Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 488 - pubb. 01/01/2007

Azione di responsabilità e legittimazione del curatore fallimentare

Tribunale Pescara, 15 Novembre 2006. Est. Falco.


Società a responsabilità limitata – Riforma del processo societario – Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori – Legittimazione della società e del curatore fallimentare – Sussistenza.



Anche dopo l’entrata in vigore del D.lgs. n. 5/2003, la società a responsabilità limitata continua ad essere legittimata (al pari del Curatore Fallimentare nella ipotesi di fallimento) a promuovere direttamente l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori. (Mauro Bernardi) (riproduzione riservata)


 


omissis 

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Si premette in forma riassuntiva ed attraverso l’implicito richiamo (legittimato dall’art. 16 D.lgs. n. 5 del 2003) agli elementi di fatto riportati dalle parti nei rispettivi atti processuali, che:

·               Con atto di citazione del 15.9.2005, ritualmente notificato, il FALLIMENTO A. SRL in liquidazione, in persona del Curatore (di seguito, FALLIMENTO), intraprendeva l’azione di responsabilità ex art. 146 L.F nei confronti degli odierni convenuti (alcuni dei quali ex-amministratori, altri ex sindaci della società fallita, altri eredi dei medesimi), ritenendoli responsabili di una serie di colpevoli condotte di gestione e di controllo sociale (condotte che- secondo la prospettazione attorea- avevano portato al progressivo dissesto della società poi sfociato nella dichiarazione di fallimento del 28.9.2000) e chiedendone- di conseguenza- la condanna solidale al risarcimento della somma di £. 1.118.812,35 (pari al cd. “deficit falimentare”), ovvero della diversa somma ritenuta di giustizia.

·               Tutti i convenuti si costituivano eccependo, da un lato, una asserita inammissibilità in materia di S.r.l. della azione di responsabilità verso i creditori sociali (in ragione della riforma delle S.R.l. di cui al D.lvo n. 6/2003), dall’altro l’intervenuta prescrizione della azione attorea, infine la infondatezza nel merito degli addebiti di responsabilità denunziati dalla controparte.

·               Si costituivano in seguito altresì- perché chiamati in causa dai convenuti D. N. E R. L.- anche N. D. (già amministratore giudiziario della A. S.r.l.) e B. L. (già liquidatore giudiziale della predetta società) i quali- contestando l’assunto dei chiamanti della sussistenza di una loro corresponsabilità nel dissesto sociale per il periodo relativo alla amministrazione giudiziaria (disposta nel 1998) ed alla liquidazione giudiziaria (disposta nel 1999) della compagine sociale- ne chiedevano il rigetto.

·               Avvenuta altresì la costituzione in giudizio- sempre a seguito di previa chiamata in causa da parte dei convenuti D. N. E R. L.- di T. M., (quale coerede, unitamente al convenuto T. C., del defunto ex amministratore T. P.), il processo proseguiva attraverso lo scambio di molteplici memorie e repliche, sino alla discussione orale tenutasi all’udienza del 7.7.06, al cui esito il Collegio- in ragione delle questioni preliminari sollevate dalle parti- riteneva opportuno trattenere subito la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE 

L’eccezione di inammissibilità dell’azione di responsabilità del Curatore Fallimentare ex art. 146 L.F. a tutela dei creditori sociali è infondata.

L’azione di responsabilità esperita dal Curatore Fallimentare è prescritta.

Le domande spiegate dai convenuti D. N. E R. L. di chiamata in causa dell’amministratore giudiziario e del liquidatore giudiziale della A. S.r.l. sono infondate nel merito.

Si perviene a tali conclusioni in ragione delle considerazioni che seguono.

La complessità e molteplicità delle questioni versate in atti ne rende opportuna una trattazione in progressione e per punti, come da schema che segue. 

Le azioni di responsabilità ex artt. 2393, 2394 e 2407 c.c. contro amministratori e sindaci di società di capitali:

·               Il Curatore del Fallimento – attore nel presente giudizio- ha quivi esercitato l’azione di responsabilità ex art. 146 L.F. nei confronti degli ex amministratori e degli ex sindaci della A. S.R.L.., imputando alle asserite condotte colpevoli dei medesimi- come accennato- la causa del progressivo dissesto sociale poi sfociato nella dichiarazione di fallimento del 28.9.2000.

·               Com’è noto, l’azione di responsabilità contro gli amministratori (ed i sindaci) esercitata dal Curatore Fallimentare ex art.146 L.F. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c. ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia e dei soci e dei creditori sociali (Cass. N. 4415 del 1979 Cass. N. 10937/97; Cass. N. 10488/1998; Cass. N. 2772/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11018 del 25/05/2005; Cass. N. 2538/2005).

·               La responsabilità verso la società degli amministratori di una società per azioni, prevista e disciplinata dagli artt. 2392 e 2933 cod. civ. trova la sua fonte nell'inadempimento dei doveri di gestione della società e di direzione dell'impresa sociale imposti ai predetti dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell'inadempimento dell'obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo (sì che il relativo "thema probandum" si articola nell'accertamento dei tre elementi dell'inadempimento di uno o più degli obblighi suindicati, del danno subito dalla società, del nesso causale), mentre "danno risarcibile" sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell'agente, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante (commisurato, cioè, in concreto, al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, commissivo od omissivo, non fosse stato posto in essere dall'amministratore (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 22/10/1998; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 2002 in motivazione).

·               Altra e distinta forma di responsabilità è, per converso, quella degli amministratori verso i creditori sociali - prevista dal successivo art. 2394 cod. civ. come conseguenza dell'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale - la cui natura extracontrattuale presuppone l'assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti, ed un comportamento dell'amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 cod. civ.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l'equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 22/10/1998). La indiscutibile natura diretta ed autonoma dell'azione ex art. 2394 cod. civ. ne esclude, poi, qualsivoglia carattere surrogatorio, attesa la non riconducibilità al novero degli effetti di un mero fenomeno surrogatorio di un così radicale mutamento del titolo di responsabilità, da contrattuale (artt. 2392, 2393) ad extracontrattuale (art. 2394), con la conseguenza che, se l'accoglimento della domanda proposta ai sensi degli artt. 2392 e 2393 cod. civ. comporta la devoluzione del risultato utile di essa in via primaria e diretta all'incremento del patrimonio sociale (mentre i creditori attori ne trarrebbero solo indirettamente beneficio), ciò non è a dirsi in caso di azione proposta ex art. 2394 cod. civ., ove il danno subito dai creditori costituisce anche (ed esclusivamente) la misura del loro interesse ad agire (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 22/10/1998)

·               Quanto alla responsabilità dei sindaci, è parimenti noto che il controllo del collegio sindacale di una società per azioni non è circoscritto all'operato degli amministratori, ma si estende a tutta l'attività sociale (come è lecito desumere dal disposto di cui agli artt. 2403, 2405, 2377, secondo comma, cod. civ.), con funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5287 del 28/05/1998). Trattasi di controllo che non ha carattere meramente formale, ma si estende alla legittimità sostanziale dell'attività sociale e che, in questo quadro, i sindaci sono tenuti a verificare altresì che l'operato degli amministratori si svolga nel rispetto del generale dovere di diligenza ad essi stabilito in via generale dalla legge (art. 2392, primo comma, c.c.: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5287 del 1998 anche in motivazione).

·               Il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume, poi, rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell'eventuale esercizio dell'azione di regresso), e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell'illecito al danneggiato (società, creditori sociali, singoli soci e terzi).

