Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6921 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. I, 23 Maggio 2008, n. 13413. Est. Schirò.


Società - Di capitali - Società per azioni - Bilancio - Contenuto - Criteri di valutazione - In genere - Disciplina dell'art. 2425 cod. civ. nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 127 del 1991 - Deroga prevista dall'ultimo comma - Presupposti - Speciali ragioni - Nozione - Fattispecie in tema di ammortamento dei beni aziendali.



In tema di valutazione degli elementi dell'attivo del bilancio di una società per azioni, le "speciali ragioni" di cui all'art. 2425, ultimo comma, cod. civ. (nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 127 del 1991), permettono la deroga agli ordinari criteri di cui ai commi precedenti della citata disposizione e non solo ai criteri massimi di valutazione e trovano giustificazione in peculiari esigenze del caso concreto, tali da rendere inadeguato il valore legale del bene; è pertanto corretta la riduzione delle quote di ammortamento dei beni aziendali operata in ragione della contribuzione degli stessi alla gestione dell'imprese (nella specie, limitata a soli tre mesi l'anno, in considerazione del carattere stagionale dell'attività imprenditoriale), al fine di tener conto del consumo e del deperimento effettivamente verificatisi a causa di tale limitata utilizzazione. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. SCHIRÒ Stefano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CATUOGNO FRANCESCO e VIRELLI TERESA, elettivamente domiciliati in Roma, via Asiago 8, presso gli avvocati Aureli Stanislao e Michele Aureli, che li rappresentano e difendono, insieme con l'avv. Alberto Caltabiano, del Foro di Bologna, per procura in atti;
- ricorrenti -
contro
VILLAGGIO TURISTICO ESTELLA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Raffaele Cadorna 29, presso l'avv. Simone Lamarra, rappresentata e difesa dagli avvocati Tommasini Raffaele e Vincenzo Arno per procura in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 200/03 in data 9 aprile 2003;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 gennaio 2008 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;
uditi, per i ricorrenti, l'avv. Michele Aureli, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 200/03 del 9 aprile 2003 la Corte di appello di Catanzaro rigettava l'appello formulato da Francesco Catuogno e Teresa Virelli avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 21 settembre 2000, che aveva respinto l'impugnazione del bilancio di esercizio della s.r.l. Villaggio Turistico Estella chiuso al 31 dicembre 1992, dai medesimi esercitata deducendo che - essendo state le quote di ammortamento calcolate, come risultava dalla relazione presentata dagli amministratori, in misura ridotta rispetto ai coefficienti di cui al D.M. 31 dicembre 1988, ma nei limiti della contribuzione dei cespiti alla gestione dell'azienda, che nella fattispecie era limitata a tre mesi, e che di conseguenza gli ammortamenti stanziati erano in sostanza pari ai 3/12 delle quote fiscalmente consentite - era evidente l'arbitrarietà della determinazione degli ammortamenti annuali che dovevano invece essere fatti in ragione del deperimento e del consumo delle singole immobilizzazioni di riferimento ai sensi dell'art. 2425 c.c., comma 1, nel testo anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127.
2. A fondamento della decisione, la Corte territoriale così motivava:
2.a. la riduzione delle quote di ammortamento delle immobilizzazioni era stata correttamente operata nei limiti della contribuzione dei cespiti alla gestione dell'azienda e quindi limitata, in considerazione del carattere stagionale dell'attività, a soli tre mesi all'anno; inoltre gli appellanti non avevano dedotto circostanze specifiche "volte a dimostrare la erronea o inesatta limitazione dell'ammortamento al periodo di effettiva utilizzazione dei beni" ed anzi avevano sostanzialmente riconosciuto che le immobilizzazioni erano state utilizzate esclusivamente nei tre mesi estivi; in ogni caso, il criterio contestato dagli appellanti era stato seguito dagli amministratori nella redazione del bilancio del precedente esercizio e riconosciuto legittimo dalla Corte di appello con sentenza del 14 ottobre 2002;
2.b. non appariva contestabile che la riduzione ad un quarto delle quote di ammortamento, a fronte del limitato utilizzo dei beni, rappresentava una delle speciali ragioni che, a norma dell'art. 2425 c.c., ult. comma, consentiva una deroga ai criteri legali di valutazione e comunque, non essendo stata operata alcuna valutazione macroscopicamente irragionevole e avendo gli amministratori fornito sufficiente spiegazione dei criteri ai quali la valutazione era ispirata, la deliberazione di approvazione del bilancio doveva ritenersi immune dai vizi denunciati.
3. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione, sulla base di tre motivi, il Catuogno e la Virelli. Resiste la società Villaggio Turistico Estella con controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti - denunciando violazione dell'art. 2423 c.c., comma 2, e art. 2425 c.c., comma 1, n. 1, - censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto "non invalidante un vizio del bilancio" che già ricorreva "in un precedente bilancio non impugnato o uscito indenne da un'impugnazione" e per non aver tenuto conto che gli ammortamenti relativi alle immobilizzazioni erano stati determinati con violazione del principio di chiarezza, non essendo stato precisato che le aliquote di ammortamento applicate corrispondevano effettivamente al deperimento e al consumo dei beni verificatesi nel corso dell'esercizio.
