’omologazione trova i propri lineamenti fondamentali nell’art. 48, commi 4 e segg. (ivi compreso - va rimarcato - il peculiare trattamento della mancata adesione dell’amministrazione finanziaria, destinataria di ben più di quella che è ben più di una mera estensione, trattandosi di un vero e proprio ribaltamento dalla mancata adesione addirittura al calcolo del credito della stessa amministrazione finanziaria come “virtualmente aderente”), fermo restando che tale disciplina viene comunque ad essere arricchita dagli ulteriori profili di valutazione connessi alla richiesta di estensione. Al di là della formulazione letterale, infatti, il tribunale sarà comunque chiamato – esattamente come nel precedente art. 182-septies L.F. – a verificare la presenza dei presupposti specifici dell’estensione, specificamente elencati ai commi 1 e 2 dell’art. 61, anche se è evidente che tale verifica (così come quella dell’art. 182-septies L.F.) viene a modificare profondamente il ruolo del tribunale rispetto all’omologa degli A.D.R. standard, in quanto daun controllo sul solo contenuto e gli effetti degli A.D.R. – soprattutto in ordine alla loro capacità di soddisfare i non aderenti – si passa ad una stringente e rigorosa verifica sull’intera fase procedurale di elaborazione e di raccolta delle adesioni[33].

Esaminando l’art. 182-septies L.F. la dottrina si è, in modo condivisibile, orientata[34] nel senso di affermare che la verifica del tribunale in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’estensione è in gran parte svincolata dalla presenza dell’opposizione di uno dei creditori non aderenti destinatari dell’estensione stessa. L’opposizione di questi ultimi, quindi, potrà al massimo ampliare l’ambito fattuale e cognitivo del tribunale ma non potrà modificarne in alcun modo i poteri, dovendo il tribunale verificare in ogni caso la sussistenza di tutti i presupposti indicati dalla previsione.

Uno dei presupposti, peraltro, costituisce vero e proprio elemento procedimentale imprescindibile della fase di omologazione ai fini dell’estensione. Ci si riferisce al presupposto quello costituito dalla lettera e), e cioè il fatto che “il debitore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo”. Il rilievo di tale notificazione è evidenziato dal fatto che, a norma del comma 3, il termine per l’opposizione dei non aderenti viene a decorrere non dall’iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese, come invece è previsto dall’art. 48, comma 4, ma, appunto, dalla notificazione.

Due sono le considerazioni sollecitate dalla lettura della previsione.

La prima è il crearsi di uno sdoppiamento (peraltro già contemplato dall’art. 182-septies L.F.), dei termini per l’opposizione tra la generalità della platea dei creditori, ed il sottogruppo costituito dai non aderenti destinatari dell’estensione. Si tratta di uno sdoppiamento giustificato dal fatto che – a differenza soprattutto dei non aderenti “indifferenti”, i quali non sono destinatari di effetti sfavorevoli e cui, anzi, deve risultare assicurato il pagamento integrale – i creditori non aderenti destinatari dell’estensione sono chiamati a subire un trattamento “meno favorevole” individuato in via negoziale con altri soggetti e da essi non accettato, non senza osservare che essi possono apprendere in via formale dell’estensione solo al momento in cui questa viene definitivamente richiesta.

La seconda è che tale meccanismo di garanzia finisce inevitabilmente per appesantire la fase di omologazione echeggiando i profili di viscosità già evidenziati dall’esperienza dell’applicazione dell’automatic stay di cui all’art. 182-bis, sesto comma, L.F., a maggior ragione ove si tenga presente l’estensione di ambito soggettivo introdotta dall’art. 61 C.C.I. È tuttavia anche vero che l’esame non solo dell’accordo di ristrutturazione in sé, ma tutta la documentazione ad esso sottostante costituisce elemento imprescindibile affinché il singolo creditore destinatario dell’estensione possa verificare il rispetto della condizione del no creditor worse off, e cioè del profilo che può costituire base fondamentale per l’opposizione.

