Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 9715 - pubb. 18/11/2013

Il trust liquidatorio costituito in situazione di dissesto economico non è nullo o inefficace

Tribunale Cremona, 08 Ottobre 2013. Est. Borella.


Trust liquidatorio - Costituzione del trust in situazione di dissesto - Nullità - Esclusione - Applicazione della disciplina prevista nell'atto istitutivo del trust - Cessazione per impossibilità di raggiungere lo scopo.



Il trust liquidatorio costituito quando l'impresa si trovi in stato di dissesto non è ab origine nullo o inefficace ai sensi dell'articolo 13 della convenzione dell'Aja per contrasto con le norme di diritto pubblico che prevedono la liquidazione concorsuale; in detta ipotesi, infatti, la disciplina applicabile sarà quella prevista dall'atto istitutivo del trust o, in mancanza, dalla legge regolatrice prescelta, per il caso di impossibilità del trust di raggiungimento dello scopo. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Il testo integrale


Omissis

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del marzo 2012 il Fall. A. Srl in Liquidazione conveniva in giudizio il Dr. B., nella sua qualità di trustee del Trust A., onde sentir dichiarare la nullità, l'inefficacia, la risoluzione del detto Trust, ovvero la revoca dello stesso, con condanna alla consegna al Curatore dei beni conferiti; in subordine, in caso di nullità parziale, nominare il Curatore nuovo trustee in sostituzione del precedente; ordinare al trustee il rendiconto.
Allegava che, in data 01.03.2010, la società A. Srl, che già versava in stato di crisi, veniva messa in liquidazione, liquidatore il Dr. B., e, contestualmente, veniva istituito il Trust A., cui veniva conferito tutto il patrimonio sociale, con lo scopo di agevolare la liquidazione in favore dei creditori (beneficiari).
In trust venivano conferiti anche beni immobili personali della socia ES.; la società era quindi stata cancellata dal registro delle imprese in data 04.05.2010; successivamente era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Cremona in data 18.04.2011.
Il Fallimento A., richiamandosi a precedenti pronunce del Tribunale di Milano e del Tribunale di Reggio Emilia, denuncia dunque la nullità del detto trust, in quanto stipulato quando la società era già in stato di dissesto, ovvero lo scioglimento ex art. 78 L.F.; in subordine ne denuncia la simulazione e, quindi, l'inopponibilità al fallimento, in quanto sham trust, non diretto a fornire alcuna reale utilità aggiuntiva alla disciplina della liquidazione della società, ma diretto unicamente a segregare il patrimonio a danno dei creditori; in ulteriore subordine, per il caso di ritenuta validità del Trust A., chiedeva disporsi la revoca dell'atto istitutivo del trust.
Con riferimento invece ai beni personali della socia ES., conferiti in trust, invocando la validità del trust in parte qua, chiedeva dichiararsi il subentro del Curatore nella qualità di beneficiario, di guardiano o di trustee.
Spiegava infine azione di rendiconto.
Nessuno si costituiva per il convenuto.
Venivano depositate le memorie istruttorie, volte più che altro a dimostrare che la società era già in crisi all'epoca della costituzione del trust, nonchè volte alla richiesta di rendiconto, ma, essendo la causa documentale, essa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni, che aveva luogo in data 11.07.2013.
In tale data la causa veniva incamerata per la decisione, senza termini per atti conclusivi.