·               Il principio generale di solidarietà tra coobbligati di cui all'art. 2055, primo comma, cod. civ., benchè sia stabilito espressamente in materia di responsabilità extracontrattuale, è infatti applicabile anche in tema di responsabilità contrattuale, con la conseguenza che, nel caso di azione di responsabilità proposta dal curatore del fallimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali ex art. 146, legge fall. sussiste nei rapporti esterni la responsabilità solidale degli amministratori, indipendentemente dalla natura della responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) nei confronti dei creditori sociali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11018 del 25/05/2005: fattispecie nella quale, 'ratione temporis', sono stati applicati gli artt. 2393 e 2394 cod. civ. nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D. lgs. n. 6 del 2003; cfr. anche Cass. Sez. 1^, 28.5.1998, n. 5287). Peraltro, il principio generale di solidarietà tra coobbligati di cui all'art. 2055, primo comma, c.c. è ribadito, con specifico riguardo ai sindaci della società, dall'art. 2407, secondo comma, cod. civ., che esclude la legittimità di una commisurazione percentuale della responsabilità dei sindaci all'entità del loro concorso nella causazione dell'evento dannoso (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5287 del 28/05/1998) 

Art. 146 L. F. come cumulo di azioni ex art. 2393 e 2394 c.c.:

·               Ciò posto, va ricordato, ancora, che l'art. 146 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (nella versione vigente alla data di instaurazione del presente giudizio, anteriore alla riforma fallimentare di cui al D.lgs. n. 572006) determina la sorte delle azioni di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali, i liquidatori, nella procedura di fallimento della società, con previsione della avocazione all'ufficio fallimentare dell'esercizio delle azioni previste dagli art. 2392- 2393 e 2394 C.C., e della rimessione alla libera iniziativa del socio come del terzo dell'azione che a loro compete a norma dell'art. 2395 C.C. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 1998).

·               La sostituzione del curatore alla società fallita in persona dei suoi legali rappresentanti nell'esercizio dell'azione sociale di responsabilità rappresenta solo una particolare manifestazione specifica del generale effetto, previsto nel primo comma dell'art. 43 della legge fallimentare, per cui nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore, mentre, come ha rilevato la dottrina, la sostituzione della legittimazione del curatore a quella dei titolari dell'azione di cui all'art. 2394 C.C. non è, in se stessa, ricollegabile alla struttura del processo fallimentare, e rappresenta frutto di una scelta del legislatore volta ad assicurare alla curatela un maggior livello di tutela (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 1998 anche in motivazione).

·               È costante in giurisprudenza l'affermazione che per effetto del fallimento le azioni di responsabilità di cui agli art. 2392-2393 e 2394 C.C. confluiscono in una unica azione avente carattere unitario e inscindibile (di cui diviene titolare il curatore) e che, pur essendo ontologicamente correlata ad esse (e non sorgendo, perciò, ex novo in capo al curatore) assume carattere unitario ed inscindibile, sia perché necessariamente cumula i presupposti e gli scopi di entrambe le azioni suindicate, sia perché è sempre finalizzata al risultato di acquisire all'attivo fallimentare tutto quanto sottratto per fatti imputabili agli amministratori (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15487 del 06/12/2000; Cass. 3755/1981; 4891/1980; 3768/1978).

·               Con il corollario che la domanda risarcitoria contro gli amministratori può essere formulata così con riferimento ai presupposti della responsabilità verso la società come sulla base dei presupposti della responsabilità verso i creditori sociali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 1998 anche in motivazione; Cass. 3755/1981; 4891/1980; 3768/1978).

·               In particolare consegue che, quando il curatore agisce in base all’art. 146 L.F., le due azioni ivi previste devono ritenersi contemporaneamente proposte, sicchè la responsabilità degli ex amministratori può essere dedotta ed affermata tanto con riferimento ai presupposti dell’azione dei creditori sociali (insufficienza patrimoniale cagionata dalla inosservanza di obblighi relativi alla conservazione del patrimonio sociale) quanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale (danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori, per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero inerenti all’adempimento delle loro funzioni con la diligenza richiesta (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3755 del 10/06/1981)

·               Tale possibilità, che si risolve in un risultato pratico di evidente vantaggio per il curatore, il quale potrà impostare la domanda in funzione di profili di opportunità per avvalersi a seconda dei casi della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale o di quella applicabile alla responsabilità extracontrattuale, non significa peraltro che la curatela la quale si avvalga consapevolmente e dichiaratamente dello strumento risarcitorio di cui agli art. 2393 e 2394 C.C. sostituendosi alla società, debba soggiacere a quanto di meno favorevole possa comportare astrattamente il ricorso all'azione di danni di cui all'art. 2394 C.C. in tema di delimitazione del danno risarcibile e dell'interesse ad agire nel senso sopra precisato (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 1998 anche in motivazione). 

L’azione di responsabilità promossa nella specie dal curatore Fallimentare di S.R.L. ex Art. 146 L. F. come (persistente) cumulo delle azioni ex art. 2393 e 2394 c.c. anche dopo la riforma ex D.lgs. n. 6/2003 del diritto societario 

Profili particolari solleva, sulla scorta delle modifiche introdotte con il nuovo diritto societario sostanziale (D.lgs. n. 3/2006) e di quelle di cui all'attuale legge fallimentare (ex D.lgs. n. 5/2006), la proponibilità dell'azione di responsabilità da parte del curatore nei confronti degli amministratori della S.R.L..

La questione assume quivi particolare rilievo in ragione della prima richiamata eccezione quivi spiegata da taluni convenuti di inammissibilità dell’azione del Curatore di responsabilità nell’interesse dei creditori sociali della A. S.r.l..

Orbene, deve innanzitutto sottolinearsi che il nuovo articolo 2476 del codice civile disciplina in modo autonomo la responsabilità degli amministratori, senza più alcun richiamo- com’è noto- a quanto previsto in sede di S.P.A..

La norma in questione, infatti, fa riferimento esclusivamente all'azione promossa dai singoli soci, senza richiamare, a fronte dell'accentuata diversità dei due modelli, la disciplina prevista in materia di azione di responsabilità nelle Spa.

Dottrina e giurisprudenza si sono pertanto interrogate sulla permanenza, nel nuovo regime, del diritto alla proposizione dell'azione di responsabilità anche da parte della società.

La soluzione che appare preferibile, e che peraltro è seguita dalla giurisprudenza di merito assolutamente prevalente (Tribunale Napoli 12. 5. 04; Tribunale di Mantova 14. 5. 05; Tribunale Catania 17 2. 06) è quella di ritenere che permanga la legittimazione della società, sia perché, in base ai principi generali, ogni soggetto ha il libero esercizio dei diritti che gli spettano e sia perché, in realtà, l'azione proposta dei singoli soci, null'altro e’ che l'azione sociale, com'è confermato, senza ombra di dubbio, dalla circostanza che la causa promossa dai soci può essere oggetto di rinunzia o transazione da parte della società, come previsto dal quinto comma dell'articolo 2476 del codice civile.

Analoghe perplessità sono sorte sulla permanenza dell'azione a favore dei creditori sociali, oggetto di espressa previsione solo nelle Spa, senza alcun richiamo di dette norme, e senza alcuna previsione autonoma, nelle Srl..

La tesi negativa si fonda sull’esclusivo argomento letterale- fondato sul principio ermeneutica racchiuso nel brocardo “ubi lex voluti dixit, ubi noluiti tacuit”- della intervenuta abrogazione, da parte del legislatore della riforma, del richiamo (operato dal comma II dell’art. 2487 c.c.) all’azione prevista dall’art. 2394 c.c. in materia di s.p.a., per inferire la volontà legislativa di escludere il detto strumento di tutela del ceto crdeditorio.

Tuttavia, il percorso argomentativo che, opportunamente, consente di ritenere l'esistenza di una tale azione, in capo ai creditori e quindi, successivamente al fallimento, in capo al curatore, non può che partire dal rilievo che l'articolo 2394 del codice civile e’ norma meramente ricognitiva di di un principio generale, quello della cosiddetta tutela extracontrattuale del diritto di credito, che trova pieno riconoscimento nelle previsioni di cui agli articoli 2740 e 2043 e seguenti del codice civile.

Tale interpretazione sembra coincidere con quella sottesa, in veste di obiter dictum, alla pronunzia della Corte Costituzionale n. 481 del 29.12.2005 (secondo cui “la salvezza del diritto al risarcimento dei danni spettanti al terzo danneggiato da atti dolosi e colposi degli amministratori (art. 2476 comma VI c.c.) costituisce previsione che non preclude interpretazioni- peraltro proposte in dottrina- idonee ad assicurare efficace tutela ai creditori sociali), che rimanda all’azione risarcitoria diretta espressamente prevista (anche) in materia di S.R.L. a tutela dei terzi (tra i quali rientrerebbero anche i creditori sociali) quale norma meramente ricognitiva della clausola generale di cui all’art. 2043 c.c..