Le considerazioni che precedono giustificano la “lettura” estensiva - già offerta dalla dottrina in relazione alla correlata previsione di cui all’art. 182-septies, terzo comma,L.F. - in ordine alla necessità che al creditore non aderente vada notificata tutta la documentazione inerente gli A.D.R., e quindi non solo gli accordi in sé, ma anche il piano e tutto l’insieme del coacervo documentale già destinato al tribunale[35]. Del resto va osservato che, come l’attuale art. 182-septies, terzo comma,L.F. opera un richiamo netto alla documentazione di cui all’art. 182-bis, e quindi a tutta la documentazione dell’accordo di ristrutturazione, così l’art. 61, comma 2, lett. e) richiede che “il debitore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo”, con locuzione che evidenzia come ai creditori destinatari della domanda di estensione debba notificarsi (e non semplicemente comunicarsi in un qualsivoglia modo) tutta la documentazione su cui accordi e piano si vengono a fondare.

Dal momento che il Tribunale è chiamato a verificare la sussistenza del presupposto dell’osservanza da parte del debitore degli obblighi di buona fede relativi al coinvolgimento del singolo creditore non aderente nelle trattative, e che quindi questa documentazione deve sicuramente essere allegata al ricorso per omologazione, sembra inevitabile concludere che anche tale documentazione debba notificata al singolo creditore, quale parte integrante del ricorso medesimo. È indubbio che tale profilo viene a determinare un notevole onere in capo al debitore che dovrà aver cura di generare una traccia tangibile di tutta la fase delle trattative con i creditori, in modo da poterla successivamente impiegare nella fase di omologa. La complessità di un simile onere – che potrebbe costituire uno dei fattori maggiormente ostativi ad un impiego ad ampio spettro degli A.D.R. ad efficacia estesa – rende ancora una volta evidente che, al di là dell’estensione (forse velleitaria) operata dal C.C.I. sul piano dell’ambito oggettivo, gli A.D.R. ad efficacia estesa restano strumento accessibile ad un debitore che si trovi a fronteggiare una platea di creditori qualificata ed omogenea, e con la quale il debitore medesimo sia in grado di interfacciarsi (anche a livello di strumenti di comunicazione, a cominciare dalla PEC) in modo efficiente, rapido, ma costantemente “tracciabile”.

Se si concorda sul fatto che l’omologazione della fattispecie di cui all’art. 61 costituisce una mera implementazione del modello base di cui all’art. 48, è lecito concludere che anche nello scenario della previsione in esame il ventaglio delle opposizioni resta ampio.

Vi potranno essere, in primo luogo, le opposizioni dei non aderenti “estranei”, comunque interessati a sindacare l’idoneità dell’accordo a garantire il proprio integrale soddisfacimento come in tutti gli A.D.R.

Vi potranno essere - ed è l’ipotesi che viene in realtà in rilievo nell’art. 61 - le opposizioni dei creditori non aderenti destinatari dell’estensione. Opposizioni che risultano proponibili quale che sia l’entità del credito di cui gli opponenti siano portatori[36].

Questi ultimi potranno, peraltro, contestare:

1) (non solo) l’insussistenza dei presupposti, sia formali (notificazione della domanda e della documentazione; presenza di una maggioranza del 75% di aderenti nella categoria) sia sostanziali (erronea costruzione delle categorie o inserimento non corretto di singoli creditori nelle medesime[37], mancato rispetto dei vincoli di buona fede nelle trattative; carattere liquidatorio del piano, violazione della regola no creditor worse off);

2) (ma anche) l’idoneità del piano e dell’accordo anche solo a garantire il soddisfacimento nella misura indicata nell’accordo medesimo ed oggetto dell’estensione, e quindi la tenuta complessiva del piano esattamente come un creditore non aderente “estraneo”[38].

Il potere di opposizione del non aderente destinatario dell’estensione risulta, quindi, non più limitato, bensì più ampio rispetto a quello dei creditori non aderenti “estranei”, in diretta correlazione con l’ampliamento dei poteri di sindacato del Tribunale sulla domanda di “omologa con estensione”.

Direttamente correlato a tale tema, tuttavia, è quello dei contenuti della decisione finale del tribunale.

