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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/09/2018 Scarica PDF

La realizzazione dei crediti fondiari nel fallimento

Massimo Montanari, Professore Ordinario di Diritto processuale civile nell'Università di Parma


Sommario: 1. Il privilegio puramente processuale dei crediti fondiari nel fallimento. – 2. Il soggetto passivamente legittimato nell’esecuzione condotta in proprio dalla banca. – 3. L’intervento del curatore nell’esecuzione. – 4. La custodia dell’immobile pignorato. – 5. La sospensione concordata dell’esecuzione individuale. – 6. L’intervento dei creditori nell’esecuzione intrapresa dalla banca che ha erogato il mutuo fondiario. – 7. Il fallimento sopravvenuto all’intervento della banca nell’esecuzione promossa da altro creditore. – 8. L’eventuale liquidazione in sede fallimentare dell’immobile precedentemente pignorato dalla banca. – 9. I rapporti tra l’esecuzione individuale condotta dal creditore fondiario e la relativa insinuazione al passivo. – 10. Il meccanismo predisposto dalla legge per garantire l’assoggettamento della banca alla legge del concorso sostanziale

 

 

1. Il privilegio puramente processuale dei crediti fondiari nel fallimento

Nel quadro di un incontro di studi espressamente intitolato ai rapporti tra fallimento e credito fondiario, oggetto di separata disamina non poteva non essere anche il tema relativo alle modalità di realizzazione, all’interno di quella come pure, volendo, delle altre procedure concorsuali, dei crediti appartenenti alla categoria in rassegna. E questo, in grazia della persistente vigenza, nel nostro ordinamento, di una disciplina speciale che proprio sul piano della realizzazione in sede concorsuale di quelle ragioni creditorie si manifesta, là dove, per l’esattezza, è stabilito – così l’art. 41, 2° comma, primo periodo, d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e credititiza, d’ora innanzi T.U.B.) ([1]) - che «l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore».

Il senso ultimo e fondamentale della disposizione è ampiamente acquisito e non occorre più di tanto indugiarvi. Nella misura in cui l’immobile sul quale è destinata ad esercitarsi l’azione esecutiva di pertinenza dell’ente erogatore del mutuo fondiario è da considerare parte integrante dell’attivo fallimentare, essa introduce una deroga al principio generale, posto dall’art. 51 l. fall., secondo cui, «dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva […] può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento» medesimo. Ma ciò configura l’attribuzione, alla banca che detto finanziamento ha erogato ([2]), di un privilegio d’ordine meramente processuale ([3]) ,tale per cui, se è, ad essa banca, consentito in quel modo di realizzare più sollecitamente le proprie pretese verso il debitore, sottraendosi alle tempistiche della liquidazione endofallimentare ([4]), non è però consentito, come efficacemente si è detto, di recuperare «più di quanto non le sarebbe spettato nel concorso sul ricavato ottenuto da una vendita fallimentare» ([5]).

Assodato come di puro «privilegio di procedura» si tratti ([6]), senza alcuna alterazione o strappo alla regola della parità di trattamento dei creditori sul piano sostanziale, restano, però da definire le modalità tecnico-operative attraverso le quali tali privilegio è destinato ad attuarsi. Per il tramite di un’opportuna integrazione del dettato dell’art. 52 l. fall., il d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. decreto correttivo della riforma), è venuto a risolvere quello che appariva come il principale dei problemi che si dibattevano a quel riguardo, vale a dire, se la banca intenzionata a concretamente avvalersi del privilegio in questione fosse o meno gravata, a quel fine, dell’onere di insinuazione allo stato passivo fallimentare delle proprie ragioni di credito verso il fallito (sul punto, v. infra, § 9). Ma per il resto la legge, se non nulla, dice assai poco, in toto rimettendosi, dunque, all’elaborazione della giurisprudenza teorica e, soprattutto, pratica: e senza, ovviamente, alcuna pretesa di esaustività, è ai frutti di quella elaborazione che occorre volgere allora la nostra attenzione, specie là dove essi appaiano non definitivi o meritevoli di qualche aggiustamento o integrazione.

   

2. Il soggetto passivamente legittimato nell’esecuzione condotta in proprio dalla banca

A venire in considerazione, tra i profili che il legislatore ha lasciato – seppure, come tosto vedremo, non del tutto – irrisolti in sede di regolamentazione del privilegio processuale in discussione, è innanzitutto quello concernente il soggetto chiamato ad assumere le vesti di legittimato, o giusta parte, passivo/a nell’àmbito della procedura esecutiva che il titolare del credito fondiario è abilitato a promuovere o proseguire in costanza di fallimento del debitore.

L’approdo della riflessione giurisprudenziale in materia è ben rappresentato da Cass., 3 giugno 1996, n. 5081, la cui massima recita che, «nell’esecuzione individuale promossa da un istituto esercente il credito fondiario, nei confronti del proprio debitore già dichiarato fallito, quest’ultimo ha diritto di ricevere la notificazione degli atti preliminari a detta esecuzione, del pignoramento e degli atti precedenti la fissazione degli incanti di vendita e, pertanto, il termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi non decorre dalla data di notifica del precetto al curatore del fallimento» ([7]). Ad una prima valutazione, questo approdo può addirittura lasciare interdetti: ché, se è vero che la legittimazione sostitutiva del curatore nei confronti del fallito è sancita dall’art. 43, 1° comma, l. fall. disponendo che il primo «sta in giudizio» in luogo del secondo «nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale» di quest’ultimo; è parimenti vero che a nessuno è mai venuto in mente, a dispetto dei dati letterali appena richiamati, che tale situazione di minorata capacità processuale del fallito dovrebbe restare confinata entro le mura del solo processo di cognizione, così che, trattandosi, all’opposto, di processo esecutivo, la legitimatio ad processus del fallito sarebbe pienamente ripristinata e la mobilitazione del curatore richiesta solamente nell’eventualità di apertura, in seno a quel processo, di una parentesi cognitiva.

Se, in conformità ai princìpi generali che regolano il fallimento, il fallito non dovrebbe aver titolo per interloquire nell’esecuzione immobiliare condotta, in costanza di procedura, dalla banca creditrice ([8]), l’interprete deve però tener conto anche di una specifica disposizione di settore, come quella racchiusa nel secondo periodo del predetto art. 41, 2° comma, T.U.B. La norma stabilisce che, nell’esecuzione di cui si sta discorrendo, «il curatore ha facoltà di intervenire»: il che lascia chiaramente intendere che esso non riveste ex se la qualità di parte di quel procedimento esecutivo, come, viceversa, sarebbe se ne fosse richiesto il subingresso al fallito ai sensi dell’art. 43 l. fall. La tesi giurisprudenziale su riferita, che vuole radicata in capo al fallito, e non al curatore, la legittimazione passiva rispetto all’azione individuale del creditore fondiario, appare dunque trovare il suo fondamento nella disposizione di cui appena s’è detto, quale norma recante deroga, nel caso di specie, al precetto generale di cui all’art. 43 or menzionato ([9]).

   

3. L’intervento del curatore nell’esecuzione

Assodato come la partecipazione del curatore fallimentare all’esecuzione intrapresa dal creditore fondiario possa avvenire esclusivamente nei modi dell’intervento (per forza di cose, volontario) nella stessa ([10]), vediamo ora quali sarebbero le ragioni che possano indurre il curatore a spiegare tale intervento, ovverosia le finalità per suo tramite perseguibili.

Consueto, in proposito, è un duplice riferimento. In primo luogo, si dice, detto intervento risponderebbe a una finalità informativa, nei confronti, per l’esattezza, del giudice dell’esecuzione, che verrebbe reso in tal modo edotto della decretata apertura della procedura fallimentare sul patrimonio del debitore esecutato ([11]). Dopo di che, a venire in gioco, sarebbero anche precise esigenze di tutela delle ragioni della massa, nel senso che la presenza del curatore nella procedura individuale varrebbe ad assicurarne la proficuità a beneficio di tutti i creditori, evitando che la stessa giovi soltanto al creditore esecutante, quando vi sarebbero state le condizioni per offrire un surplus anche a vantaggio degli altri ([12]).

Nell’eventualità che tale surplus sia effettivamente percepito, la fase di distribuzione del ricavato che deve necessariamente seguire ([13]) registrerà la presenza del solo curatore ([14]): per il che è consentito affermare che l’intervento del curatore nell’esecuzione promossa dal creditore fondiario varrebbe anche a garantire l’attribuzione diretta al fallimento delle somme in ipotesi residuate alla soddisfazione dell’ente esecutante ([15]). Certo, non sarebbe, quello appena indicato, l’unico percorso a quel fine utilmente percorribile, dal momento che, trattandosi di somme di spettanza diretta del fallito ([16]), queste sarebbero legittimamente riscuotibili dal curatore nella sua veste di organo deputato all’amministrazione del patrimonio fallimentare e, dunque, a prescindere dall’avvenuta assunzione della qualità di parte nel processo esecutivo dove quelle somme siano state incamerate ([17]). Altrettanto certamente, però, se ne deve parlare come del percorso a quello stesso fine più sicuro, siccome idoneo a fugare alla radice il rischio che, ignari, gli organi dell’esecuzione individuale, della procedura fallimentare aperta nei confronti del debitore esecutato, quelle somme siano elargite, a seconda dei casi, ai creditori intervenuti oppure al debitore medesimo: indubbiamente, con effetti non irreversibili, stanti le previsioni di inefficacia dei pagamenti, rispettivamente, eseguiti e ricevuti dal fallito di cui all’art. 44, 1° e 2° comma, l. fall., ma con tutti i problemi e le incertezze tipicamente connessi/e alle azioni recuperatorie che da quelle regole di inefficacia traggono fondamento.