Del resto in materia societaria vi sono specifiche previsioni di azioni dei creditori della Srl nei confronti degli amministratori, ad esempio per il risarcimento dei danni connessi a ritardi od omissioni in ordine all'accertamento della causa di scioglimento ( articolo 2485 comma primo del codice civile), per il risarcimento dei danni connessi alla infedele gestione della società al verificarsi di una causa di scioglimento ai sensi dell'articolo 2486 del codice civile e per la responsabilità dei medesimi, in solido con la societa’ da essi amministrata, che eserciti attivita’ di direzione o coordinamento su altra societa’, nel caso di cui all’art. 2497 cc..

L'esistenza in materia di una mera svista del legislatore societario trova ulteriore conferma nella circostanza che anche nel nuovo codice societario è espressamente prevista la legittimazione dei creditori sociali ad agire nei confronti dei sindaci -ove questi siano stati nominati-, e ciò in virtù del richiamo previsto dall'articolo 2477 cc alla disciplina in materia di società per azioni -e dunque anche all'articolo 2407 del codice civile- e dei liquidatori e ciò in virtù della previsione di cui all'articolo 2489 del codice, che consente di ritenere applicabile anche ai liquidatori di S.r.l. tutte le norme in tema di responsabilità degli amministratori e dunque anche quella di cui all'articolo 2394 del codice civile.

L'iter ricostruttivo che precede appare, del resto, l'unico atto a sottrarre le norme in questione a censure di illegittimità costituzionale, non giustificandosi in alcun modo una disparità di trattamento così patente tra i creditori della S.p.A. e i creditori della Srl, in presenza di un'analoga situazione di partenza e cioè di una limitazione legislativa della responsabilità dei soci.

La ricostruita, sul piano sistematico, legittimazione dei creditori ad agire nei confronti degli amministratori della Srl consente poi, come sopra rilevato, l'attribuzione di tale azione al curatore fallimentare ex articolo 146 L.F. (“pre riforma” ex D.lgs. n. 5/2006), lasciato assolutamente immutato dalla riforma del diritto societario.

Che questa sia l’interpretazione corretta appare oggi confermato dal D.lgs. n. 5/2006, recante la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, il quale, nell'attribuire al curatore tutte, indistintamente, le azioni di responsabilità previste dal codice civile, (ivi comprese, quindi, quelle esercitate dai creditori sociali, senza più alcun richiamo specifico a quelle di cui all'articolo 2393 e 2394 del codice, consente, ulteriormente, di ritenere la legittimazione del curatore, anche per tale azione, in quanto spettante, in base alle considerazioni sopra espresse, a favore della società ‘in bonis’.

Da quanto sopra consegue- con evidenza- l’infondatezza della eccezione preliminare sollevata dai convenuti di difetto di “qualificazione giuridica” dell’azione esperita dalla curatela e- in ogni caso- di inammissibilità dell’azione di responsabilità nell’interesse dei creditori sociali.

Ricognizione dei fatti di responsabilità contestati nel presente giudizio dalla Curatela fallimentare agli ex amministratori ed ex sindaci della A. s.r.l. La difesa dei convenuti:

Una volta individuato il legittimo “contenuto” dell’azione ex art. 146 L.F. di cui è causa, si deve sottolineare che il Curatore Fallimentare ha imputato ai convenuti- in estrema sintesi per quanto quivi interessa- il fatto di:

·               “Non avere provveduto- pur in presenza, alla data del 31.12.1994, dell’abbattimento integrale del capitale sociale per perdite- a convocare l’assemblea (ex art. 2447 c.c.), né a sciogliere la società (art. 2448 n. 4 c.c.), essendo ormai decorso il termine per la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea del 27.5.1994 […]”.

·               Non avere “provveduto, pur avendo il Tribunale di Pescara, con provvedimento del 14.12.1995, ridotto il capitale sociale a £. 428.060.725, in conseguenza delle perdite del 1992 e 1993, e pur avendo la società subito perdite ulteriori negli anni 194,1995 e 1996, in misura superiore ad un terzo del capitale sociale, ad adottare i provvedimenti previsti dall’art. 2446 c.c.”.

·               Avere omesso- pertanto- di “attivarsi per adottare i provvedimenti degli artt. 2446 e 2447 c.c. (vecchio testo) in ciascuno degli esercizi successivi al 31.12.1994, in presenza della riduzione del capitale sociale al di sotto del minino di legge”.

·               Avere “altresì omesso di rilevare l’ulteriore causa di scioglimento rappresentata dalla impossibilità di funzionamento dell’assemblea a far data dal 1995 e di adottare gli ulteriori provvedimenti di cui all’art. 2449 c.c. (vecchio testo)”.

·               Essersi resi responsabili dei reati di false comunicazioni sociali e falso in bilancio nelle due occasioni accertate nei relativi procedimenti penali.

·               Avere omesso tanto il doveroso controllo su tali atti di mala gestio quanto la nomina necessaria di un liquidatore sociale ex art. 2450 comma III c.c.., così da consentire “l’illecita protrazione dell’attività gestoria per gli esercizi successivi (al 1995) e da provocare i notevoli danni patrimoniali” subiti dalla società.

·               Essersi quindi in tal modo resi tutti solidalmente responsabili “delle perdite subite dal patrimonio sociale nel periodo di illegittima protrazione dell’attività gestoria per il periodo (1995/1999) di cinque anni successivi al determinarsi della causa di scioglimento” (cfr. l’atto di citazione).

A fronte di siffatti addebiti di responsabilità, i convenuti hanno controdedotto, in sintesi per quanto quivi interessa:

·               L’intervenuta prescrizione della avversa azione di responsabilità.

·               La assenza di qualsivoglia profilo di colpa nelle condotte da loro serbate all’interno della compagine sociale. 

Il riconoscimento della intervenuta prescrizione delle azioni ex art. 2393/2394 c.c./146 L.F di cui è causa:

Si deve ritenere- in accoglimento della relativa eccezione sollevata dai convenuti- che le azioni di responsabilità di cui è causa fossero già ampiamente prescritte alla data (settembre 2005) della instaurazione del presente giudizio.

Si perviene a tale conclusione in ragione delle considerazioni che seguono.

Giova al riguardo fare alcune premesse in diritto:

Prescrizione dell’azione ex art. 2393 c.c., illecito permanente ed individuazione del dies a quo del relativo termine prescrizionale:principi generali:

·               L’art. 2949 c.c. (Prescrizione in materia di società”) stabilisce: “Si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese” (I comma). “Nello stesso termine si prescrive l'azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli amministratori nei casi stabiliti dalla legge” (II comma).

·               Il termine quinquennale di prescrizione, previsto dall’art. 2949 c.c., al quale è soggetta l’azione di responsabilità delle società (ex art. 2393 c.c.) contro gli amministratori, decorre dalla consumazione del fatto dannoso compiuto dall’amministratore (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3887 del 05/12/196; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 68 del 08/01/1979; Riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 2949 Cod. Civ. art. 2393).

·               Al riguardo una precisazione va fatta se si contesti alla controparte non solo degli illeciti cd. “istantanei” ma anche (come nella specie) degli illeciti cd. “permanenti”.

·               I fatti illeciti istantanei sono quelli in cui la condotta costituisce mero elemento genetico dell'evento dannoso e si esaurisce con il verificarsi di esso (pur se l'esistenza di questo si protragga poi autonomamente, in virtù della produzione dei suoi effetti permanenti costituenti un mero sviluppo ed un aggravamento del danno già insorto),.), sicché il termine prescrizionale del diritto della parte a vedersi rivalere delle conseguenze pregiudizievoli della suddetta condotta "contra ius" decorre - alla stregua del disposto dell'art. 2935 cod. civ.- dal suo verificarsi (Cass. Sez. L, Sentenza n. 13046 del 01/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6515 del 02/04/2004;Cass. Sez. L, Sentenza n. 13046 del 2006; Cod. Civ. art. 2043 Cod. Civ. art. 2934 Cod. Civ. art. 2935 Cod. Civ. art. 2947). In tali ipotesi il semplice peggioramento di una lesione in atto non sposta il termine iniziale di prescrizione dal giorno in cui il fatto lesivo si è verificato (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6515 del 02/04/2004; Cass., n. 7937/2000; Cass., n. 1520/98; Cass., n. 10448/96).

