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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/01/2025 Scarica PDF
I crediti da bonus edilizi (superbonus 110% ed affini) nella liquidazione giudiziale
Giorgio Aschieri e Daniele Giacomazzi, Avvocati in VeronaSommario: 1. I bonus edilizi ed il c.d. “Decreto Rilancio” del 2020 – 2. La vendita competitiva dei bonus edilizi nella liquidazione giudiziale e le attività prodromiche – 3. L’azione revocatoria relativa ai crediti ceduti dall’impresa in bonis – 4. L’eventuale azione di responsabilità verso i professionisti che hanno curato la formazione dei bonus edilizi – 5. Il sequestro penale in caso di bonus fraudolenti e la posizione del curatore – 6. La compensazione ex art.155 CCII
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Il presente contributo è finalizzato ad analizzare, senza pretesa di esaustività, le numerose tematiche teoriche e pratiche che il curatore della liquidazione giudiziale si trova ad affrontare allorché la società, ovvero ditta individuale in liquidazione giudiziale, sia (o sia stata, nel “periodo sospetto”) titolare di crediti da bonus edilizi (Superbonus 110% ed affini) presenti nel cassetto fiscale.
La particolare natura giuridica del Superbonus 110% (ed affini, quali Ecobonus o Sismabonus), calata nella liquidazione giudiziale, presenta infatti numerosi spunti problematici, di non semplice né, in molti casi, tantomeno univoca soluzione allo stato attuale.
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1. I bonus edilizi ed il c.d. “Decreto Rilancio” del 2020
Le detrazioni fiscali da bonus edilizi sono un istituto ben conosciuto dagli italiani e soprattutto dal Legislatore che, negli anni, ha in modo sempre più crescente cercato di incentivare l’economia con questo strumento. Le aliquote sempre maggiori dei bonus hanno prodotto significativi effetti economici, ma la vera svolta va certamente individuata nella possibilità di cessione dei crediti in questione.
Testati nel 2019 per qualche mese con l’introduzione del c.d. sconto in fattura, la vera “rivoluzione” trova fondamento nel D.L. 19 maggio 2020 n.34 (ossia il cosiddetto “Decreto Rilancio”), convertito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, il quale ha introdotto una nuova concezione di fruizione del bonus, come meglio vedremo.
Il contesto era quello della pandemia da Covid-19, che ha generato il famigerato “lockdown” e la conseguente semiparalisi economica. Il Legislatore ha quindi cercato di rilanciare l’economica con varie misure, tra cui spicca il c.d. “Superbonus 110%” ossia una agevolazione fiscale pari al 110% del costo sostenuto dal proprietario immobiliare, ovvero condomino, per lavori di riqualificazione edilizia degli immobili, che generasse un sensibile miglioramento dell’efficienza energetica degli immobili. Tale maxiagevolazione era prevista come fruibile in quattro periodi annuali di imposta.
L’art. 121 del citato decreto-legge prevede, nel comma 1 (ed in questo sta la vera novità rispetto al sistema precedente), due modalità di fruizione del credito alternative alla detrazione: l’opzione di “sconto in fattura” e l’opzione di cessione del credito. In buona sostanza, i committenti-beneficiari del bonus edilizio possono fruirne mediante un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto al fornitore (impresa appaltatrice o general contractor) che ha effettuato gli interventi edilizi ovvero, in alternativa, trasformando la propria detrazione in corrispondente importo in credito di imposta cedibile ad altri soggetti.
L’effetto della novella è stato dirompente, mettendo in evidenza alcuni importanti limiti della norma, non priva di lacune che hanno consentito importanti truffe ai danni dell’Erario. Lo stesso sistema economico, del resto, si è rivelato impreparato a reggere la complessità amministrativa, procedurale e finanziaria del Superbonus.
Le travagliate vicende giudiziarie, inevitabilmente emerse (sequestri penali di crediti inesistenti e fittiziamente generati, acquisiti da importanti cessionari istituzionali) hanno indotto il Legislatore ad adottare, a partire dal c.d. Decreto Antifrodi (D.L. 157/2021), una lunga serie di misure volte ad irrigidire le regole di cessione di tali bonus, in un primo momento molto lasche[1].
L’effetto sul mercato è stato dirompente: si è passati da un concetto di credito agevolativo come “bene fungibile”, una sorta di nuova moneta fiscale cedibile senza limiti, ad un credito definibile come “bene infungibile”, dotato di un codice univoco, cedibile limitatamente e la cui circolazione sul mercato comporta peculiari adempimenti, come meglio vedremo in seguito.
Sono quindi seguiti numerosi interventi legislativi volti a rassicurare gli acquirenti di tali bonus, ex multis il c.d. Decreto Aiuti-quater (D.L. 176/2022), tuttavia il mercato dei crediti fiscali, soprattutto bancario, non è più stato dinamico come in passato.