I temi critici già evidenziati dalla dottrina sono sostanzialmente due: 1) se il tribunale possa “frammentare” l’estensione, autorizzandola per alcuni creditori ed escludendola per gli altri; 2) se la mancata “omologa con estensione” comporti il rigetto integrale della domanda di omologa, o se sia possibile procedere comunque all’omologazione senza estensione, riconducendo gli A.d.R. nell’alveo del solo art. 57 C.C.I.

Con riferimento al primo quesito[39], in realtà, non sembrano esservi dubbi sull’impraticabilità di un’estensione “parziale”, concernente in modo del tutto disorganico solo alcuni dei creditori non aderenti. La presenza delle “categorie” – un criterio di divisione dei creditori che nello scenario dell’art. 61 C.C.I. diviene inevitabile, come accennato prima - genera, tuttavia, un dubbio residuo circa la possibilità di ipotizzare l’ammissibilità di una estensione separata “per categorie”, nel senso che è quantomeno lecito domandarsi se la presenza di fattori ostativi all’estensione dell’accordo a creditori non aderenti compresi in una o più categorie comporti la preclusione dell’estensione che concerne creditori collocati in altre categorie e rispetto ai quali non emergano criticità[40].

Il secondo quesito[41] (in parte connesso al primo) presuppone, ovviamente, che, anche in assenza di estensione, gli A.D.R. siano in grado di assicurare il soddisfacimento integrale dei creditori non aderenti, ivi compresi quei creditori cui la domanda di omologazione intendeva estendere gli effetti degli A.D.R. medesimi, e cioè uno scenario sulla cui frequenza può esprimersi più di qualche dubbio, dal momento che una simile capacità degli A.D.R. renderebbe del tutto superfluo il ricorso all’estensione. In disparte il profilo teorico del quesito sembra che anche in tale caso la risposta sia suggerita dalla constatazione dell’assenza di una vera e propria autonomia della figura di cui all’art. 61 rispetto a quella di cui all’art. 57, e cioè dalla constatazione del fatto che gli A.D.R. ad efficacia estesa sono semplicemente degli A.D.R. che contemplano l’estensione degli effetti a creditori non aderenti. Se così è, allora, sembra doversi concludere che il tribunale – previo uno scrutinio necessariamente rigoroso della tenuta del piano nello scenario derivante dalla mancata estensione – ben potrà comunque procedere all’omologa degli A.D.R., senza estensione indipendentemente dalla presenza di una esplicita richiesta in tal senso del debitore.

 

8. Il benchmark del no creditor worse off

Ulteriore novità dell’art. 61 C.C.I. rispetto all’art. 182-septies L.F. è costituito dalla modifica del parametro su cui valutare la regola del no creditor worse off, in quanto il riferimento alle “alternative concretamente praticabili” viene sostituito da un riferimento “secco” alla sola liquidazione giudiziale.

La previsione costituisce un’indubbia semplificazione del compito del tribunale, dovendosi rammentare che la regola contenuta nella Legge Fallimentare ha indotto la dottrina ad interrogarsi in ordine alla corretta individuazione delle “alternative concretamente praticabili”, soprattutto con riferimento alla possibilità di comprendere o meno in esse lo scenario di un concordato preventivo[42].

Va, in ogni caso, considerato che la regola in esame trae origine dal paragrafo 22, lettera c) della Raccomandazione della Commissione U.E. del 12 marzo 2014, il quale recita testualmente che “il piano di ristrutturazione non limita i diritti dei creditori dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione, se l’impresa del debitore fosse liquidata o venduta in regime di continuità aziendale, a seconda del caso”. Si deve allora osservare che la formulazione della raccomandazione, se richiama direttamente come parametro la mera liquidazione dell’impresa, opera anche un riferimento alla “vendita in continuità aziendale in assenza di ristrutturazione”. Ove si ritenga che la locuzione “in assenza di ristrutturazione” valga ad escludere dalla regola lo scenario del concordato preventivo (sia pure in continuità indiretta, con cessione dell’azienda), deve concludersi che l’intervento correttivo del Codice è valso non solo a semplificare il compito del tribunale (accelerando la valutazione in sede di omologa), ma forse anche a realizzare un corretto allineamento al contenuto della stessa Raccomandazione della Commissione U.E. del 12 marzo 2014, e quindi alle indicazioni eurounitarie.

