CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/05/2020 Scarica PDF

La pandemia e la sorte dei canoni di locazione commerciale

Vincenzo Ruggiero, Avvocato in Monza


Sommario: 1. Le locazioni commerciali investite dal lock down. – 2. La normativa emergenziale c.d. lex specialis. – 3. I rimedi contenuti nella Legge sulle locazioni e quelli codicistici. – 3.a. Il recesso. – 3.b. Impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1464 c.c.). – 3.c. Eccessiva onerosità. – 3.d Exceptio inadimpleti. – 3.e. La buona fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale.

 

 

1. Le locazioni commerciali investite dal lock down

I commercianti, gli artigiani, i ristoratori, i titolari di centri benessere, i parrucchieri, e poi i cinema ed i teatri e tante altre attività commerciali, insomma le imprese collettive e individuali che sono state costrette a subire il lock down e la chiusura dei loro esercizi a seguito del Covid 19 come dovranno (ri)disciplinare i rapporti con i proprietari dei locali allo interno dei quali esercitano le loro attività? [1]

Quali sono i rimedi che i locatori da un lato ed i conduttori dall’altro potranno adoperare per affrontare e risolvere le grandi difficoltà economiche e gestionali che sono nate di pari passo allo esplodere della emergenza sanitaria e che purtroppo, e molto probabilmente, ci accompagneranno per un tempo che ci si augura non troppo lungo? [2]

Partiamo immediatamente dal dato legislativo “extra ordinem” introdotto dal decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 cd. “Cura Italia” convertito nella legge del 24 aprile 2020 n. 27 pubblicato in gazzetta ufficiale il 29 aprile 2020 n. 110 serie generale [3].

Per prima cosa occorrerà tenere a mente quali siano i rapporti contrattuali che rientrano nel perimetro della legislazione emergenziale e quali quelli esclusi ancorando l’inclusione o la esclusione ai provvedimenti, eccezionali, limitativi della nostra libertà che in questi mesi sono stati promulgati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; si allude ai DPCM dell’8 e 9, 22 marzo 2020 poi normativamente ricondotti al d.l. 17.3.2020.

E dunque:

a. Locazioni commerciali direttamente investite dal lock down;

b. locazioni commerciali escluse dal lock down;

c. locazioni abitative.

Le locazioni di cui alla lett. a. sono quelle colpite dal Covid 19 le quali hanno subito la chiusura totale come conseguenza dell’emanazione dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sopra ricordati e ad esse è rivolta la normativa emergenziale (da sola però insufficiente) che dovrà necessariamente allo stato, (in assenza di nuove specifiche norme), esser integrata dagli istituti codicistici previsti dal nostro ordinamento (impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore definitiva e temporanea ex art. 1256 c.c., impossibilità parziale ex art. 1464 c.c.; eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c.; forza maggiore e factum principis, sospensione della obbligazione di pagamento ex art. 1460 c.c. e da ultimo riconduzione del contratto ad equità ex art. 1374 c.c. con un tentativo di integrazione eteronoma del negozio attraverso l’art. 1375 c.c ) e di cui dopo si offriranno alcune ipotesi applicative.

Le locazioni di cui alla lett. b. sono tutte quelle le cui attività per ragioni di emergenza non hanno subito il lock down (supermercati, farmacie, edicole, esercizi commerciali per l’acquisto di generi di prima necessità; - per gli studi professionali le norme, di diverso rango costituzionale, ma anche e soprattutto quelle regionali, sono state tra loro diverse tanto che, per fare un esempio, la Regione Lombardia ha imposto la chiusura degli Studi professionali nel mentre ciò non è avvenuto in Campania) sicchè esse (con le diversità per gli studi professionali) [4] non godrebbero delle disposizioni emergenziali e degli istituti connessi.

Le locazioni abitative essendo caratterizzate dal rispetto del sinallagma contrattuale visto che persiste il godimento da parte del conduttore del bene oggetto del contratto, appaiono escluse dal perimetro delle disposizioni di cui al d.l. n. 18/2020 e dalle interpretazioni collegate; qualche dubbio potrebbe sorgere con riguardo alle locazioni per studenti disciplinate dall’art. 5 della legge n. 431 del 1998 le quali hanno potuto subire le limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno oltre che di spostamento imposta dai provvedimenti governativi attualmente ancora in atto; i contratti di locazione transitori per studenti fuori sede ex art. 5 della legge richiamata, potrebbero vedere la prestazione di godimento del bene, da parte del conduttore, compromessa o meglio non realizzata per fatto non imputabile a quest’ultimo; si allude all’articolo 1, comma 1, lett. b), del D.P.C.M. 22 marzo 2020 che stabilisce che chi si è recato presso un’abitazione propria o di terzi in zone meno contagiate del Paese, dal 23 marzo 2020 è impossibilitato a far ritorno nell’immobile locato in città e zone con un più alto tasso di contagiati, se non per le specifiche ragioni giustificative tassativamente individuate dal provvedimento stesso: comprovate esigenze di lavoro, assoluta urgenza e motivi di salute.

   

2. La normativa emergenziale c.d. lex specialis

Le disposizioni introdotte dal D.L. 18/2020 rappresentano una sorta di “minimo presidio” normativo intorno a cui cercare di ricostruire, in assenza di altre disposizioni legislative allo stato non promulgate, un “microsistema” che anche attraverso la interpretazione e poi applicazione dei classici istituti giuridici codicistici, riesca a disciplinare quelli che si spera non diventino conflitti giurisdizionali sistemici tra i proprietari ed i conduttori di locali commerciali.

Sin da subito ritengo che la ricerca della soluzione transattiva tra le parti, attraverso una concordata rimodulazione scritta del canone di locazione disciplinata per un determinato periodo, (da sottoporre a non obbligata ma consigliata registrazione) [5] rappresenti la prima strada da battere e ciò non solo in omaggio al principio solidaristico di cui all’art. 2 della Cost. che in questo momento storico deve informare grandemente il nostro agire, ma anche in applicazione dei canoni giuridici della correttezza e della buona fede nella esecuzione del contratto secondo gli artt. 1175 e 1375 del codice civile;[6] a tal fine si è soliti richiamare il concetto di cooperazione reciproca per soddisfare l’uno gli interessi dell’altro. I principi ricordati sempre più spesso guidano l’interprete nella corretta “lettura” del contratto tanto nella fase genetica quanto in quella funzionale ed estintiva. Questo “atteggiamento” dovrà prima di tutto essere immanente in ciascheduno di noi (sia come locatori che come conduttori); in mancanza, il vincolo di cooperazione dovrà essere “veicolato”, con apposita istanza, all’interno delle camere di mediazione ex dlgs. n. 28/2010 le quali saranno obbligatoriamente chiamate ex art. 5 del decreto ricordato, a svolgere una funzione di componimento e quindi (si spera) di deflazione del contenzioso, fallita la quale dovrà essere il Tribunale, in ultima istanza, a disciplinare il contrasto [7].