Questo ha portato rilevanti effetti, anche di carattere finanziario, penalizzanti per molte imprese appaltatrici e/o general contractors, che hanno ottenuto dai committenti tali bonus edilizi mediante il predetto “sconto in fattura” sul presupposto di una cessione agevole alle proprie banche di fiducia e si sono invece spesso trovate in stato di tensione finanziaria, incontrando difficoltà non preventivate nella cessione di tali crediti. In alcuni casi tale tensione è poi sfociata in vera e propria insolvenza e quindi nella declaratoria di liquidazione giudiziale, il che fa sì che i curatori debbano gestire questa delicata posizione.
2. La vendita competitiva dei bonus edilizi nella liquidazione giudiziale e le attività propedeutiche
Stante lo scopo di questo contributo, pare qui opportuno soffermarci sulle concrete attività che il curatore della liquidazione giudiziale deve svolgere, per la più efficace gestione dei bonus edilizi. Affrontare il tema in modo troppo teorico non permetterebbe, infatti, al lettore di comprendere con immediatezza quali accortezze siano necessarie o comunque consigliabili per la migliore gestione, da parte del curatore, di tali assets.
La prima attività del curatore consisterà nella verifica del cassetto fiscale della società (o impresa individuale) in liquidazione giudiziale. In tale cassetto si troveranno, infatti, i bonus edilizi di cui si discute ed anche quelli precedentemente ceduti.
La tabella che segue fornisce una rappresentazione visiva di ciò che un curatore potrebbe rinvenire nel cassetto fiscale:
La prima impressione, supponiamo, sia quella di una non semplice lettura del cassetto, dato che ogni intervento edilizio genera moltissimi singoli crediti: è infatti necessario considerare che la realizzazione di un cappotto esterno di un condominio, o la sua dotazione di un impianto fotovoltaico, genera quattro (o dieci) righe corrispondenti al numero di annualità fiscali in cui è suddiviso il bonus in questione. Se vi siano più cantieri e vari proprietari o, peggio, condòmini, il florilegio di righe corrispondenti a distinti bonus può diventare davvero notevole. Del resto, il curatore si trova (e questo verrà in rilievo in seguito) di fronte ad analoga complessità laddove debba esaminare una domanda di insinuazione dell’Agenzia delle Entrate, ove il ruolo sia costituito da moltissime righe (ognuna corrispondente ad una diversa imposta principale, interessi e sanzioni per ciascuna annualità).
Una volta verificata la presenza di bonus nel cassetto, il curatore dovrà di regola commissionare la perizia di stima ex art.216 CCII, potendo ometterla solamente – come previsto dalla norma - per beni di modico valore[2]. E’ intuitivo che non sarà semplice reperire periti qualificati in tal senso, tuttavia ciò dal punto di vista logico/giuridico non permette tale omissione, almeno in prima battuta.
Il perito dovrà possedere sia la competenza per riconoscere le eventuali patologie dei bonus (ad esempio, come purtroppo talvolta è accaduto nei Bonus Facciate, sono state riscontrate delle frodi costituenti nella mancata esecuzione delle opere e la falsificazione di tutta la relativa documentazione e delle relative certificazioni), sia per determinarne il valore di mercato.
Quanto alla prima questione, va evidenziato che il diritto alla agevolazione fiscale derivante dal Superbonus matura se ed in quanto siano presenti determinati requisiti, previsti dall’art.119 del Decreto Rilancio. Riferendoci ad un intervento su un condominio, serviranno ad esempio la delibera condominiale di autorizzazione dei lavori, il contratto di appalto, un valido titolo edilizio, l’asseverazione tecnica ed il visto di conformità del professionista autorizzato a rilasciarlo (ossia un commercialista). Quest’ultimo, in particolare, attesta sotto la propria responsabilità la correttezza e completezza della documentazione necessaria per l’ottenimento dell’agevolazione in parola. Quid iuris, però, se anche solo per errore venga rilasciato un visto senza che sussistano tutti i presupposti di legge? Ci troveremo in questo caso dei Bonus caricati e presenti nel cassetto fiscale della procedura, ma in carenza dei requisiti di legge e quindi si tratta di crediti di imposta non spettanti[3]. A nostro avviso, laddove il curatore riscontri che tali Bonus siano illegittimamente caricati, dovrebbe ragionevolmente astenersi dal porli in vendita mediante procedura competitiva. Se poi i crediti presenti nel cassetto fiscale derivino da vere e proprie frodi (come purtroppo può accadere, soprattutto nel caso del Bonus Facciate), a maggior ragione la conclusione di cui sopra rimane valida.
Quanto infine al valore di mercato dei Bonus, lo stesso dipenderà non solo – come sopra esposto - dal rilievo di eventuali patologie, che potrebbero attenere a tutti o a parte dei Bonus presenti nel cassetto fiscale e quindi diminuirne od azzerarne il valore, ma anche dalle tempistiche con cui gli stessi saranno utilizzabili in compensazione dagli acquirenti degli stessi.