In concreto, quindi, la valutazione del tribunale dovrà soffermarsi su una comparazione tra il trattamento ricevuto da ciascun creditore nei cui confronti viene proposta l’estensione degli A.D.R. ed il trattamento che il medesimo creditore verrebbe a ricevere in sede di liquidazione giudiziale. Come correttamente osservato dalla dottrina formatasi sull’art. 182-septies L.F.[43] si tratterà in concreto di elaborare una proiezione del riparto di una ipotetica liquidazione giudiziale (con gli evidenti problemi relativi alla quantificazione dell’attivo realizzabile[44]), comparando la cifra astrattamente destinata al singolo creditore con quella invece prevista negli A.D.R. oggetto dell’estensione nei suoi confronti.

E’ con riferimento a questo specifico profilo che l’art. 182-septies L.F. contempla la facoltà per il tribunale di disporre la nomina di un “esperto”[45] – ragionevolmente con i requisiti di professionalità di cui all’art. 67 L.F. - con il compito di fornire assistenza nella valutazione di aspetti marcatamente tecnici, mentre è da escludere che all’esperto possano essere devoluti compiti di valutazione di aspetti squisitamente giuridici, come la valutazione della conformità a buona fede del comportamento tenuto dalle parti durante le trattative. La previsione non compare nel testo dell’art. 61 C.C.I., ma la modifica normativa non sembra costituire indice di un divieto. Il tribunale, quindi, potrà comunque nominare un esperto, purché lo stesso presenti i requisiti che ne consentirebbero la nomina a curatore - e quindi risulti iscritto nell’albo di cui all’art. 356 C.C.I. - sempre che il tribunale medesimo non abbia già provveduto alla nomina del commissario giudiziale in virtù del disposto di cui all’art. 44, comma 4, C.C.I.

L’ipotesi particolare di cram down in esame, peraltro, viene a determinare un vincolo ulteriore per gli A.D.R. ad efficacia estesa. Mentre, infatti, negli A.d.R. standard non operano la regola della par condicio ed il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, nel caso di specie il creditore opponente – purché sia un creditore non aderente nei cui confronti viene chiesta l’estensione[46] - ben potrà dedurre il mancato rispetto della regola del no creditor worse off propriodall’eventuale mancato rispetto del waterfall in ordine alle cause di prelazione[47]. Parimenti il tribunale dovrà procedere d’ufficio alla valutazione del rispetto della regola in questione, seppure esclusivamente con riferimento ai creditori non aderenti nei cui confronti viene chiesta l’estensione, e non (viene da dire: ovviamente) con riferimento ai creditori aderenti “puri”, nei cui confronti il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione non viene ad operare.

Ne consegue che la possibilità di estensione degli A.D.R. ai creditori non aderenti risulterà indirettamente vincolata – anche se, si ripete, con riferimento ai soli creditori non aderenti e non anche con riferimento ai creditori aderenti - al rispetto dell’ordine dei privilegi, nel senso che non sarà possibile ottenere, tramite l’estensione, la “sottrazione” di attivo destinato al creditore non aderente privilegiato per destinarlo ai creditori chirografari.

Questo, a meno di rivedere in generale il trattamento dei flussi di cassa della continuità (quella continuità che costituisce uno dei presupposti degli A.D.R. in estensione), ipotizzando che lo stesso possa risultare svincolato dal rispetto dell’ordine delle cause di prelazione. Si tratta, tuttavia, di un profilo che necessiterebbe di approfondimenti e considerazioni non possibili nella presente sede.

 

9. L’esonero da revocatoria

Con previsione corrispondente a quella di cui all’art. 67 L.F., l’art. 166, comma 3, lett. e), C.C.I. contempla l’esonero da revocatoria dei pagamenti e degli altri atti “posti in essere in esecuzione” degli A.D.R.