Con riguardo alla normativa emergenziale le disposizioni introdotte dal d.l. del 17.3.2020 n. 18 sono gli articoli 65, 88, 91 e 95: le norme, in linea di massima, sono rimaste tendenzialmente immutate in sede di conversione eccezione fatta per la aggiunta all’art. 65 dei commi 2bis, 2ter, e 2quater (ove viene trattato un profilo fiscale ed uno relativo al riparto regionale delle disponibilità per il sostegno delle locazioni abitative), e della sostituzione dell’art. 88 e con l’aggiunta dell’art. 88 bis;

 

a. L’art. 65 (credito d’imposta per botteghe e negozi), per gli esercenti attività d’impresa, relativamente agli immobili rientranti in categoria catastale C/1 (“negozi e botteghe”), riconosce un creditod’imposta del 60% per il solo mese di marzo; la disposizione incide indirettamente sul contratto di locazione senza modificare la prestazione del conduttore consentendo a quest’ultimo di recuperare (non nell'immediato) parte del corrispettivo dovuto al locatore.

La norma si colloca ed esaurisce i propri effetti sul piano tributario quando, nell'alleviare la posizione economica del conduttore, presuppone comunque il pieno adempimento dell'obbligazione di pagamento del canone (il principio è chiarito dalla Circolare della Agenzia delle Entrate n. 8/E del 3.4.2020). L’agevolazione è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del Decreto Legislativo 9.7.1997 n. 241.La disposizione in esame trova applicazione solo con riguardo ai rapporti di locazione ad uso diverso dall’abitazione e, anche in tale ambito, lascia, purtroppo, esclusa una platea considerevole di soggetti.

Non possono, infatti, fruire del predetto beneficio coloro che esercitano una delle attività di cui agli allegati 1 e 2 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 11.03.2020, ovvero quelle considerate essenziali, per le quali non è stata imposta la sospensione (i.e. farmacie, supermercati, edicole, ecc.) né i soggetti che svolgono un’attività diversa da quella d’impresa, come gli esercenti le arti e le professioni.

È, inoltre, negata la possibilità di usufruire del credito d’imposta per coloro che, pur esercitando un’attività d’impresa, conducono in locazione immobili rientranti in categorie catastali diverse dalla C/1; si pensi, ad esempio, agli opifici (categoria D1), ai teatri (D3), ai fabbricati adattati a speciali esigenze commerciali (D8).

La previsione normativa (almeno alla data in cui si scrive) è allora, ed allo stato, tenuto conto anche della legge di conversione, totalmente insufficiente e se ne auspica la integrazione.


b. L’art. 88 nella formulazione di cui alla legge di conversione sostituisce il precedente testo; la nuova disposizione rubricata (Rimborso di titoli di acquisto di biglietti per spettacoli, musei ed altri luoghi di cultura)stabilisce a decorrere dal 8.3.2020 ed ai sensi dell’art. 1463 c.c. (impossibilità sopravvenuta totale) il rimborso con voucher di un valore pari allo importo del titolo di acquisto da utilizzare entro un anno dall’emissione.

La legge di conversione ha aggiunto l’art. 88 bis rubricato (rimborso di titoli di viaggio, di soggiorno e di pacchetti turistici) ove ai sensi dell’art. 1463 c.c. si prevede che il vettore o la struttura ricettiva entro trenta giorni dalla comunicazione procedano al rimborso del corrispettivo versato per il titolo di viaggio e per il soggiorno ovvero alla emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall’emissione. Viene stabilito che le strutture che hanno sospeso o cessato in tutto od in parte l’attività a causa dell’emergenza Covid 19 possono offrire all’acquirente un servizio sostitutivo di qualità equivalente, superiore od inferiore con la restituzione della differenza di prezzo, oppure procedere al rimborso del prezzo o, altrimenti possono emettere un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante.

In realtà la vicenda ha un precedente giurisprudenziale reso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16315 del 2007 connessa alla vicenda “infezione Dengue” che si sviluppò a Cuba; in quel caso i contratti per pacchetti turistici vennero dichiarati risolti facendo venir meno l’obbligazione di pagamento in capo al consumatore turista con l’obbligo di restituzione degli acconti da parte dei tour operator.

 

c. L’art. 91 rubricato “disposizioni in materia di ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazioni del prezzo in materia di contratti pubblici”, contenuto nel d.l. 17.3.2020 n. 18 stabilisce che: “All'articolo 3 del decreto - legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: "6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.".

La concitazione del momento emergenziale probabilmente ha, purtroppo, reso poco chiaro il testo normativo, il cui contenuto è rimasto invariato in sede di conversione; in ogni caso esso ambisce a disciplinare le conseguenze della crisi pandemica sul diritto privato delle obbligazioni e dei contratti incidendo, in maniera trasversale, su tutti i contratti di durata e di impresa. Sembrerebbe che la norma sia funzionale ad introdurre una disciplina di favore per il debitore inadempiente alleggerendone la posizione contrattuale. La Relazione illustrativa al testo normativo come pure la Relazione tecnica rinviano semplicemente alla esigenza di integrare l’art. 3 del d.l. 6/20 inducendo l’interprete a ricordare che il rispetto delle misure di contenimento è valutato “nei singoli casi” ai fini della responsabilità del debitore “ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1218 c.c.”.

Per quel che allora qui ora interessa la previsione in esame viene direttamente ad incidere sul rapporto locativo, nella misura in cui attiene, in termini generali, all'adempimento o, meglio, al possibile inadempimento del conduttore.

Cerco di rendere più chiara la lettura della norma ripercorrendone il meccanismo precettivo.

L’art. 91 del DL 18/2020  introduce una disposizione che nell’intenzione del legislatore, mira a valutare (il termine è da tenere a mente) le ragioni dell’inadempimento qualora lo stesso derivi dal “… rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto …” precisando che tale situazione “ … è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1223 (risarcimento del danno) c.c. …” e ciò anche in relazione a “… eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.