Ovviamente, infatti, la rata di Bonus scadente nel 2027 avrà un valore di mercato inferiore a quella di competenza del 2025, perché l’acquirente non potrà utilizzarla immediatamente e quindi avrà impiegato, per anni, disponibilità finanziarie (ossia il prezzo di acquisto) non immediatamente recuperabili. Vi sarà quindi un deprezzamento, rispetto al valore nominale dei Bonus, quantomeno legato al costo del denaro nel periodo tra l’acquisto e l’utilizzo dei Bonus in questione.
Il valore di mercato di tali Bonus non sarà quindi mai pari al nominale, anche qualora esistano tutti i presupposti di legge per la loro maturazione. Perché mai l’acquirente dovrebbe comprare tali crediti se non con un adeguato ribasso? Trattandosi di un credito fiscale da utilizzare in compensazione rispetto a debiti di imposta, se non vi è sconto l’acquirente avrà convenienza a pagare le tasse con la propria liquidità, piuttosto che acquistare i Bonus con tutti i rischi connessi. Concludendo, riteniamo quindi che il valore di mercato dei Bonus dipende sia dalla qualità intrinseca dei crediti, sia dal fatto finanziario derivante dal ritardo con cui i Bonus possano essere utilizzati dall’acquirente.
Va a questo punto esaminato un caso non infrequente nella pratica, ossia quello in cui i curatori si trovino in possesso di documentazione incompleta, tale da non permettere di comprendere chiaramente se vi siano tutti i requisiti per la maturazione dei Bonus in esame: in altri termini, non si può affermare, ma nemmeno escludere, che vi siano i presupposti per la maturazione effettiva dei bonus.
In questo caso il curatore, dopo aver sollecitato il legale rappresentante della società in liquidazione giudiziale a consegnare la documentazione mancante, si rivolgerà in ultima istanza al commercialista vistatore, il quale non poteva rilasciare il visto di conformità in mancanza di tutta la documentazione necessaria. Qualora nemmeno dal vistatore si riesca ad ottenere tale documentazione (e fatte salve eventuali azioni risarcitorie nei suoi confronti), a nostro avviso il curatore dovrebbe comunque (unitamente al perito se nominato) effettuare la valutazione finale sulla “bontà” dei Bonus presenti nel cassetto fiscale, sulla base delle considerazioni che seguono.
Il Decreto Rilancio prevede, nel comma 6-bis dell’art.121, che il cessionario dei crediti in questione (e quindi l’acquirente da procedura competitiva di vendita) possa essere oggetto di recupero del Bonus non spettante solamente in caso di dolo, laddove costui sia in possesso di un determinato set di documenti[4].
Il successivo comma 6-quater, quale norma di chiusura, prevede che il mancato possesso di tutta la documentazione di cui al comma 6-bis non costituisce di per sé causa di responsabilità del cessionario per dolo o colpa grave e che il relativo onere della prova incombe sull’Ente impositore.
Traducendo in termini pratici la questione: i) se sia presente tutta la documentazione prevista dal comma 6-bis, i crediti possono essere qualificati come molto appetibili[5]; ii) qualora la documentazione non sia completa, ma non vi sia evidenza nel bando o nella perizia di omissioni o problemi sostanziali nella documentazione esistente e non manchino documenti essenziali, i crediti rimangono abbastanza appetibili, essendo molto discutibile in tal caso che l’aggiudicatario versi non solo in stato di colpa, bensì di colpa “grave” come previsto dal comma 6-quater; iii) laddove infine manchi documentazione essenziale ovvero la stessa sia inficiata da vizi insuperabili, i crediti saranno scarsamente o per nulla appetibili.
È infine a nostro avviso opportuno che il curatore non si fermi alle risultanze del cassetto fiscale, ma compia ulteriori accertamenti sui lavori realizzati dall’impresa. La stessa potrebbe infatti aver eseguito in tutto o in parte degli appalti, che secondo il contratto prevedevano il pagamento dell’appaltatore mediante “sconto in fattura” e quindi la generazione di un credito da Bonus, da caricare nel cassetto fiscale dell’appaltatore. Per vari motivi (ad esempio l’impresa non ha pagato il vistatore o non ha concluso l’iter di approvazione di un SAL), però, i Bonus potrebbero non essere stati ancora caricati nel cassetto fiscale. Il curatore dovrà pertanto fare quanto possibile per verificare tale fattispecie e per ottenere detto pagamento mediante sconto in fattura, facendosi carico degli adempimenti necessari (asseverazione e visto) per la maturazione dei Bonus.
A questo punto il curatore ha tutto l’interesse a porre quanto prima i bonus in vendita tramite procedura competitiva (salvo quanto diremo appresso in merito ad ipotesi problematiche). Ciò perché i bonus sono strutturati mediante crediti di imposta spalmati generalmente su quattro annualità e, se non utilizzati dal titolare mediante compensazione entro la fine dell’annualità di riferimento, saranno irrimediabilmente persi (art.121 comma 3 del Decreto Rilancio).