Il tema in epigrafe sollecita una riflessione ulteriore, in ordine, per l’esattezza, a una possibile funzionalità dell’intervento in rassegna all’esercizio, da parte del curatore, di opposizioni esecutive che siano, viceversa, interdette al fallito o rispetto alle quali, comunque, detto curatore vanti un peculiare interesse.

Il discorso non riguarda, evidentemente, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., alla luce della sua pacifica configurazione come rimedio a legittimazione diffusa, esperibile anche da parte di soggetti terzi rispetto all’esecuzione ([18]): per cui, se ben sono immaginabili vizi dell’esecuzione fondiaria il cui accertamento sarebbe di precipuo, se non esclusivo, interesse per il curatore – pensiamo a quelli determinanti la nullità del pignoramento, dalla cui declaratoria giudiziale assai scarsa utilità avrebbe a ricavare il debitore, visto che il bene coinvolto non sarebbe comunque sottratto alle pretese espropriative dei creditori -, non vi sarebbe in ogni caso bisogno, per il curatore intenzionato a promuovere quella declaratoria nelle forme dell’opposizione de qua, del previo intervento nell’esecuzione ai sensi del sopradetto art. 41, 2° comma, secondo periodo, T.U.B. ([19]). E neppure riguarda, allorché proponibile per motivi di merito ovvero attinenti all’impignorabilità del bene aggredito, l’opposizione all’esecuzione di cui al precedente art. 615: nel primo caso, perché opposizione preclusa allo stesso curatore, visto che le ragioni di merito che danno ad essa titolo attengono all’esistenza o efficacia verso il fallimento del credito esecutando e la cognizione al riguardo è qui riservata, come meglio sarà detto più avanti, alla fase endofallimentare della verifica dello stato passivo; nel secondo caso, perché opposizione di pertinenza esclusiva del debitore, dal momento che è proprio, esclusivamente, di questo soggetto l’interesse alla deduzione in giudizio di una circostanza, quale l’impignorabilità del bene staggito, il cui accertamento è tale da determinare la sottrazione del bene medesimo a qualsiasi possibilità di espropriazione a fini satisfattivi da parte o per conto dei creditori ([20]).

Dove, invece, v’è motivo, per il curatore, di attivarsi in via di intervento nell’esecuzione promossa dal creditore fondiario a fini oppositivi contro la stessa, dovrebbe essere quando, per il tramite, ancora una volta, dello strumento regolato dall’art. 615 c.p.c., esso intenda contestare – senza, beninteso, toccare il merito del credito portato ad esecuzione (v. supra) – il diritto del creditore istante di procedere in executivis in pendenza del fallimento del debitore, denunciando la mancanza di taluna delle condizioni cui è subordinata l’applicabilità del “privilegio di procedura” di cui all’art. 41, 2° comma, T.U.B.: non risultandone compromessa l’espropriabilità del bene aggredito e, dunque, la possibilità di un suo coinvolgimento nella liquidazione fallimentare, il debitore non avrebbe un obbiettivo interesse a far valere quei motivi di opposizione ([21]) e giusto, correlativamente, sarebbe che a lui si surrogasse, a quel fine, il curatore ([22]), una volta, chiaramente, acquisita la qualità di parte del processo esecutivo ove quella opposizione andrebbe spiegata ([23]).

Il ragionamento dà per scontato, in linea con la posizione assunta in materia dalla Suprema Corte ([24]), che il difetto (di taluno) dei presupposti da cui dipende l’operatività del privilegio processuale concesso dalla legge ai creditori fondiari sia effettivamente denunziabile per mezzo dell’opposizione all’esecuzione dell’art. 615 c.p.c. Autorevole dottrina ha, però, recentemente messo in discussione questo postulato, osservando che, in assenza di detti presupposti, si ricade necessariamente nel divieto di cui all’art. 51 l. fall. e non v’è alcuna ragione, allora, perché non debba trovare applicazione la disciplina ordinaria, dettata dal successivo art. 107, 6° comma, per le ipotesi di esecuzione iniziata o proseguita contro il fallito in spregio a detto divieto: disciplina che prevede, per il caso il curatore non si avvalga della facoltà contestualmente largitagli di subentrare nell’esecuzione pendente, l’improcedibilità della stessa e soprattutto, per quanto in questa sede interessa, che tale improcedibilità possa essere dichiarata dal giudice dell’esecuzione dietro semplice istanza del curatore, senza bisogno di adire le vie dell’azione ex art. 615 c.p.c. ([25]).

Che nella fattispecie ora in considerazione lo strumento, congegnato dal predetto art. 107, 6° comma, l. fall., della declaratoria “in via breve” dell’improcedibilità dell’esecuzione sia proficuamente utilizzabile ([26]), non sembra, in effetti, seriamente revocabile in dubbio. Il problema è un altro e, cioè, se ad esso si debba guardare come a rimedio esclusivo e non concorrente con quello apprestato dall’art. 615 c.p.c. La risposta al quesito potrebbe anche essere affermativa se l’utilitas conseguibile mercé l’applicazione di uno di quegli strumenti fosse sostanzialmente equipollente o sovrapponibile a quella realizzabile mercé l’applicazione dell’altro. Ma così, in verità, non è, giacché è soltanto percorrendo le vie dell’opposizione all’esecuzione che sarebbe possibile mettere capo a un accertamento con forza di giudicato in merito al(l’inesistenza del) diritto di agire in executivis del creditore istante.

È vero che, dove quel diritto sia contestato adducendo l’invalidità dell’iscrizione ipotecaria effettuata a garanzia del finanziamento fondiario ([27]), il giudicato in parola verrebbe a coprire anche l’accertamento (in votis negativo) di una situazione soggettiva, quale, appunto, la prelazione ipotecaria accampata dal creditore procedente, che la legge ([28]) vuole oggetto di cognizione in sede di verifica dello stato passivo fallimentare ([29]). Ma questo può tutt’al più significare che il concorso tra detta opposizione e l’istanza al giudice dell’esecuzione ex art. 107, 6° comma, l. fall., sarebbe da escludere nei casi, come quello appena descritto, in cui si possa paventare uno “straripamento” nell’area della cognizione riservata al giudice della verificazione dello stato passivo. Mentre là dove il timore di quello “straripamento” non abbia ragione di essere – pensiamo al caso in cui sia oppugnata la legittimazione ad agire del creditore procedente, in quanto cessionario del credito di restituzione del mutuo fondiario ([30]) -, allora detto concorso è senz’altro prospettabile e nulla dovrebbe impedire al curatore di optare, ove lo reputi di interesse per la massa, per le vie, ancorché più lunghe e accidentate, dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. ([31]).

Un cenno, per chiudere sul tema oggetto del presente paragrafo, alla questione relativa allo ius postulandi del curatore. Assume in proposito un attento commentatore che, ai fini del suo intervento dinanzi al giudice dell’esecuzione fondiaria, esso curatore «non abbisogna assolutamente della rappresentanza e dell’assistenza di un avvocato, nella medesima misura in cui non ha bisogno della rappresentanza e dell’assistenza di un difensore allorché, nell’ambito della procedura fallimentare, attende, in esecuzione del programma di liquidazione, alle vendite e agli altri atti di liquidazione» ([32]).

La conclusione non può non destare perplessità. L’autore ritiene di poterla ricavare a titolo di corollario della tesi, di matrice giurisprudenziale, secondo cui la procedura esecutiva individuale ove il curatore esplicherebbe intervento verserebbe in una posizione ancillare, ossia subordinata e accessoria, rispetto alla procedura esecutiva collettiva. Il che è effettivamente corretto, ma nei tassativi limiti di una ancillarità in senso meramente funzionale e non anche strutturale. L’esecuzione individuale, cioè, concorre alla realizzazione degli stessi fini di quella collettiva (ancillarità in senso funzionale) ma è assoggettata a regole proprie e specifiche (autonomia in senso strutturale); e se il curatore intende parteciparvi, a dette regole, tra cui, evidentemente, quella che sancisce l’onere di avvalersi del ministero di un difensore, deve giocoforza conformarsi.

D’altro canto, nessuno dubita che, allorché intenzionato a subentrare al creditore nell’esecuzione ordinaria pendente alla data del fallimento, secondo quanto previsto dal suddetto art. 107, 6° comma, l. fall., in alternativa alla declaratoria di improcedibilità dell’esecuzione stessa, il curatore sia tenuto a costituirsi per mezzo di un rappresentante tecnico ([33]). E non v’è francamente ragione che valga a distinguere, sotto questo profilo, tra detta esecuzione e quella su cui verte il presente studio, l’una e l’altra risultando avvinte all’esecuzione collettiva da un identico vincolo di ancillarità funzionale.