La norma in commento avrebbe, si ribadisce, una funzione rafforzativa della disposizione di cui all’art. 1218 c.c. a tenore del quale “il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Dunque il rispetto della misura di contenimento (che è tradotta nella totale chiusura degli esercizi commerciali e nella limitazione della libertà di circolazione e delle altre ulteriori imposte dai provvedimenti governativi) attenua l’onere della prova a carico del debitore con riguardo all’elemento che giustifica l’inadempimento a lui non imputabile; si tratta, a ben vedere, di un invito rivolto all’interprete a prestare particolare attenzione alle ragioni dei debitori in difficoltà economica in questa fase di grave emergenza potendosi giungere, se bene intesa la norma, ad escludere, anche con valutazione ex officio, la morosità nel pagamento dei canoni, relativamente al periodo corrispondente al e “nel rispetto delle misure di contenimento”, ossia fintanto che rimanga il lock down per le attività coinvolte; l’articolo 91 del d.l. 18/20, parrebbe escludere lo stato di inadempimento e gli effetti della mora, prevedendo un “congelamento” dei pagamenti dei canoni, in linea con l’intera ratio del provvedimento emergenziale di “aiuto alle famiglie ed alle imprese”.

In questo ambito sarei del parere che l’Autorità giudiziaria non possa emettere provvedimenti di convalida di sfratto per morosità a seguito del mancato pagamento dei canoni di locazione temporalmente collegati al periodo di “rispetto della misure di contenimento”, essendo assente l’inadempimento del conduttore ex articolo 91 DL 18/2020; parimenti, non potranno essere emesse ordinanze provvisorie di rilascio ex art. 665 cpc, sussistendo “i gravi motivi” (art. 665 , comma 1° cpc), collegati al decreto legge e, demandandosi quindi al successivo giudizio di merito, in esito all’opposizione alla convalida, ogni questione riguardante la risoluzione del rapporto commerciale, l’ammontare del “giusto corrispettivo” ed ogni quaestio iuris solutoria attinente la conservazione o meno del contratto, ferma la parentesi di media conciliazione, come sopra ricordato, che obbligatoriamente dovrà essere instaurata all’esito della trasformazione del rito, in ciò applicandosi, a pena di improcedibilità della domanda ,l’art. 5 del Dlgs 28/10.

Ancora e con riguardo al profilo procedurale, il Decreto Cura Italia si occupa anche delle esecuzioni coattive di rilascio degli immobili, disponendo un temporaneo differimento delle stesse; viene, infatti, sospesa fino al 30.6.2020 l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, sia ad uso abitativo che diverso.

La disposizione, in punto di fatto, va ad incidere anche sulle situazioni di morosità maturatesi in epoca antecedente l’attuale emergenza sanitaria, per le quali era già stato emesso un provvedimento di rilascio, che però e salvo proroghe, potrà essere eseguito solo a far data dal prossimo 1 luglio 2020.

Sono del convincimento che queste disposizioni dovranno essere integrate probabilmente già con il prossimo intervento legislativo, e ciò tenuto conto della loro insufficienza rispetto alla crisi emergenziale come tutt’ora ancora in atto.

 

d. L’art. 95 rubricato “sospensione versamento canoni per il settore sportivo” di affitto per federazioni, società associazioni sportive per concessione affidamento impianti sportivi pubblici e di enti territoriali.

Il Decreto Cura Italia prevede lapossibilità di sospendere il versamento del canone di locazione, sino al 31.5.2020, solo per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le società e le associazioni sportive, professionistiche e dilettantistiche, con riguardo all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali. In tali ipotesi, i versamenti dei canoni maturati dovranno essere effettuati, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 30.6.2020, ovvero mediante rateizzazione, fino ad un massimo di 5 rate mensili di pari importo, a decorrere dal predetto mese.

La norma in esame lascia trasparire che la disposizione emergenziale, consente la sospensione legislativamente prevista in maniera espressa, solo allorquando gli impianti oggetto di locazione siano in proprietà dello Stato o ad Enti territoriali; in questo senso sarebbe previsto un favor del conduttore nei confronti del locatore – ente pubblico; ma si tratterebbe unicamente di una sospensione della obbligazione e non di una estinzione.

A fronte di tale (scarna) legislazione di emergenza, la quale, si ripete, dovrà di certo essere ulteriormente implementata, l’interprete è chiamato a ricercare soluzioni ai contrasti che già si profilano all’orizzonte, servendosi del classico armamentario contenuto nella disciplina delle obbligazioni e dei contratti che dovrà essere “piegata” alle esigenze del momento. Sarà possibile allora, per il conduttore, diverso da una associazione sportiva, sospendere integralmente il pagamento del canone di locazione ad uso commerciale e per quanto tempo? Potrà il conduttore ottenere una rinegoziazione forzosa del canone locativo in misura ridotta rispetto a quella originaria tenuto conto che gli effetti negativi della pandemia permarranno e saranno devastanti e recessivi anche successivamente alla riapertura e per un tempo che nessuno allo stato conosce? Ed i canoni impagati durante il periodo lock down “Covid 19” saranno estinti o solo posticipati nel pagamento?

La norma emergenziale codificherebbe ex art. 91 d.l. 18/2020 una fattispecie di impossibilità temporanea della prestazione per causa non imputabile al debitore che per altro trova un precedente nel d.lgs. del 9 ottobre 2002 n. 231, in tema di ritardi nei pagamenti nelle operazioni commerciali dove l’art. 3 della legge in parola esclude la debenza degli interessi moratori ove «il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

Ma la normativa in commento non risolve i problemi atteso che il d.l. n. 18 nel prendere in considerazione il profilo del mancato o ritardato pagamento del canone locativo, ha disciplinato solo quel momento contingente, mentre ha lasciato impregiudicati e non regolamentati gli effetti che la pandemia e la crisi economica avrà sulle locazioni commerciali.

In altre parole il forte rallentamento della nostra economica collegata anche agli obblighi di distanziamento che continueranno ad essere imposti per un tempo, parrebbe di capire non breve, (penso agli effetti che ciò produrrà con riguardo ai ristoranti, ai bar ai parrucchieri, ai cinema, ai teatri i quali, saranno gli ultimi a poter riaprire) cumulate con le minori risorse economiche che circoleranno, di certo fortemente inciderà su moltissime imprese commerciali che dunque saranno molto più penalizzate; questo aspetto va ben oltre la questione del mancato pagamento del canone durante la fase di lock down ed intercetta il diverso profilo della disciplina (ex novo) dell’intero rapporto locativo che dunque dovrà pur trovare un proprio assetto.