È noto che il tema interpretativo “tradizionale” correlato alla previsione dell’art. 67 L.F. è costituito dall’ambito soggettivo dell’esenzione, e cioè dalla necessità di limitare quest’ultima ai soli creditori aderenti o dalla possibilità di estenderla anche ai non aderenti, né mette conto in questa sede richiamare ancora una volta l’insieme di argomentazioni poste alla base dell’una o dell’altra tesi.

Ciò che rileva è che su questo quadro è venuta ad irrompere il meccanismo di estensione previsto dall’art. 182-septies L.F., prima, e dall’art. 61 C.C.I., poi, per effetto del quale si viene a porre un ulteriore quesito: postulando che l’esonero operi per i soli creditori aderenti, nel caso dei creditori non aderenti cui il trattamento previsto dagli A.D.R. sia stato esteso ope iudicis l’esenzione è destinata o no ad operare?

La dottrina formatasi sull’art. 182-septies, L.F. appare nettamente orientata nel primo senso, e quindi per la piena operatività dell’esonero[48]. Ciò sulla base della considerazione che il creditore non aderente cui gli A.D.R. vengano estesi può pur essere un non aderente, ma finisce per subire l’estensione degli effetti degli A.D.R., e quindi dovrebbe godere anche dell’ulteriore effetto dell’esonero da revocatoria.

Questa conclusione, tuttavia, contribuisce indirettamente ad un indebolimento della tesi per cui l’esenzione concerne i soli creditori aderenti. Se, infatti, si rammenta che l’individuazione dei creditori non aderenti cui estendere gli effetti degli A.D.R. è in parte rimessa al debitore ed alla costruzione delle categorie, emerge con chiarezza che, aderendo a tale ricostruzione, si dovrebbe constatare il formarsi un gruppo di creditori esentati da revocatoria “non per merito proprio”, ma in virtù di un meccanismo unilateralmente scelto del debitore, rendendo ancora più distonica l’esclusione dall’esenzione dei non aderenti “puri”, cui risulterebbe difficile “imputare” la mancata adesione (giustificando in tal modo il mancato esonero), atteso che quest’ultima potrebbe venire a dipendere anche da scelte del debitore.

Le perplessità appena esposte non valgono certo a neutralizzare la tesi di coloro che ritengono operante l’esonero anche per i creditori cui gli A.D.R. siano stati estesi. Dovrebbero, semmai, valere ad evidenziare (in modo ulteriore e, auspicabilmente, definitivo) quella che, ad opinione di chi scrive è un’evidente distonia genetica della tesi che esclude in via generale i non aderenti dall’esonero da revocatoria, avviando il percorso di una revisione di tale tesi.



[1] Quando queste brevi note erano in fase di elaborazione finale sono giunte due notizie. La prima è che l’Aula del Senato ha approvato, nella seduta dell’11 novembre, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 125/2020 sulla proroga delle misure emergenziali Covid, ha approvato un emendamento che viene ad introdurre all’art. 3 del D.L. commi 1-bis e 1-ter apportando modifiche agli articoli 180, 182-bis, 182-ter L.F. La seconda è l’annunciato inserimento nel “Decreto Ristori 4” (che risulterebbe di imminente adozione) di previsioni che inseriscono nella Legge Fallimentare (con adattamenti) la disciplina degli A.D.R. agevolati e ad efficacia estesa nell’assetto prospettato dal C.C.I. Ci si ripromette – se è quando questi progetti avranno ricevuto definitiva attuazione – di operare un esame di tali novità e soprattutto della loro ricaduta sull’architettura complessiva della Legge Fallimentare, ormai definitivamente “cantiere aperto”.

[2] Conca, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la convenzione di moratoria: disciplina e prime considerazioni applicative, in Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, pag. 719-720; Quattrocchio, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la convenzione di moratoria, Dir. Econom. Imp., 2016, 138.

[3] Benazzo, L’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari: buona fede e principio di maggioranza, in Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, pag. 757 segg.