4. La custodia dell’immobile pignorato

In tema di custodia dell’immobile pignorato in vista della coattiva realizzazione delle ragioni del creditore fondiario, la posizione giurisprudenziale si è ormai e da tempo assestata nei termini che bene vediamo espressi da Cass., 2 giugno 1994, n. 5352 ([34]), dove leggiamo che «il giudice dell’esecuzione immobiliare - instaurata o proseguita dall’istituto di credito fondiario sul bene ipotecato a suo favore secondo le leggi speciali – ha il potere di nominare o sostituire il custode  e pertanto il suo provvedimento in materia non è affetto da vizio di potere. Tale potere di nomina e di sostituzione, inoltre, non deve avere necessariamente come destinatario il curatore del fallimento, sia esso anteriore o successivo al fallimento». Il senso di questo insegnamento – scolpito nella massima a chiare lettere, anche se con tratti di marcata sinteticità che rendono opportuna qualche esplicitazione – è, dunque, che il giudice dell’esecuzione, anche in pendenza del fallimento, conserva immutato il proprio potere di nomina/sostituzione del custode, con i margini di scelta che tipicamente vi pertengono, sicché: a) nell’ipotesi di fallimento dichiarato aperto in momento precedente l’avvio dell’esecuzione individuale, non è fatto divieto a detto giudice di nominare un custode – sul presupposto, un siffatto divieto, che tale ufficio sarebbe assunto ipso iure dal curatore - né gli è imposto di designare il curatore in tal veste; b) mentre, nella speculare ipotesi di fallimento sopravvenuto all’avvio dell’esecuzione individuale, non può ritenersi imposta allo stesso giudice la sostituzione con il curatore del custode già designato né, tantomeno, può assistersi alla sostituzione automatica di quest’ultimo ([35]).

 Naturale corollario di questa impostazione è il principio formulato, anche qui con dizione alquanto brachilogica, dal Tribunale di Ascoli Piceno, con pronuncia del 7 aprile 2005 ([36]): «in caso di esecuzione promossa in forza di credito fondiario, al curatore fallimentare spetta esclusivamente il compenso per la custodia dell’immobile, sempre che egli abbia dato dimostrazione di tale attività». Detta altrimenti e in termini più distesi: il compenso del curatore può gravare sul ricavato dell’immobile ipotecato nella sola misura corrispondente all’attività di custodia ed unicamente in quanto tale attività sia stata effettivamente espletata e provata.

   

5. La sospensione concordata dell’esecuzione individuale

L’attenzione che si vuole qui, seppur brevemente, prestare a un tema obbiettivamente marginale, come quello appena enunciato in epigrafe, è sollecitata da quello che consta come l’unico precedente in argomento, rispetto al quale, invero, difficile riesce esprimere piena condivisione. Secondo Trib. Reggio Emilia, 11 aprile 2012 ([37]),«si sensi dell’art. 41 T.U.B., la procedura esecutiva può essere iniziata e proseguita dal creditore fondiario che non ha, tuttavia, il potere di ottenere la sospensione del processo ai sensi dell’art. 624-bis c.p.c.; infatti, la menzionata norma speciale costituisce un privilegio processuale (in deroga all’art. 51 l. fall.), ma non attribuisce al creditore fondiario la facoltà di far arrestare la liquidazione di un cespite dell’attivo del fallimento, pregiudicando l’interesse dei creditori concorsuali alla celere definizione della procedura fallimentare».

Il richiamo così operato al valore della «celere definizione della procedura fallimentare» avrebbe portata effettivamente risolutiva se a quella in discorso si potesse guardare come a misura sospensiva a carattere vincolato, connotata dall’obbligo del giudice adito a provvedere in tal senso a fronte della mera istanza della parte legittimata, cui sarebbe in tal modo conferito il potere di bloccare a suo piacimento la procedura esecutiva in essere e, di riflesso, la procedura fallimentare cui detta esecuzione, nell’ipotesi di cui all’art. 41, 2° comma, T.U.B., risulti funzionalmente collegata ([38]). Ma le cose, come è noto, non stanno in questi termini. La lettera dell’art. 624-bis, 1° comma, c.p.c. («il giudice dell’esecuzione…può…sospendere il processo») depone inequivocabilmente nella direzione di una misura sospensiva d’indole discrezionale ([39]), che il giudice, dunque, ben potrebbe rifiutarsi di concedere ove scorgesse, alla base della relativa richiesta, intenti prettamente ostruzionistici o dilatòri.

A giustificazione del divieto di sospensione professato dal Tribunale di Reggio Emilia, si potrebbe allora, e semmai, addurre che il giudice dell’esecuzione, per definizione estraneo alla procedura fallimentare, non sarebbe in condizione di soppesare un eventuale interesse della massa ad arrestare momentaneamente il corso dell’esecuzione in atto, in pendenza, ad es., delle trattative per una transazione. Ma impostata su questa base, la tesi appare obbiettivamente come una forzatura, nella misura in cui rappresenta il frutto di una forzatura la postulata incapacità del giudice dell’esecuzione, in quanto tale, a saper adeguatamente apprezzare gli interessi della massa nelle circostanze che possano avere a quel fine rilievo. Preferibile si rivela allora una soluzione possibilista, che ammetta il giudice dell’esecuzione a disporre la richiesta sospensione anche in pendenza di fallimento del debitore esecutato, ferma soltanto la necessità, a garanzia di un’opportuna ponderazione degli interessi della massa, di una previa audizione del curatore, ancorché questi non sia (ancora) intervenuto nell’esecuzione della cui sospensione si tratti.

   

6. L’intervento dei creditori nell’esecuzione intrapresa dalla banca che ha erogato il mutuo fondiario

La legge non prospetta l’eventualità, di cui s’è appena dato conto in epigrafe, dell’esplicato intervento di altri creditori nell’esecuzione avviata o proseguita dalla banca finanziatrice per il recupero delle proprie spettanze verso il debitore fallito. La fattispecie non pone, tuttavia, particolari problemi.

L’intervento di un creditore nell’esecuzione da altri promossa costituisce una forma di esercizio dell’azione esecutiva,come oggi inoppugnabilmente attestato dall’onere della produzione a quel fine di un titolo esecutivo (v. sub art. 499, 1° comma, c.p.c.) ([40]). Ne discende, allora, che l’intervento di cui si discorre non possa che restare imbrigliato nella rete tesa dall’art. 51 l. fall., non essendo evidentemente concepibile che il privilegio processuale di cui gode la banca abbia ad estendersi ai creditori concorrenti: la cui iniziativa, dunque, risulterà, a seconda dei casi, inammissibile o improcedibile, in ragione, per l’esattezza di ciò, che sia sopravvenuta alla dichiarazione di fallimento del debitore esecutato oppure l’abbia preceduta.

Nel caso da ultimo considerato, di azione pendente alla data del fallimento, si può, tuttavia, porre il problema se sia dato al curatore di subentrare nell’esecuzione al creditore previamente intervenuto, ai sensi di quanto in via generale previsto dal più volte menzionato art. 107, 6° comma, l. fall. Per quanto sopra si è detto, gli estremi della fattispecie regolata dalla norma che si è appena citata sono senz’altro qui ravvisabili: ma non è questo il problema, bensì se il subingresso nell’esecuzione pendente potrebbe dirsi, nel caso, sorretto da un interesse adeguato.

Orbene, se tale subingresso dovesse avvenire in funzione esclusiva dell’attribuzione al fallimento delle quote di riparto che sarebbero del caso spettate ai creditori cui il curatore intendesse sostituirsi, allora l’interesse in questione sarebbe da escludere, dal momento che l’attribuzione di quelle quote risulterebbe già di per se stessa garantita dall’intervento che, come sappiamo, il curatore potrebbe spiegare ai sensi dell’art. 41, 2° comma, 2° periodo, T.U.B.

Ma le cose possono essere considerate anche sotto una diversa prospettiva, come quella del curatore che abbia a cuore che l’esecuzione individuale giunga a compimento – ad es., per evitare la reiterazione, a carico della massa, di spese già sostenute dal creditore istante - e voglia metterla al riparo dal rischio di una sua successiva estinzione per inerzia o rinuncia agli atti da parte della banca procedente. Tale rischio non è prevenibile attraverso l’intervento di cui appena s’è detto, dove il curatore non acquista i poteri specificamente spettanti ai creditori intervenuti. E questo permette di affermare l’ammissibilità del subingresso ex art. 107, 6° comma, l. fall. anche nell’ipotesi ora specificamente in rassegna, siccome pur qui suffragato da un interesse giuridicamente apprezzabile.

   

7. Il fallimento sopravvenuto all’intervento della banca nell’esecuzione promossa da altro creditore

Giusto è domandarsi se il privilegio processuale che la legge riconosce al creditore fondiario in ipotesi di fallimento del debitore possa trovare applicazione anche quando esso creditore abbia esercitato la sua azione esecutiva in via di intervento nell’espropriazione immobiliare da altri promossa.

