Sovraindebitamento e nomina dell’OCC in assenza di disiplina regolamentare
Tribunale di Vicenza, 08 Luglio 2013. .
Sovraindebitamento – Nomina dell’organismo di composizione della crisi – Assenza di disciplina regolamentare per l’iscrizione all’albo degli organismi di composizione della crisi – Nomina da parte del presidente del tribunale.
Nel contesto della procedura di liquidazione dei beni prevista dall’articolo 14 ter legge 27 gennaio 2012, n. 3, il Tribunale del luogo di residenza del debitore può procedere alla nomina dell’organismo di composizione della crisi al fine la produzione della relazione di quest’ultimo circa la natura e le cause dell’indebitamento del debitore. (1) (Francesco Stocco) (riproduzione riservata)
Segnalazione del Prof. Aldo Angelo Dolmetta – D&S Studio Legale Associato
Il testo integrale
(1) Note operative in materia di sovraindebitamento. Il provvedimento del Tribunale di Vicenza si segnala per essere tra i primi in Italia con i quali si procede alla nomina di un organismo di composizione della crisi ai sensi della legge sul sovraindebitamento.
L’istanza di nomina viene proposta contestualmente al ricorso per la liquidazione del proprio patrimonio; come rimedio alternativo all’accordo con i creditori e al piano del consumatore previsti nei precedenti paragrafi (indicati come tali e non più come “capi” o “titoli” secondo la consueta terminologia) dell’intervento legislativo.
In punto di scansione temporale del procedimento, nel caso specifico, il ricorrente ha proposto una domanda di liquidazione del proprio patrimonio riservandosi di produrre successivamente la relazione dell’organismo di composizione della crisi.
Questa, si ricorda, deve contenere «(a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell'assumere volontariamente le obbligazioni; (b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte; (c) il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni; (d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; (e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda».
Tale scelta processuale potrebbe essere alternativa all’altra, in sé più lineare, di attendere la nomina dell’organismo di composizione della crisi per poi procedere, con l’ausilio di questo (per riprendere la lettera dell’articolo 7 della legge), alla redazione del ricorso per sovraindebitamento.
Da un punto di vista di aderenza al dato normativo, tuttavia, è l’opzione meno lineare, scelta dal ricorrente, quella maggiormente corretta. Infatti, la lettera e) dell’articolo 14 ter, nel descrivere il contenuto della relazione dell’organismo di composizione della crisi, fa riferimento ad un giudizio di completezza e attendibilità delle documentazione come “depositata”, prefigurando – pare – l’avvenuto deposito del ricorso per la procedura di liquidazione.
Lo stesso quinto comma della disposizione conferma il paradosso della “correttezza” dell’aporia del sistema: la domanda è inammissibile, infatti, se la documentazione prodotta non consente di ricostruire la situazione patrimoniale ed economica del debitore. A meno che non si voglia considerare il rimedio in oggetto come reazione ad una condotta non diligente dell’organismo di composizione della crisi (: produzione di una relazione non chiara e univoca), risulta difficile pensare l’applicazione del disposto in caso di ricorso presentato “con l’ausilio” dell’organismo di composizione della crisi.
Infine, in termini di economicità processuale e di senso pratico, non avrebbe senso – in sé – depositare un ricorso per liquidazione dei beni in presenza di un relazione negativa.
Tanto chiarito, altro elemento di interesse della procedura in oggetto è il dies a quo del termine per la comunicazione, da parte dell’organismo di composizione della crisi, della richiesta di relazione all’agente della riscossione e agli uffici fiscali. Si ritiene che il termine debba decorrere dalla data di notifica del ricorso per liquidazione e non dalla notifica del provvedimento di nomina da parte del presidente del Tribunale.
E’, infatti, la presentazione del ricorso da parte del debitore e la sua comunicazione all’organismo di composizione della crisi a esplicitare la volontà di attivare l’iter liquidatorio.
Passando a valutare il contenuto del ricorso per sovraindebitamento, il ricorrente illustra, anticipando il contenuto della relazione dell’organismo di composizione della crisi, le cause del suo indebitamento e dell’incapacità di rimborsarlo esprimendo un giudizio anche sulla “volontarietà” nell’assunzione di questo.
La vicenda è comune a molti imprenditori, soci di società di capitale, “costretti” a concedere fideiussioni per ottenere nuova liquidità da parte della banche. Sopraggiunta la crisi di impresa il socio cerca di riequilibrare la posizione finanziaria dell’azienda mediante un piano di risanamento, prima, e un accordo di ristrutturazione del debito, poi, per presentare, infine, istanza di fallimento in proprio. Nella gestione della crisi di impresa, lo stesso si trova ad effettuare significativi interventi di ricapitalizzazione o di finanziamento.
In ragione, proprio, dei tentativi di salvataggio dell’impresa, il patrimonio oggetto di liquidazione si presenta, come nel caso di specie, assai sproporzionato rispetto all’ammontare del debito nei confronti del sistema finanziario.
Due considerazioni meriteranno, quindi, da parte della letteratura un maggior approfondimento.
La prima mira ad identificare la nozione di “volontarietà” nell’assunzione delle obbligazioni nella fattispecie sopra descritta. Può effettivamente predicarsi una “volontarietà” del debitore a farsi garante della propria impresa quando la mancata concessione dell’impegno di firma avrebbe generato il rifiuto della banca di finanziare l’impresa e/o il fallimento della stessa?
Probabilmente la riconsiderazione del sistema normativo dei rapporti tra banca e cliente e i tentativi di riequilibrio delle due posizioni, portati dal legislatore europeo e nazionale dalla metà degli anni novanta dello scorso secolo ad oggi consentono di non escludere la correttezza di tale soluzione. Tanto, anche per non ancorarsi ad una nozione di volontarietà legata allo stato di bisogno e all’azione generale di rescissione (art. 1448 cod. civ.) o all’eccesiva onerosità dell’azione di risoluzione (art. 1468 cod. civ.): rimedi, questi, sui quali non si registrano pronunce in materia di contratto di fideiussione. Sicuramente da escludere è una nozione di volontarietà legata alla capacità di agire o di intendere e volere.
La seconda considerazione attiene ad un aspetto più di natura regolamentare ed, in particolare, alla ponderazione da parte della banca del reale valore attivo della garanzia concessa e alla valutazione della sua condotta omissiva nel non richiedere l’integrazione della garanzia con altra idonea garanzia (art. 1179 cod. civ.). Sotto altra prospettiva, viene da chiedersi se la condotta della banca che, pur in presenza di uno stato di incapienza patrimoniale del fideiussore, continua ad accordare credito alla società e non si attiva per i rimedi dell’integrazione della garanzia, sia passibile di censura sotto il profilo regolamentare della errata ponderazione dell’esposizione principale e di quello civilistico/fallimentare sulle cause dello stato di insolvenza del debitore e del garante. (Francesco Stocco)