[4] E peraltro sempre meno tali qualora dall’ipotesi-limite del 30% si passi ad ipotesi, assai più probabili, del 40%-50% dei crediti complessivi.

[5] Benazzo, op. cit., 751; Conca, op. cit., pag. 716; Perrino, Gli accordi di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria, in Dir. Fall., 2016, I, 1454; Quattrocchio, op. cit., 141; Ranalli, Gli A.D.R. con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria di cui all’art. 182-septies, in Jorio – Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, V, Milano, 2017, pag. 316; Valensise, Osservazioni sull’accordo di ristrutturazione con gli intermediari finanziari ex art. 182-septies l. fall., in Sandulli – D’Attorre, La nuova mini-riforma della legge fallimentare. Aggiornamento alla legge 30 giugno 2016, n. 119, Torino, 2016, pag. 290.

[6] Ranalli, op. cit., pag. 316; Quattrocchio, pag. 142; Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare – seconda parte, in IlCaso.it, pag. 1;Zorzi, L’accordo di ristrutturazione con le banche e intermediari finanziari (art. 182-septies legge fallim.): le categorie di creditori e l’efficacia nei confronti dei non aderenti, in Dir. Fall., 2017, I, 409.

[7] Valensise, op. cit., pag. 294.

[8] Nigro, Gli accordi di ristrutturazione con “intermediari finanziari” e le convenzioni di moratoria, in Orizz. dir. Comm., 2015, 1.

[9] Fauceglia, L’accordo di ristrutturazione dell’indebitamento bancario tra specialità negoziale e procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2016, I, 723; Ranalli, op. cit., pag.317; Zorzi, op. cit., pag.410.

[10] Fabiani, Gli accordi di ristrutturazione nella cornice della tutela dei diritti e la rilevanza della fattispecie speciale di cui all’art. 182 septies l.fall. in chiave di collettivizzazione della crisi, in Fall., 2016, 925.

[11] Sul tema, solo esemplificativamente, Appio, Prime riflessioni in tema di accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182-septies fra ragioni creditorie e principio consensualistico, in IlCaso.it, pag.5; Arato, Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti bancari vs concordato preventivo, in Ambrosini (diretto da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, pag. 733; Balestra, Accordi di ristrutturazione dei debiti con le banche e normativa civilistica: peculiarità, deroghe e ambiguità, in Fall. 2016, 450; Bianca, La nuova disciplina del concordato e degli accordi di regolazione della crisi: accentuazione dei profili negoziali, in Dir. Fall., 2015, I, 537; Fabiani, op. cit., pag. 924; Perrino, op. cit., pag. 1542; Valensise, op. cit., pag. 297; Zorzi, op. cit., pag. 409.

[12] Nigro, op. cit., pag. 6

[13] Sul tema Appio, op. cit.,pag. 12; Conca, op. cit.,pag. 719; Lamanna, Classi nell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e nella convenzione, in www.ilfallimentarista.it; Nigro, op. cit.,pag. 4; Perrino, op. cit., pag. 1447; Quattrocchio, op. cit. pag. 142; Valensise, op. cit.,pag. 298 e 305; Varotti, op. cit., 5.

[14] Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria: deroga al principio di relatività del contratto ed effetti sui creditori estranei, in Giust. Civ. 2015, 823.

[15] Ranalli, op. cit., pag. 320 e 323; Appio, op. cit., pag. 13; Inzitari, op. cit., pag. 824.

[16] Si vedano le posizioni di Ranalli, op. cit., pag. 324; Fauceglia, op. cit., pag. 732; Zorzi, op. cit., pag. 419; Conca, op. cit., pag. 721; Arato, op. cit., pag. 737; Benazzo, op. cit., pag. 767; Fabiani, op. cit., pag. 925.

[17] Anche su questo tema si rimanda a Nigro, op. cit., pag. 6; Ranalli, op. cit., pag. 323; Varotti, op. cit., pag. 6; Fauceglia, pag. 734; Arato, op. cit., pag. 738; Benazzo, op. cit., pag. 767.