In proposito, è da ritenersi possa senz’altro valere un’osservazione svolta da Oriani nel suo fondamentale contributo sull’espropriazione per crediti fondiari, là dove, per l’esattezza, è affermato che «il fatto meramente fortuito e casuale che la banca sia stata preceduta nell’inizio dell’espropriazione da altro creditore, non pare sufficiente elemento ostativo all’applicazione dell’art. 41 [T.U.B.]» ([41]). È vero che l’Autore, così dicendo, non intendeva riferirsi allo specifico segmento dell’art. 41 relativo alla procedibilità dell’azione esecutiva della banca in pendenza di fallimento, bensì agli altri profili di specialità, ivi parimenti disciplinati, che connotano quell’azione ([42]). Ma non pare egualmente dubitabile che quello spunto possa essere sviluppato anche nella direzione quivi indicata. Ed invero, se la legge consente che la banca possa far valere il suo diritto di agire in executivis anche al cospetto del fallimento del debitore, non si vede quale differenza possa fare al riguardo il modo in cui quel diritto sia stato esercitato.

Resta inteso che, se l’esecuzione individuale può anche nel caso ora in esame proseguire ([43]), ciò può essere soltanto su istanza della banca olim intervenuta, non certo del creditore pignorante, la cui azione diviene improcedibile ex art. 51 l. fall. ([44]), salva naturalmente, ove ne ravvisi l’interesse ai sensi di quanto rilevato nel paragrafo precedente, la facoltà di subingresso del curatore a norma dell’art. 107, 6° comma, l. fall. 

   

8. L’eventuale liquidazione in sede fallimentare dell’immobile precedentemente pignorato dalla banca

I rapporti tra l’esecuzione individuale posta al servizio del creditore fondiario e la fase endofallimentare della liquidazione dell’attivo sono definiti dalla giurisprudenza in termini da lungi stabilizzati ([45]) e, per questo, ormai assistiti dalla forza e incontestabilità proprie del c.d. ius receptum. Non per questo, tuttavia, dobbiamo rassegnarci a prendere atto dell’assetto che a quei rapporti si è impresso, senza al contempo interrogarci, se non sul relativo fondamento sistematico ([46]), almeno sulla sua persistente attualità, sub specie della compatibilità con il nuovo impianto della liquidazione dell’attivo fallimentare quale scaturito dalla riforma, rectius, dal decreto correttivo della medesima.

Per dirla, tra i diversi riferimenti possibili, con Cass., 8 settembre 2011, n. 18436 ([47]),«il potere degli istituti di credito fondiario, di proseguire l’esecuzione individuale sui beni ipotecati anche dopo la dichiarazione di fallimento del mutuatario, non esclude che il giudice delegato possa disporre la vendita coattiva degli stessi beni, perché le due procedure espropriative non sono incompatibili ed il loro concorso va risolto in base all’anteriorità del provvedimento che dispone la vendita». La massima lascia nitidamente intravedere i tre e strettamente concatenati princìpi che scandiscono il diritto vivente in materia: I) i rapporti tra esecuzione individuale e liquidazione fallimentare dei beni ipotecati a garanzia del credito fondiario si svolgono nel segno del concorso e non dell’alternatività o reciproca esclusione; II) tale concorso va risolto, e dunque va stabilita la prevalenza dell’una forma di espropriazione sull’altra, facendo capo al criterio di prevenzione o priorità temporale; III) la prevenzione va determinata con riferimento alla data del provvedimentoche dispone la vendita.

Il problema cui testé si accennava inerisce proprio a quest’ultimo punto. Perché, ammesso che nell’attuale trama della liquidazione fallimentare sia effettivamente rinvenibile un atto che assolva alle funzioni di provvedimento che dispone la vendita, questo non può che individuarsi nel decreto con cui il giudice delegato, ai sensi di quanto previsto dall’art. 104-ter, penult. comma, l. fall., autorizza di volta in volta l’esecuzione degli atti giudicati conformi alle previsioni del programma di liquidazione che al centro di quella norma campeggia ([48]): e non è affatto pacifico, diversamente da quanto era con la “vecchia” ordinanza di autorizzazione alla vendita ex art. 104 l. fall., testo originario, – e da quanto, ovviamente, è, nell’àmbito dell’esecuzione individuale, con l’ordinanza di vendita ex art. 569 c.p.c. ([49]) -, non è affatto pacifico, dicevo, che tale decreto si collochi a monte del subprocedimento di vendita, non essendo priva di riscontri, anche autorevoli, la tesi secondo cui esso decreto potrebbe essere adottato anche a valle di quel procedimento, a séguito, per l’esattezza, dell’avvenuta comunicazione al giudice delegato degli esiti della procedura, quale richiesta dall’art. 107, 5° comma, l. fall. ([50]).

Trattasi, certo, di una posizione minoritaria, a fronte di un orientamento prevalente, tanto a livello di ricostruzioni teoriche che di prassi applicative, che il decreto in questione vuole idoneo ad esprimere un controllo preventivo sulle operazioni di vendita ([51]). Resta inteso, però, che se (o quando) così non dovesse essere, necessario sarebbe un ripensamento della lezione giurisprudenziale sopra descritta, quantomeno nella parte che decisivo rilievo attribuisce alla data del provvedimento che dispone la vendita: ché, se in sede fallimentare, tale provvedimento potesse - come, s’è visto, qualcuno ammette –sopravvenire alla celebrazione della gara deputata all’individuazione dell’aggiudicatario del bene subastato, tale gara, con effetti assolutamente inaccettabili sul piano dell’economia processuale, correrebbe il rischio di risultare inutiliter disputata, qualora, nelle more della medesima, il giudice dell’esecuzione individuale pendente avesse a sua volta disposto la vendita dello stesso bene, con l’ordinanza di cui al predetto art. 569 c.p.c.

   

9. I rapporti tra l’esecuzione individuale condotta dal creditore fondiario e la relativa insinuazione al passivo

Come già, sia pure di sfuggita, accennato in apertura della presente trattazione, il d. lgs. n. 169/2007 (c.d. correttivo della riforma) ha integrato il testo dell’art. 52 l. fall. mediante l’aggiunta di un nuovo 3° comma, a tenore del quale «le disposizioni del [precedente] secondo comma ogni credito…deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V» ossia nelle forme della verifica del passivo] si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all’art. 51».

Il problema, assai dibattuto in passato, se, per poter beneficiare del privilegio di riscossione che la legge gli accorda in sede di fallimento del debitore, il creditore fondiario sia tenuto o meno ad azionare le proprie ragioni in via di insinuazione al passivo fallimentare ([52], ha dunque trovato soluzione ex positivo iure: e soluzione, per l’esattezza, affermativa ([53]), sulla base di una ratio che ben vediamo esplicitata in letteratura con l’osservazione che non si riesce a comprendere la ragione «per la quale una pretesa vantata verso un debitore fallito non dovrebbe essere assoggettata ad un esame equivalente a quello riservato a tutte le altre per il solo fatto di potere pervenire alla liquidazione di uno o più beni del debitore autonomamente dalla liquidazione concorsuale attuata dal curatore fallimentare» ([54]). Detta altrimenti, il fatto che i crediti fondiari si possano realizzare al di fuori della liquidazione concorsuale non significa affatto che essi non abbiano ad interferire su quello che è il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, così che si pone necessariamente anche nei loro confronti quell’esigenza di accertamento nel contraddittorio incrociato con gli altri creditori che soltanto in sede e nei modi della verifica dello stato passivo può trovare soddisfazione.

Ciò posto, vediamo allora come più puntualmente si atteggiano i rapporti tra la prescritta cognizione endofallimentare delle ragioni del creditore fondiario e l’esecuzione individuale che questi è abilitato parallelamente a condurre.

Il principio-cardine che governa questi rapporti è quello per cui l’ammissione al passivo di detto creditore funge da titulus retinendi delle somme che esso abbia direttamente percepito dall’aggiudicatario del bene all’esito dell’esecuzione: quanto, fondamentalmente, significa, da un lato, che il creditore che non abbia ancora proposto domanda di insinuazione o non sia stato ancora definitivamente ammesso al passivo può egualmente dar corso alla liquidazione extrafallimentare del bene ipotecato incamerando poi quanto gli spetta all’esito della stessa; dall’altro, che una volta che quella domanda d’insinuazione sia stata definitivamente respinta, esso è tenuto a restituire al fallimento le somme dianzi incassate ([55]). Al cui proposito è da precisare che spetta al curatore far valere quell’obbligo restitutorio, del caso a mezzo di giudizio radicato innanzi al tribunale fallimentare, trattandosi indiscutibilmente di azione derivante dal fallimento a norma dell’art. 24 l. fall. ([56]).

Per quanto ora si è detto, non dobbiamo tuttavia pensare che le sorti della verificazione endoconcorsuale del credito della banca non abbiano a ripercuotersi sull’esecuzione individuale da quella promossa sin tanto che la stessa sia in atto e non sia giunta a conclusione. All’opposto, è da ritenersi, sulla scorta di evidenti e difficilmente confutabili ragioni di economia processuale, che, qualora il rigetto definitivo della domanda d’insinuazione al passivo abbia a sopravvenire prima che l’esecuzione sia stata intrapresa o in pendenza della medesima, questa divenga, rispettivamente, inammissibile o improcedibile e tale inammissibilità/improcedibilità possa essere immediatamente fatta valere dal curatore, in via, alternativamente (v. supra, § 3), di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. oppure di istanza al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 107, 6° comma, l. fall. E parimenti, è da ritenersi che la parte del prezzo di vendita che l’aggiudicatario è tenuto a versare alla banca procedente debba essere strettamente commisurata al quantum dell’ammissione al passivo, laddove questa fosse già intervenuta al momento del pagamento.

