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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/02/2020 Scarica PDF

L'irripetibilità dell'indebito assistenziale derivante dal venir meno dei requisiti reddituali richiesti per beneficiare della pensione d'invalidità civile

Leonardo Lombardi, Avvocato


Sommario: 1. L’affidamento dell’accipiens e la conseguente irripetibilità, da parte dell’INPS, dell’indebito assistenziale. - 2. Le norme ed i principi applicabili in caso di indebito previdenziale. - 3. Il vizio di motivazione del provvedimento con cui l’INPS richiede la restituzione dell’indebito assistenziale (o previdenziale).

     

1. L’indebito assistenziale e l’indebito previdenziale costituiscono due figure differenti. Invero, mentre il primo deriva dalla indebita percezione di prestazioni assistenziali (ad esempio, la pensione d’invalidità civile), il secondo si configura in seguito alla indebita percezione di prestazioni pensionistiche (ad esempio, la pensione di vecchiaia).

Ciò premesso, occorre comprendere quali specifiche norme e quali principi si applichino nel caso in cui l’INPS, dopo aver rilevato un superamento della soglia reddituale annua prevista quale limite per poter beneficiare della pensione d’invalidità civile, emetta un provvedimento con cui ridetermina la predetta pensione, richiedendo altresì al beneficiario la restituzione delle somme erroneamente erogategli.

Ebbene, Cass. civ., sez. lav., sent. del 9 novembre 2018, n. 28771[1] ha chiarito che in realtà, al ricorrere di determinate condizioni – infra meglio enucleate –, l’accipiens non è tenuto alla restituzione all’INPS delle somme indebitamente percepite a titolo di pensione d’invalidità civile, e ciò in deroga al principio generale, sancito dall’art. 2033 c.c., secondo il quale chi esegue un pagamento d’indebito ha diritto di ottenere la restituzione di ciò che ha pagato.

In particolare, Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28771 cit., esaminando la disciplina normativa ed i principi vigenti in tema di indebito assistenziale, è giunta ad affermare il seguente principio di diritto: “l’indebito assistenziale determinato dal venir meno, in capo all’avente diritto, dei requisiti reddituali previsti dalla legge abilita l’ente erogatore alla ripetizione delle somme versate solo a partire dal momento in cui è stato accertato il superamento dei predetti requisiti, a meno che non si provi che l’accipiens versasse in dolo rispetto a tale condizione (come ad esempio allorquando l’incremento reddituale fosse talmente significativo da rendere inequivocabile il venire meno dei presupposti del beneficio), trattandosi di coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito”.

La decisione di legittimità in esame è importantissima per le tre ragioni qui di seguito esposte.

(i) Anzitutto, detta decisione conferma che l’indebito assistenziale e l’indebito previdenziale sono due figure differenti e non regolate dalle stesse norme[2].

(ii) In secondo luogo, Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28771 cit., partendo proprio dall’esame della normativa applicabile in tema d’indebito assistenziale riconnesso alla carenza del c.d. requisito reddituale, ha in motivazione chiarito che può esservi ripetibilità solamente ove “ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale, né ne abbia mai fatto richiesta (Cass. 23 agosto 2003, n. 12406), nel caso di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali (Cass. 5 marzo 2018, n. 5059, riguardante un caso di erogazione dell’indennità di accompagnamento in difetto del requisito del mancato ricovero dell’assistibile in istituto di cura a carico dell’erario) o in caso di dolo comprovato dell’accipiens”. In altre parole, in presenza di un legittimo affidamento del beneficiario, l’indebito assistenziale derivante dal superamento dei limiti reddituali è ripetibile solamente per quanto attiene alle somme versate dall’INPS dopo il momento in cui è stato emesso il provvedimento che accerta il predetto superamento dei limiti reddituali[3].

(iii) In terzo luogo, dalla citata Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28771 pare desumersi che il dolo dell’accipiens – dolo che, come visto, consente la ripetizione dell’indebito assistenziale – non sarebbe configurabile nel caso in cui l’accipiens stesso sia in regola con la trasmissione delle proprie dichiarazioni dei redditi[4].

Dunque, tirando le fila del discorso che precede, può sostenersi che, se un soggetto che percepisce una pensione d’invalidità civile è in regola con la puntuale trasmissione dei propri dati reddituali – modello 730 o modello Unico –, allora non si configura alcun dolo idoneo ad escludere l’affidamento sulla prestazione assistenziale ricevuta[5]. In una tale situazione, l’INPS, in forza dei principi supra esaminati, non potrebbe richiedere la restituzione delle somme che, prima del provvedimento che accerta il superamento della soglia reddituale, erano state erogate al beneficiario a titolo di pensione d’invalidità civile.