È quindi chiaro che il curatore, dovendo sopportare il rischio di incanti deserti nonché osservare i termini dilatori previsti dall’art.216 CCII, dovrà quindi attrezzarsi per allocare i Bonus in procedura competitiva in termini brevi ed in modo strutturato. Sarà quindi opportuno che venga approntata (dal curatore o dal commissionario alla vendita se incaricato, data la complessità della vicenda) una virtual dataroom, la cui consultazione normalmente presuppone la firma di un accordo di riservatezza, contenente la perizia di stima se non autonomamente pubblicata e, per quanto possibile, tutta la documentazione relativa all’iter di generazione dei bonus oggetto di procedura competitiva.
3. L’azione revocatoria relativa ai crediti ceduti dall’impresa in bonis
Riguardo a tale aspetto, pare preliminarmente opportuno che il curatore verifichi non solo la sezione dei crediti attualmente presenti nel cassetto fiscale, ma anche quella relativa ai crediti in precedenza ceduti e, qualora rinvenga traccia di tali cessioni, ricerchi i relativi contratti, per valutare l’esperimento di una o più azioni revocatorie fallimentari.
Vi sono infatti senz’altro due ipotesi in cui, quantomeno in astratto, l’azione revocatoria è esperibile.
È infatti anzitutto possibile che i crediti siano stati ceduti a terzi ad un valore sensibilmente inferiore a quello di mercato ed in questo caso verrà in rilievo l’art. 166 comma primo, lettera a) del CCII.
Premesso che per il curatore non sarà così agevole determinare il valore di mercato dei Bonus al momento della cessione, è chiaro che l’ipotesi andrebbe almeno teoricamente esplorata. Come anticipato, ovviamente il valore di mercato non coinciderà mai con quello nominale, perché nessun acquirente li avrebbe mai acquisiti senza trarne un profitto (salva l’ipotesi di cui diremo appresso). In linea di prima approssimazione, quindi, la determinazione del valore di mercato al momento della cessione (da affidare ragionevolmente ad un perito) terrà conto sia dell’annualità delle rate cedute e quindi del fatto finanziario, sia della qualità intrinseca (ossia la presenza o meno di vizi attinenti al procedimento di formazione dei bonus) dei crediti ceduti.
È infine possibile che la cessione dei Bonus configuri mezzo anormale di pagamento, ai sensi dell’art.166 primo comma, lettera b) del CCII.
In questi casi, a nostro avviso, il curatore dovrà principalmente esaminare i contratti di subappalto, stipulati dall’impresa in bonis con i propri subfornitori. Qualora gli stessi prevedessero ab origine il pagamento del subappaltatore mediante la cessione dei bonus trasferiti all’impresa dai propri committenti, sulla base della giurisprudenza attuale pare difficile considerare revocabile tale cessione. Qualora invece il contratto di subappalto prevedesse il pagamento in denaro del subappaltatore, il successivo trasferimento dei bonus per estinguere tale debito potrebbe sensatamente essere considerato come mezzo anormale di pagamento. Così come anormale potrebbe essere considerato ogni eventuale estinzione di debiti verso altri soggetti, da parte dell’impresa in bonis, mediante la cessione dei bonus in questione anziché in denaro.
4. L’eventuale azione di responsabilità verso l’organo amministrativo ovvero verso i professionisti che hanno curato la formazione dei bonus edilizi
Per affrontare questo argomento, partiamo dal presupposto che qualora i bonus edilizi presenti nel cassetto fiscale non siano appetibili (secondo la definizione sopra offerta) vi è sempre un responsabile.
I bonus presenti nel cassetto potrebbero infatti essere frutto di una frode, perpetrata dall’organo amministrativo. Questi casi si sono verificati principalmente in relazione al c.d. Bonus Facciate, laddove i lavori di realizzazione dei cappotti isolanti dei condomini non siano stati eseguiti e sia stata quindi falsificata tutta la documentazione sottostante. Ferma la sussistenza dell’illecito da parte di uno o più componenti dell’organo amministrativo, bisognerà valutare se sussista un danno risarcibile (ad esempio interessi e sanzioni conseguenti alla ripresa fiscale dei bonus).
In altri casi, la perdita del diritto ai bonus sarà imputabile a negligenza o imperizia dei vari tecnici che hanno assistito l’impresa. La presenza di errori o omissioni gravi tanto da inficiare il credito è molto vasta e può riguardare numerosissimi requisiti (es. assemblea condominiale, contratto d’appalto, titolo edilizio, notifica preliminare, legge 10, asseverazione sismica, esecuzione dei lavori, fattura fiscale, pagamento, asseverazione tecnica, fine lavori, comunicazione fiscale …) la cui responsabilità grava su uno o più professionisti coinvolti, oltre che spesso sullo stesso committente e sull’appaltatore.
In questi casi, laddove il curatore si astenga dal mettere in vendita dei bonus non spettanti per carenza dei presupposti[6], vi sarebbero a nostro avviso gli estremi per ritenere sussistente una responsabilità professionale dei soggetti di cui sopra, ricorrendo sia l’elemento soggettivo sia il nesso di causalità rispetto al danno cagionato, consistente nella mancata messa in vendita dei bonus.