Ed allora quali gli strumenti? Quale la disciplina? E soprattutto quale potrà essere il giusto contemperamento delle reciproche obbligazioni, incuneate tra l’interesse del proprietario ad ottenere il pagamento del canone pattuito e quello del conduttore a mantenere, da un lato la detenzione qualificata del cespite e dall’altro a “spuntare” una previsione economica del canone per lui più vantaggiosa rispetto a quella originariamente concordata?

   

3. I rimedi contenuti nella legge sulle locazioni e quelli codicistici.

a. Il recesso.

La prima ipotesi trova fonte nella legge sulle locazioni e consente al conduttore il recesso dal contratto ex art. 7 comma 8 della l. n. 392 del 1978 indipendentemente dalle previsioni negoziali ed a prescindere da una esplicita disciplina al riguardo «quando ricorrano gravi motivi»; si tratta di una risposta possibile, immediata (di certo fondata, tenuto conto della assoluta non prevedibilità della pandemia e dunque connessa a fattori estranei alla volontà del conduttore tali da sovvertire l’originario assetto di interessi dedotti in contratto) [8] ma obiettivamente inadeguata a rispondere all'emergenza, giacché segna la fine del rapporto contrattuale e forse anche dell'attività commerciale.

Il conduttore sarebbe in ogni caso tenuto a rendere il preavviso di sei mesi che dunque rimarrebbe quello contrattuale con i connessi obblighi economici corrispondenti al pagamento del canone. Per di più il locatario, a seguito dell’operato recesso per “gravi motivi” sarebbe esposto alla perdita della indennità di avviamento pari a 18 mensilità dell’ultimo canone od a 21 se trattasi di locazione alberghiera.

Con riguardo all’obbligato rispetto del termine di preavviso di cui all’art. 7 l. 392/78 con i connessi vincoli contrattuali di pagamento del canone (ferma la fase di sospensione ex art. 91 d.l. 18/2020) qualche Autore sosterrebbe, forzando il dato normativo, la applicabilità alla fattispecie dell’art. 79 l. 392/78 il quale sancisce la nullità di quelle clausole che rechino un vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge 392/78 cosicchè, la pandemia “COVID 19” dovrebbe indurre il Giudice chiamato a risolvere il contrasto ad applicare il meccanismo analogo a quello di riduzione della penale ex art. 1384 c.c. eccessivamente onerosa attraverso un intervento di “equità correttiva”.[9]

In altre parole l’evento straordinario che purtroppo la intera umanità sta subendo, consentirebbe, secondo questa teorica, di ridurre per mano giudiziale il quantum economico corrispondente al preavviso dovuto.

 

b. Impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1464 c.c.).

Si è già accennato che la emergenza Covid 19 a cui sono seguiti i connessi provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri di chiusura degli esercizi commerciali e di limitazione della circolazione delle persone proprio perché straordinaria ed imprevedibile potrebbe consentire l’applicazione dei rimedi codicistici della impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1464 c.c.) che dunque rappresenterebbero la seconda ipotesi ricostruttiva funzionale a disciplinare la fattispecie; i provvedimenti di lock down imposti dal Governo integrano, senza dubbio, il factum principis idonei ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento e tali da giustificare, probabilmente, la sospensione nel pagamento del canone di locazione ; la Corte Suprema con la sentenza del 24 aprile 2009, n. 9816 ha invero chiarito che “L’impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi degli artt. 1256 c.c. e 1463 c.c. può’ dipendere anche da una causa non imputabile ad debitore e può essere fatta valere da ciascuna delle parti, ogni qualvolta il sinallagma risulta alterato per effetto dell’evento sopravvenuto. Se inoltre l’impossibilità è temporanea non si fa luogo alla risoluzione del contratto, ma è giustificata la sospensione della prestazione in via di autotutela”.

In realtà ci si chiede se non solo sia giuridicamente sostenibile la sospensione ma se si possa giungere a consentire la estinzione o comunque la riduzione della obbligazione di pagamento da parte del conduttore per il periodo in cui il locale non sia stato utilizzato per fatto non imputabile al conduttore (e per la verità nemmeno al locatore).

Un precedente giurisprudenziale della Corte di Cassazione “esportabile” anche nel nostro caso potrebbe essere dato dalla sentenza della Corte Suprema del 27 febbraio 2004 n. 3991 ove è stato affermato, in tema di temporanea inidoneità dell’immobile all’uso consentito, anche per fatto non imputabile al locatore (fattispecie di infiltrazioni copiose di acque in una palestra) di ottenere una riduzione del canone a causa dei limiti esistenti al pieno godimento del bene come contrattualmente previsto trattandosi appunto di un contratto avente natura commutativa. La pronuncia appare netta nell’affermare che: “quando il locatore agisce …per ottenere l’intero pagamento del canone, il conduttore, nel caso di oggettiva mancanza della controprestazione del locatore, può opporgli in via di eccezione, non il diritto a restare nella cosa locata senza pagare alcun canone sino alla naturale conclusione del contratto e in attesa del ripristino del rapporto, ma certamente il diritto ad ottenere una riduzione del canone, che tenga conto della riduzione delle utilità che il conduttore si trova a ritrarre dalla detenzione del bene in una condizione in cui ne è ostacolato il pieno godimento contrattuale da parte sua (artt. 1464 e 1584 c.c.) ”.

Ritornando al nostro caso (pandemia), ancorché l’immobile sia, almeno teoricamente, in condizioni tali da poter essere utilizzato, ed ancorché il conduttore ne abbia la materiale disponibilità, quest’ultimo non potrà ovviamente goderne per tutto il periodo di vigenza del lock down.

Come per tutti i contratti a esecuzione continuata e periodica (tra cui rientra la locazione), l’impossibilità temporanea potrebbe assumere quindi i connotati di una impossibilità parziale, con la conseguenza che il conduttore che non abbia interesse a recedere dal contratto (confidando in una ripresa della propria attività), o non possa farlo (ad es. perché nel contratto è stato escluso il recesso per gravi motivi), avrebbe diritto di ottenere una “corrispondente” riduzione del canone di locazione.

Il conduttore potrà esser abilitato a tutelare il proprio diritto sia in via preventiva attraverso una azione cognitoria specifica, sia in via di eccezione; sarà però opportuno che il conduttore dia di ciò preventivo avviso al proprietario locatore con una apposita comunicazione e ciò allo scopo di rispettare il principio della buona fede oggettiva.