·               Gli illeciti permanenti sono, invece, quei comportamenti lesivi non esauritisi uno actu (a differenza dei cd. illeciti istantanei) ma perduranti nel tempo e la cui durata è posta dall’attore in un rapporto di consequenzialità immediata e diretta con la produzione e con l’aggravamento del danno (cfr. ex multis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12647 del 26/05/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16564 del 25/11/2002)

·               Così, gli ulteriori effetti dannosi che si producono nel patrimonio di un soggetto in conseguenza dello stato di fatto determinato dal comportamento illecito di un terzo, che solo una condotta contraria di quest'ultimo può eliminare, costituiscono effetti di un illecito permanente, la cui caratteristica è di dare luogo ad un diritto al risarcimento, che sorge in modo continuo, e che in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si produce (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6512 del 02/04/2004;Cass., n. 14861/2000; Cass., n. 1439/97).

·               Il diritto al risarcimento del danno può, in tali ipotesi di illecito permanente, essere perciò esercitato immediatamente, mano a mano che il danno si verifica, e quindi si prescrive giorno per giorno dopo cinque anni dal giorno in cui ogni successiva frazione di danno si produce (artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ.: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16564 del 2002; Cass. 16 novembre 2000 n. 14861; Cass. 17 febbraio 1997 n. 1439; Cass. 19 luglio 1995 n. 7867). Ne consegue l'applicabilita' della prescrizione ex art. 2947 cod. civ. per i soli danni maturati prima del quinquennio anteriore al primo atto interruttivo (Cass. 14861/2000; Cass. N. 7867/95).

·               Nella specie i comportamenti illeciti contestati ai convenuti sono (oltre a taluni specifici illeciti istantanei nel senso prima precisato: così ad esempio con riferimento agli specifici episodi del settembre 1996 di false comunicazioni sociali e di falso in bilancio di cui ai relativi procedimenti penali) anche e soprattutto (come si evince dalla prospettazione attorea) illeciti permanenti, ossia comportamenti lesivi non esauritisi uno actu ma perduranti nel tempo (permanente comportamento contra ius degli amministratori e dei sindaci iniziato nel 1995 e perdurato sino al 1999 e consistito nella perdurante inerzia nell’adozione dei provvedimenti di ricapitalizzazione ovvero di scioglimento della società prima ampiamente ricordati) e la cui durata è espressamente posta dall’attore in un rapporto di consequenzialità immediata e diretta con la produzione e con l’aggravamento del danno (aggravamento del dissesto sociale e fallimento).

In ordine alla sospensione della prescrizione (“controeccepita” dalla attrice per fronteggiare la avversa eccezione di prescrizione) deve altresì sottolinearsi che:

·               L’art. 2941 c.c. (Sospensione per rapporti tra le parti) n. 7 c.c. stabilisce che “la prescrizione rimane sospesa tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finchè sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi”.

·               La ratio di una tale causa di sospensione della prescrizione risiede nella speciale relazione giuridica esistente tra il titolare del diritto (società) ed il soggetto passivo (amministratori) dell’azione di responsabilità e che- come tale- giustificherebbe l’inerzia del titolare: secondo taluni la permanenza in carica degli amministratori viene di fatto ad ostacolare la possibilità, in capo alla persona giuridica, di acquisire una piena conoscenza del loro operato e, conseguentemente, di valutare se gli amministratori siano incorsi in violazioni dei loro obblighi rilevanti per l'esercizio dell'azione di responsabilità. Mentre, secondo una diversa tesi dottrinale, formulata sotto il vigore del codice civile del 1865, la ratio della sospensione della prescrizione andrebbe individuata per la società commerciale nella identità che si verrebbe a determinare nell'esercizio dell'azione di responsabilità tra la persona che dovrebbe agire e quella contro cui l'azione dovrebbe essere rivolta. Si è detto, infatti, che essendo la societa commerciale, come persona giuridica, rappresentata dagli amministratori, questi, se dovessero agire contro se stessi, riunirebbero in sè la duplice qualità di attori (in senso formale) e di convenuti. (C. Costituz. sent. n. 322 del 1998).

·               Indipendentemente dall'opinione che si ritenga al riguardo preferibile, è pacifico che il decorso del termine prescrizionale di cui agli artt. 2393 c.c. è sospeso ex lege finchè gli amministratori sono in carica (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3887 del 05/12/1969; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 68 del 08/01/1979; Riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 2949; Cod. Civ. art. 2393). 

Prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c. ed individuazione del relativo dies a quo: principi generali

·               L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, esperibile, ex art. 2394 cod. civ., dai creditori sociali (ovvero, come nella specie, dal curatore fallimentare della società poi fallita, ex art. 146 legge fall.), è soggetta a prescrizione quinquennale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5287 del 28/05/1998).

·               Il dies a quo del termine di prescrizione, che decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c. ).

·               Nella specifica materia in esame, la legge (art. 2394 c.c.) stabilisce che l’azione dei creditori sociali contro gli amministratori “per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” (I comma), nel momento in cui “il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei creditori della società” (II comma) e si trasmette al curatore nel caso di fallimento sopravvenuto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10937 del 07/11/1997).

·               Tale responsabilità sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 C.C., e il diritto riconosciuto ai creditori sociali è quello di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l'equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado si adempiere (o di integralmente e correttamente adempiere: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10488 del 1998 anche in motivazione).

·               Ne consegue il decorso del termine prescrizionale quinquennale non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensì dal (successivo) momento dell'insufficienza del patrimonio sociale, per effetto di tale comportamento, al soddisfacimento dei crediti cui l’art. 2394, comma secondo, cod. civ., subordina- come visto- la proponibilità dell'azione al manifestarsi dell'evento dannoso (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5287 del 28/05/1998).

·               Sicché, mentre per gli altri elementi dell'azione, pur necessari per l'affermazione di responsabilità ex art. 2394 c.c. (quali la commissione di fatti illeciti da parte di amministratori o sindaci), valgono i principi generali, più volte riaffermati dalla Cassazione, circa ad esempio l'irrilevanza - ai fini del decorso della prescrizione - dell'impedimento soggettivo costituito dall'ignoranza del creditore, per l'insufficienza del patrimonio è espressamente richiesto che essa "risulti", in un senso che dovrà essere ulteriormente precisato, essendo insufficiente che essa possa essere accertata a posteriori (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20637 del 22/10/2004 anche in motivazione; Cass. 7 novembre 1997 n. 10937).

·               Inoltre, poiché l'elemento essenziale e determinante è l'incapienza, e non l'insolvenza o il dissesto, è al momento del verificarsi di tale incapienza che occorre far riferimento per verificare il dies a quo del termine prescrizionale rispetto all'azione dei creditori danneggiati, ovvero del curatore del fallimento eventualmente dichiarato, non potendosi postulare una necessaria coincidenza di tale termine con la data di dichiarazione di fallimento (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20637 del 22/10/2004 anche in motivazione).

·                La legge, infatti, riconosce ai creditori sociali il diritto ad ottenere dagli amministratori e dai sindaci, a titolo di risarcimento danni, l'equivalente delle prestazioni che, per colpa dei medesimi, la società non è più in grado di adempiere, il che si verifica nell'ipotesi d'insufficienza del patrimonio e questa nozione è diversa da quella dell'insolvenza, la quale ricorre quando il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, giacché tale eventualità può presentarsi anche a seguito di una situazione di illiquidità, non comportante necessariamente che il passivo sia superiore all'attivo, potendosi quindi avere insolvenza ancorché il patrimonio sia integro (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20637 del 22/10/2004; Cass. Sez. un. 6 ottobre 1981 n. 3241).

·               In ogni caso, non è quindi sufficiente che si sia verificato un qualsiasi pregiudizio per il patrimonio della società, essendo anche necessario che questo si sia manifestato ed abbia inciso sulla consistenza patrimoniale della società, nel senso di non consentire o consentire un minore soddisfacimento dei creditori (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 2002 in motivazione).

·               Il pregiudizio consiste, quindi, nel fatto che il patrimonio sia divenuto inferiore o ulteriormente inferiore rispetto al passivo della società, ossia che si sia verificato un “deficit patrimoniale” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 2002 in motivazione).

·               Si precisa altresì al riguardo che quando l'azione è proposta dal singolo creditore, il presupposto dell'azione va individuato nel fatto che il patrimonio sociale è insufficiente a soddisfare il credito di chi agisce; quando, invece, agisce l'organo concorsuale, in luogo della massa dei creditori, l'insufficienza patrimoniale deve essere valutata in relazione alla situazione dell'intero ceto creditorio (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 2002 in motivazione).