5. Il sequestro penale in caso di bonus fraudolenti e la posizione del curatore
Il tentativo del legislatore di circoscrivere le responsabilità del cessionario del credito ha trovato un argine, al momento invalicato, nella giurisprudenza penale.
Con plurime pronunce (ex multis Cass. Pen. 40867/2022, n. 40865/2022, n. 40866/2022, n. 40868/2022 e n. 40869/2022) la Suprema Corte ha ritenuto sequestrabili i crediti fiscali anche nell’ipotesi di estraneità del cessionario da ogni concorso nel reato in ragione dell’assunto per cui i crediti ceduti costituiscono un’evoluzione del diritto alla detrazione e, pertanto, devono considerarsi comunque “cosa pertinente al reato” che ha coinvolto il beneficiario originario del bonus.
Il nuovo regime di esenzione della responsabilità (art. 121, comma 6-bis) non è tuttavia ancora stato vagliato dalla Suprema Corte e potrebbe fornire il giusto pretesto per un revirement su una questione che tuttora desta perplessità: appare irragionevole sostenere che possa coesistere il rimedio del recupero della detrazione di imposta a carico del beneficiario e contemporaneamente anche il recupero del credito in capo al cessionario, con un evidente ed inammissibile duplicazione a favore dell’Erario che finirebbe per arricchirsi indebitamente.
6. La compensazione ex art.155 CCII
È molto probabile che il curatore, nel rinvenire dei bonus nel cassetto fiscale, rilevi altresì la presenza di debiti tributari maturati prima della dichiarazione di liquidazione fiscale. Ciò dapprima in contabilità e successivamente, in modo analitico, nelle domande di insinuazione al passivo dell’Agenzia delle Entrate.
Tale situazione crea un duplice ordine di problemi: i) se vi sia compensazione, anche parziale, tra i bonus ed i debiti tributari in questione; ii) quali bonus si compensino con quali debiti tributari.
Sul primo tema è allo stato impossibile dare una risposta univoca. L’unico precedente pertinente alla questione è costituito da una risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate, numero 237/2024 pubblicata il 29.11.2024[7].
Il caso affrontato è identico a quello qui in esame e, con tale risposta, l’Agenzia delle Entrate ritiene che l’art.155 CCII si applichi alla fattispecie[8]. Salvo questo precedente, pur rilevante, non vi sono norme anche interne o circolari, che trattino specificamente la tematica del Superbonus 110% e la sua compensabilità nelle procedure concorsuali. E’ quindi opportuno fare alcune considerazioni di carattere sistematico in merito al contenuto dell’art.121 del Decreto Rilancio, anche con riferimento alle norme contenute nel Codice Civile.
Secondo il primo comma del predetto art..121, i soggetti titolari dell’agevolazione possono utilizzarla direttamente (mediante compensazione effettuata nella propria denunzia dei redditi), ovvero optare per il trasferimento del credito tramite la cessione del credito a terzi o all’impresa appaltante mediante il c.d. “sconto in fattura” (comma 1 lettera a), con cui il bonus agevolativo diventa vero e proprio corrispettivo per il pagamento. L’impresa può a sua volta cedere una sola volta il credito ad altro soggetto (tipicamente il subappaltatore o altri fornitori), ovvero ad una banca od intermediario finanziario ex art.106 T.U.B. che hanno facoltà di tre ulteriori cessioni.
Queste caratteristiche di ripetuta e, come detto, agevolata cedibilità del credito, hanno indotto taluni ad equiparare questi bonus ad una sorta di “moneta fiscale”, seppure utilizzabile solamente mediante la predetta compensazione e non tramite rimborso: a conferma di ciò il comma 1-sexies facoltizza addirittura le banche a convertire parte di tali bonus così acquistati in titoli di debito pubblico con scadenza almeno decennale.
Da più parti si è giustificato questo regime di circolazione con l’esigenza di non porre eccessivi vincoli alle imprese appaltatrici, nella consapevolezza che maggiori fossero stati i vincoli, minore ne sarebbe risultato l’utilizzo dello strumento con conseguente minore rilancio dell’economia, il che contraddiceva la ratio (“Rilancio”) della norma.
Se quindi la modalità di generazione dei crediti agevolativi è particolare (per un importo addirittura superiore – 110% - del costo sostenuto, evento senza precedenti nel nostro ordinamento), ancor più singolare è il regime relativo alle vicende circolatorie.
Già si è detto della prima cessione all’impresa, mediante sconto in fattura.
L’aspetto più saliente della norma è però la posizione del terzo cessionario dei crediti da Superbonus, in relazione alle facoltà di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
I crediti da Superbonus vengono infatti caricati nel cassetto fiscale del contribuente, in presenza di tutta la documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione di imposta, previo visto di conformità (art.121 comma 1-ter lettera a) ed asseverazione tecnica sulla congruità delle spese sostenute (art.121 comma 1-ter lettera b). Come detto, gli stessi possono essere ceduti liberamente all’impresa che li abbia ricevuti tramite sconto in fattura.
