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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/05/2020 Scarica PDF

Rimedi alla crisi epidemiologica nelle procedure di sovraindebitamento

Fabio Cesare, Avvocato in Milano


Sommario: Introduzione 1. La mancata disciplina del sovraindebitamento nell’art. 9 D.L. 23/2020 2 Le modifiche ai piani e agli accordi previste dalla legge 3/2012 3. Le modifiche agli accordi e ai piani omologati 4. La sospensione dei termini per le procedure aperte ex art. 83 DL 17 marzo 2020 5. La rideterminazione del mantenimento fissato alla apertura della liquidazione del patrimonio 6. I rimedi generali dell’impossibilità sopravvenuta e i primi precedenti 7. Conclusioni

     

Introduzione

Il blocco improvviso di tutte le attività impatta sulle procedure di sovraindebitamento, ma il legislatore non ha fornito all’interprete strumenti certi per individuare soluzioni emergenziali in grado di adattare l’istituto alle misure di contenimento.

Diverse criticità emergono dall’impossibilità di predisporre un ricorso nei tempi originariamente programmati, non foss’altro che per la difficoltà di reperire la documentazione e la necessità di ricalibrare il piano sulla base degli assunti formulati prima dello scoppio dell’epidemia.

Il presente contributo intende proporre alcune soluzioni per affrontare il tema.

 

1. La mancata disciplina del sovraindebitamento nell’art. 9 D.L. 23/2020

L’art. 9 del D.L. n. 23/2020 c.d. “Decreto Liquidità” contiene un complesso di disposizioni temporanee, derogative del concordato preventivo e delle procedure ex art. 182-bis L.F. L’intento dichiarato delle disciplina è quello di evitare l’imprevisto naufragio di soluzioni concordate della crisi che rischierebbero di essere irrimediabilmente frustrate nel mutato scenario economico, caratterizzato da un forzato immobilismo (cfr. Relazione illustrativa e Relazione tecnica al “Decreto Liquidità”).

Restano inspiegabilmente fuori dal campo di applicazione della normativa il piano del consumatore, l’accordo di composizione della crisi, la liquidazione del patrimonio il sovraindebitamento in generale.

La scelta legislativa è difficilmente comprensibile, se si considera che i due cennati istituti sono sostanzialmente allotropi semplificati del concordato preventivo: tant’è che il nuovo CCII rinomina l’accordo di composizione della crisi “Concordato minore” e la Cassazione ha già delineato l‘appartenenza dei due a un medesimo insieme di principi(si veda il par. 2).

Il legislatore, pertanto, sembra voler circoscrivere la disciplina di sostegno alle sole «Strutture imprenditoriali rilevanti ai fini del ciclo produttivo ed economico» (cfr. Relazione tecnica al “Decreto Liquidità”), escludendo la variegata realtà delle imprese minori, le start up innovative, le migliaia di privati afflitti dalle conseguenze esiziali di una democratica pandemia, che non distingue tra imprese maggiori e gli altri insolventi.

Appare quindi opportuno verificare quali siano gli strumenti in grado di consentire a chi propone un ricorso per sovraindebitamento di assorbire l’onda d’urto del lockdown, per evitare un knockdown sociale, i cui effetti sistemici sarebbero rilevanti almeno quanto un fallimento sistemico.

 

2. Le modifiche ai piani e agli accordi previste dalla legge 3/2012 depositati e non omologati

La legge n. 3/2012 attribuisce al giudice il compito di omologare il piano del consumatore senza il consenso dei creditori; il voto, pur stemperato dal meccanismo del silenzio-assenso, è invece necessario per l’omologa dell’accordo di composizione della crisi.

Occorre, quindi, innanzitutto verificare se il debitore, possa rimodulare la proposta tra il deposito del ricorso e l’omologa stessa.

Una prima soluzione può muovere dall’applicazione dei principi dell’art. 9 “Decreto Liquidità” per le medesime ragioni che hanno indotto la Consulta a parificare il sovraindebitamento al concordato in punto di falcidia dell’IVA (Corte Costituzionale n. 245 del 29/11/2019) e la Corte di Cassazione ad operare analoga equiparazione in tema di durata del piano e dell’accordo di composizione (Cass. n. 17834 del 03/07/2019 e Cass. n. 27544 del 28/10/2019), in una progressiva opera di sistematizzazione degli istituti del concorso che vedono applicare i medesimi principi agli istituti dichiarati affini, circostanza che ormai rende non azzardata l’analogia iuris.

In particolare, l’art. 9, comma II del “Decreto Liquidità”, per il concordato non omologato ma non rigettato dai creditori, accorda al debitore la facoltà di richiedere un termine massimo di novanta giorni per il deposito di un nuovo piano, per tenere conto del mutato contesto economico sul quale si fonda la proposta.