 

2. Come visto, in caso di indebito derivante dal venir meno dei requisiti reddituali necessari per beneficiare della pensione d’invalidità civile dovrebbero trovare precipua applicazione le norme ed i principi vigenti in tema di indebito assistenziale, norme e principi individuati nel precedente paragrafo.

Ciò detto, per scrupolo di completezza si fa presente che anche in tema di indebito previdenziale vige un principio generale, ricavato dalla normativa di settore, secondo cui “alla stregua della L. n. 88 del 1989, art. 52 espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (Cass. n. 328/02), perché la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all’art. 2033 c.c., le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di «errore di qualsiasi natura» commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita prestazione sia dovuta a dolo dell’interessato” (Così Cass. civ., sez. lav., 11 gennaio 2017, n. 482, in Pluris.it)[6].

Rimane da chiarire un ultimo aspetto. In materia di indebito previdenziale vige anche una norma, vale a dire l’art. 13, comma secondo L. n. 412/1991, a mente della quale “l’INPS procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza”.

Ebbene, tale norma, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, andrebbe interpretata nel senso che “non assume rilievo l’inosservanza, da parte dell’Istituto, dell’obbligo exart. 13, comma 2, legge n. 412 del 1991, di verificare annualmente l’esistenza di situazioni reddituali del pensionato incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, la cui operatività è condizionata alla preventiva segnalazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1, legge n. 412 del 1991, dei relativi fatti da parte dell’interessato[7].

Inoltre, secondo un ulteriore orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, “ai fini della ripetizione dell’indebito previdenziale per sopravvenuta mancanza del requisito reddituale, ai sensi dell’art. 13, comma 2, della l. n. 412 del 1991, non è richiesto l’accertamento del dolo dell’assicurato o l’esistenza di un provvedimento dell’INPS di attribuzione del bene della vita oggetto di recupero, ma rileva soltanto la tempestività della richiesta di ripetizione dell’Istituto rispetto alla comunicazione, da parte del pensionato, dei dati rilevanti ai fini della verifica annuale della persistenza delle condizioni legittimanti l’erogazione del trattamento pensionistico[8].

Infine, è stato affermato anche che, “in tema di indebito previdenziale, l’art. 13, comma 2, della l. n. 412 del 1991, si interpreta nel senso che l’INPS deve procedere alla verifica nell’anno civile in cui ha avuto conoscibilità dei redditi maturati dal percettore di una data prestazione e che, entro l’anno civile (come tale intendendosi il periodo dal 1 gennaio al 31 dicembre) successivo a quello destinato alla verifica, deve procedere, a pena di decadenza, al recupero dell’eventuale indebito[9].

Ebbene, giova chiarire che una tale interpretazione dell’art. 13, comma secondo L. n. 412/1991 potrebbe avere una portata parzialmente limitativa del principio, già supra esaminato, secondo cui la mancanza di dolo dell’accipiens esclude la ripetibilità dell’indebito.

Ed invero, secondo l’interpretazione in discussione, anche in difetto di dolo dell’accipiens, le somme indebitamente erogate possono essere ripetute dall’INPS nel caso in cui la richiesta di restituzione dello stesso Istituto sia tempestivamente proposta entro il termine stabilito dall’art. 13, comma secondo L. n. 412/1991 e, dunque, entro l’anno civile successivo a quello destinato alla verifica dei redditi del beneficiario[10].

Ciononostante, per dovere di completezza è opportuno segnalare un ulteriore orientamento, seppure minoritario, della giurisprudenza di legittimità, orientamento secondo il quale il termine ex art. 13, comma secondo L. n. 412/1991 andrebbe interpretato in maniera parzialmente differente. In particolare, ad avviso di Cass. civ., sez. VI, 26 luglio 2017, n. 18551[11], “se in conseguenza della verifica annuale della situazione reddituale venga accertato un indebito pensionistico, l’Istituto deve notificare, entro l’anno successivo a quello nel quale è stata resa la dichiarazione reddituale, l’indebita erogazione delle somme non spettanti nei periodi ai quali si riferisce la dichiarazione reddituale. Qualora la notifica dell’indebito non sia effettuata nel termine di cui sopra, le somme erogate indebitamente non sono ripetibili”. Proprio dalla attenta lettura della decisione appena citata si ricava un’interpretazione – minoritaria, come detto – secondo cui la richiesta di restituzione dell’indebito, per essere tempestiva ai sensi dell’art. 13, comma secondo L. n. 412/1991, dovrebbe essere effettuata dall’INPS entro un anno solare a partire dalla data di comunicazione, da parte del beneficiario, della propria dichiarazione dei redditi, pena la decadenza dell’Istituto dalla facoltà di ripetere l’indebito stesso.