·               Il momento in cui si verifica l'insufficienza del patrimonio, dunque, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, può dunque essere anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento (Cass. 7 novembre 1997 n. 10937 Sez. 1, Sentenza n. 20637 del 22/10/2004; 5445/91; 5241/81; 5327/80; 4415/79; 2671/77).

·               Nel caso di procedura concorsuale, si può presumere che il deficit si manifesti proprio in occasione del fallimento (o della messa in liquidazione), con lo spossessamento del debitore e la presa in consegna delle attività da parte dell'organo della procedura. Tale presunzione, fondata sull'id quod plerumque accidit, non esclude, tuttavia, che, nel caso concreto, il deficit si sia manifestata in un momento anteriore ovvero, al contrario, in un momento successivo, se al momento dell'accertamento dell'insolvenza non è emersa prima facie l'esistenza di uno sbilancio patrimoniale negativo e l'insufficienza patrimoniale è risultata solo a seguito di stime e valutazioni effettuate nel corso della procedura concorsuale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 2002 anche in motivazione).

·               L'onere di provare che l'insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull'amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione e non può essere assolto mediante la generica deduzione, non confortata da utili elementi di fatto, secondo cui l'insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata già al momento della messa in liquidazione della società, in quanto questo procedimento non è necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali, mentre la perdita integrale del capitale sociale neppure implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale (cfr. ancora Cass. Sez. 1, Sentenza n. 941 del 18/01/2005 citata).

·               L'insufficienza patrimoniale costituisce una situazione esistente ed oggettivamente conoscibile, ad esempio, nell'ipotesi di infruttuosa esecuzione da parte di tutti i creditori ovvero nelle ipotesi- ricorrenti nella specie- di proposte di concordato giudiziale e stragiudiziale remissorio (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 05/07/2002).

·               In ogni caso, la disposizione del secondo comma dell'art. 2394 cod. civ. (secondo cui "l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti") non va interpretata nel senso che la manifestazione dell'insufficienza patrimoniale comporti un vero e proprio "beneficium excussionis", bensì nel senso che l'insufficienza stessa costituisce una situazione oggettivamente conoscibile, che si verifica, dunque, oltre che nell'ipotesi di infruttuosa esecuzione da parte di tutti i creditori e di proposte di concordato giudiziale e stragiudiziale remissorio, anche con riferimento alle risultanze del bilancio finale di liquidazione e del bilancio di esercizio, quando non vi siano poste suscettibili di sottovalutazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 05/07/2002).

·               Ne consegue che il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità ex art. 2394 cod. civ., promossa da una procedura concorsuale, inizia a decorrere dal momento in cui la situazione di insufficienza patrimoniale è divenuta oggettivamente conoscibile da parte di tutti i creditori e non dal momento in cui s'è manifestato lo stato d'insolvenza della società (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9815 del 05/07/2002).

·               Così l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti può risultare da qualsiasi fatto che possa essere conosciuto anche senza verifica diretta della contabilità della società, non richiedendosi a tal fine che essa risulti da un bilancio approvato dall'assemblea dei soci (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20637 del 22/10/2004: principio espresso in fattispecie di azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento, "ex" art. 146 legge fall.).

·               La diversa opinione per cui vi sarebbe la possibilità, per i creditori, di esercitare l'azione di responsabilità contro amministratori e sindaci della società debitrice solo dal momento in cui l'insufficienza risulti da un bilancio approvato non sarebbe infatti à giustificata ne' dal testo dell'art. 2394, ne' da principi più generali in materia di responsabilità. Essa comporterebbe che l'interesse dei creditori, a proporre l'azione contro i responsabili della diminuzione della garanzia generica offerta dal patrimonio della società, aia subordinata ad una valutazione della società debitrice medesima, espressa attraverso un suo organo interno (l'assemblea) in occasione dell'approvazione del bilancio. Ciò avrebbe la conseguenza, evidentemente irrazionale, che la società potrebbe ritardare l'esercizio dall'azione di responsabilità contro i suoi amministratori e sindaci semplicemente rifiutandosi di approvare un bilancio, dal quale risultassero delle perdite, o approvando un bilancio non veritiero in attivo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20637 del 2004 anche in motivazione). 

Applicazione dei superiori principi di diritto al caso di specie e conseguente individuazione del dies a quo della prescrizione delle azioni di responsabilità di cui è causa:

Così ribaditi i principi di diritto governanti la materia di cui è causa, deve a questo punto concludersi nel senso che l’esame della copiosa documentazione allegata in atti non lascia dubbi circa la sussistenza nel caso di specie di una situazione di palese conoscibilità oggettiva (o meglio conoscenza effettiva) da parte dei soci e dei creditori sociali, da data (1998/1999: vd. infra) di molto anteriore alla dichiarazione di fallimento dell’anno 2000, della situazione di “insufficienza del patrimonio sociale” (nel senso già ampiamente precisato) e della imputabilità di essa a gravi responsabilità degli odierni convenuti.

Siffatta conclusione discende con chiarezza dalla considerazione comparata delle plurime risultanze oggettive ed “ufficiali, (ben) anteriori alla dichiarazione di fallimento, che avevano disvelato “in tempo reale” la sussistenza e la permanenza di profili “crescenti” di mala gestio degli amministratori e di difetto di controllo da parte dei sindaci della A. S.r.l.. poi “consacrati” nel provvedimento giudiziale del 29.5.1998 di revoca degli amministratori e dei sindaci della A. S.R.L. e di nomina di un amministratore giudiziario.

Peraltro, la sussistenza nel caso di specie di una simile originaria e prolungata “evidenza” tanto delle condotte (commissive ed omissive) colpevoli degli amministratori e dei sindaci di volta in volta succedutisi all’interno della società A. nel periodo (1995-1999) di gestione e di controllo sociale di cui è causa di cui è causa, quanto degli effetti dannosi (“istantanei con effetti permanenti”) prodottisi a seguito di quelle condotte è pacifica nella stessa prospettazione dei fatti come quivi propugnata dall’attrice, che fonda la domanda di responsabilità spiegata contro i convenuti proprio sul difetto di qualsivoglia tempestiva attivazione dei medesimi, nelle rispettive vesti, a fronte degli evidenti e prolungati abbattimenti del capitale sociale per perdite e della altrettanto evidente e prolungata impossibilità di svolgimento dell’attività sociale.

Dette plurime risultanze sono- schematicamente- le seguenti: 

A) Perdite di cui ai bilanci degli esercizi del 1993, 1994, 1995, del 1996, del 1997, del 1998 e del 1999:

Tali bilanci registravano (cfr. la documentazione contabile in atti; cfr. la relazione dell’Ispettore giudiziale Dott. Cosentino; cfr. l’istanza del Curatore ex art, 25 L.F. del 9.9.05) le seguenti perdite:

·               esercizio 1993: perdita = £. 571.939.725

·               esercizio 1994: perdita = £. 643.528.000;

·               esercizio 1995: perdita = £. 407.712.981;

·               esercizio 1996: perdita = £. 396.871.191;

·               esercizio 1997: perdita = £. 257.798.769;

·               esercizio 1998: perdita = £. 369.787.155;

·               esercizio 1999: perdita = £. 734.152.689.

All’esito della ispezione giudiziale del Dott.Cosentino, nominato nel 1997 Ispettore Giudiziale di detta società dal Tribunale di Pescara adito ex art. 2409 c.c. da alcuni soci della A. S.r.l. (vd. infra), è risultato che- nel periodo 1993-1996:

·               il volume d’affari annuo è oscillato tra i 1.270 ed i 1089 milioni di lire circa;

·               le perdite di esercizio accumulate sono state invece apri a circa 2 miliardi di lire;

·               la gestione sociale- quindi- risultava nel periodo”evidentemente deficitaria”. 

B) Provvedimento del Tribunale di Pescara del 14.12.1995 di riduzione del capitale sociale della A. S.r.l per perdite:

Con detto provvedimento il Tribunale, dito da un socio della A. S.r.l. che denunziava la gravità delle perdite dei bilanci relativi agli anni 1993 e 1994, in quanto perdite superiori all’ammontare del capitale sociale:

·               riduceva il capitale sociale a £. 428.060.725 per effetto delle perdite accertate del 1993.