MOTIVAZIONE
La domanda non può accogliersi.
L'idea che un trust liquidatorio costituito quando la società già si trovi in stato di dissesto sia ab origine nullo (o inefficace), ex art. 13 Conv. Aja, per contrasto con la legge fallimentare (o meglio, con la liquidazione concorsuale, che ne costituisce l'essenza e presiede ai vari istituti in essa contemplati), norma di diritto pubblico, non appare convincente.
Infatti è noto come, a seguito delle modifiche alla L.F. succedutesi negli ultimi anni, sia stata imboccata in misura via via crescente la strada della privatizzazione delle procedure concorsuali.
Concordato, accordi di ristrutturazione, ecc., si basano su un accordo coi creditori, che ben possono ritenere non conveniente la proposta e rifiutarla, optando per la prosecuzione delle azioni individuali.
In particolare la dichiarazione di fallimento non è più, oggi, lo sbocco necessario e ineludibile delle citate procedure negozializzate, ben potendo ipotizzarsi il caso, tutt'altro che remoto, che nessuno dei creditori e nemmeno il P.M. chiedano che, risultata vana la procedura minore, sia dichiarato il fallimento.
Del resto l'ordinamento conosce altri strumenti di autonomia privata attraverso i quali il debitore, ivi comprese le società commerciali, possono gestire per via negoziale e stragiudiziale il rapporto con i creditori, tra i quali spicca la cessio bonorum, ex art. 1977 e ss c.c., rispetto alla quale non ci si è mai sognati di invocare una nullità originaria per il caso che l'impresa si trovasse già in stato d'insolvenza all'epoca della conclusione del contratto de quo.
Quanto alla tesi del carattere simulatorio del Trust A. (sham trust), secondo cui il medesimo, sulla scia di alcune pronunce del Tribunale di Reggio Emilia, non aggiungerebbe alcuna utilità al procedimento liquidatorio già previsto e disciplinato dal c.c., con ciò rivelando il suo reale e recondito scopo, ossia quello di creare un ostacolo alle pretese creditorie e dilazionare eventuali istanze di fallimento, trattasi di tesi non accoglibile nel caso di specie.
Va infatti rammentato che nel Trust A. venivano conferiti anche beni personali di soci, i quali, in forza della responsabilità limitata della Srl, in nessun caso avrebbero potuto essere aggrediti dai creditori.
Il Trust A. non sembra quindi simulato, ma al contrario effettivo e meritevole di tutela ed anzi vantaggioso per i creditori, che vedono incrementato il patrimonio destinato alla propria soddisfazione.
Quanto poi al fatto che, in tal modo, la società ha potuto spogliarsi di ogni suo bene e cancellarsi dal registro delle imprese, anticipando il termine annuale per la declaratoria di fallimento, non si vede come tale circostanza possa costituire motivo di non riconoscimento del trust.
Da un lato infatti si tratta di circostanza che non pare aver preoccupato neppure il legislatore, che ha recentemente modificato gli artt. 2484-2495 c.c., nel senso che la cancellazione dal registro delle imprese comporta automaticamente l'estinzione della società, indipendentemente dal se e dal come si sia concluso il procedimento liquidatorio (degli eventuali debiti rimasti insoluti risponderanno i soci).
D'altro canto l'anticipata estinzione della società può avere altre finalità, oltre a quella di far decorrere quanto prima il termine annuale per la declaratoria di fallimento, ad es. quello, non certo immeritevole, di evitare di continuare a pagare tasse, dipendenti, consulenti fiscali, ecc. su una società ormai destinata a morire.
Infine, quand'anche la finalità fosse quella di far decorrere quanto prima il termine annuale per la declaratoria di fallimento, non per questo il trust potrebbe considerarsi nullo o simulato: quanto ai creditori, esistendo un regime di pubblicità notizia per le vicende delle imprese, è loro onere tenersi informati sulle sorti della propria debitrice; quanto alle responsabilità penali dell'imprenditore, il fatto che riesca ad evitarle è un riflesso dell'inerzia dei debitori nel chiedere il fallimento e non già del fatto che si sia fittiziamente anticipata l'estinzione della società.
Quanto alla tesi della nullità e/o inefficacia sopravvenuta del trust, è sicuramente vero che il trust liquidatorio, di regola, non può sopravvivere all'intervenuto fallimento: si verrebbero infatti a creare due procedure liquidatorie concorrenti, una privata e una pubblica, aventi ad oggetto gli stessi beni, ed è evidente che la prima non può sopravvivere.
Più in particolare si avrebbero due procedure con identità di scopo, dove la prevalenza deve attribuirsi alla procedura pubblica, in quanto, con la dichiarazione di fallimento, la gestione della crisi d'impresa viene assunta dal Tribunale, coadiuvato dal Curatore, e, quindi, lo scopo del trust diviene impossibile.
In tal caso peraltro non è corretto ritenere applicabili, per invocare lo scioglimento sopravvenuto del trust e un ritorno dei beni alla massa, gli artt. 72 e ss LF. e, segnatamente, l'art. 78 L.F.: tutte tali norme si riferiscono infatti ai rapporti di cui è titolare il fallito, di durata o non esauriti, disciplinando l'eventuale subentro del Curatore, ovvero la loro cessazione e i relativi effetti.