 

3. Accade di frequente che l’INPS, nei provvedimenti con cui richiede la restituzione di un indebito, non specifichi compiutamente le ragioni del ricalcolo al ribasso delle prestazioni assistenziali o previdenziali erogate ai beneficiari. È opportuno quindi chiedersi quali conseguenze derivino dall’omessa indicazione, da parte dell’Istituto, delle predette ragioni.

Al riguardo, può rilevarsi che, come affermato da un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità e, in particolare, da Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2011, n.198[12], “in tema di indebito previdenziale, il pensionato, ove chieda, quale attore, l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta, la cui esistenza consente di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dall’Istituto convenuto, ferma, peraltro, la necessità che quest’ultimo (vale a dire l’Istituto, n.d.r.), nel provvedimento amministrativo di recupero del credito, non si sia limitato a contestare genericamente l’indebito ma abbia precisato gli estremi del pagamento, corredati dall’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, così da consentire al debitore di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa, il cui accertamento ha carattere doveroso per il giudice, rispondendo a imprescindibili esigenze di garanzia del destinatario dell’atto di soppressione o riduzione del trattamento pensionistico in godimento”.

Proprio in applicazione di tale principio, la citata Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2011, n. 198 ha rilevato che correttamente “la sentenza impugnata ha accertato che del tutto incomprensibili erano le ragioni della pretesa restitutoria, non emergendo dalla richiesta dell’INPS indicazioni adeguate a porre in grado la pensionata di verificare se si trattasse di un trattamento attribuito sine tituloovvero di una erogazione conseguente a un calcolo errato da parte dell’ente, stante, al riguardo, la mancanza di dati e parametri contabili chiari e inequivoci”.

I principi espressi da Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2011, n. 198 cit. sono stati peraltro condivisi da diverse decisioni di merito[13].

Nondimeno, va chiarito che una recente decisione della Suprema Corte, e precisamente Cass. civ., sez. VI, 14 marzo 2018, n. 6375[14], ha evidenziato che “sussistendo un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, non può essere decisa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ma deve essere discussa in pubblica udienza, la questione delle refluenze sull’onere probatorio a carico dell’assicurato o dell’assistito della genericità della richiesta di ripetizione d’indebito inviatagli in via amministrativa dall’ente previdenziale”.

In particolare, nella decisione ora in esame la Suprema Corte ha ritenuto che i principi affermati da Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2011, n.198. cit. si ponessero in contrasto con quelli enunciati da Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2006, n. 2032[15] e ribaditi da Cass. civ., SS.UU., 4 agosto 2010, n. 18046[16], decisioni, queste ultime due, secondo cui “atteso che gli atti di gestione del rapporto obbligatorio, ancorché posti in essere in violazione di norme o di principi concernenti la correttezza delle relazioni tra amministrazioni pubbliche e cittadini, non possono incidere sul diritto di credito alla prestazione previdenziale o assistenziale, che spetterà all’assicurato o assistito soltanto alle condizioni e nella misura stabilite dalle leggi emanate in attuazione dell’art. 38 Cost., restano totalmente privi di rilevanza i comportamenti tenuti dall’ente previdenziale in sede stragiudiziale, pur quando consistiti nella mancata (o inadeguata) specificazione delle ragioni per le quali si riteneva non sussistente il diritto medesimo”.

Alla luce di quanto osservato, si rende senz’altro auspicabile un intervento chiarificatore della Suprema Corte, al fine di definire sia l’effettiva portata dell’obbligo motivazionale cui soggiace l’INPS in caso di ricalcolo al ribasso dei trattamenti assistenziali o previdenziali, sia l’entità delle conseguenze – anche in punto di onere probatorio delle parti – derivanti dal mancato rispetto di detto obbligo.



[1] In Pluris.it.

[2] In particolare, mentre in tema d’indebito previdenziale vengono in rilievo l’art. 52, comma secondo della L. n. 88/1989 e l’art. 13, commi primo e secondo della L. n. 412/1991, “in ambito assistenziale, si è andato affermando un quadro di fondo tale per cui «in tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite (...) trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull’indebito assistenziale che fanno riferimento alla mancanza dei requisiti di legge in via generale»(Cass. 1° ottobre 2015, n. 19638; Cass. 17 aprile 2014, n. 8970; Cass. 23 gennaio 2008, n. 1446; Cass. 28 marzo 2006, n. 7048) e quindi, in sostanza, il D.L. n. 850 del 1976, art. 3 ter, convertito in L. n. 29 del 1977 (secondo cui «gli organi preposti alla concessione dei benefici economici a favore...degli invalidi civili hanno facoltà, in ogni tempo, di accertare la sussistenza delle condizioni per il godimento dei benefici previsti, disponendo la eventuale revoca delle concessioni con effetto dal primo giorno del mese successivo alla data del relativo provvedimento») ed il D.L. n. 173 del 1988, art. 3, comma 9, convertito nella L. n. 291 del 1988 (secondo cui «con decreto del Ministro del Tesoro sono stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità previsti dalle leggi indicate nel comma 1 e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti, con decreto dello stesso Ministro, senza ripetizione delle somme precedentemente corrisposte»” (Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28771 cit.).