Ovviamente immanente sarà la problematica relativa della determinazione del quantum della riduzione del canone che potrà anche azzerare l’intero importo del corrispettivo tenuto conto delle singole circostante, ponendosi mente soprattutto al tipo di attività commerciale.

Nel caso del Corona virus si tratterebbe, in ogni caso, di una impossibilità parziale sopravvenuta che, come detto, non avrebbe i caratteri della definitività.

 

c. Eccessiva onerosità.

La terza ipotesi è quella della eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. secondo cui se la prestazione di una delle parti (in questo caso quella in capo al conduttore nel pagamento del canone) è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 c.c. (nel senso che essa avrà efficacia ex tunc eccezione fatta per i contratti ad esecuzione continuata o periodica come le locazioni ove la risoluzione non produrrà effetti con riguardo ai canoni già corrisposti) ; la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

In altre parole se la parte nei confronti della quale viene domandata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta volesse evitare lo scioglimento del contratto, potrà offrire alla controparte di modificare “equamente” le condizioni dello stesso, secondo una valutazione di buona fede che riequilibri il rapporto contrattuale.

Anche in questo caso il rimedio, con riguardo alla vicenda Covid, non pare apprezzabile, eccezion fatta per il caso in cui il conduttore ritenesse di non avere più interesse alla prosecuzione del rapporto; in siffatta ipotesi egli potrebbe attivare il meccanismo di cui all’art. 1467 c,.c. allo scopo di evitare il pagamento dei canoni corrispondenti al preavviso ex art. 7 l. 392 del 1978 obbligatoriamente da versare in presenza di un recesso esercitato per giustificato motivo.

Fuori da questa ipotesi non mi pare allora che il conduttore possa adoperare l’istituto in maniera fruttuosa atteso che egli non avrebbe certezza nell’ottenimento della riduzione equa del canone di locazione da parte del proprietario il quale, invero, in presenza di una domanda di risoluzione introdotta dal conduttore, strumentale alla rideterminazione in minus del canone potrebbe vedersi accettata la domanda di risoluzione senza dunque offrire la modifica delle condizioni economiche del contratto, cosicchè il conduttore avrebbe in tal modo, purtroppo per lui, ottenuto un doppio danno. [10]

É discusso se il contraente convenuto nel giudizio di risoluzione che intenda evitare lo scioglimento del contratto, abbia l’onere di formulare una specifica offerta di riduzione ad equità, oppure possa limitarsi a dare atto di tale propria disponibilità. In taluni casi, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la possibilità di un intervento giudiziale nella revisione, ad esempio, del corrispettivo contrattuale stabilito dalle parti, o nella determinazione del contenuto delle modifiche da apportare al contratto per ricondurlo ad equità, purché tale iniziativa sia stata sollecitata dalla parte interessata, e comunque avvenga sulla base degli elementi acquisiti al processo.

È importante sottolineare che, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di impossibilità sopravvenuta (in cui l’obbligazione si estingue automaticamente), nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta la parte la cui prestazione divenga eccessivamente onerosa non è automaticamente esonerata dall’adempimento, ovvero legittimata a sospendere l’esecuzione della propria prestazione, ma, per poter essere liberata dalla propria obbligazione e non incorrere in responsabilità per inadempimento, dovrà agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto. Anche questo aspetto fortemente limita l’applicabilità dell’istituto con riguardo alla emergenza pandemia tenuto conto dell’interesse del conduttore a mantenere in esecuzione il contratto seppur a diverse condizioni.

 

d. Exceptio inadimpleti     

Resterebbe comunque fermo il principio generale del nostro ordinamento (quarta ipotesi) secondo cui la parte che non abbia ricevuto la (contro) prestazione ad essa spettante potrà sospendere la prestazione cui essa è tenuta avvalendosi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 codice civile. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’eccezione di inadempimento “prescinde dalla responsabilità della controparte” e può essere azionata anche quando “il mancato adempimento della prestazione dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità per causa non imputabile al debitore” in questo caso del locatore - cfr. Cass n. 21973 del 19 ottobre 2007).

Nel senso che l'eccezione di inadempimento può essere sollevata anche nei confronti del contraente il cui inadempimento sia incolpevole pure il Trib. Cagliari 21 marzo 1986 [11], e, in dottrina, tra gli altri, Bigliazzi GeriRisoluzione per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano 1988, 18 ss.[12]

 

 e. La buona fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale.

In assenza di specifici rimedi indicati all’interno dei contratti, quali ad esempio le clausole di “hardship”, previste soprattutto allo interno dei contratti internazionali e funzionali a fronteggiare situazioni straordinarie ed imprevedibili demandando ad un terzo “arbitratore” la rideterminazione del corrispettivo cui le parti sarebbero obbligate e vincolate nella relativa accettazione, previsioni queste che difficilmente sono rinvenute nei contratti di locazione, si potrebbe sostenere che comunque sia possibile, facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico e, in particolare, alla clausola generale della buona fede (articoli 1366 e 1375 del codice civile) e al principio di equità integrativa (articolo 1374 del codice civile), sostenere che sussista un diritto della parte che subisce eventi sopravvenuti di rinegoziare i termini del contratto, e, ovviamente, per l’altra parte un obbligo, fondato sul dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, di acconsentire alla rinegoziazione.

L’obbligo di rinegoziare, in sostanza, comporterebbe il dovere, in presenza di determinati presupposti, di aderire all’invito a rinegoziare accettando le modifiche proposte o proponendo soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza economica, permettano di riequilibrare il rapporto negoziale.[13]

Naturalmente, l’esito negativo di questa attività di rinegoziazione non potrebbe costituire in sé e per sé un inadempimento all’obbligo di rinegoziare. Un inadempimento potrebbe configurarsi solo in caso di rifiuto assoluto ed ingiustificato a negoziare, così come in quei casi in cui una parte si dichiari solo apparentemente disposta a negoziare (rinegoziazione c.d. maliziosa), senza tuttavia avere alcuna reale intenzione di riconsiderare i termini dell’accordo.

In realtà in caso di rifiuto assoluto alla rinegoziazione ad opera delle parti non pare, allo stato, che si possa consentire al Giudice di sovrapporsi alla volontà contrattuale determinando, ex auctoritate il contenuto della “nuova”obbligazione (nel nostro caso il nuovo canone).