·               Rimetteva all’assemblea ogni decisione in relazione alle perdite del 1994. 

C) Provvedimento del Tribunale di Pescara del 24.5.1997 di ispezione ex art. 2409 c.c. della società A. S.R.L.:

In detto provvedimento il Tribunale poneva ad esplicito fondamento della decisione di ispezione giudiziale della società il fatto che:

·               I soci T. M. e C. avevano denunziato- nella loro istanza di ispezione giudiziale della società- la mancata segnalazione all’assemblea sociale della necessità di ridurre il capitale sociale in conseguenza delle perdite subite nell’esercizio del 1993, la mancata adozione dei provvedimenti necessari a porre in stato di liquidazione la società, in conseguenza delle ulteriori perdite verificatesi nell’esercizio 1994, le false comunicazioni in ordine alla misura del capitale sociale, alle quote di partecipazione dei soci ed ai rapporti finanziari tra questi e la società, l’illecita attribuzione ad alcuni soci amministratori di quote mai sottoscritte, con conseguente influenza sulla formazione della maggioranza assembleare.

·               Vi era- ad avviso dello stesso Tribunale ed in considerazione della “inconcludenza” delle difese spiegate nel procedimento ex art. 2409 c.c. dagli amministratori e dai sindaci- il “fondato sospetto” dell’effettivo compimento da parte dei medesimi delle denunziate irregolarità.

·                Vi era quindi la necessità ex art. 2409 c.c. di disporre una ispezione della società “sì da verificare se vi fossero stati atti pregiudizievoli per il patrimonio sociale o per la posizione di singoli soci”. 

D) Relazione del 23.1.1998 dell’Ispettore giudiziale Dott. Cosentino sulla società A.:

In detta Relazione l’Ispettore giudiziale aveva accertato e sottolineato che:

·               Il C.d.A., con delibere del 10 24 agosto e 18 settembre 1996, “ripristinò” l’aumento di capitale sociale deliberato dall’Assemblea straordinaria del 27.5.1994, non sottoscritto nei termini e quindi divenuto inefficace, come già accertato dal C.d.A. nella sedura del 1.2.1995.

·                Il C.d.A, nell’occasione, consentì alla socia L. R., coniuge del socio D., di effettuare una sorta di compensazione con crediti vantati dal coniuge nei confronti della società, imputando dette somme ad aumento di capitale sociale, pur in mancanza di espressa autorizzazione in tal senso del D. e di versamenti da parte della R., con conseguente illegittima attribuzione a quest’ultima di quote.

·               Sulla base di tale illegittima delibera di aumento del capitale sociale si diede atto- nella seduta del C.d.A. del 20.9.1996, di “una sospensione dei diritti per morosità” dei soci T. e Casotti, i quali non avevano sottoscritto l’aumento, pur in mancanza di delibere in tal senso del C.d.A e del Collegio Sindacale e si provvide, nel corso dell’Assemblea straordinaria tenutasi in pari data, valendosi delle nuove maggioranze conseguite all’illegittimo aumento del capitale sociale, a modificare l’art. 10 dello Statuto sociale nel punto relativo alla formazione delle maggioranze necessarie per le deliberazioni delle Assemblee straordinarie ed ordinarie, così togliendo alla minoranza, di fatto rappresentata dai soci T., ogni possibilità di incidere sulle scelte societarie.

·               Pur in presenza, alla data del 31.12.1994, dell’abbattimento integrale del capitale sociale per perdite, non si provvide a convocare l’assemblea (ex art. 2447 c.c.) né a sciogliere la società (art. 2448 n. 4 c.c.), essendo ormai decorso il termine per la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea del 27.5.1994.

·               Nell’occasione vi era l’impossibilità di utilizzare le riserve per ripianare dette perdite, in ragione sia della insufficienza delle prime rispetto all’entità delle seconde, sia in ragione della mancanza di qualsivoglia deliberazione assembleare in tal senso.

·               Pur in presenza del provvedimento del Tribunale di Pescara del 14.12.1995 di riduzione del capitale sociale a £. 428.060.725, in conseguenza delle perdite del 1992 e del 1993, e pur in presenza di ulteriori perdite negli anni 1994, 1995 e 1996 in misura superiore ad un terzo del capitale sociale, gli amministratori non avevano provveduto ad adottare i provvedimenti previsti dall’art. 2446 c.c..

·               Erano emerse altresì delle irregolarità nelle operazioni commerciali intercorse con due Sr.l., sì da far dubitare della veridicità delle scritture contabili e dei bilanci. 

E) Provvedimento del Tribunale di Pescara del 29.5.1998 di revoca degli amministratori e dei sindaci della A. S.R.L. e di nomina di un amministratore giudiziario:

Con detto provvedimento il Tribunale:

·               Riteneva che i fatti accertati dall’Ispettore Giudiziario integrassero gli estremi delle gravi irregolarità degli amministratori e dei sindaci lesivi degli interessi dei soci, della società e dei terzi.

·               In attuazione dell’art. 2409 c.c. (per il quale, se le violazioni sussistono […] il Tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l’assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata) evocava gli amministratori e dei sindaci della A. S.R.L., (in quanto ritenuti responsabili delle gravi irregolarità emerse dall’Ispezione giudiziale) e nominava perla durata di mesi sei il dott. B. come amministratore giudiziario. 

F) Istanza del 8.3.1999 dell’Amministratore Giudiziario al Tribunale di scioglimento della società A.:

Con detta istanza l’amministratore giudiziario:

·               Deduceva che le assemblee sociali da lui indette erano rimaste deserte.

·               Deduceva che di conseguenza sussisteva una impossibilità di funzionamento dell’assemblea.

·               Precisava che detta impossibilità di funzionamento della assemblea si era manifestata sin dal giugno 1995 per l’insanabile contrasto tra i soci manifestato in sede assembleare.

·               Chiedeva quindi procedersi allo scioglimento della società ex art. 2484 comma I n. 3 c.c. (per impossibilità di funzionamento o per la continua inattività dell’assemblea).

G) Provvedimento del 11.3.1999 del Tribunale di Pescara di scioglimento della società A. S.R.L.:

Con detto provvedimento il Tribunale- prendendo atto della relazione dell’Amministratore giudiziario di cui sopra- disponeva lo scioglimento della società e- con successivo provvedimento- nominava il liquidatore. 

H) Sentenza del 27.4.2000 del Tribunale di Pescara di “annullamento” della delibera assembleare della Società A. del 27.5.1994 di aumento del capitale sociale per mancata tempestiva sottoscrizione di esso nei termini da parte dei soci:

·               Con detta sentenza il Tribunale- all’esito di un giudizio instaurato con atto di citazione del 20.9.96 dai soci T. M. e T. C. nei confronti della A. S.r.l.- accoglieva la domanda attorea e per l’effetto dichiarava caducata la delibera in oggetto con la quale era stato deliberato l’aumento di capitale sociale da un miliardo a due miliardi di lire

Intervenuta prescrizione dell’azione attorea: sintesi:

Dalla considerazione comparata delle plurime risultanze di cui sopra e dei principi di diritto prima ricordati deve allora concludersi sul punto che:

·               Tutte le condotte dannose come imputate dall’attore ai convenuti e come emergenti dalle risultanze processuali e contabili appena richiamate, furono da questi commesse a partire dal 1993 e- con riferimento a coloro che rimasero nella compagine sociale (o che vi entrarono successivamente all’anno 1993) anche negli anni successivi- subirono una illecita “permanenza” sino alla intervenuta revoca giudiziale (anno 1998) dei loro autori.

·                Le conseguenze patrimoniali negative di tali colpevoli e continuative condotte di mala gestio e di omessa vigilanza sulla compagine sociale si iniziarono a manifestare in modo “ufficiale” nei bilanci di quegli anni, sino a portare- proprio sulla base della valutazione dei bilanci medesimi- al provvedimento del Tribunale di Pescara del 14.12.1995 di riduzione del capitale sociale della A. S.r.l per perdite.

·               È la stessa parte attrice, peraltro, ad imputare espressamente alla responsabilità dei convenuti il fatto di non essersi attivati- già nell’occasione e proprio a fronte delle evidenti gravissime perdite patrimoniali della società- per promuovere l’azzeramento del capitale sociale ovvero lo scioglimento della società.