Nel caso il concordato sia stato già approvato, sembra inevitabile la fissazione di un’ulteriore fase per l’espressione di un consenso ex novo sulla nuova proposta.

Inoltre, l’art. 9, comma 3, “Decreto Liquidità” se la modifica riguardi solo i termini dell’adempimento, sino all’udienza di omologa facoltizza al deposito di una richiesta di differimento della durata del piano di massimo sei mesi rispetto alla scadenza originaria: in tal caso, il Tribunale acquisisce il parere del commissario giudiziale e procede all’omologa della proposta unilateralmente differita, senza bisogno di ripetere le operazioni di voto.

Applicando gli stessi principi, si potrebbero riconoscere le medesime facoltà anche al debitore che abbia proposto il piano del consumatore o l’accordo di composizione, non ancora omologati.

Pertanto si potrebbe consentire un termine di massimo sei mesi per il deposito di un nuovo accordo o di un nuovo piano pur senza il consenso dei creditori; oppure, se il piano non è ancora approvato, è ipotizzabile la concessione di un termine per la sua modifica anche dopo il decreto di apertura.

Simile soluzione si salderebbe con le disposizioni maggiormente duttili e già presenti nella legge 3/2012 per calibrare il piano in modo da recepire eventi esterni in grado di alterarne le originarie previsioni di fattibilità.

La seconda soluzione fa leva sull’art. 9, comma 3-ter l. n. 3/2012 e sull’art. 11 l. 3/2012.

La prima disposizione si riferisce alla fase anteriore all’apertura e la seconda alla modifica successiva al provvedimento di ammissione.

Ai sensi del citato art. 9 comma 3-ter dopo il deposito della proposta di piano e di accordo, il giudice può assegnare al ricorrente un termine perentorio non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti.

La disposizione qualifica il termine espressamente perentorio, ma non esclude la possibilità di prorogarlo secondo gli ordinari principi della rimessione in termini stabiliti in via generale dall’art. 153 c.p.c., posto che la modifica del piano in epoca di lockdown impedisce al debitore di incontrare il gestore egli advisor, oltre a rallentare l’attività professionale necessaria all’adempimento al di fuori della di lui sfera di controllo.

Qualora invece il piano o l’accordo siano stati già dichiarati ammissibili, è possibile modificare la proposta a norma dell’art. 11 l. 3/2012 prima della conclusione del voto.

Si può dunque ritenere che, una volta cessata la sospensione generale dei giudizi prevista dall’art. 83 del d.l. n. 18/2020 c.d. “Cura Italia”, il ricorrente possa formulare istanza di modifica del piano, con riserva di chiederne una proroga, motivata da esigenze originatesi in ragione della pandemia, analogamente a quanto previsto dall’art. 9, comma 2 “Decreto Liquidità” per i concordati.

Peraltro, in caso di accordo di composizione, la richiesta troverebbe un limite logico nella circostanza che il ceto creditorio, prima dell’emergenza epidemiologica, si sia già pronunciato negativamente sulla proposta: in questo caso, la richiesta di termine perseguirebbe lo scopo di formulare in via surrettizia una nuova proposta, il che pare inammissibile.

Qualora, invece, l’adunanza dei creditori si sia già tenuta e questi abbiano espresso voto a favore, l’eventuale integrazione della proposta verrebbe nuovamente sottoposta al voto dei creditori.

Questo, d’altronde, è anche il tenore dell’art. 9, comma 2 “Decreto Liquidità”, che qualifica come inammissibile l’istanza di concessione del termine «Se presentata nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l’adunanza dei creditori ma non sono state raggiunte le maggioranze» stabilite.

In alternativa, la proposta potrebbe essere comunque omologata, per poi richiederne la modifica ai sensi dell’art. 13 comma quarto l. 3/2012 al quale è dedicato il seguente paragrafo.

 

3. Le modifiche agli accordi e ai piani omologati

Qualora il piano e l’accordo risultino già omologati, possono essere individuate due soluzioni.

In primo luogo è possibile ancora applicare l’art. 9, comma 1 “Decreto Liquidità”, ai sensi del quale i termini per l’adempimento dei concordati e degli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati tra il 23 febbraio e il 31 dicembre 2020, sono prorogati di diritto di sei mesi.

La seconda soluzione fa leva sul citato art. 13, comma 4-ter l. n. 3/2012 che attribuisce al debitore la facoltà di modificare il piano del consumatore o l’accordo di composizione della crisi, se la loro esecuzione diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore proponente, quali, ad esempio, la pandemia in essere.