Nell’ordinamento civilistico attuale, se non erro, le ipotesi di intervento giudiziale rappresentano davvero l’eccezione; penso alla fattispecie di cui all’art. 1660 c.c. secondo cui “se per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al Giudice di determinare le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo “. È questa, mi pare, la fattispecie più vicina al caso che ora si sta indagando, ma che non mi pare si possa applicare in via analogica.

L’altra ipotesi ricostruttiva, trova aggancio nell’art. 1384 c.c. che consente al Giudice, come sopra ricordato, di intervenire all’interno del regolamento contrattuale, riducendo l’importo della penale (integrazione cogente) in maniera equa qualora la obbligazione principale sia stata eseguita in parte oppure se l’ammontare della stessa sia manifestamente eccessiva (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 13 settembre 2005, n. 18128).

Per altro già nella sentenza n. 10511 del 1999, in tema di riduzione d’ufficio della penale manifestamente eccessiva, la S.C, ha espressamente affermato che l’intervento modificativo del giudice sul contratto non deve essere considerato eccezionale ma “semplice aspetto del normale controllo che l’ordinamento si è riservato sugli atti di autonomia privata”.

Si tratta però, ed anche in questo caso, di una previsione normativa che regolamenta una fattispecie specifica, e che non potrebbe (probabilmente) essere ripresa tout court ed adoperata in un ambito diverso. [14]

Resta, a questo punto, come quinta ed ultima ipotesi di lavoro, la possibilità di servirsi dell’art. 1374 c.c., che individua quali fonti integrative del contratto, non solo la legge, non solo gli usi ma anche l’equità.

Recentemente la dottrina [15] ha incluso all’interno di questo elenco anche l’istituto della buona fede di cui all’art. 1375 c.c.

Il principio è autorevolmente ripreso nella Relazione Telematica della Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, 10 settembre 2010, n. 116 [16]secondo cui: Precisato che il principio della buona fede oggettiva deve accompagnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione, e che, essendo espressione del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche e che, inoltre, la sua violazione costituisce di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato, la S.C. ha affermato che il criterio della buona fede costituisce uno strumento, per il giudice, finalizzato al controllo - anche in senso modificativo o integrativo - dello statuto negoziale; e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti interessi. Il giudice, quindi, nell’interpretazione secondo buona fede del contratto, deve operare nell’ottica dell’equilibrio fra i detti interessi.”

Ma già la Suprema Corte con la sentenza del 9 marzo 1991, n. 2503 (conforme anche Cass. civ., sez. I, 22 maggio 1997, n. 15669) aveva chiarito che : «non può farsi a meno di ricordare come la buona fede operi non solo in sede d’interpretazione ed esecuzione del contratto, a norma degli artt. 1366 e 1375 c.c., ma anche quale fonte d’integrazione della stessa regolamentazione contrattuale, secondo quel che si desume dall’art. 1374 c.c.» [17]

Una dottrina autorevole, da par suo, ha sostenuto la possibilità di giungere ad una integrazione del contratto attraverso “fonti estranee alla struttura dello stesso[18]

Ancora più chiaramente e con specifico riferimento al ruolo del giudice molto nitida è Cass., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106, secondo cui: “I principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto”.

I principi affermati dalla Suprema Corte parrebbero recepiti nell’interessante arresto reso dal Trib. di Treviso, con la sentenza n. 1956/2018 (in www.magistraturaindipendente) ove il Giudice del merito è intervenuto direttamente nel sinallagma “rimodulando” il quantum della originaria obbligazione di pagamento così come convenuta in contratto, e “rideterminando” ex autorictate il contenuto del negozio giuridico; la motivazione posta a base del realizzato “intervento ortopedico” merita la ritrascrizione : << Deve ritenersi, pertanto, che sia immanente al nostro ordinamento un principio secondo cui, pur nel rispetto dell’art. 1322 cod. civ., viene attribuito al giudice un potere di controllo sulle pattuizioni delle parti, nell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di evitare che l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro cui appare meritevole di tutela. Tale intervento, pertanto, si pone quale limite all’autonomia negoziale stessa, prevista dalla legge non nell’interesse individuale dei paciscenti ma nell’interesse generale dell’ordinamento all’equità contrattuale. Tale impostazione, inoltre viene avvalorata dall’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in tema di clausola generale di buona fede nell’adempimento del contratto. Infatti, la buona fede deve ritenersi si specifichi nell’obbligo di entrambe le parti di salvaguardare l’utilità della controparte nel limite dell’apprezzabile sacrificio. La buona fede, pertanto, si concreta in una duplice direzione, ossia nei confronti del creditore fa sì che gli sia vietato di abusare del suo diritto e, allo stesso tempo lo obbliga ad attivarsi per evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell’inadempimento. Dunque, il rapporto obbligatorio è caratterizzato da una struttura complessa in quanto il principio di correttezza si pone come fonte di doveri ulteriori che vincolano le parti ancorché non risultino dal titolo del rapporto obbligatorio. >>.

L’integrazione del contratto, anche da parte del Giudice [19] non può più ritenersi allora un tabù ed una vietata intrusione nel negozio predisposto dalle parti ma va ricondotto, ben inteso in maniera prudente e calibrata, ed in presenza di determinate fattispecie, a un riequilibrio dell’accordo negoziale, a tutela dell’ordinamento e delle parti stesse; [20] apparirebbe allora maturo il tempo per intervenire con strumenti “manutentivi” del contratto e non solo e non tanto con quelli meramente di risoluzione, e ciò in un’ ottica di salvataggio dell’impresa che solo così potrà ripartire costruendosi “un cordone di protezione” di quei contratti commerciali senza i quali non potrà più svolgersi l’attività di impresa con danno collaterale per i dipendenti, i fornitori, i terzi.

Il totem dell’autonomia privata non è più da solo sufficiente a garantire una giustizia sostanziale del contratto soprattutto nei difficilissimi frangenti di questo tempo, che con tanto insicurezza stiamo attraversando.

Forse, ed in attesa della Revisione del codice dei contratti [21] questa potrebbe essere la strada.



[1] Secondo Confedilizia le unità immobiliari di categoria catastale C1 (negozi e botteghe) sono 1.977.624 (dato Agenzie delle entrate). Di queste, 1.577.714 sono di proprietà di persone fisiche e 399.133 appartengono ad altri soggetti.