Le precorse considerazioni lasciano aperto l’interrogativo se, oltre che nelle ipotesi di definitiva esclusione del credito dallo stato passivo ovvero di ammissione allo stesso per una somma inferiore a quella percetta in sede di esecuzione individuale, la pretesa restitutoria del fallimento sia esperibile anche quando la banca, all’atto del pagamento da parte dell’aggiudicatario, risulti non avere ancora proposto domanda d’insinuazione ma, al contempo, non sia ancora decaduta dal potere di agire in tal senso, logicamente, con domanda tardiva ex art. 101 l. fall.

Poiché il limite generale di proponibilità delle domande tardive, dato dall’esaurimento delle operazioni di riparto, non può essere, chiaramente, invocato nel caso in esame – dal momento che il creditore fondiario, proponendo domanda d’insinuazione al passivo, non mira a partecipare ai riparti fallimentari, bensì a trattenere le somme incamerate al di fuori di essi -, al quesito occorre, in linea di principio, rispondere in termini affermativi. Per conferire ordine e razionalità al sistema e, così, evitare la sovrapposizione e incrocio di iniziative giudiziali contrapposte, lecito sarebbe, tuttavia, ritenere che, allo scopo di far valere la sua pretesa restitutoria, il fallimento sia costretto ad attendere la scadenza del termine, ex art. 101, 1° comma, l. fall., decorso il quale l’ammissibilità dell’insinuazione tardiva sarebbe subordinata alla dimostrazione della non imputabilità del ritardo.

Sebbene, in questo modo, fortemente ridimensionato, il “pericolo” testé paventato di un incrocio di contrapposte iniziative giudiziali non sarebbe del tutto fugato. Si vuol dire che anche così ragionando, potrebbe materializzarsi l’eventualità che la domanda d’insinuazione sia presentata dal creditore fondiario nelle more del giudizio restitutorio promosso nei suoi confronti dal fallimento. Quid iuris nella fattispecie?

Stante l’impercorribilità delle vie della riunione dei procedimenti ([57]), la soluzione che naturale si affaccia è quella della sospensione ex art. 295 c.p.c. del giudizio restitutorio, nell’attesa di una parola definitiva, in sede di verifica del passivo, sul diritto al concorso del creditore. In alternativa, si potrebbe pensare all’attivazione di una sorta di solve et repete, tale per cui la banca risulti comunque tenuta a restituire le somme ricevute dall’aggiudicatario, con accantonamento di queste a norma dell’art. 113, ult. comma, l. fall., in vista di una loro successiva assegnazione sulla base degli esiti dell’interposta domanda di insinuazione al passivo.

 

10. Il meccanismo predisposto dalla legge per garantire l’assoggettamento della banca alla legge del concorso sostanziale

Il carattere esclusivamente processuale del privilegio che la legge accorda alla banca erogatrice del mutuo fondiario, nel consentirle di agire in executivis contro il mutuatario a dispetto della procedura fallimentare aperta nei confronti di quest’ultimo, trova il suo diretto fondamento normativo nell’art. 41, 2° comma, ult. periodo, T.U.B.: il quale, peraltro, nel proclamare che «la somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento», non consacra soltanto la valenza, per l’appunto, strettamente processuale di quel privilegio – nell’accezione per cui, come già s’è detto, la banca non possa in quel modo ottenere «più di quanto non le sarebbe spettato nel concorso sul ricavato di una vendita fallimentare» (v. retro, § 1) – ma chiarisce anche come l’adeguamento dei risultati dell’esecuzione svoltasi fuori del fallimento a quelli che sarebbero stati i risultati dell’espropriazione in sede fallimentare dello stesso bene, debba avvenire attraverso un meccanismo di restituzioni ex post. In buona sostanza, la banca ha diritto di trattenere, sul ricavato dell’espropriazione extrafallimentare del bene ipotecato a sua garanzia, una somma corrispondente all’intero ammontare delle proprie spettanze verso il debitore fallito: ma laddove quella somma risultasse eccedente rispetto a quanto lo stesso creditore avrebbe conseguito nel caso di liquidazione fallimentare dello stesso bene, il quid pluris andrebbe restituito al curatore ([58]).

La norma richiede, tuttavia, un’importante integrazione. Essa non stabilisce, infatti, dove e in qual modo detta eventuale eccedenza andrebbe accertata: una lacuna cui oggi utilmente sopperisce, però, il nuovo secondo periodo (quale inserito nella consueta occasione del decreto correttivo della riforma) dell’art. 110, 1° comma, l. fall., a termini del quale, «nel progetto [ovviamente, di ripartizione dell’attivo fallimentare] sono collocati anche i crediti per i quali non si applica il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’articolo 51».

Le implicazioni, per quanto ora interessa, della disposizione sono inequivocabili. La determinazione della quota di ricavato dell’immobile ipotecato effettivamente spettante alla banca, quale risultante del computo dei crediti – spese e crediti prededucibili in generale ([59]), crediti assistiti da privilegio speciale – che avrebbero avuto diritto a una collocazione preferenziale su quel ricavato medesimo, non può più aver luogo all’atto della distribuzione del ricavato in sede di esecuzione individuale né, quindi, può avere più cittadinanza la tesi per cui il curatore sarebbe tenuto a intervenire in detta esecuzione per far valere, al momento della distribuzione del ricavato, le ragioni dei creditori aventi diritto a soddisfazione in anteclasse rispetto alla banca ([60]).

Detta quota va all’opposto determinata, per espressa disposizione di legge, in sede di ripartizione dell’attivo fallimentare ([61]): e in ciò, volendo, ben si può cogliere una ratio ulteriore dell’onere di insinuazione al passivo sancito, per i crediti fondiari, dall’art. 52, 3° comma, l. fall. ([62]).

Come già, poco sopra, si è detto, se quanto riconosciuto alla banca all’esito del riparto fallimentare è di importo inferiore a quanto versato alla stessa da parte dell’aggiudicatario dell’immobile in sede di esecuzione individuale, il surplus va corrisposto al fallimento. Ai fini di questa attribuzione, è da escludere possa fungere da titolo esecutivo il decreto di riparto emesso dal giudice delegato. Necessario, quindi, si rivela, salva, ovviamente, l’eventualità che la banca si conformi spontaneamente all’obbligo di legge, l’esperimento nei suoi confronti di un’apposita azione di condanna, nelle forme, del caso, del procedimento monitorio ed al cospetto del Tribunale fallimentare, trattandosi indiscutibilmente anche qui di azione derivante dal fallimento ai sensi e per gli effetti dellart. 24 l. fall.



* Il presente lavoro riproduce, con l’aggiunta delle note, il testo della relazione presentata nell’àmbito del convegno svoltosi in data 26 giugno 2018 a Ravenna, su iniziativa della locale sezione dell’AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati), sul tema «I rapporti tra il Fallimento e il credito fondiario».

([1]) In linea di sostanziale continuità con quanto disposto, almeno secondo l’interpretazione che ne era più largamente recepita (v., per diffuse indicazioni, anche di segno contrario, F. Ferrara jr. – A. Borgioli, Il fallimento, 5a ed., Milano, 1995, 492, nt. 8), dall’art. 42 r.d. 16 luglio 1905, n. 646.

([2]) E, viene da aggiungere, soltanto ad essa o a soggetti ad essa strettamente assimilati: nel senso che, eccezion fatta per i trasferimenti assoggettati alla disciplina dell’art. 58 T.U.B., il privilegio di cui al precedente art. 41, 2° comma, non possa spettare all’eventuale cessionario del credito restitutorio originariamente vantato dalla banca mutuante, v. da ultimo, Trib. Firenze, 1° marzo 2018, in www.ilfallimentarista.it, con nota adesiva di P. Bosticco, I limiti alla concessione dei benefici processuali ex art. 41 T.U.B. al cessionario del credito fondiario, ove ulteriori riferimenti.

([3]) Riscontri in tal senso sono reperibili praticamente in ogni occasione in cui dottrina e giurisprudenza hanno dovuto confrontarsi con il tema oggetto del presente lavoro, sì da rendere inutili citazioni specifiche.

([4]) Non si dimentichi che, tra i profili di specialità che tuttora connotano l’esecuzione in parola – sebbene non più di portata complessiva tale da conferire alla stessa la patente di esecuzione speciale (cfr., in luogo di altri, R. Oriani, L’espropriazione singolare per credito fondiario, in Corr. giur., 1995, 370 s.) -, figura anche quello, di cui al 4° comma del suddetto art. 41 T.U.B., per cui, ove l’aggiudicatario non intenda avvalersi della facoltà di subingresso nel contratto di finanziamento a mente del successivo comma 5, esso è tenuto a versare direttamente alla banca la parte del prezzo di aggiudicazione corrispondente al complessivo credito della stessa. La proseguibilità dell’esecuzione in corso di fallimento implica dunque, a ben vedere, la sottrazione del creditore procedente alle tempistiche non solo della liquidazione ma, altresì, della ripartizione dell’attivo fallimentare.