Ne consegue la possibilità del debitore (i) di modificare il contenuto del piano o dell’accordo; (ii) di mantenerli inalterati, prevedendo però una dilazione dei termini di adempimento, con effetti speculari a quelli previsti dall’art. 9, commi 2 e 3 “Decreto Liquidità”.

Le considerazioni qui tratteggiate si devono saldare con le misure che hanno sospeso l’attività giurisdizionale e i termini processuali.

 

4. La sospensione dei termini per le procedure aperte ex art. 83 DL 17 marzo 2020

L’art. 83, commi 1 e 2 del “Decreto Cura Italia”, così come novellato dall’art. 36 del “Decreto Liquidità”, dispone, per quanto qui d’interesse, (i) che le udienze civili fissate nel periodo dal 9 marzo all’11 maggio siano rinviate d’ufficio a data successiva all’11 maggio e che (ii) nel medesimo arco di tempo sia sospeso il decorso dei termini per il compimento degli atti civili.

La norma dispone una sospensione generalizzata di tutti i procedimenti civili, ivi compresi quelli concorsuali, come confermato peraltro dalle prassi adottate dai tribunali italiani.

Oltre ai procedimenti espressamente indicati dall’art. 83, comma 3 “Decreto Cura Italia”, restano esclusi dalla sospensione anche i procedimenti civili, ivi comprese le procedure di sovraindebitamento, connotati da urgenza, che il giudice deve espressamente indicare con apposito provvedimento, con facoltà peraltro di disporre la trattazione scritta della causa o la celebrazione telematica dell’udienza, laddove non sia prevista la presenza personali della parti (art. 83, commi 3, 5 e 7, lett. h, “Decreto Cura Italia”).

Tramite questa generalizzata sospensione, sarà possibile rinviare le udienze di omologa fissate tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020 ed eventualmente ottenere un nuovo termine per rettificare il piano tenendo conto delle circostanze sopravvenute, come espressamente previsto dall’art. 11 l. 3/2012 per la proposta non ancora votata.

Si offre di seguito una tabella riepilogativa degli strumenti già offerti dalla l. 3/2012

Prima dell’ammissione

Dopo l’ammissione

Dopo l’omologa

Art. 9 comma terzo ter l. 3/2012: è possibile depositare una modifica del piano chiedendo un termine di quindici giorni prorogabile.

Art. 11 l. 3/2012. E’ possibile modificare il piano dopo il decreto di apertura l’ammissione ma prima del voto

Art 13 comma quarto ter l. 3/2012: se il piano è divenuto impossibile per ragioni sopravenute, esso può essere modificato

 

5. La rideterminazione del mantenimento fissato alla apertura della liquidazione del patrimonio

L’art. 14-ter, comma VI, lett. B), della l. 3/2012 dispone che non rientrano nella liquidazione “i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice”.

Con il decreto di apertura, il Tribunale fissa una quota di reddito da destinare al mantenimento del debitore e del suo nucleo famigliare, e una quota di regola non superiore alla porzione pignorabile ex art 545 c.p.c. destinata ai creditori concorrenti.

In un contesto di moltiplicazione di accessi alla cassa integrazione e di contrazione del fatturato delle microimprese individuali, sono facilmente prevedibili impatti negativi sui debitori che abbiano visto aprire la liquidazione del patrimonio prima dell’epidemia. E’ intuibile che le diminuite le capacità reddituali alterino i presupposti sui quali è stata fondata la ripartizione tra spese di mantenimento e quota da assegnare ai creditori nel decreto di apertura.

Soccorre a questo fine l’art. 14-terdecies, comma sesto l. 3/2012 che dispone siano applicabili alla liquidazione del patrimonio le disposizioni sui procedimenti di volontaria giurisdizione: ne consegue che il provvedimento di apertura potrà essere oggetto di revoca e modifica ex art. 742 c.p.c.: il lockdown e la conseguente riduzione del reddito disponibile potrà essere considerato in molti casi un valido elemento sopravvenuto in grado di modificare i presupposti sui quali è stata calcolata la quota di mantenimento, che potrebbe essere ricalcolata in senso più favorevole al debitore con la richiesta di modifica della porzione di reddito stabilita nel provvedimento di apertura.

 

6. I rimedi generali dell’impossibilità sopravvenuta e i primi precedenti

Il piano del consumatore e l’accordo di composizione hanno natura negoziale, e a differenza del concordato preventivo trovano un espresso riconoscimento dell’impossibilità sopravvenuta quale strumento di ricalibrazione della prestazione dovuta in virtù della proposta omologata di fronte ad eventi estranei alla sfera di controllo del debitore.