[2] A livello macroeconomico il PIL 2020 dell’Italia secondo molti analisti andrà in caduta verticale; inizialmente era stata prevista soltanto una recessione tecnica per il secondo trimestre dell’anno, ma il peggioramento della situazione ed il conseguente lockdown hanno reso evidente la drammaticità della situazione. Secondo molti osservatori il nostro prodotto interno lordo archivierà questo momento storico con flessioni imponenti. Mentre la quasi totalità del mercato si è trovata concorde nel ritenere ormai certa una recessione del Paese, l’entità della stessa è variata di previsione in previsione. I più ottimisti in tal senso sono sembrati gli esperti dell’Ocse che hanno dato per scontata una crescita zero nel 2020. Queste stime sono state però formulate all’inizio di marzo, prima del lockdown per cui è molto probabile un loro peggioramento. Secondo Fitch e Mongan Stanley il Pil 2020 dell’Italia crollerà rispettivamente del 4,7% e del 5,8% a causa del coronavirus. Per l’Ufficio Studi di Confindustria le cose andranno ancora peggio. L’economia tricolore risentirà in maniera decisa dell’emergenza Covid 19 e chiuderà l’anno con una flessione di 6 punti percentuali, il tutto mentre deficit e debito voleranno. Secondo Prometeia il Pil dell’Italia sarà il più colpito dal coronavirus; da qui la necessità di rivedere le proprie stime 2020 da – 0,3% a – 6,5%. (Fonte Money.it).

[3] L.24.4.2020, n. 27 conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 17.3.2020 n. 18, recante misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID 19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi. La legge di conversione è entrata in vigore il giorno successivo la sua pubblicazione avvenuta il 29 aprile 2020.

[4] Negli stessi termini A.Dolmetta Le locazione di esercizio commerciale (o di studi professionali) e riduzione del canone per «misure di contenimento» pandemico in www.ilcaso.it. L’Autore chiarisce che “I governi regionali intervenuti non hanno, tuttavia, espresso precetti omogenei (al di là del tempo della specifica loro emanazione). Così il decreto n. 34 del 21 marzo 2020 della Regione Piemonte ha prescritto (art. 19) la «chiusura degli studi professionali, salvo l’utilizzo del lavoro agile, con esclusione dello svolgimento delle attività indifferibili e urgenti o sottoposte a termini perentori di scadenza ivi effettuate. Sono esclusi dalla presente chiusura tutti gli studi medici e/o sanitari e di psicologia»”.

[5] Per redigere l’accordo e ottenere, quindi la riduzione del canone di locazione, occorre compilare il Modulo 69 (scaricabile presso il sito dell’Agenzia dell’Entrate). Nell’accordo dovranno essere indicate le seguenti informazioni: i dati del locatore e dell’inquilino; il canone annuo stabilito inizialmente; l’ammontare ridotto sul quale ci si è accordati; il numero di mesi per i quali l’inquilino pagherà un importo più basso. Un altro aspetto che dovrà essere ben chiarito è l'oggetto dell'accordo: riduzione temporanea del canone e poi ripresa del versamento del precedente importo; (oppure) sospensione temporanea del pagamento del canone (ad esempio per alcuni mesi). La riduzione è ammessa per tutti i contratti di locazione, sia per quelli ad uso abitativo sia per quelli ad uso commerciale indipendentemente dalla durata del contratto di locazione o dal regime fiscale di tassazione ordinaria o cedolare secca. Inoltre, non sono previste spese di registrazione in quanto l’atto è esente da bollo come previsto dal d.l. n. 133/2014. Oltre a ridurre il carico di spese per il locatario, l’accordo basato sul Modulo 69, avrà dei vantaggi anche per i proprietari di casa che pagheranno le imposte solamente sulla somma effettivamente riscossa e indicata sull’accordo. L’accordo di riduzione del canone di locazione deve essere redatto in forma scritta, da registrare all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni. A tal proposito, a causa dell’emergenza Covid-19, è stato concesso di inviare il Modello 69 e la scrittura privata dell’accordo, (scansionato e sottoscritto) anche via mail all’Ufficio tributario, il quale provvederà a registrarlo. In ogni caso è anche possibile attendere la riapertura degli uffici in quanto l’Agenzia delle Entrate (circ. 3 aprile 2020, n. 8/E) ha previsto lo slittamento dei termini a causa, facendo riferimento anche alla registrazione degli atti (cfr. in questi termini Diritto e Giustizia Quotidiano di informazione giuridica).

[6] Tra i primi commenti dottrinari si segnala F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus” in giustiziacivile.com ed F. Di Marzio, Comunità affrontiamo la nostra prova in giustiziacivile.com; A. De Mauro, Pandemia e contratto: spunti di riflessione in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione in giustiziacivile.com.

[7] In questo senso l’applicazione dell’art. 185 bis cpc (proposta di conciliazione del giudice) ben potrà funzionare da strumento “di moral suasion”.

[8] cfr. Cass. SS.UU. 19.12.2014, n. 26892

[9] S. Luppino, I canoni di locazione ai tempi del coronavirus, Maggioli editore.

[10] Cfr. in termini N. Crispino e F. Troncone, “Emergenza Coronavirus: quali possibili effetti sulla locazione a uso commerciale www.i.caso.it (pubblicato il 31/03/2020) secondo cui E’ poi opinione della Corte regolatrice che la parte che subisce l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione può solo agire in giudizio per la risoluzione del contratto, ex art. 1467, comma 1, cod. civ., purché non abbia già eseguito la propria prestazione, ma non ha diritto di ottenere l'equa rettifica delle condizioni del negozio, la quale può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione, ai sensi del comma 3 della medesima norma, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l’eccessiva onerosità della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2047; Cass. 25 marzo 2009, n. 7225; Cass. 5 gennaio 2000, n. 46)
Inoltre, il richiamo espresso all’art. 1458 cod. civ. compiuto dal primo comma dell’art. 1467 cod. civ. non lascia adito a dubbi quanto all’efficacia temporale di una eventuale pronuncia di accoglimento, che, appunto, opererebbe solo ex nunc, lasciando inalterate le debenze medio tempore maturate.
In astratto resta salva l’ipotesi in cui la parte interessata ricorra alla sede cautelare onde ottenere provvedimenti anticipatori della pronuncia finale, sempre che riesca
a comprovare la necessità di evitare che, durante il tempo occorrente per far valere la risoluzione per eccessiva onerosità, possa subire danni non altrimenti riparabili.“

[11] in Riv. giur. sarda, 1988, 411.