([5]) Così S. Bonfatti (- P.F. Censoni), Manuale di diritto fallimentare, 4a ed., Padova, 2011, 130.

([6]) Per dirla con locuzione in passato assai in auge: cfr. G. Costantino, voce Crediti speciali. II) Profili processuali, in Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1988, agg. 2001, 2.

([7]) La sentenza può leggersi, nel suo testo completo, in Fallimento, 1997, 49, con nota critica di A. Petraglia, Crediti fondiari: esecuzione individuale e procedure concorsuali. Nello stesso senso v. pure, nella letteratura fallimentaristica, G. Bozza, L’esclusività dell’accertamento del passivo, in A. Jorio – B. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali. II. Il fallimento, Milano, 2014, 655; W. Celentano, Effetti del fallimento per i creditori, in G. Fauceglia – L. Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 1, Milanofiori Assago (MI), 2009, 511; mentre nell’opposta direzione per cui la legittimazione de qua spetterebbe al curatore, cfr. R. Rosapepe, Effetti nei confronti dei creditori, in V. Buonocore – A. Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, II, Gli organi. Gli effetti. La disciplina penalistica, Padova, 2010, 275; L. Abete, Creditore fondiario ed ufficio fallimentare: le reciproche prerogative, il relativo rapporto e le correlate conseguenze, in Fallimento, 2012, 328; E. Forgillo, sub art. 51, in A. Nigro – M. Sandulli – V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, I, Torino, 2010, 743. Una soluzione intermedia, a tenore della quale l’esecuzione dovrebbe aver luogo tanto nei confronti del fallito che del curatore, è infine affacciata da A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, 6a ed., Milanofiori Assago (MI), 2017, 1773.

([8]) Né può giovare a quel fine l’autonomia di cui godrebbe la procedura esecutiva individuale rispetto a quella collettiva contestualmente svolgentesi, autonomia invocata, nella medesima direzione argomentativa della citata Cass. n. 5081/1996, dalla precedente Cass., 11 marzo 1987, n. 2352, in Fallimento, 1987, 943. L’esecuzione individuale ha infatti ad oggetto un bene facente comunque parte dell’attivo fallimentare e la cui liquidazione al di fuori del fallimento, se rispondente a un privilegio meramente processuale, non può che avvenire nell’interesse della massa, al punto da doversi parlare di autonomia in senso esclusivamente strutturale e non anche funzionale (sul punto v. anche infra, § 3); per ulteriori espressioni di scetticismo circa l’effettiva capacità di detta autonomia a spiegare la legittimazione passiva del fallito rispetto all’azione esecutiva della banca, cfr. A. Petraglia, Crediti fondiari, cit., 52 s.

([9]) Così V. Sangiovanni, Le particolarità fallimentari del credito fondiario, in Fallimento, 2011, 1153.

([10]) In merito alle forme e modalità di tale intervento, inevitabile è il rinvio alla disciplina generale del codice di rito civile: per quanto poi, considerati il ruolo spettante al curatore nell’àmbito dell’esecuzione cui viene, nella circostanza, ad accedere e gli obbiettivi da esso avuti di mira in quella sede (v. infra, nel testo), la portata di siffatto rinvio non possa trascendere le prescrizioni relative alla veste formale, di ricorso, dell’atto d’intervento e a quello che ne debba essere il deposito presso l’ufficio giudiziario competente, non essendo certo concepibile che il curatore debba soggiacere ai limiti temporali comunemente previsti per l’intervento dei creditori nell’esecuzione né, tantomeno, all’onere di produzione di un titolo esecutivo.

([11]) V. Sangiovanni, Le particolarità fallimentari, cit., loc. cit.; G. Pellizzoni – N. Fiorentin, Osservazioni sul privilegio processuale fondiario ex art. 41, comma 2 T.U.L.B. alla luce del decreto correttivo, in Fallimento, 2008, 615.

([12]) Cfr. V. Sangiovanni, op. cit., 1153 s.; G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 239; D. Galletti, Il concorso nel fallimento, in Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, I, Milanofiori Assago (MI), 2016, 1267.

([13]) Poiché, come già si è rammentato (nt. 4), nell’esecuzione a tutela dei crediti fondiari l’aggiudicatario del bene subastato è tenuto a versare le somme dovute a titolo di prezzo di quel bene direttamente alla banca esecutante, una fase di distribuzione del ricavato (ma v. alla prossima nota 14) potrebbe aver luogo in quella sede solamente nell’eventualità, appena considerata, di una vendita coattiva a prezzo superiore rispetto a quanto richiesto per la tacitazione integrale delle pretese vantate dalla banca predetta.

([14]) Non essendo ipotizzabile il concorso di altri creditori che pur avessero esplicato intervento, al pari del curatore, nell’espropriazione promossa dalla banca finanziatrice, valendo anche nei loro confronti, come vedremo (infra, § 6), il generale divieto delle azioni esecutive individuali di cui all’art. 51 l. fall. Al riguardo, anzi, si può persino dubitare che di vera distribuzione del ricavato si possa parlare: cfr. L. Abete, Creditore fondiario, cit., 330 s. 

([15]) V., ad es., S. Menchini – A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in F. Vassalli – F.P. Luiso – E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, 391.

([16]) Giacché, come sappiamo (v. alla prec. nota 14), le eventuali pretese accampate dai creditori che fossero intervenuti nell’esecuzione già sarebbero andate ad infrangersi contro lo sbarramento di cui all’art. 51 l. fall.

([17]) Cfr. G.U. Tedeschi, op. loc. cit.

([18]) In proposito, e per ogni altro, R. Oriani, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 12 ss. e 273 ss.

([19]) Contra S. Menchini – A. Motto, op. loc. cit.

([20]) Nel dar conto di questa ipotesi di opposizione esecutiva, non può, ovviamente, sottacersene il caramente eminentemente scolastico, ché quella dell’accensione dell’ipoteca a garanzia del finanziamento fondiario su un bene la cui impignorabilità sia sfuggita all’istituto finanziatore al momento della stipula del contratto, appare circostanza veramente ai confini della realtà.

([21]) Per l’esperibilità, nella specie, dell’opposizione da parte del debitore, ma senza previa valutazione del problema del relativo interesse ad agire, v. invece, A.M. Soldi, Manuale, cit., 1773 s., che una parallela legitimatio ad opponendum riconosce, peraltro, in capo al curatore. 

([22]) Il quale, nell’instaurare il giudizio di opposizione in parola, non sarebbe tenuto ad integrare il contradditorio nei confronti del debitore fallito: così, traendo la conclusione a guisa di corollario della carenza di interesse ad agire, nella fattispecie, del debitore medesimo, Cass., 19 agosto 2003, n. 12115, in Riv. es. forz., 2004, 462.

([23]) Tenuto presente al riguardo che l’opposizione ex art. 615 non è esperibile da soggetti terzi rispetto all’esecuzione. È vero che essa costituisce altresì rimedio concesso in esclusiva al soggetto passivo dell’esecuzione medesima, debitore o terzo che sia, e il curatore non riveste quella qualità. Ma le ragioni ad opponendum di cui ora è discorso non sono spendibili da detto soggetto passivo, per la sua già rilevata carenza di interesse ad agire. Ed è pertanto giusto, come parimenti s’è detto, che la legittimazione a far valere quelle ragioni transiti in capo ad un soggetto che quell’interesse possa vantare, come il curatore, purché di parte, anche se non soggetto passivo, dell’esecuzione si abbia a trattare. 

([24]) In particolare, con la già citata pronuncia n. 12115 del 19 agosto 2003 nonché con la successiva Cass., 2 ottobre 2003, n. 14675, in Foro it., 2003, I, 3291. Conff., in dottrina, D. Galletti, op. loc. cit.; F. Cuomo Ulloa, Gli effetti del fallimento per i creditori, in G. Schiano di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, Padova, 2007, 168; A. Caron – F. Macario, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Apice (diretto e coordinato da), Trattato di diritto delle procedure concorsuali. I. La dichiarazione e gli effetti del fallimento, Torino, 2010, 467. 

([25]) Così S. Menchini – A. Motto, L’accertamento del passivo, cit., 392 ss.

([26]) E senza che occorra formale intervento nell’esecuzione a norma del predetto art. 41, 2° comma, secondo periodo, T.U.B.: S. Menchini – A. Motto, op. cit., 391; contra, se ben s’intende, G. Pellizzoni – N. Fiorentin, Osservazioni, cit., loc. cit.

([27]) Com’era, per l’esattezza, accaduto in entrambi i casi affrontati e decisi nel 2003 dalla Suprema Corte con le pronunce rammentate alla prec. nota 24.

([28]) Cfr. l’art. 52, 3° comma, l. fall., in ordine al quale v. infra, § 9.

([29]) Per questa notazione, v. ancora S. Menchini – A. Motto, op. cit., 393 s.

([30]) V. retro, alla nota 2.