A questo punto, quid juris se i presupposti per la maturazione dell’agevolazione Superbonus siano originariamente inesistenti (per incompletezza e/o non veridicità della documentazione di cui sopra) o vengano meno successivamente (nel nostro caso, per compensazione ex art.155 CCII laddove applicabile al caso di specie)?
L’art.121 comma 5 prevede anzitutto, al riguardo, che “Qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti dei soggetti di cui al comma 1”. I soggetti di cui al comma 1 sono i proprietari/condòmini sopra indicati e questo appare logico, perché sono coloro che hanno goduto indebitamente dell’agevolazione.
Prosegue poi il comma 6 nel seguente modo: “Il recupero dell’importo di cui al comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario di cui al comma 1, ferma restando, in presenza di concorso nella violazione con dolo o colpa grave […] anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento dell’importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi”.
A nostro sommesso avviso, appare da subito di tutta evidenza la forte singolarità delle disposizioni in esame, rispetto al sistema tributario generale[9].
Infatti, l’applicazione della norma imporrebbe all’Erario di operare la ripresa fiscale sempre e comunque nei confronti del primo beneficiario del bonus (ovvero il proprietario / condomino), intervenendo il curatore della liquidazione giudiziale e l’acquirente all’incanto solo in via solidale. Questo scenario, in caso di applicazione dell’art.155 CCII laddove il curatore abbia comunque posto all’incanto i bonus[10], imporrebbe ad un incolpevole proprietario immobiliare (incolpevole perché il credito da bonus si estinguerebbe in un momento successivo rispetto al suo atto dispositivo), che abbia fruito dell’agevolazione Superbonus 110%, gli oneri ed i costi di un possibile contenzioso, senza contare gli effetti quantomeno latenti di una solidarietà passiva impostagli dalla legge. In altri termini, i commi 5 e 6 parrebbero pensati unicamente per vizi originari dei bonus (in questo caso il sistema normativo è molto condivisibile e funziona perfettamente) e non per il suo venir meno in forza di eventi successivi, qual è la compensazione ex art.155 CCII. Se pertanto le regole di soluzione della controversia sono quelle testé esaminate, la loro applicazione appare a nostro avviso assai problematica.
Parrebbe pertanto ipotizzabile il divieto di compensazione previsto dall’art.1246 n.5) c.c.[11]. In questo caso il divieto non è espresso, perché nessuna norma lo prevede specificamente. Tuttavia, l’applicazione dei suddetti commi 5 e 6 dell’art.121 del Decreto Rilancio genera non pochi problemi interpretativi e questo potrebbe forse condurre ad un giudizio di divieto implicito.
Quanto al secondo problema (quali bonus si compensano con quali crediti fiscali), anch’esso non è di semplice soluzione.
Abbiamo accennato al fatto che l’art.155 CCII non contiene, da solo, la soluzione al problema, trovando in questo caso applicazione anche l’art.1249 c.c. che a sua volta richiama l’art.1193 c.c. Quest’ultima norma potrebbe peraltro generare, in taluni casi, problemi interpretativi non agevoli da risolvere.
Esemplificando un caso assai verosimile, la sostituzione di dieci infissi in un condominio genererà dieci bonus, a loro volta suddivisi in quattro annualità e quindi quaranta righe nel cassetto fiscale e quaranta crediti distinti.
Specularmente, i ruoli esattoriali sono suddivisi per singole imposte (ad es. IVA, IRES, imposta di registro), a loro volta divise per annualità nonché per imposta, interessi e sanzioni. Troveremo pertanto molte righe corrispondenti a distinti crediti tributari.
Posto che la compensazione legale opera di diritto (previa eccezione dell’Agenzia delle Entrate), laddove il curatore ritenga che vi siano i presupposti per la compensazione dovrà comprendere quali crediti da Bonus, presenti nel cassetto fiscale, siano tuttora esistenti e quali estinti per compensazione, pur se formalmente presenti nel cassetto. Questo per cercare di evitare di vendere bonus solo apparentemente esistenti, con potenziali effetti pregiudizievoli per la massa dei creditori. In questo caso il curatore, almeno in teoria, non ha discrezionalità nell’identificare le modalità esatte di compensazione perché altrimenti verseremmo in ipotesi di compensazione volontaria (eventualmente conseguente ad un accordo transattivo tra la curatela e l’Agenzia delle Entrate).
Tale problema ovviamente inciderà sulla redazione del programma di liquidazione e, successivamente, sul bando relativo alla procedura competitiva: detta situazione renderà pertanto necessaria una approfondita interlocuzione tra il curatore, il comitato dei creditori e, in ultima analisi, anche del Giudice Delegato, il quale dovrà disporre l’autorizzazione all’esecuzione degli atti conformi al programma approvato.