[12] Qualora invece la prestazione sia divenuta impossibile per causa non imputabile al contraente che vi era tenuto, ha luogo la risoluzione del contratto, ai sensi dell'art. 1463 c.c., ovvero, nel caso di impossibilità parziale, troverà applicazione la disciplina di cui all'art. 1464 c.c., e l'altro contraente, in realtà, è esonerato dall'adempiere la propria prestazione non già in attuazione dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., ma a causa dello scioglimento del contratto.

[13]Non meno opportuno si manifesta, in proposito, che il conduttore, nella relativa comunicazione, pure inviti il locatore a stabilire in modo concorde la misura della riduzione da applicare al canone della locazione. In effetti, tale misura segue all’accertamento dell’incidenza effettiva che - nel concreto dell’economia del singolo rapporto contrattuale - viene a possedere la prestazione dal cui peso è stato liberato il locatore: in difetto di accordo tra le parti, quindi, la relativa determinazione non può che spettare al giudice. “ Così testualmente A.Dolmetta Le locazione di esercizio commerciale (o di studi professionali) e riduzione del canone per «misure di contenimento» pandemico in www.ilcaso.it.

[14] Alcuni ulteriori spunti potrebbero essere ricavati dalla legislazione in tema di subfornitura ove l’art. 3, comma 5, della L.n.192/1998 stabilisce che “Ove vengano apportate, nel corso dell'esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, significative modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il subfornitore avrà diritto ad un adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto”; in questo caso seppure la norma non faccia espresso riferimento all’intervento del Giudice “nel contratto” il riconoscimento, in capo al subfornitore, del diritto all’adeguamento del prezzo dovrà necessariamente causare l’intervento riequilibratore del giudice in caso di rifiuto, di una delle parti del contratto, alla consensuale integrazione economica della prestazione. Ancora si potrebbe tentare di ipotizzare l’applicazione, in favore del conduttore, dell’art. 1623 c.c. in via di analogia legis dettato in tema di affitto di cosa produttiva, secondo cui se, in conseguenza di una disposizione di legge o di un provvedimento di un’autorità il rapporto contrattuale risulti notevolmente modificato in modo che il conduttore ne subisca una perdita, quest’ultimo può richiedere una diminuzione del canone di affitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto. Si tratta di una norma di carattere speciale rispetto alla disciplina, della risoluzione per eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c., la quale potrebbe essere invocata dal conduttore nella ipotesi in cui un provvedimento governativo o legislativo disponesse delle limitazioni nella fruizione degli spazi del locale oggetto di locazione, disponendo obbligate distanze sociali tra fruitori di un servizio ad esempio tra i commensali di un ristorante; in questo caso un imprenditore che avesse preso in locazione un locale commerciale pensando di poter allestire all’interno dello stesso uno spazio a sedere per cento clienti si troverebbe ad essere obbligato a destinare gli stessi ambienti per la metà dei clienti, tanto che il rapporto contrattuale verrebbe ad essere inciso fortissimamente rispetto all’originario assetto radicandosi una perdita economica per il conduttore. Ciò abiliterebbe allora il locatario (analogicamente come l’affittuario) a richiedere una riduzione del canone connessa e giustificata dal provvedimento governativo “emergenza Covid”.

[15] (cfr. FRANZONI, Commento sub art. 1374 e sub art. 1375, in Degli effetti del contratto, vol. II – Integrazione del contratto. Suoi effetti reali e obbligatori, in Il Codice Civile. Commentario fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, ed. II, Milano, Giuffrè, 2013, p. 172)

[16] Buona fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale: Il ruolo del giudice nel governo del contratto, p. 5. leggi tutto su MAGISTRATURAINDIPENDENTE.IT: https://www.magistraturaindipendente.it/buona-fede-integrativa-e-potere-correttivo-del-giudice.htm)

[17] (cfr. in termine pure Cass. civ., sez. I, 20 aprile 1994, n. 3775).

[18] Lipari, Per una revisione della disciplina sull’interpretazione e sull’integrazione del contratto, in Rivista trimestrale di diritto e procedura). ha affermato che “il contenuto del rapporto contrattuale é il risultato di un concorso di fonti diverse, delle quali la determinazione volitiva delle parti é una soltanto”, e che “l’ambito di efficacia del contratto può essere definito non assumendo ad esclusivo parametro di riferimento gli interessi delle parti contraenti, ma ... collocando questi interessi in un contesto più generale, attento dunque a finalità che si raccordano con il contratto, ma che non si esauriscono nel contratto”. Inoltre, “il sistema di integrazione del contratto, inteso come strumento di raccordo tra gli interessi direttamente disciplinati dai contraenti e quelli a più ampio spettro incisi dalla pattuizione, muove sempre dall’interno dell’atto di autonomia, ritenuto meritevole di essere salvaguardato senza arroccarsi entro gli spazi alternativi del recesso e della nullità, ma individua la soluzione finale sul piano degli effetti in base a criteri determinativi, ad indici di valori, ... più genericamente a fonti, estranei alla struttura del contratto”.

[19] La “revisione del rapporto” è negata da ROPPO, Il contratto, ed. II, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2011., p. 464; ma in senso inverso ancora F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996

[20]Una accorta Dottrina ha richiamato quest’obbligo di rinegoziare le condizioni del contratto con specifico riferimento alla situazione determinata dalla diffusione dell’epidemia di COVID-19, a fronte della constatazione che i tradizionali rimedi sopra delineati (impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenuta) non offrono un rimedio idoneo alla conservazione del contratto (cfr. F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di coronavirus, editoriale del 17 marzo 2020 in giustiziacivile.com)

[21] (d.d.l. senato n. 1151 30.7.2019 – “le rinegoziazioni dei contratti secondo buona fede per cause eccezionali ed imprevedibili” dispone alla lett. l.che il legislatore preveda e disciplini : “il diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali ed imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede, ovvero, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l’adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che venga ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta tra le parti” ). In dottrina F. Macario, nell’editoriale cit. Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus” in giustiziacivile.com 17.3.2020, convincentemente rammenta che in altri ordinamenti già si è giunti ad una riforma del diritto dei contratti ove sono stati previsti meccanismi di adeguamento dei contratti anche attraverso l’obbligo di rinegoziazione su richiesta della parte, meccanismo questo particolarmente utile nei rapporti di durata; il nuovo art. 1195 Code civil francese dispone “ peut demander une renègociation du contrat è son cocontractant”; quello argentino si esprime in termini di “oportunidad razonable de renegociar buena fe sin incurrir en ejercicio abusivo de los derechos “.


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