[3] In senso conforme, si veda anche la più risalente Cass. civ., sez. lav., 23 gennaio 2008, n. 1446, in Pluris.it, la quale, in una fattispecie di indebito assistenziale derivante dalla mancanza del requisito di incollocazione al lavoro, ha ritenuto che le norme dettate in materia di indebito assistenziale derivante dalla carenza dei requisiti extrasanitari prescrivono che vengano restituiti solamente i ratei indebitamente erogati a partire dalla data del provvedimento che accerta che la prestazione assistenziale non era dovuta.

[4] In particolare, nel caso oggetto di Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28771 cit., la Corte territoriale, con decisione non censurata in sede di legittimità, aveva ritenuto che il dolo del beneficiario “nel caso di specie non sussisteva avendo la R. comunicato sia nel 2007, sia nel 2008 (per il 2006 e il 2007) i propri redditi all’I.N.P.S. (…) La Corte d’Appello di Ancona, escluso il dolo dell’accipiens, ha ritenuto che la ripetibilità delle somme percepite non potesse che aversi successivamente all’esercizio da parte dell’ente erogatore, in esito al corrispondente accertamento amministrativo, della pretesa restitutoria”.

[5] Sempreché un eventuale nuovo reddito percepito dal beneficiario dell’invalidità civile non determini, di per sé, un “incremento reddituale talmente significativo da rendere inequivocabile il venire meno dei presupposti del beneficio” (Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 2018, n. 28771 cit.).

[6] In senso conforme, v. altresì Cass. civ., sez. lav., 10 gennaio 2018, n. 351, in Pluris.it, la quale, sempre in tema d’indebito previdenziale, ha ribadito che “la medesima normativa non consente la ripetibilità dell’indebito in quanto manchi il dolo dell’interessato; al quale è equiparata l’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente”.

[7] V. Cass. civ., sez. lav., 18 ottobre 2018, n. 26231, in Pluris.it.

[8] V. Cass. civ., sez. VI, 31 maggio 2019, n. 15039, in Pluris.it.

[9] V. Cass. civ., sez. lav., 8 febbraio 2019, n. 3802, in Pluris.it.

[10] Secondo tale impostazione della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 8 febbraio 2019, n. 3802 cit.) dovrebbe, ad esempio, ritenersi tempestiva una richiesta di restituzione che si fondi sul superamento della soglia reddituale nel 2017 e, allo stesso tempo, sia comunicata all’accipiens entro la fine dell’anno 2019 (dunque, entro la fine dell’anno civile successivo a quello destinato alla verifica dei redditi stessi, laddove l’anno destinato alla verifica dovrebbe essere inteso come il 2018, cioè l’anno di comunicazione, da parte del beneficiario, dei propri redditi relativi al 2017).

[11]In Pluris.it.

[12] In Pluris.it.

[13] V., nella giurisprudenza di merito, la recente Trib. Rieti, sez. lav., 13 novembre 2018, n. 210, in DeJure.it, secondo cui “in mancanza di una motivazione chiara e comprensibile del provvedimento di recupero dell’Istituto, spetta a quest’ultimo l’onere di provare le ragioni poste a base dell’azione di ripetizione”. V. altresì Trib. Civitavecchia, sez. lav., 5 marzo 2018, n. 113, in DeJure.it, la quale, in un caso di indebito assistenziale derivante dal superamento della soglia reddituale, ha affermato che “conformemente ai principi espressi dalla citata giurisprudenza di legittimità, dunque, non avendo l’Istituto resistente fornito alcuna indicazione, anche se sintetica, delle ragioni poste a fondamento della richiesta di restituzione dell’indebito, deve dirsi che alla ricorrente non è stato consentito di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa, con la conseguenza che non può sorgere in capo alla L.M. alcun onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata in misura corrispondente a quanto percepito e non in misura ridotta. Il ricorso al vaglio va, pertanto, accolto ed il provvedimento di ripetizione dell’indebito del 24.02.2015 (all. 1 di parte ric.) deve essere annullato”. Da ultimo, v. anche un’altra pronuncia del Tribunale di Civitavecchia, vale a dire Trib. Civitavecchia, sez. lav., 12 marzo 2018, n. 127, in DeJure.it, secondo cui “il provvedimento così come formulato ed oggetto di impugnativa deve ritenersi nullo poiché integrerebbe una palese violazione dell’art. 3, L. n. 241 del 1990 ai sensi del quale ogni provvedimento amministrativo dev’essere motivato con l’indicazione dei presupposti e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato”.

[14] In Pluris.it.

[15] In Pluris.it.

[16] In Pluris.it.


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