Fallimento in estensione di holding di fatto
Tribunale di Vicenza, 23 Novembre 2006. Est. Valeria Zancan.
Attività di direzione e controllo di società – Società di fatto tra persone fisiche – Fallimento in estensione – Fallimento di holding di fatto – Ammissibilità.
Ove più persone fisiche abbiano svolto attività di direzione e controllo di società a responsabilità limitata agendo nell’interesse imprenditoriale proprio in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sussiste la responsabilità di tali persone nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata al patrimonio della società e se fra di esse è ravvisabile una società di fatto svolgente attività di impresa la quale abbia assunto, in virtù dell’art. 2497 c.c., obbligazioni risarcitorie quantomeno nei confronti dei creditori delle società fallite per i danni subiti, tale società di fatto, laddove nei sia dimostrata l’insolvenza, può senz’altro essere dichiarata fallita.
Qualora poi sia possibile configurare tale società come una holding che possieda, anche in via di fatto, le quote delle società commerciali utilizzate come strumento, la fallibilità è confermata dall’evoluzione giurisprudenziale che, a partire dal 1990, ha ammesso la fallibilità della società finanziaria capogruppo di società partecipate insolventi. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Segnalazione del Prof. Avv. Francesco Fimmanò
Il Commento:
Il fallimento del dominus abusivo ed il crepuscolo del socio tiranno (Francesco Fimmanò)
- letto il ricorso del PM depositato il 6.06.2006 per la dichiarazione di fallimento della società di fatto costituita dalla società Alfa s.a.s. di A. P., dal socio accomandatario A. P. già dichiarati falliti e da B. S., F. T., P.C. e S.M. quali soci occulti della ritenuta s.d.f.;
-letti gli atti ed esaminata la documentazione allegata al ricorso;
- convocati i fallendi e il curatore della società Alfa s.a.s. di A. P.;
-sentita la relazione del Giudice incaricato di riferire;
osserva
In data 9.06.2006 questo Tribunale dichiarava il fallimento della società Alfa s.a.s. di A. P. e del socio accomandatario A. P. nominando curatore il dott. G.B. di Vicenza.
Tra gli altri, anche il PM, in data 6.06.2006, aveva chiesto il fallimento della società Alfa s.a.s. di A. P. e del socio accomandatario illimitatamente responsabile, ma aveva altresì sostenuto nel ricorso che il socio accomandatario aveva operato in accordo con altri soggetti sia nella gestione della società fallita che in quella di altre società.
Nel ricorso il PM esponeva che, nell’ambito di indagini condotte dalla locale sezione di PG, era emersa l’esistenza di una associazione delinquenziale che, grazie alla disponibilità di prestanomi, acquisiva aziende operanti prevalentemente nel settore della ristorazione; acquistava, tramite le aziende gestite dai prestanomi, prodotti commerciali di vario genere senza pagare le forniture; rivendeva in Italia e all’estero i prodotti acquistati; otteneva finanziamenti da istituti di credito e società finanziarie che consentivano di incrementare il numero e l’entità degli acquisti; accreditava i proventi dell’attività sopra descritta in conti correnti intestati ai soci occulti in Italia o in Scozia. All’emergere dello stato d’insolvenza delle varie società coinvolte nel disegno criminoso, gli associati sospendevano l’attività delle società decotte, spesso trasferivano la sede legale o quella operativa in province diverse da quelle nelle quali erano stati acquistati i prodotti dai fornitori mentre la merce acquistata veniva depositata in locali non coincidenti con quelli delle società acquirenti per poi essere esportata. L’attività delle società insolventi veniva dunque sospesa e queste ultime in più di un caso fallivano, ma essa proseguiva con le medesime modalità descritte, tramite nuove società nel frattempo costituite.
Secondo la ricostruzione del PM, artefici di tale disegno criminoso sarebbero, oltre al A. già dichiarato fallito, i complici B. S., F. T., P.C. e S.M. .
Il ruolo svolto da ciascuno dei soggetti convenuti veniva indicato dal PM alle pagine 13, 14 e 15 del ricorso.
Convocati i convenuti, il solo P.C. si opponeva alla dichiarazione di fallimento sostenendo nelle memorie depositate il 5 e il 30 .09.06 di non aver rivestito alcun ruolo gestorio nella segnalata società di fatto, ma di essere stato un mero dipendente della Alfa sas e di aver svolto le attività indicategli, di volta in volta, da B. S..