([31]) Mentre escluderei, contrariamente a quanto opinato in proposito da Soldi, Manuale, cit., 1778, che, tra gli strumenti a disposizione a quel fine del curatore, figuri anche quello della contestazione distributiva ex art. 512 c.p.c.: se non altro perché l’illegittimità dell’esecuzione portata a termine dal creditore fondiario in costanza di fallimento non può incidere sul diritto al riparto vantato da quel soggetto, unico possibile thema decidendum delle controversie regolate dalla norma ult. cit.

([32]) Così L. Abete, Creditore fondiario, cit., 328.

([33]) Cfr., tra i più recenti riscontri, S. De Matteis, sub art. 107 l. fall., in G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, 4a ed., Milanofiori Assago (MI), 2017, 1496; R. Fontana – S. Leuzzi, La liquidazione dell’attivo. La vendita dell’azienda. Vendita dei beni mobili e immobili, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, II, Milanofiori Assago (MI), 2016, 2284.

([34]) In Giust. civ., 1995, I, 494; e in Fallimento, 1994, 1273, invero criticamente annotata da L. Panzani, Esecuzione promossa dal credito fondiario e nomina del custode dell’immobile.

([35]) In senso conforme, P. Farina, Il subentro del curatore nell’esecuzione pendente, in A. Didone (a cura di), Le riforme delle procedure concorsuali, I, Milano, 2016, 1118; A.M. Soldi, Manuale, cit., 1775 s., ad avviso della quale la soluzione riesce altresì avvalorata dall’incremento dei compiti del custode registratosi nella recente legislazione, al punto che l’incarico potrebbe essere  conferito al curatore soltanto se questi, «intervenuto nell’esecuzione individuale, ne abbia fatto richiesta ovvero si sia dichiarato disponibile allo svolgimento dei compiti previsti dagli artt. 559 e 560 c.p.c.». Nel segno, prevalentemente, di quella che ne sarebbe la difficile compatibilità con i princìpi dettati dalla legge in tema di amministrazione del patrimonio fallimentare, la posizione assunta in materia dalla S.C. ha registrato, peraltro, anche diffuse espressioni di dissenso: cfr., oltre, come detto, a L. Panzani, op. ult. cit., 1278 ss., R. Rosapepe, Effetti, cit., loc. cit.; L. Abete, op. cit., 329 s.

([36]) Vedila in Dir. lav. Marche, 2006, 313.

([37]) Consultabile in www.ilcaso.it

([38]) Si dà qui, chiaramente, per assodata l’inammissibilità di una chiusura “anticipata” del fallimento, nelle more della procedura esecutiva promossa dal creditore fondiario. A differenza che nel 2012, anno cui risale la pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia che ha dato spunto alle presenti riflessioni, si debbono oggi fare i conti con la novellata disciplina dell’art. 118, 2° comma, l. fall., il cui terzo periodo, inserito dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modifiche in l. 6 agosto 2015, n. 132, stabilisce che «la chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) [ripartizione finale dell’attivo] non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’art. 43». Ma la novità non modifica i termini della questione, dovendosi escludere la praticabilità di un’interpretazione estensiva del disposto appena evocato che valga a ricomprendere entro il suo raggio applicativo anche le esecuzioni, e non solo i giudizi, in corso: sulle ragioni d’ordine testuale e, soprattutto, sistematico che si oppongono a quella lettura, sia consentito rinviare a M. Montanari, La novità della chiusura del fallimento in pendenza di cause, in Giur. it., 2017, 250 ss. In aggiunta alle considerazioni ivi svolte, merita qui soltanto osservare che, se per quanto ora detto, affinché il fallimento possa chiudersi in pendenza dell’esecuzione per crediti fondiari, necessaria sarebbe un’apposita revisione del testo di legge, conferente alla bisogna non può certo reputarsi quella che figura nella bozza del c.d. Codice della crisi e dell’insolvenza, redatta, dalla apposita commissione ministeriale, in sede di predisposizione dei decreti attuativi della legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza n. 155 del 19 ottobre 2017. L’art. 239, comma 1, di detta bozza di codice prevede infatti che «la chiusura […] nel caso di cui al n. 3 dell’art. 238, non è impedita dalla pendenza di giudizi o procedimenti esecutivi rispetto ai quali il curatore ha l’esclusiva legittimazione processuale»: ed è di palmare evidenza che l’esecuzione per crediti fondiari non possa dirsi incardinata sulla«esclusiva legittimazione processuale»del curatore. 

([39]) Cfr. C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. I. Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale, 11a ed., Torino, 2017, 325; S. Menchini – A. Motto, Le opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in Aa.Vv., Il processo civile di riforma in riforma, II parte, Milano, 2006, 220 s.; C. Petrillo, sub art. 624-bis, in L.P. Comoglio – C. Consolo – B. Sassani – R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, VII, 1, Milanofiori Assago (MI), 2014, 464.

([40]) Né è da supporre che la residua presenza di ipotesi in cui è ammesso l’intervento nell’esecuzione da parte di creditori non titolati (v. ancora sub art. 499, 1° comma, c.p.c.), valga ad interferire sulle conclusioni che ci si accinge a trarre nel testo sulla base della regola generale, ivi rammentata, che il possesso del titolo esecutivo anche a quei fini richiede: sulle ragioni che militano nel senso della natura parimenti esecutiva dell’azione esercitata dal creditore legittimato a intervenire senza essere provvisto di titolo esecutivo, v., diffusamente, P. Lai, L’intervento del creditore non titolato nell’espropriazione singolare, Roma, 2014, spec. 107 ss.

([41]) R. Oriani, L’espropriazione singolare, cit., 380.

([42]) Lo dimostra il passaggio immediatamente successivo del discorso di Oriani, dove si legge che «proprio la possibilità che la banca possa iniziare l’esecuzione nonostante il fallimento sta a significare, con l’argomento a maiori minus, che come la banca non trova ostacolo nell’applicazione dell’art. 41 in un precedente fallimento, a fortiori non può subirlo per il pignoramento eseguito da altro creditore». È evidente, infatti, che, se la premessa maggiore del ragionamento è data dalla disposizione, contenuta nell’art. 41 T.U.B., che regola i rapporti tra l’esecuzione per credito fondiario e il fallimento, il minus che viene ritratto sulla base dell’argomentazione a maiori non può che attenere alle altre disposizioni che compongono lo statuto speciale di quell’esecuzione. 

([43]) Cfr. Cass., 28 maggio 2008, n. 13996, in Fallimento, 2008, 1270, con nota critica, ma rispetto ad altri profili, di F. Commisso, L’azione esecutiva a favore dell’istituto di credito fondiario esclude l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare ?

([44]) E un qualche dubbio suscita, pertanto, Trib. Modena, 17 settembre 2017, in www.ilcaso.it, assumendo «che, nell’ipotesi in cui, pendente esecuzione e sopravvenuto il fallimento dell’esecutato, l’esecuzione prosegua su impulso di creditore fondiario intervenuto, in sede distributiva dovranno soddisfarsi anche le prededuzioni dell’originario creditore procedente che ha dato impulso alla procedura fino al fallimento, anche se non titolare di credito fondiari

([45]) Cfr. Cass., 30 gennaio 1985, n. 382, in Foro it., 1985, I, 1722, con nota di G. Costantino, Sui rapporti tra fallimento, espropriazione per credito fondiario ed esecuzione esattoriale, e in Dir. fall., 1985, II, 369, con nota di G. Bozza, Il difficile coordinamento tra la normativa sul credito fondiario e quella fallimentare; Cass., 28 gennaio 1993, n. 1025, in Fallimento, 1993, 720; Cass., 8 settembre 2011, n. 18436, ivi, 2012, 324, con nota cit. di L. Abete ; nonché, nella più recente giurisprudenza di merito, Trib. Velletri, 21 dicembre 2015, in Dir. fall., 2016, II, 573, con nota critica di M. Piras, I rapporti fra l’esecuzione fondiaria e il fallimento.

([46]) Invero non inattaccabile e a perfetta tenuta, come dimostrato, in particolare, dai sagaci rilievi di F. Padovini, Concorso della liquidazione fallimentare con l’azione esecutiva immobiliare degli istituti di credito fondiario, in Riv. dir. civ., 1985, 579 ss.

([47]) In Fallimento, 2012, 324.

([48]) Analogamente, sia nella conclusione che nella cautela con cui la stessa è formulata, D. Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., 1268, che giustamente pone in risalto come nel riformato ordinamento della liquidazione dell’attivo fallimentare - e fatta salva, ovviamente, l’ipotesi dell’opzione per la vendita secondo le forme del codice di rito civile di cui all’art. 107, 2° comma, l. fall. -, l’impulso alla vendita non derivi più, a rigore, da un provvedimento del giudice delegato, bensì da atti del curatore e del comitato nei creditori; per identico riferimento all’autorizzazione di cui all’art. 104-ter, penult. comma, l. fall., Soldi, Manuale, cit., 1774.

([49]) Nei confronti della quale, ove sopravvenuta all’omologo provvedimento del giudice fallimentare, sarebbe onere del curatore promuovere opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., non potendosi ravvisare alcun interesse al riguardo al capo al debitore esecutato.