In ogni caso, l’interlocuzione tra curatore e comitato dei creditori appare essenziale, perché il curatore si trova in questo caso “preso tra due fuochi”. Se mal interpreta le regole sulla compensazione, rischia di non vendere dei bonus esistenti (e che non sono più utilizzabili dopo il periodo di imposta a cui si riferiscono, ex art.121 comma 3 del Decreto Rilancio) e vendere dei bonus inesistenti, il che potrebbe generare responsabilità nei confronti dell’Erario laddove l’aggiudicatario non versi in stato di dolo o colpa grave. Viceversa, avvertire espressamente i potenziali acquirenti nell’avviso di vendita circa possibili errori sulla compensazione potrebbe generare una loro colpa grave, liberando così la procedura da responsabilità verso l’Erario, ma scoraggerebbe molti potenziali acquirenti dal partecipare alla gara.
[1] In un primo momento, infatti, le possibilità di cessione di tali crediti erano illimitate, laddove invece una delle tante novelle dell’art.121 del Decreto Rilancio ha poi provveduto a limitarle.
[2] Nelle procedure competitive finora pubblicate negli appositi siti Internet, raramente risulta presente la perizia in questione unitamente all’avviso di vendita, nonostante il chiaro disposto della norma. Probabilmente, ciò deriva dalla novità e peculiarità di tali assets, rispetto agli attivi che normalmente il curatore rinviene nel fallimento/liquidazione giudiziale: questo verosimilmente genera un’incertezza circa il modus procedendi. Non può però escludersi che tale omissione possa portare alla nullità della procedura competitiva, considerando la giurisprudenza formatasi in relazione alla medesima ipotesi in vigenza della Legge Fallimentare (ci riferiamo al relativo art.107). Ad esempio, rammentiamo la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di trasferimento di quote immobiliari senza procedura competitiva, che ha sancito la nullità di tali cessioni se non rientranti nell’ambito di transazioni dal contenuto più ampio rispetto alle pattuizioni in questione.
[3] In questo caso, secondo quanto previsto dall’art.121 commi 5 e 6 del Decreto Rilancio, l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente della detrazione non spettante nei confronti del proprietario o del condomino e, in caso di concorso nella violazione con dolo o colpa grave, nei confronti dell’impresa edile e di tutti i successivi cessionari.
[4] I documenti necessari sono elencati puntualmente:
“a) titolo edilizio abilitativo degli interventi, oppure, nel caso di interventi in regime di edilizia libera, dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui sia indicata la data di inizio dei lavori ed attestata la circostanza che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere rientrano tra quelli agevolabili, pure se i medesimi non necessitano di alcun titolo abilitativo, ai sensi della normativa vigente;
b) notifica preliminare dell'avvio dei lavori all'azienda sanitaria locale, oppure, nel caso di interventi per i quali tale notifica non è dovuta in base alla normativa vigente, dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti tale circostanza;
c) visura catastale ante operam o storica dell'immobile oggetto degli interventi oppure, nel caso di immobili non ancora censiti, domanda di accatastamento;
d) fatture, ricevute o altri documenti comprovanti le spese sostenute, nonché documenti attestanti l'avvenuto pagamento delle spese medesime;
e) asseverazioni, quando obbligatorie per legge, dei requisiti tecnici degli interventi e della congruità delle relative spese, corredate di tutti gli allegati previsti dalla legge, rilasciate dai tecnici abilitati, con relative ricevute di presentazione e deposito presso i competenti uffici;
f) nel caso di interventi su parti comuni di edifici condominiali, delibera condominiale di approvazione dei lavori e relativa tabella di ripartizione delle spese tra i condomini;
g) nel caso di interventi di efficienza energetica diversi da quelli di cui all'articolo 119, commi 1 e 2, la documentazione prevista dall'articolo 6, comma 1, lettere a) e c), del decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 agosto 2020, recante "Requisiti tecnici per l'accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici - cd. Ecobonus", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 246 del 5 ottobre 2020, oppure, nel caso di interventi per i quali uno o più dei predetti documenti non risultino dovuti in base alla normativa vigente, dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti tale circostanza;
h) visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesti la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione sulle spese sostenute per le opere, rilasciato ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, dai soggetti indicati all'articolo 3, comma 3, lettere a) e b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, e dai responsabili dell'assistenza fiscale dei centri costituiti dai soggetti di cui all'articolo 32 del citato decreto legislativo n. 241 del 1997;
i) un'attestazione, rilasciata dal soggetto che è controparte nella cessione comunicata ai sensi del presente articolo, di avvenuta osservanza degli obblighi di cui agli articoli 35 e 42 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231. Qualora tale soggetto sia una società quotata o una società appartenente al gruppo di una società quotata e non rientri fra i soggetti obbligati ai sensi dell'articolo 3 dello stesso decreto legislativo n. 231 del 2007, un'attestazione dell'adempimento di analoghi controlli in osservanza degli obblighi di adeguata verifica della clientela è rilasciata da una società di revisione a tale fine incaricata;
i-bis) nel caso di interventi di riduzione del rischio sismico, la documentazione prevista dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 329 del 6 agosto 2020, recante modifica del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 58 del 28 febbraio 2017, recante "Sisma Bonus - Linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni nonché le modalità per l'attestazione, da parte di professionisti abilitati, dell'efficacia degli interventi effettuati";
i-ter) contratto di appalto sottoscritto tra il soggetto che ha realizzato i lavori e il committente.”