·               È la stessa parte attrice, quindi, a dedurre che per tutto il quinquennio di cui è causa (1994-1995) si omise colpevolmente di procedere ad una tempestiva ricapitalizzazione della società, nella specie indispensabile- secondo la esplicita prospettazione della stessa attrice- non certo per porre rimedio all'inadeguatezza del capitale di esercizio di una fiorente società rispetto alle sue necessità operative, bensì proprio per sanare per sanare l'eccedenza delle (palesi) passività sulle attività di una società nitidamente in crisi (cfr. Cass. Sentenza n. 5287 del 1998 in motivazione).

·               Le persistenti palesi irregolarità e “manchevolezze” gestionali degli amministratori nonché- di conseguenza- la grave e persistente “miopia” dell’organo sindacale di controllo su di esse- ebbero una successiva ed “ufficiale” pubblicizzazione prima nel provvedimento del Tribunale di Pescara del 24.5.1997 di ispezione ex art. 2409 c.c. della società A. S.R.L., quindi nelle equivoche risultanze emerse all’esito della Relazione del 23.1.1998 dell’Ispettore giudiziale Dott. Cosentino sulla società A., per trovare la definitiva “consacrazione” pubblica nel consequenziale provvedimento del Tribunale di Pescara del 29.5.1998 di revoca degli amministratori e dei sindaci della A. S.R.L. e di nomina di un amministratore giudiziario, provvedimento infine sfociato nel successivo e definitivo provvedimento del 11.3.1999 del Tribunale di Pescara di scioglimento della società A. S.R.L..

·               Orbene, a fronte di tale univoco quadro probatorio, non sussistono né sono stati allegati da parte attrice argomenti per negare che la revoca giudiziale di tutti gli amministratori e sindaci di una S.r.l.- disposta (nella specie, come visto, in data 29.5.1998, cui sarebbe seguito, con provvedimento del Tribunale del 11.3.1999, lo scioglimento della società) a seguito di intervenuto accertamento di gravi irregolarità gestionali e di controllo della compagine sociale- costituisca una (inequivoca) “consacrazione” pubblicistica agli occhi dei soci e dei creditori sociali dell’esistenza dei plurimi comportamenti colpevoli e dannosi dei convenuti e della riconducibilità agli stessi della palese, grave ed ormai cronica insufficienza del patrimonio sociale.

·               La sospensione del decorso della prescrizione dell’azione contro gli amministratori ex art. 2941 c.c. (norma speciale, come tale senz’altro non applicabile analogicamente [come invero dedotto dall’attore] anche ai sindaci, cui peraltro non sarebbe estensibile, vista la diversa posizione di essi all’interno della società rispetto a quella degli amministratori, la ratio prima richiamata sottesa alla sospensione legislativa della prescrizione dell’azione di responsabilità per questi ultimi ) è quindi cessata nella specie (al pari della permanenza delle condotte illecite “di durata” di coloro che rimasero nella società sino alla sua collocazione in regime di amministrazione giudiziaria ) in data 29.5.98 (revoca giudiziale).

·               Da qui è iniziato a decorrere (peraltro per i soli amministratori rimasti in carica sino a tale data, e non anche per gli altri quivi convenuti ma “cessati” in data anteriore e rispetto ai quali il termine di prescrizione iniziò a decorrere da data addirittura anteriore) il termine quinquennale di prescrizione, con conseguente estinzione dell’azione di responsabilità al 30.5.2003, data di gran lunga anteriore a quella (settembre 2005) di esercizio della stessa attraverso la instaurazione del presente giudizio.

Né nella specie risulta applicabile, con riferimento a quei convenuti coinvolti nella vicenda penale conclusasi con le sentenze divenute irrevocabili nel 2001, il dies a quo della prescrizione penale di cui all’art. 2947 III comma ultima parte (costituito dalla data del passaggio in giudicato delle predette sentenze) invocato nella specie dall’attore.

Al riguardo è opportuno ricordare che la disposizione dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ. stabilisce: “Se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”.

Al proposito deve osservarsi che:

·               Con riferimento alla prima parte di tale comma, essa presuppone che sussista in concreto totale identità e concomitanza tra gli elementi (oggettivo e soggettivo) dell'illecito civile e di quello penale. Pertanto, nell'ipotesi di azione di responsabilità promossa dal curatore (art. 146 legge fallimentare) nei confronti degli amministratori di una società fallita, i quali siano stati altresì sottoposti a procedimento penale per il reato di bancarotta, non può applicarsi la disciplina della prescrizione di cui all'art. 2947, terzo comma, cod. civ., qualora risulti - in base ad un apprezzamento adeguatamente e congruamente motivato dal giudice del merito - che non sussiste una perfetta identità tra i fatti esaminati in sede penale e quelli oggetto del giudizio civile (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3430 del 13/04/1994; N. 1494 del 1984; N. 2180 del 1966; N. 4415 del 1979; N. 4652 del 1979; N. 3755 del 1981; N. 5241 del 1981).

·               Con riferimento alla seconda parte della norma in esame (per la quale, se il reato e estinto per causa diversa dalla prescrizione, od e intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento si prescrive nei termini indicati dai primi due commi [cinque anni e due anni] con decorso dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza e divenuta irrevocabile), essa si riferisce, alla stregua della sua formulazione letterale e collocazione nel complessivo contesto di detto terzo comma nonché della finalità perseguita di tutelare l'affidamento del danneggiato circa la conservazione dell'azione civile negli stessi termini utili per l'esercizio della pretesa punitiva dello stato, alla sola ipotesi in cui per il reato sia stabilita una prescrizione più lunga di quella del diritto al risarcimento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2508 del 08/02/2005; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5693 del 18/04/2001; Cass. N. 1960 del 1980; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3687 del 12/11/1969).

·               Ne consegue che, in ipotesi in cui la prescrizione del reato sia uguale o minore a quella fissata per il diritto al risarcimento, resta inoperante la seconda parte del terzo comma dell'art. 2947 e il diritto medesimo è soggetto alla prescrizione fissata dal primo comma dell'art. 2947 c.c. con decorrenza dal giorno del fatto, senza che sulla durata del decorso della prescrizione possa avere alcuna incidenza la circostanza che il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2508 del 08/02/2005: nella fattispecie il soggetto danneggiato da un reato di minaccia commesso ai suoi danni in data 14.3.1992 da altro soggetto, lo aveva convenuto in giudizio, con citazione 23.1.98, avanti il giudice di pace, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali, da liquidarsi in via equitativa, per le minacce ricevute da costui e per le quali era intervenuta sentenza penale di condanna a carico dello stesso in ordine al reato ex art. 612 c.p. emessa dal pretore in data 20.9.96; la Corte, constatando che la prescrizione del reato di minaccia era uguale a quella fissata nel primo comma dell'art. 2749 c.c. e cioè di anni cinque dalla commissione del fatto, avvenuto in data 14.3.92, ha riconosciuto, sulla base del principio di diritto summenzionato, la legittimità della sentenza impugnata che aveva ritenuto che la prescrizione dell'azione civile alla data di proposizione della domanda (23.1.98), s'era ormai maturata; cfr nello stesso identico senso Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5693 del 18/04/2001; N. 1960 del 1980; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3687 del 12/11/1969

Orbene, venendo al caso di specie, deve primariamente riconoscersi l’inesistenza del presupposto (totale identità tra i fatti contestati in sede penale ed fatti contestati in sede civile) per l’applicazione dell’art. 2947 c.c. con riferimento all’azione civile quivi intentata nei confronti dei soggetti (MARINO, LA MORGIA, R., D., SACCO, LANZA, CIRELLI) coinvolti nei processi penali poi sfociati nelle sentenze (divenute irrevocabili- come detto- nel 2001) di assoluzione per intervenuta prescrizione in quanto ed in sintesi:

·               Non vi è perfetta coincidenza oggettiva tra i fatti esaminati in sede penale e quelli oggetto del giudizio civile.