Nel termine concesso dal GD, il Pm depositava ulteriore documentazione comprovante le modalità di gestione dell’attività della ritenuta s.d.f. e il ruolo dei suoi soci .
Il GD quindi rimetteva al Collegio la decisione sul ricorso .
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Ciò premesso, osserva il Collegio che gli atti delle indagini preliminari depositati dal PM ricorrente dimostrano l’esistenza di un accordo criminoso tra i soggetti convenuti aventi le caratteristiche descritte dal PM nel suo ricorso e sopra riassunte.
Ai fini dell’accoglimento del ricorso è peraltro necessario dimostrare l’ esistenza di una società di fatto, la sua fallibilità e il suo stato d’insolvenza .
Va in primo luogo escluso che la società Alfa s.a.s. di A. P. possa essere considerata socio della fallenda S.D.F.
La società di fatto presuppone la sussistenza di un fondo comune, dell’alea comune riguardo ai guadagni e alle perdite, dell’affectio societatis nei rapporti interni e della ripartizione degli utili.
Al contrario dalla stessa prospettazione del Pm e dall’esame degli atti risulta che la società Alfa sas, come gli altri soggetti collettivi coinvolti nell’attività illecita, non concorse in alcun modo alla ripartizione degli utili dell’attività criminosa, ma anzi venne utilizzata come strumento di tale attività allo scopo di distrarre i beni societari, di impoverire la società fino al suo totale dissesto e di arricchire semmai gli artefici del progetto criminoso.
Va del pari escluso che le persone fisiche convenute possano essere dichiarate fallite in qualità di soci di fatto della fallita Alfa s.a.s.
In primo luogo il PM non ha chiesto, ex art. 147 l.f., l’estensione del fallimento di Alfa s.a.s. ai presunti soci di fatto né lo ha fatto il curatore.
In secondo luogo non risulta che tutti i convenuti abbiano svolto attività gestoria nella società fallita (al più B. S. e P.C. si sarebbero ingeriti nell’attività d’impresa di Alfa) .
Infine il ricorso del PM prospetta un coinvolgimento dei fallendi in un progetto imprenditoriale di più ampia portata rispetto all’attività commerciale di Alfa che è una delle tante società utilizzate come strumento dai soggetti convenuti .
Si tratta allora di verificare se gli accordi illeciti tra A. P., B. S., F. T., P.C. e S.M. e le attività dagli stessi svolte possano integrare un rapporto societario.
1) Ricostruzione della vicenda storica.
Nel ricorso del PM alle pagine 5, 6 e 7 che si intendono richiamate è descritto come, a partire dal 2003, soggetti contigui alla malavita organizzata, mediante la gestione occulta o comunque senza ricoprire cariche sociali, avevano acquisito le quote di società esercenti attività commerciale, avevano scelto gli amministratori delle società partecipate i quali, svolgendo un ruolo di meri prestanomi, si limitavano a seguire le direttive impartite dagli associati; avevano acquistato, tramite le società partecipate, beni di rilevante valore; non avevano pagato le forniture, ma avevano rivenduto la merce in Italia e all’estero con ripartizione dei proventi della vendita.
Dagli accertamenti svolti dalla PG, dalle dichiarazioni rese da P.C. nell’interrogatorio del 23.08.06, da S.M. nell’interrogatorio 7.07.06, dai funzionari di banca sentiti dalla DIA di Padova, dallo stesso A. P. (atti depositati il 15.09.2006) è emerso che l’ideatore e principale gestore dell’attività era B. Salvatore il quale:
- nel 2003 aveva rilevato, tramite terzi, le quote della società BETA srl già insolvente;
- unitamente ad altri effettivi gestori della società, era stato trovato presso la sede di Beta, in possesso di documentazione extracontabile evidenziante operazioni commerciali del tipo di quelle descritte dal PM nel suo ricorso (informativa PG 12.04.05);
- con analoghe modalità B. era stato amministratore di fatto di OMEGA S.A.S, aveva trattato con i formitori, si era occupato delle consegne, aveva in particolare tentato di esportare in Gran Bretagna merce acquistata in Italia e non pagata, aveva asportato l’intero magazzino della società (informativa PG 12.04.05);
- aveva successivamente contattato il A. proponendogli di accettare il ruolo di amministratore di società (Alfa e Omnia srl) esercenti attività commerciale ;
- aveva organizzato e gestito dall’esterno l’attività delle società sopra citate, utilizzando ad esempio carte di credito rilasciate alla Alfa la quale aveva tra l’altro avuto un recapito presso la sede della G.B. ** pure dichiarata fallita ;
- unitamente al A., aveva concordato con i funzionari del Banco di Sicilia e della Banca Popolare di Puglia e Basilicata gli affidamenti da concedere alla società fallita e aveva mantenuto i rapporti con gli istituti di credito;
- si era qualificato ai funzionari di banca come responsabile commerciale e finanziario dell’azienda Alfa;
- aveva svolto le trattative per l’acquisto in leasing del capannone di ** dove era stata immagazzinata la merce acquistata da Alfa.