Al contrario il trust, più simile in questo all'atto unilaterale di costituzione di una fondazione, piuttosto che ad un mandato (cui vorrebbe avvicinarlo chi invoca l'art. 78 L.F.), esaurisce i suoi effetti con la sua costituzione e con la dotazione degli assets destinati allo scopo, dopo di che il settlor esce di scena.
In realtà la disciplina sarà quella prevista dall'atto istitutivo del trust, o, in mancanza, dalla legge regolatrice prescelta, per il caso di impossibilità del trust di raggiungimento dello scopo (come detto derivante dalla prevalenza della procedura pubblica su quella privata).
Nel caso di specie il Trust A. prevede all'art. 8.1 che il trust abbia fine quando il trustee (o, in caso di sua inerzia, l'Autorità Giudiziaria, ex art. 42 legge di Jersey, sollecitata dal trustee, da qualunque beneficiary o dal guardiano) dichiari l'impossibilità di raggiungimento dello scopo; in tal caso, ai sensi dell'art. 14.2 dell'atto istitutivo, si prevede che il patrimonio residuo, una volta soddisfatti tutti i beneficiari, sia distribuito tra i soci della A. srl.
Peraltro l'art. 43 della legge di Jersey (rubricato "cessazione di un trust di Jersey") prevede che, senza che ciò pregiudichi i poteri della Corte di cui all'art. 51 e nonostante quanto previsto dal Trust, la Corte, adita ex art. 51, può adottare i provvedimenti ritenuti più opportuni.
Nel caso di specie, non essendo stati i beneficiari integralmente soddisfatti, il patrimonio del trust non potrà essere redistribuito tra i soci della A. Srl. ma dovrà essere attribuito alla procedura assorbente e, per essa, al Curatore, che ne curerà la liquidazione concorsuale, previo ricorso - in ciò autorizzato dal G.D. - all'Autorità Giudiziaria, ex art. 51 legge di Jersey; Autorità Giudiziaria che, in sede di volontaria giurisdizione, adotterà i provvedimenti ritenuti opportuni e, segnatamente: accerterà l'impossibilità del trust di raggiungere lo scopo; disporrà la devoluzione dei beni del trust al Curatore (che poi pare soluzione assai vicina a quella prevista dall'art. 31 co. II c.c. in tema di fondazioni, in base al richiamo sopra effettuato).
Più difficile invece che l'Autorità Giudiziaria possa nominare un nuovo trustee, magari il Curatore, in quanto ciò presupporrebbe comunque l'esistenza e la prosecuzione di una procedura liquidatoria privata parallela a quella concorsuale, del tutto sganciata da questa, laddove, come detto, una volta aperta una procedura concorsuale, questa risulta assorbente.
In altre parole, ogni volta che, dopo la costituzione di un trust liquidatorio, sopravvenga il fallimento della società, si verificherà una impossibilità di raggiungimento dello scopo del trust stesso e, allora, dovrà verificarsi di volta in volta cosa prevedano l'atto istitutivo del trust o la legge prescelta per la sua disciplina in ordine alla sorte dei beni conferiti.
Tenendo comunque presente che, quand'anche sia l'uno che l'altra prevedano scopi incompatibili con la procedura concorsuale e la legge regolatrice non attribuisca alla Corte gli ampi poteri previsti nella specie dalla legge di Jersey, il Curatore avrà comunque a disposizione lo strumento specifico dell'azione revocatoria per tornare in possesso dei beni conferiti in trust.
A fronte di tale rimedio specifico del resto, non si vede l'utilità di ipotizzare invalidità originarie o sopravvenute del trust difficilmente praticabili, salvo solo l'ipotesi dello sham trust, delineata dal Tribunale di Reggio Emilia, che però, lungi da ogni automatismo, richiede una disamina in concreto della struttura e degli scopi dello specifico trust di volta in volta sotto esame (nella specie, come evidenziato, il Trust A. non poteva considerarsi immeritevole di tutela e/o ripugnante e/o simulato, comprendendo anche beni personali dei soci che giammai, con un ordinario processo liquidatorio, avrebbero potuto essere destinati al soddisfacimento dei creditori). Del resto vale poi la pena di rilevare che l'azione revocatoria è stata bensì esercitata dal Fall. A., ma, anzichè contro l'atto di disposizione (o meglio, di dotazione) del trust, contro l'atto istitutivo, essendo invece noto e ormai pacifico in giurisprudenza che è l’atto di dotazione che deve essere aggredito.
Quanto all'azione di rendiconto, ai sensi dell'art. 20 dell'atto istitutivo essa spetta ai beneficiari e, dopo la cessazione del trust, al guardiano e al beneficiario finale.
Il Curatore non è dunque in tale fase legittimato ad avanzare la richiesta di rendiconto; potrà farlo dopo che, in base a quanto sopra argomentato, avrà agito per la declaratoria di estinzione del trust e per la devoluzione a sè dei beni.
Nel complesso la domanda va dunque rigettata.

P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, rigetta le domande attoree.
Cremona, 08.10.2013
Il Giudice


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