L’art. 13 comma quarto ter, l. 3/2012, già ricordato, prevede la possibilità di modificare il piano divenuto impossibile per ragioni non imputabili al creditore.

Si tratta all’evidenza di un’applicazione dei principi generali in materia di impossibilità sopravvenuta sanciti (i) dall’art. 1218 c.c. che libera il debitore dall’obbligazione se prova che l’inadempimento o il ritardo sia stato determinato da impossibilità dovuta a causa a lui non imputabile; (ii) l’art. 1256 comma 2, primo periodo c.c. il quale afferma che “Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”, precludendo in tal modo la possibilità al creditore di richiedere la risoluzione del rapporto in essere poiché il ritardo non è imputabile al debitore; (iii) dall’art. 1468 c.c. per i contratti sinallagmatici, il quale afferma che nelle ipotesi di “contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità”..

Nel caso di inadempimento dell’obbligazione derivante dal piano del consumatore o dall’accordo di composizione, la l. 3/2012 prevede la possibilità per ciascun creditore di chiedere la risoluzione dell’accordo ex artt. 14, comma 2 (“Se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso”) e 14-bis, comma 2, lett. B (“Se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione del piano diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore”).

Nel sistema dei rimedi, dovrebbe essere precluso ai creditori di avvalersi delle facoltà previste dagli artt. 14, comma 2 e 14-bis, comma 2, l. 3/2012 sulla scia delle disposizioni connesse alla crisi epidemiologica laddove l’inadempimento del piano sia riconducibile alle misure di contenimento, salva la possibilità di modificare il piano post omologa con scadenze e impegni coerenti con un nuovo contesto.

In questa linea, il Tribunale di Napoli – con sentenza del 3 aprile 2020[1], a seguito di un’istanza di sospensione dei termini per l’esecuzione di un piano del consumatore omologato - ha affermato che: “Non può trovare […] prevalenza la disposizione di cui all’art 14 bis, comma II lett B) che riconosce ai creditori di dichiarare cessati gli effetti del piano del consumatore omologato nel caso in cui l’esecuzione del piano diviene impossibile anche per fatti non imputabili al debitore. Deve infatti ritenersi che il rapporto tra art 13 comma IV ter ed art 14 bis, comma II lett b) va inteso nel senso che prevale la volontà del debitore di chiedere la modifica della proposta del piano rispetto a quella dei creditori di ottenere la cessazione degli effetti della omologazione del piano del consumatore”.

Il tribunale partenopeo, nella decisione sull’istanza di sospensione del piano del consumatore, fa riferimento all’art 91 D.L. 18/2020 che inserisce un nuovo comma (il comma 6-bis) nell’art. 3 del D.L. 6/2020 che così dispone “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini della esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 c.c. e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti”.

Sebbene la disposizione sia stata dettata espressamente per i contratti pubblici, la ratio sottesa permette l’estensione del principio anche ad altre fattispecie da valutare caso per caso, poiché vi potrebbero essere situazioni soggettive che risultano avvantaggiate dal nuovo assetto economico (si pensi alle imprese che si occupano di commercio elettronico, alle farmaceutiche, alle società che commerciano strumenti medicali).

 

7. Conclusioni

E’ stata recentemente valorizzata l’impossibilità sopravvenuta quale criterio discretivo per paralizzare le eventuali istanze fallimento laddove l’insolvenza trovi radice anche concorrente nel blocco dell’economia conseguente alle misure di contenimento[2].

La progressiva sistematizzazione degli istituti concorsuali a centri concentrici[3], potrebbe valorizzare l’impossibilità sopravvenuta nelle graduazioni rimediali previste nel codice civile per accertare il presupposto della crisi e dell’insolvenza anche per le procedure maggiori mediante una generalizzazione del principio sancito dall’art. 13 comma quarto bis e del principio sancito dall’art. 9 DL 23/2020 che permettono su piani diversi la rimodulazione del piano omologato rispettivamente per circostanze non imputabili e in conseguenza dell’emergenza pandemica.

Una simile generalizzazione, si inserisce nella scia in un filone interpretativo che anticipa il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza avvicinando il sovraindebitamento agli istituti concorsuali facendo ampia applicazione dell’analogia iuris tra la legge fallimentare e la legge 3/2012.



[1] Tribunale Napoli, 3 aprile 2020. Est. Graziano. In: www.ilcaso.it

[2] Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, www.ilcaso.it. Limitone, L’accompagnamento fuori della crisi con l’aiuto dell’OCC-Covid-19, www.ilcaso.it.

[3] Cass. 12 aprile 2018, n. 9087, in materia di concorsualità degli accordi di ristrutturazione.


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