·               Ivi infatti gli unici fatti contestati erano da un lato (e per tutti) quelli di false comunicazioni sociali (ma) limitatamente a due specifici episodi (di cui il primo consistito nella falsa dichiarazione, nel corso della seduta del C.d.A del 18.9.1996, che il capitale sociale versato a quella data ammontava a £. 1.181.610.000, nonostante che l’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea dei soci del 27.5.1994 non fosse stato sottoscritto nei termini e che il Tribunale di Pescara avesse, in data 27.12.1995, ridotto per perdite il capitale sociale da £. 1.000.000.000 a £. 428.060.725; il secondo, consequenziale al primo, consistente nella falsa esposizione nel bilancio al 31.12.1996 del predetto valore falso del capitale sociale), dall’altro ( e per i soli MARINO, R., D., LANZA e CIRELLI) quello di cui all’art. 2630 c.c. (ma anche quivi) limitatamente ad uno specifico episodio (consistito nell’avere influito con mezzi illeciti sulla formazione della maggioranza dell’assemblea straordinaria della società del 20.9.1996, mediante la falsa prospettazione al notaio rogante di una situazione di capitale versato di £. 1.181.610.000, al fine di poter deliberare una modifica dello status sociale).

·               È quindi evidente che la coincidenza tra gli specifici fatti di reato di cui sopra (entrambi temporalmente collocati nel settembre del 1996) e i fatti illeciti (civili) prolungati e permanenti quivi contestati ai convenuti nel quinquennio 1994/1999 è (non già totale e perfetta bensì) soltanto parziale.

Ma anche a voler prescindere da tale dirimente profilo, non sussiste lo stesso presupposto generale di cui all’art. 2947, III comma, c.c. della esistenza di una prescrizione del fatto - reato più lunga di quella relativa all’azione civile in quanto:

·               I fatti di reato imputati in sede penale ai soggetti summenzionati erano quelli di cui all’art. 2621 I comma n. 1 c.c.. (vecchia versione: vd. infra) e, per alcuni di essi, anche quelli di cui all’art. 2630 I comma n. 3 c.c. (vecchia versione: vd. infra).

·               Com’è noto, il D.lvo n. 6.2002 (come tale ben anteriore all’esercizio dell’azione civile di cui è causa) ha trasformato il delitto di cui all’art. 2621 I comma n. 1 in contravvenzione punita con l’arresto fino ad un anno e sei mesi.

·               La prescrizione di tale reato è quindi oggi pari a tre anni (art. 157 I comma n. 5 c.p.).

·               Il medesimo D.vo ha poi depenalizzato la fattispecie di cui all’art. 2630 c.c.. Nessuna più lunga prescrizione penale può poi ovviamente quivi richiamarsi per il fatto di cui all’art. 2630 c.c.- in quanto mero fatto illecito (dal 2002) non costituente reato.

·               In tema di successione di leggi penali, ai fini dell'individuazione della normativa di favore per il reo, non si può procedere a una combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia, in quanto ciò comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella in vigore, ma occorre applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, più vantaggiosa al reo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23274 del 10/02/2004; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 44007 del 28/09/2005)

·               Sulla base della sopravvenienza di siffatta normativa più favorevole ai rei (ex art. 2 c.p.), nelle more del procedimento penale è stata dichiarata l’estinzione ovvero “abrogazione” dei reati in esame.

·               La prescrizione del reato di cui all’art. 2621 c.c. è quindi inferiore al quella quinquennale della corrispondente azione civile, e peraltro nella specie già lo era al momento dell’instaurazione della presente azione civile.

·               La non prescrizione (ossia la tempestività) dell’azione è (a fronte della altrui eccezione di intervenuta prescrizione) una condizione dell’azione medesima e- come tale- deve sussistere, come è ovvio, sin dal momento dell’esercizio dell’azione.

·               Il reo ha ovviamente il diritto alla applicazione della sopravvenuta normativa a lui più favorevole in materia di prescrizione del reato sia dal Giudice penale che sia chiamato a valutarne la responsabilità penale per quel fatto (e che eventualmente in quella sede sia stato investito anche della relativa azione civile), sia dal Giudice civile che- ai fini della verifica della “tempestività” della azione civile ad esso sottesa ed innanzi a lui intrapresa- debba verificare se per esso il “diritto penale” (nella specie costituito dagli artt. 2621/2630 c.c./2 c.p.) preveda (a differenza che nella specie) una prescrizione più lunga di quella civile già maturata.

·               La pretesa attorea di “neutralizzare” l’intervenuta prescrizione dell’azione civile attraverso il richiamo ad una (inesistente) prescrizione penale più lunga ex art. 2947 III comma c.c. è- quindi- infondata.

Infine, è palesemente infondata per genericità la pretesa giudiziale subordinata dei convenuti (chiamanti) D. N. E R. L. di corresponsabilità dei chiamati in causa N. D. (già amministratore giudiziario della A. S.r.l.) e B. L. (già liquidatore giudiziale della predetta società) e ciò sia per difetto assoluto di allegazione e di prova (da parte dei chiamanti che- in quanto tali- ne erano ovviamente onerati) di quali fatti di mala gestio della società A. agli stessi sarebbero imputabili e di quali effetti gli stessi avrebbero prodotto sul (già pienamente consumatosi) dissesto sociale, sia per la sussistenza (in ragione delle richiamate plurime risultanze processuali) della prova piena della ascrizione alle pregresse e prolungate condotte colpevoli degli organi di amministrazione e di controllo della A. S.r.l. della intergale responsabilità della “deriva sociale”.

Ogni ulteriore questione versata in atti resta pertanto assorbita dalle statuizioni di cui sopra.

La considerazione comparata sia della complessità della vicenda di cui è causa, sia della fondatezza degli addebiti di responsabilità attorei mossi ai convenuti (quivi senz’altro emersa su “base documentale”, ancorché- in ragione del riconoscimento della intervenuta prescrizione dell’azione- in maniera soltanto incidentale) legittima senz’altro l’integrale compensazione delle spese di lite tra attore e convenuti e tra convenuti chiamanti ed il chiamato T. M. (che “partecipa” nei predetti termini alla vicenda quale erede di un ex amministratore).

Per contro, la considerazione della totale infondatezza e genericità- come sopra rilevata- delle ragioni (invero neanche) addotte da D. N. E R. L. per la “chiamata di corresponsabilità” di N. D. (già amministratore giudiziario della A. S.r.l.) e B. L. legittima la condanna dei primi al rimborso delle spese processuali sostenute dai secondi, spese da liquidarsi nella misura di cui all’art. 5 comma IV della Tariffa Forense, avendo avuto questi ultimi in giudizio sia la stessa posizione processuale, sia un unico comune difensore, sia e di conseguenza una difesa di contenuto identico per entrambi (cfr. i rispettivi atti processuali). 

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione collegiale, nella persona dei seguenti magistrati:

Dott. Enrico Carbone Presidente

Dott. Patrizia Franceschelli G.O.T.

Dott. Gianluca Falco Giudice est.

definitivamente pronunciando nella presente causa di cui al R.G. N. 4582/2005 promossa dal FALLIMENTO A. SRL in liquidazione, in persona del Curatore, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così decide :

RIGETTA

L’eccezione di inammissibilità dell’azione di responsabilità a tutela dei creditori sociali esperita ex art. 146 L.F. da parte attrice, perché infondata nel merito. 

DICHIARA

L’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità ex art. 146 L.F./2393-2394 c.c. esperita da parte attrice nel presente giudizio contro i convenuti.

Per l’effetto

RIGETTA

Tutte le domande attoree di risarcimento dei danni perché relative ad azione prescritta.  

RIGETTA

Le domande dei convenuti/chiamanti D. N. E R. L. di riconoscimento di una corresponsabilità dei chiamati in causa N. D. e B. L. per i fatti di causa, in quanto domande infondate nel merito.  

COMPENSA

Integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio per giusti motivi, ad eccezione delle spese processuali sostenute dai chiamati in causa N. D. e B. L. che si pongono a carico dei chiamanti in causa D. N. E R. L., con conseguente condanna di questi ultimi a corrispondere ai primi il rimborso delle spese processuali sostenute per la difesa comune esperita dal loro comune difensore (ex art. 5 comma IV T.F.), spese che si liquidano al predetto titolo e complessivamente nella somma di €. 4.000,00 per diritti, €. 4.000,00 per onorari, €. 100 per spese, oltre accessori ex TF., Iva e Cpa come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio del 7.7.2006

Pescara, 15.11.2006

Il Presidente Dott. Enrico Carbone 

Il Giudice estensore Dott. Gianluca Falco