Complice del B., S.M. sarebbe stato il collaboratore all’estero del B.. Lo stesso S. ha ammesso nell’interrogatorio del 7.07.06: di essersi interessato per collocare all’estero la merce acquistata dalle società riconducibili al B.; di aver versato i proventi dell’attività delittuosa in conti esteri, di aver fornito la liquidità nella fase iniziale dell’attività delle varie imprese per simulare una solidità economica delle stesse; di aver gestito i c/c esteri intestati a società del gruppo e anche alla Alfa sas . Risulta infine che una società estera riconducibile al S., la A.I., avrebbe emesso assegni in favore di Alfa per € 211.908,57, incassati dal A..
La partecipazione di P.C. all’attività delittuosa emergente dagli atti di indagine è consistita nelle seguenti attività:
- collaborazione con A. e B. nel trasferimento della merce acquistata dalla fallita Alfa presso il capannone sito a ** locato dalla società H. srl riconducibile al P.;
- disponibilità a far transitare sul c/c intestato alla società I.D. di P.C. sas proventi derivanti da vendite eseguite dalla Alfa per € 919.622,47;
- accettazione di finanziamenti alla I.D. di P.C. e alla H. srl (di cui il Picco è socio) provenienti da Banche estere sui conti delle quali operava il S. (interrogatorio S. 10.07.06 e 7.07.06);
- coordinamento con il latitante S. emergente dalla conversazione telefonica 24.03.06 riportata nell’ordinanza GIP a pag. 23 e ss. per l’attuazione di una operazione di vendita all’estero di beni acquistati dall’organizzazione;
- utilizzo di carte di credito rilasciate alla Alfa pur non ricoprendo il Picco alcun ruolo amministrativo nella società fallita;
- collaborazione nell’organizzare la fuga all’estero del A..
Il ruolo di F. T., commercialista, sarebbe invece stato quello di ricercare le società da utilizzare per gli scopi illeciti e acquisirne le quote; di ricostruire la contabilità di tali aziende (quantomeno Alfa e Omnia secondo le indicazioni del B.) e di fungere da tramite tra Picco e B.. La professionista vrebbe inoltre fornito domiciliazione presso il suo studio ad altre società coinvolte nell’attività quali Ristorazione Alla Perla e I.D. di P.C..
2) Qualificazione dell’attività in termini di attività imprenditoriale.
Recita l’art. 2082 c.c.: “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
Il carattere imprenditoriale dell’attività illecita svolta dalla prospettata S.D.F. non è ravvisabile nelle attività commerciali svolte dalle società concretamente gestite dai fallendi pur senza ricoprire ruoli formali al loro interno.
Le società-strumento hanno infatti una propria e diversa soggettività giuridica rispetto alle persone fisiche che tramite di esse hanno operato.
Piuttosto l’attività imprenditoriale riconducibile alle persone fisiche convenute è quella consistita nella acquisizione di quote di società di persone o di capitali; nella gestione coordinata di tali partecipazioni, spesso intestate a prestanomi; nel finanziamento di tali società; nell’ esercizio del controllo e della gestione delle società direttamente o indirettamente partecipate.
Per l’esercizio di tale attività risulta apprestata dai convenuti una articolata organizzazione di uomini e mezzi sia in Italia che all’estero operante in più luoghi del territorio nazionale e in diversi settori dell’economia.
Il carattere organizzato dell’attività è confermato dal fatto che la associazione poteva usufruire di finanziamenti cospicui nella fase iniziale dell’attività e aveva la disponibilità di una pluralità di magazzini sul territorio nazionale utili al deposito, stoccaggio e smercio dei beni acquistati che vennero utilizzati da più società fra quelle coinvolte nella vicenda.
La professionalità dell’attività va individuata nel fatto che essa veniva svolta stabilmente, in modo continuativo, nell’arco di numerosi anni, con il sostegno di apparati organizzativi appositamente creati.
