Diritto e Procedura Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6118 - pubb. 11/07/2011

Rifiuto di invito del giudice alla mediazione, conseguenze e valore sociale della mediazione

Tribunale Varese, 06 Luglio 2011. Est. Buffone.


Invito alla mediazione – Art.5, comma III, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 - Condizioni.

Invito alla mediazione – Art.5, comma III, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 – Mancata adesione all'invito – Conseguenze.

Invito alla mediazione – Art.5, comma III, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 – Parte a cui deve essere rivolto l'invito – Potere degli avvocati – Sussiste.

Invito alla mediazione – Art.5, comma III, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 – Foro della mediazione – Circondario del tribunale.



Il giudice può invitare le parti a valutare la possibilità di un tentativo stragiudiziale di mediazione, giusta l’art. 5, comma III, d.lgs. 28/2010, là dove taluni elementi della causa siano indicativi di una buona probabilità di chances di conciliazione. Tanto avviene, in particolare,  dove la causa interessi, dal punto di vista soggettivo, due litiganti legati da un pregresso rapporto di origine familiare, destinato a proiettarsi nel tempo in modo durevole e, quindi, allorché meriti di essere salvaguardata la possibilità di conservazione del vincolo affettivo in essere, posto che la mediazione, diversamente dalla statuizione giurisdizionale, può guardare anche all’interesse (pubblico) alla “pace sociale”, favorendo il raggiungimento di una conciliazione che non distribuisce ragioni e torti ma crea nuove prospettive di legame destinate a far sorgere dal pregresso rapporto disgregato nuovi orizzonti relazionali. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

La legge non ricollega alcuna conseguenza al rifiuto dell’invito del Giudice (coerentemente con  l’istituto della Court Annexed Mediation, di fatto recepito nell’art. 5 comma III cit.) e tale omissione non può essere colmata né con l’art. 116 comma II c.p.c., né con l’art. 88 c.p.c., in quanto il Legislatore ha voluto che la scelta dei litiganti fosse libera e genuina non influenzata dal timore di ricadute sfavorevoli nella futura decisione giurisdizionale (è una mediazione su invito e non comando del giudice). Le parti devono quindi essere avvisate che del loro eventuale rifiuto, il giudice non terrà conto nella decisione conclusiva del processo. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

La legge non specifica quale sia la parte che debba pronunciarsi sull’invito: se quella in senso sostanziale o il rappresentante legale. Deve, però, ritenersi che l’adesione all’invito costituisca una estrinsecazione del potere di cui all’art. 84, comma I, c.p.c. e quindi l’avvocato possa pronunciarsi in merito all’adesione o non. Depone verso tale soluzione anche il dato normativo che “contestualizza” invito e rinvio per l’adesione, non agevolmente immaginabile ove il Giudice dovesse, invece, rivolgere l’invito alla parte sostanziale, in genere assente dalle udienze civili se non richiesta di comparire (v. artt. 117, 185 c.p.c., etc.)  E’, però, ovvio, che, di fronte all’invito, pur se muniti di procura e pur se dotati del relativo potere, gli avvocati abbiano diritto a conferire con il cliente per fare in modo che la loro decisione sia rispettosa dell’attuale desiderio/bisogno del loro assistito. Possono, cioè, ottenere un breve rinvio della causa ai fini di una adesione all’invito più consapevole. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)

Una interpretazione orientata alla salvaguardia della funzionalità dell’istituto impone, almeno per i fori inderogabili e almeno per il caso della mediazione su invito del giudice, che il magistrato possa indicare l’ambito territoriale entro cui svolgere la mediazione. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)


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