([50]) Cfr., in particolare, M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017, 306, che nel porsi il problema dell’armonizzazione tra la norma appena richiamata nel testo e il predetto art. 104-ter l. fall., testualmente osserva: «Se l’atto di liquidazione è stato esattamente previsto  nel programma e quindi il giudice è stato in grado di autorizzarlo preventivamente, la fase successiva del procedimento di liquidazione può svolgersi perché retta dall’autorizzazione del giudice, nel qual caso il curatore informa il giudice dell’esito della procedura competitiva perché nulla più vi è da autorizzare. Se, invece, nella pianificazione le modalità della vendita non sono indicate in modo così preciso da consentire al giudice un controllo preventivo, con l’informazione relativa all’esito della procedura il curatore richiede al giudice anche l’autorizzazione ai sensi dell’art. 104-ter l. fall.»; per un non dissimile spunto v. R. Fontana – S. Leuzzi, La liquidazione dell’attivo, cit., 2257 s.

([51]) Si vedano, in proposito, l’excursus e le considerazioni di A. Gallone, La liquidazione dell’attivo. Programma di liquidazione, in O. Cagnasso – L. Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II, Milanofiori Assago (MI), 2016, 1797 ss.; nonché P. Farina, Il programma di liquidazione dell’attivo ed i poteri degli organi della procedura, in A. Didone (a cura di), Le riforme delle procedure concorsuali, I, cit., 1037.

([52]) Sul dibattito accesosi in argomento, in special modo nell’ultimo decennio del trascorso secolo, cfr. l’ampia ricostruzione di Tardivo, Il credito fondiario nella nuova legge bancaria, 6a ed., Milano, 2006, 252 ss.; e per più aggiornati ragguagli, A.M. Soldi, Manuale, cit., 1776.

([53]) Con annesso e inevitabile superamento del problema se il deposito, da parte della banca, della domanda di insinuazione al passivo suonasse a implicita rinuncia ad avvalersi dei privilegi di procedura che la legge le riconosceva: S. Bonfatti (- P.F. Censoni), Manuale, cit., 132.

([54]) S. Bonfatti (- P.F. Censoni), op. loc. ult. cit.

([55]) V., ex plurimis, S. Menchini – A. Motto, L’accertamento del passivo, cit., 391; A. Paluchowski (- P. Pajardi), Manuale di diritto fallimentare, 7a ed., Milano, 2008, 324; L. Abete, Creditore fondiario, cit., 331; A. Trinchi, sub art. 110, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, Artt. 64-123, Milano, 2010, 1117 s.; E. Forgillo, sub art. 51, cit., 741 s.; F. Casa, Appunti sul credito fondiario tra privilegio processuale e concorso formale, in Fallimento, 2015, 789 s. (ancorché l’a. lasci intendere che la pretesa restitutoria sarebbe azionabile solamente una volta che la mancata insinuazione al passivo sia certificata dalla mancata collocazione del creditore fondiario nel piano di riparto); P. Bosticco, I limiti, cit., 2 s.; M.S. Deboni, Contestazione del credito fondiario in sede fallimentare e rapporti con l’esecuzione individuale ex art. 41, 2° comma, TUB, in Dir. fall. (versione elettronica), 2018, § 3, che richiama pure Trib. Lodi, 20 maggio 2016; cfr. pure, nella giurisprudenza successiva alla riforma, Cass., 30 marzo 2015, n. 6377, in Fallimento, 2015, 784, con oss. cit. di F. Casa. Contra, nel senso che l’azione esecutiva potrebbe effettivamente essere iniziata o proseguita a prescindere dalla interposizione della domanda di ammissione al passivo, ma è soltanto a séguito dell’accoglimento di quest’ultima che sarebbe dato al creditore di ottenere l’attribuzione del ricavato della vendita, G. Pellizzoni – N. Fiorentin, Osservazioni, cit., 614 s.; F. Ciani, Divieto di azioni esecutive ed azioni cautelari, in L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali. 3. Gli organi del fallimento e la liquidazione dell’attivo, Milanofiori Assago (MI), 2010, 490 s. L’idea, concordemente respinta da dottrina e giurisprudenza testé richiamate, che l’ammissione al passivo del creditore fondiario rilevi come condizione di procedibilità dell’azione esecutiva individuale a quegli spettante, traluce invece da un recente provvedimento del Tribunale di Verona, 31 luglio 2017, in Dir. fall., 2018, con nota cit. di M.S. Deboni, a tenore del quale, «in pendenza dell’accertamento della tempestività della domanda di ammissione al passivo del credito fondiario, sussistono ragioni di opportunità per annullare l’ordinanza del Giudice Delegato che dispone la vendita del bene immobile ipotecato a garanzia del credito, per evitare che venga irreversibilmente pregiudicato, in caso di ammissione del credito all’esito della vendita, il diritto del creditore fondiario di procedere ad esecuzione individuale ai sensi dell’art. 41, 2° comma, TUB»: si rinvia, in proposito, alle attente e prudenti considerazioni dell’annotatore M.S. Deboni, op. cit., § 4.

([56]) S. Menchini – A. Motto, op. ult. cit., 390 s.; L. Abete, op. cit., 332.

([57]) Quale ineluttabile portato dei tratti di accentuata specialità che, a séguito della riforma, contrassegnano il rito della verifica del passivo anche nelle sue fasi impugnatorie: sui problemi e inconvenienti derivanti, sul terreno dei rapporti tra giudizio di verifica e cause connesse appartenenti alla cognizione del giudice ordinario, da questa scelta del legislatore, cfr., si vis, M. Montanari, Verificazione del passivo fallimentare e cause connesse, in Giur. comm., 2016, I, 147 s.

([58]) Non mostra di tenere in considerazione questo meccanismo di perequazione ex post chi sostiene, in nome di un’asserita antinomia tra la disposizione dell’art. 41, 4° comma, T.U.B. (v. supra, alla nt. 4) e quella di cui al nuovo art. 110, 1° comma, secondo periodo, l. fall. (v. appresso, nel testo), che l’assegnazione provvisoria del ricavato in sede di esecuzione individuale non può oltrepassare quanto è ipotizzabile che il creditore potrebbe conseguire in via definitiva all’esito della procedura fallimentare: così, assumendo conseguentemente che detta assegnazione provvisoria dovrebbe avvenire sulla base di un progetto di riparto virtuale steso dal curatore su richiesta del giudice dell’esecuzione, F. D’Aquino, La ripartizione dell’attivo, in S. Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma «organica» l decreto «correttivo», Bologna, 2008, 300; Ambrosini, La ripartizione dell’attivo, in S. Ambrosini – G. Cavalli – A. Jorio, Il fallimento, in Tratt. dir. comm., diretto da G. Cottino, Padova, 2009, 655, nt. 4.

([59]) In termini che possiamo vedere meglio puntualizzati, ad es., in F. Ciani, Divieto, cit., 491.

([60]) Tra le più significative testimonianze giurisprudenziali di questo – si ribadisce, superato (ma per uno spunto in contraria direzione, D. Forgillo, op. cit., 743 s., nt. 41) - orientamento, cfr. Cass., 19 febbraio 1999, n. 1395, in Fallimento, 2000, 80, con oss. critiche di D. Colombini; Cass., 9 ottobre 1998, n. 10017, ivi, 1999, 1072, annotata da M. Terenghi, Esecuzione di credito fondiario e fallimento; Cass., 15 giugno 1994, n. 5806, ivi, 1994, con nota critica di L. Panzani, Credito fondiario, esecuzione immobiliare e fallimento.

([61]) Per ogni altro, L. Abete, op. loc. ult. cit.

([62]) Diversamente orientato sul punto, appare G. Bozza, L’esclusività, cit., 654 s., ad avviso del quale la regola posta da detto art. 52, 3° comma, l. fall. varrebbe a rendere quella, ora in esame, del successivo art. 110, 1° comma, secondo periodo, disposizione sostanzialmente «superflua, perché, una volta stabilito che anche i creditori fondiari sono soggetti all’accertamento del passivo, diventa conseguenziale che la partecipazione al concorso fallimentare avvenga secondo le regole per questo dettate…e che questi crediti partecipino ai riparti fallimentari»; non dissimilmente, F. Lamanna, Gli effetti del fallimento per i creditori, in A. Jorio – M. Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2010, 243. Non è un caso, in effetti, che le pronunce richiamate alla prec. nota 60 convenissero tutte, in apicibus, sulla dispensa dei creditori fondiari dall’onere della verificazione endofallimentare delle loro spettanze. È il caso d’osservare, peraltro, che le cose potrebbero essere viste anche a termini esattamente invertiti, nel senso che, una volta stabilito che anche i creditori fondiari debbano trovare collocazione in sede di riparto fallimentare, sarebbe la disposizione dell’art. 52, 3° comma, a risultare superflua, poiché è soltanto dei creditori ammessi al passivo che è dato tener conto in fase di ripartizione: sull’opportunità della scelta compiuta dal legislatore nel rivedere il testo dell’art. 110 l. fall. in armonia alle integrazioni apportate a quello del precedente art. 52, v. V. Sangiovanni, op. cit. 1156.


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