La finalità di scambio o produzione di beni e servizi va inquadrata nell’attività finanziaria di gestione di partecipazioni, amministrazione di società e finanziamento e risulta svolta dai consociati nella forma di una sorta di società capogruppo delle società partecipate.
Dunque l’attività svolta può configurarsi come attività d’impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c..
3) Configurabilità di una società di fatto.
Il contratto di società, secondo il disposto dell’art. 2247 c.c. è quello in cui due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Che la cooperazione tra i soggetti dei quali è stato chiesto il fallimento possa essere qualificata come una società di fatto emerge dalla comprovata esistenza, ammessa dagli stessi associati, della cosiddetta affectio societatis ovvero un accordo comune diretto a porre in essere operazioni di acquisto di ingenti quantità di merci, prevalentemente attinenti all’attività di ristorazione, che venivano celermente rivendute in Italia e all’estero, anche sottocosto, senza il pagamento delle forniture, ma con incasso dei proventi delle vendite poi distribuiti fra gli associati.
Le modalità di esercizio in comune dell’ attività economica e la divisione dei compiti gestionali tra i ritenuti soci di fatto sono già state illustrate.
La finalità di lucro, anche se in concreto contrastante con il profitto dei singoli enti gestiti e a tutto beneficio degli associati, è stata realizzata perché la gestione delle partecipazioni e l’ attività di direzione e coordinamento di società ha comportato dei proventi parte dei quali sono stati investiti in ulteriori operazioni gestite dagli associati e altra parte sono stati distribuiti tra gli stessi associati.
Le dichiarazioni degli associati secondo cui tutti i compartecipi beneficiavano dei proventi dell’attività configura la divisione degli utili che lo schema societario richiede.
Il guadagno derivante dalla vendita delle merci acquistate e non pagate rappresenta infatti una forma di introito economico, ai danni delle società utilizzate per la truffa e dei loro creditori, che veniva diviso tra i convenuti ed era diretto a remunerare l’attività dei soci gestori. La divisione dei guadagni, sia pure in misura diversa tra gli associati, è stata ammessa negli interrogatori resi da Picco e S.; essa risulta inoltre confermata dal tenore delle comunicazioni telefoniche tra B. e F. del 14.03.2006 riportata nell’ordinanza di custodia cautelare a pag. 18 e 19 e del 28.03.06 menzionata a pag. 29 della predetta ordinanza di custodia cautelare).
L’azione degli associati si è palesata anche nei rapporti esterni ed è stata tale da ingenerare nei terzi (sia fornitori che funzionari di banca) l’affidamento circa il ruolo di socio non solo dei formali amministratori o soci di alcune società coinvolte ( A. e Picco), ma anche di soggetti (B.) che formalmente non rivestivano alcuna carica e tuttavia si qualificavano, nei rapporti con i terzi, come referenti delle società-schermo.
L’accordo fra gli associati, nei rapporti interni, appare incompatibile con accordi diversi da quelli fra soci e, in particolare con rapporti di carattere professionale.
In particolare esula dal preteso rapporto di lavoro subordinato il ruolo effettivamente esercitato dal Picco il quale, pur affermando di aver svolto solo mansioni esecutive, risulta invece aver avuto un ruolo gestorio significativo (Egli infatti ha operato sui c/c intestati alla società Alfa s.a.s.; ha accettato -in qualità di titolare o socio di I.D. di P.C. e di H. srl- finanziamenti per cospicui importi provenienti da Banche estere sui conti delle quali operava il S. (interrogatorio S. 10.07.06 e 7.07.06); ha locato (tramite la H. srl) immobili utilizzati per lo stoccaggio della merce acquistata; ha fatto transitare sul c/c intestato alla società I.D. di P.C. proventi derivanti da vendite eseguite dalla Alfa per € 919.622,47; ha concordato con S. le modalità di consegna di alcune forniture -cfr conversazione telefonica riportata alle pagg. da 23 a 30 dell’ordinanza di custodia cautelare GIP- ).
Analogamente F. T. non sembra aver svolto il ruolo di mera consulente contabile dal momento che, al di là della ricostruzione della contabilità di alcune delle società coinvolte secondo le direttive date dal B., suo sarebbe stato il compito di individuare società ormai decotte da utilizzare come schermo e strumento per la realizzazione dell’attività d’impresa, di fornire domiciliazione presso il suo studio professionale ad alcune delle società coinvolte nella truffa (Ristorazione La Perla srl, Omnia srl, I.D. di P.C.), di individuare il A. ( amico e socio di familiari della F.) come il soggetto disponibile a fungere da rappresentante legale di alcune delle società utilizzate nella truffa (Alfa e Omnia srl).