[5] È infatti assai inverosimile che l’acquirente da procedura competitiva possa versare in stato di dolo, ossia conosca l’esistenza di vizi “mortali” dei Bonus acquistati, se gli stessi non risultino dall’avviso di vendita e/o dalla perizia di stima. In tal caso semplicemente costui non parteciperà alla procedura competitiva.
[6] Cosa che riteniamo opportuna se non doverosa, in considerazione del danno altrimenti arrecato all’Erario.
[8] La motivazione, contenuta nell’ultima pagina della risposta, è la seguente:
“Diversamente da quanto ipotizzato dall’istante, dunque, nel caso di specie prevale la “norma speciale” contenuta nell’art.155 del Codice della Crisi di Impresa – indipendentemente dalla natura dei crediti vantati - essendo “prioritaria, in tale circostanza, l’esigenza di garantire un incasso “certo”, sia pure mediante compensazione anche con crediti agevolativi, a fronte del rischio di un pagamento “falcidiato” all’esito della procedura”.
Si tratta di un risposta articolata, attinente perfettamente al caso di specie, che va doverosamente esaminata e di cui bisogna necessariamente tenere conto. Evidenziamo però al riguardo quanto segue:
a) a ben vedere, l’Agenzia delle Entrate con questa risposta non dà una semplice interpretazione di norme fiscali, così come sarebbe nel suo ambito proprio, ma ritiene che si applichi la compensazione ex art.155 CCII entrando quindi nell’interpretazione ed applicazione di una norma di natura totalmente diversa, sulla cui interpretazione è invece sovrano il Tribunale;
b) si tratta poi di una interpretazione che non esamina le peculiarità della normativa del Superbonus, come sopra evidenziata. A tal riguardo, a nostro sommesso avviso, detta normativa appare invece molto più “speciale”, come sopra esposto, rispetto all’art.155 CCII;
c) la parte finale della motivazione esprime piuttosto il punto di vista di un creditore concorsuale, rispetto a quello di un’amministrazione che deve dare cuique suum, affermando l’ovvia circostanza che per un creditore è meglio recuperare integralmente (seppur mediante compensazione) il proprio credito, che sottostare alle regole del concorso.
[9] Come abbiamo precisato, i commi 6, 6-bis e 6-quater dell’art.121 del Decreto Rilancio, con i ripetuti riferimenti alla responsabilità del cessionario per dolo o colpa grave, stabiliscono di fatto delle regole di opponibilità, da parte del cessionario, molto simili a quelle di circolazione dei titoli di credito e ben diverse da quelle degli ordinari crediti fiscali. Ciò è molto diverso rispetto a quanto previsto dal D.M. 30 settembre 1997 n. 384 - Regolamento recante norme per la disciplina della cessione dei crediti d'imposta, di cui riportiamo l’art.1 comma 7:
7. L'atto di cessione dei crediti di cui al comma 1 è inefficace nei confronti dell'Amministrazione finanziaria se:
a) al momento della notifica, l'Amministrazione ha già proceduto all'emissione dell'ordinativo di pagamento;
b) è stata presentata richiesta per il rimborso mediante titoli di Stato e, al momento della notifica, il Ministero delle finanze ha già proceduto alla trasmissione dell'elenco degli aventi diritto al rimborso al Ministero del tesoro;
c) al momento della notifica, risultano a carico del cedente eventuali iscrizioni a ruolo relative a tributi erariali, notificate in data anteriore a quella della notifica dell'atto di cessione. In tal caso la cessione ha effetto solo per gli importi eccedenti quelli oggetto delle iscrizioni a ruolo.
In questa norma non si discute di elemento soggettivo del cessionario: la cessione è oggettivamente inefficace verso l’amministrazione finanziaria, al ricorrere di controcrediti erariali e fino alla loro concorrenza.
[10] Come vedremo, non si tratta di uno scenario inverosimile, alla luce del fatto che per il curatore non è semplice determinare quali crediti presenti nel cassetto fiscale siano compensabili con quali carichi fiscali.
[11] secondo Cassazione 3.12.2003 n.18428, in motivazione, “la compensazione prevista dal citato art. 56, pur presentando dei caratteri di specialità rispetto a quella ordinaria potendo essere effettuata anche in assenza del requisito della esigibilità del credito nei confronti del fallito, è pur tuttavia subordinata, ai fini della sua applicabilità, alla sussistenza dei requisiti fissati dalla disciplina generale dettata in materia nel codice civile, fra i quali anche quelli della inesistenza delle limitazioni elencate nell'art. 1246 c.c. (C. 25.3.1992, n. 13095, C. 90-7652)”. Il che significa, in breve, che la norma concorsuale non deroga al divieto di compensazione previsto dal predetto art.1246 c.c.
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