[18] Valensise, op. cit., pag. 299 e 308; Ranalli, op. cit., pag. 321 e 330.

[19] Inzitari, op. cit., pag. 828; Perrino, op. cit., pag. 1449; Fauceglia, op. cit., pag. 738; Zorzi, op. cit., pag. 433.

[20] Nigro, op. cit., pag. 4; Ranalli, op. cit., pag. 323; Fauceglia, op. cit., pag. 324; Inzitari, op. cit., pag. 822; Zorzi, op. cit., pag. 420.

[21] Benazzo, op. cit., pag. 764; Fauceglia, op. cit., pag. 733.

[22] Valensise, op. cit., pag. 309; Ranalli, op. cit., pag. 332.

[23] Bianca, op. cit., pag. 541; Zorzi, op. cit., pag. 418; Benazzo, op. cit., pag. 755.

[24] Valensise, op. cit., pag. 305.

[25] Benazzo, op. cit., pag. 759.

[26] Benazzo, op. cit., pag. 750; Bianca, op. cit., pag. 539-540.

[27] Bianca, op. cit., pag. 539-540.

[28] Sul tema Ranalli, op. cit., pag. 320; Bianca, op. cit., pag. 542; Appio, op. cit., pag. 9; Quattrocchio, op. cit., pag. 147; Varotti, op. cit., pag. 5; Fauceglia, op. cit., pag. 735; Zorzi, op. cit., pag. 418; Conca, op. cit., pag. 722; Fabiani, op. cit., pag. 925.

[29] Ranalli, op. cit., pag. 320.

[30] Valensise, op. cit., pag. 301.

[31] Valensise, op. cit., pag. 306; Bianca, op. cit., pag. 540.

[32] Zorzi, op. cit., pag. 412.

[33] Si vedano sul punto le opinioni di Ranalli, op. cit., pag. 331; Appio, op. cit., pag. 17; Inzitari, op. cit., pag. 826-827; Perrino, op. cit., 1451; Fauceglia, op. cit., pag. 726; Arato, op. cit., pag. 737; Benazzo, op. cit., pag. 768.

[34] Valensise, op. cit., pag. 294; Nigro, op. cit., pag. 5; Appio, op. cit., pag. 17; Fauceglia, op. cit.,  pag. 739; Balestra, op. cit., pag. 455.

[35] Valensise, op. cit., pag. 311; Fabiani, op. cit., pag. 918-919.

[36] Conca, op. cit., pag. 725.

[37] Nigro, op. cit., pag. 5.

[38] Nigro, op. cit., pag. 7.

[39] Su cui cfr. Valensise, op. cit., pag. 313; Ranalli, op. cit., pag. 328 e 330.

[40] Sul tema Benazzo, op. cit., 768.

[41] Sul quale si vedano le opinioni di Valensise, op. cit., pag. 314; Nigro, op. cit., pag. 4; Appio, op. cit., pag. 11 e 23; Fauceglia, op. cit., pag. 741; Conca, op. cit., pag. 725; Arato, op. cit., pag. 739; Benazzo, op. cit.,  pag. 768; Fabiani, op. cit., pag. 926.

[42] Nigro, op. cit., pag. 6; Quattrocchio, op. cit., pag. 150; Fauceglia, op. cit., pag. 741; Zorzi, op. cit., pag. 431; Arato, op. cit., pag. 739.

[43] Ranalli, op. cit., pag. 325.

[44] Rammentando, peraltro, che negli A.D.R. si ragionerà in una prospettiva di continuità, mentre nel caso della liquidazione, salvo un esercizio provvisorio agevolato dalla prosecuzione dell’attività di impresa enunciata dall’art. 211, comma 1, sarà inevitabile ragionare su valori di liquidazione con perdita della continuità.

[45] Appio, op. cit., pag. 18; Fauceglia, op. cit., pag. 740.

[46] Appio, op. cit., pag. 21.

[47] Ranalli, op. cit., pag. 325; contra Fauceglia, op. cit., 734.

[48] Ranalli, op. cit., pag. 331; Appio, op. cit., pag. 16; Arato, op. cit., pag. 740.


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