In conclusione ritiene il Collegio che sia stata provata l’esistenza di una società di fatto tra i soggetti convenuti i quali, direttamente o indirettamente erano i titolari delle quote delle società impegnate nella realizzazione del disegno criminoso illustrato nonchè gli unici beneficiari delle operazioni poste in essere dalle singole società partecipate.
4) Qualifica dell’attività imprenditoriale come holding e fallibilità della stessa.
Nel caso in esame hanno agito imprenditorialmente persone fisiche e giuridiche.
Se le società hanno svolto le operazioni commerciali, tutte le decisioni rilevanti e l’attività di direzione e di coordinamento sono state prese dagli associati di cui il Pm ha chiesto il fallimento. Questi ultimi erano gli effettivi imprenditori operanti, mentre le società utilizzate per il raggiungimento dello scopo illecito erano un vuoto simulacro di cui gli associati si servivano come strumenti operativi dell’attività d’impresa.
La realtà economica delle cose vede quindi i fallendi come gli effettivi imprenditori ex art.2082 cc. Essa inoltre vede sovvertite le regole del diritto societario: vengono infatti elusi i limiti propri della autonomia patrimoniale delle società i cui patrimoni risultano confusi con quelli personali dei veri soci o con quelli di altre società del gruppo; del pari vengono violate le norme sulla formazione assembleare della volontà sociale perché i formali soci eseguono le decisioni prese dai fallendi; non viene rispettata la effettiva soggettività delle società di capitali che non operano tramite i formali amministratori, ma tramite gli associati che spesso non rivestono alcun ruolo formale nelle società amministrate; nella gestione delle imprese poi i fallendi esorbitano dai limiti consentiti dall’ordinamento mirando ad ottenere non un beneficio economico per le singole società di fatto amministrate, ma un profitto proprio.
La giurisprudenza che ha analizzato fattispecie simili a quella descritta le ha ricondotte alla figura della holding personale, eventualmente costituita in società di fatto (in particolare le sentenze della Cass. Civ. n. 1439/90 e n. 3724/2003).
A prescindere dalla qualificazione giuridica della descritta s.d.f. come holding, nella realtà economica la s.d.f. in esame corrisponde a quella descritta al primo comma dell’art. 2497 c.c.
La società di fatto esercitata dai fallendi ha infatti svolto attività di direzione e coordinamento di società, ma ha agito nell’interesse imprenditoriale proprio, in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime.
Da ciò deriva, in base alla norma in esame, la diretta responsabilità della s.d.f. nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio delle società.
Se dunque si ritiene che esista una società di fatto svolgente attività d’impresa la quale abbia assunto, in virtù dell’art. 2497 c.c. obbligazioni risarcitorie quantomeno nei confronti dei creditori delle società fallite per i danni subiti, laddove sia dimostrata l’insolvenza, tale società è senz’altro fallibile.
Qualora poi sia possibile configurare tale società come una holding che possieda, anche in via di fatto, le quote delle società commerciali utilizzate come strumento, la fallibilità è confermata dall’evoluzione giurisprudenziale che, a partire dal 1990, ha ammesso la fallibilità della società finanziaria capogruppo di società partecipate insolventi.
La configurabilità di una sorta di società di fatto capogruppo costituita dai fallendi pare sussistere, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza, in quanto ricorrono i presupposti dell’organizzazione di mezzi dell’holder e dell’ autonoma economicità.
Rispetto all’organizzazione di mezzi e persone, tutti gli associati si sono occupati direttamente e personalmente, con ripartizione di compiti, di distinti aspetti amministrativi o commerciali delle società-strumento, chi intrattenendo rapporti con i fornitori, chi assumendo e licenziando il personale, chi ricercando i locali in cui svolgere l’attività, chi coordinando l’attività del gruppo anche mediante la ricerca e acquisto delle società attraverso le quali operare.
Quanto al requisito dell’economicità, l’utilità aggiuntiva derivante al gruppo di società e agli associati deriva dal fatto che, senza la descritta opera di coordinamento, anche finanziario, senza gli interventi personali presso le banche finanziatrici, senza l’ausilio di professionisti qualificati (F.) e di referenti all’estero (S.), le singole società non avrebbero avuto tutta la disponibilità finanziaria che invece hanno avuto né avrebbero potuto raggiungere i volumi d’affari realizzati.
Tale utile aggiuntivo d’impresa ovvero un utile economico non altrimenti ipotizzabile in assenza della attività di gestione della capogruppo nel caso di specie va identificato con il beneficio esclusivo realizzato dai soci dell’ holding.
La giurisprudenza anteriore alla riforma del diritto societario richiedeva un ulteriore elemento per la configurabilità dell’ holding e della sua responsabilità per le obbligazioni assunte per conto delle società partecipate e cioè la spendita del nome proprio da parte dell’holder o degli associati.
Dagli atti della procedura solo B. Salvatore (e A. P., ma quest’ultimo in veste di amministratore) ha in proprio chiesto finanziamenti a funzionari di banca in favore di società partecipate .
Si ritiene tuttavia che il requisito della spendita del nome non abbia più oggi la rilevanza in passato richiesta.
Infatti nel previgente sistema la responsabilità della capogruppo sussisteva laddove la holding avesse assunto, anche in via di fatto, la veste di socia unica delle società controllate (art. 2362 e, per l’ipotesi di insolvenza art. 2497 c.c.). In considerazione della obiettiva difficoltà di dimostrare la partecipazione totalitaria, la giurisprudenza aveva richiesto la spendita del nome del socio facendo derivare da ciò l’assunzione in capo al socio holder della responsablità per le obbligazioni assunte in nome proprio anche se per conto della società partecipata.
Diversamente l’attuale art. 2497 prescinde dalla posizione di unico quotista, ma è piuttosto espressione del principio secondo cui la conservazione del beneficio della responsabilità limitata non può prescindere dal rispetto di certe regole ovvero solo il rispetto delle norme codicistiche e dei principi che regolano il diritto societario consente al socio di evitare la commistione delle proprie obbligazioni con quelle della società partecipata.
Pertanto laddove le deliberazioni della controllante cagionano pregiudizio alle singole controllate non vi è ragione per tutelare l’ autonomia patrimoniale della società capogruppo rispetto alle controllate.
Nel caso di specie, si è verificato proprio questo: l’attività imprenditoriale è stata svolta dietro lo schermo di società di capitali che sono state private della loro autonomia decisionale e patrimoniale in quanto le direttive non transitavano dalle assemblee, né dagli amministratori, ma finivano direttamente a chi le doveva eseguire e inoltre la direzione vincolante della capogruppo ha danneggiato le società partecipate impoverendone il patrimonio e i creditori delle stesse.
5) Stato d’insolvenza.
Se la ritenuta holding tra i convenuti e questi ultimi personalmente rispondono delle obbligazioni delle società di fatto partecipate, l’insolvenza di tali società, già accertata da più di un Tribunale italiano, comprova l’esistenza di obbligazioni da adempiere.
Tali obbligazioni sono senz’altro quelle di Alfa s.a.s., (superiori al milione di euro) e di BETA SRL (con passivo accertato di € 1.053.616) ma sono anche quelle delle società fallite per le quali è stata acquisita (o lo sarà) la prova della diretta gestione e finanziamento dei convenuti e dell’attività di direzione e coordinamento dagli stessi esercitata.
La s.d.f. dovrà inoltre rispondere anche delle obbligazioni di società non fallite che tuttavia non risultino in grado di soddisfare i propri creditori(ad esempio OMEGA sas).
Posto che nessuno dei convenuti ha dimostrato la capacità della sdf di soddisfare le obbligazioni assunte; considerato che la ritenuta società capogruppo è ormai inattiva e i soci sono sottoposti a misure cautelari; tenuto conto che le quote delle partecipate sono soggette a provvedimenti di sequestro o sono prive di qualsiasi valore a causa del fallimento delle società partecipate, appare evidente l’irreversibilità attuale dello stato d’insolvenza.
omissis
PQM
visti gli artt. 1-5-6-8-10-147, e segg. L.F.
DICHIARA
il fallimento della S.D.F. tra A. P., B. S., F. T., P.C. e S.M. e quello personale dei soci illimitatamente responsabili:
B. S., **;
F. T. **;
P.C.**;
S.M. **.
Vicenza, 23.11.06
Il Giudice est.
Dott. Valeria Cancan
Il Presidente
Dott. Giuseppe Bozza