1.1. La censura è priva di fondamento. Non sussiste infatti nella fattispecie la dedotta violazione da parte della Corte di merito delle disposizioni normative richiamate dai ricorrenti, avendo i giudici di appello dato atto che, secondo quanto risultava dalla relazione degli amministratori, la riduzione delle quote di ammortamento delle immobilizzazioni era stata correttamente operata nei limiti delle contribuzioni dei cespiti alla gestione dell'azienda e conseguentemente limitata a soli tre mesi all'anno in considerazione del carattere stagionale dell'attività imprenditoriale, tenendo quindi conto del consumo e del deperimento effettivamente verificatisi a causa di tale limitata utilizzazione, nel sostanziale rispetto del principio di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio. Il richiamo operato dalla Corte territoriale alla circostanza che il criterio seguito dalla società nella valutazione delle immobilizzazioni era il medesimo di quello seguito nella redazione delle bilancio del precedente esercizio - e già riconosciuto legittimo dalla stessa Corte con sentenza del 14 ottobre 2002 - costituisce invece ultronea e meramente accessoria motivazione ad abundantiam, estranea alla ratio della decisione impugnata e, come tale, non suscettibile di censura in sede di legittimità (Cass. 2004/11160; 2005/10420; 2005/24591). 2. Con il secondo motivo, prospettandosi violazione dell'art. 2423 c.c., comma 2, e vizio di motivazione, si deduce che il bilancio è stato redatto, con violazione del principio di precisione, sul presupposto che l'ammortamento poteva essere determinato nella misura dei 3/12 delle aliquote fiscali, in proporzione del periodo di effettiva utilizzazione (tre mesi), senza però tener conto che il deperimento dei beni si verifica anche indipendentemente dal loro uso e per il solo effetto del trascorrere del tempo, restando irrilevante che gli attori non abbiano offerto alcuna prova diretta che gli ammortamenti effettuati erano inferiori all'effettivo deperimento dei beni, in quanto corrisponde a nozione di comune esperienza il fatto che taluni fenomeni di deperimento sono addirittura accelerati e aggravato dal non uso.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 2425 c.c., ult. comma, e si deduce che è erroneo il riferimento compiuto dai giudici di appello alle speciali ragioni previste dalla citata norma, che sarebbe idonee a giustificare eventuali deroghe soltanto ai limiti massimi di valutazione, ma non ai criteri generali con i quali le valutazioni stesse sono effettuate. Infatti, secondo i ricorrenti, la menzionata disposizione opera esclusivamente nella direzione di consentire l'attribuzione di un valore superiore ai beni per i quali operano i limiti massimi, senza però che l'applicazione della deroga possa consentire l'attribuzione ai beni di un valore superiore a quello reale, come confermato anche dalla L. n. 72 del 1983, art. 9, che postula l'esigenza che il bilancio e la relazione degli amministratori diano un quadro fedele della situazione patrimoniale. Di conseguenza non sarebbe possibile ricorrere alle "speciali ragioni" di cui all'art. 2425 c.c., ult. comma, al fine di iscrivere in bilancio ammortamenti inferiori a quelli calcolabili sulla base dell'effettivo deperimento dei beni.
4. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, sono infondati. La Corte di merito - dopo aver dato atto la riduzione delle quote di ammortamento delle immobilizzazioni era stata correttamente limitata a soli tre mesi all'anno in considerazione del carattere stagionale dell'attività imprenditoriale, nel sostanziale rispetto del principio di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio - con idonea motivazione, priva di vizi logici, ha ulteriormente osservato che gli appellanti non avevano provato che l'ammortamento fosse stato erroneamente limitato al periodo di effettiva utilizzazione delle immobilizzazioni, omettendo di indicare e dimostrare fatti e circostanze da cui potesse desumersi un consumo ed un deperimento dei beni anche nel periodo in cui questi non erano utilizzati a causa dell'esercizio stagionale dell'attività imprenditoriale. I ricorrenti criticano tale argomentazione dei giudici di appello, limitandosi a replicare, con generica affermazione, che corrisponde a nozione di comune esperienza il fatto che taluni fenomeni di deperimento sarebbero addirittura accelerati e aggravati dal non uso, ma omettendo di precisare se già nel corso del giudizio di merito fossero state indicate specifiche circostanze di fatto da cui risultasse in concreto un deperimento dei beni anche nel periodo in cui gli stessi non erano stati utilizzati per l'attività imprenditoriale stagionale. Deve pertanto ritenersi che il Catuogno e la Virelli abbiano sollevato generiche censure di merito, per giunta inidonee a delineare
A l'avvenuta rappresentazione da parte della società di un quadro non fedele della propria situazione patrimoniale ed a configurare plausibilmente la violazione, nella specie, del criterio di precisione del bilancio. Non sussiste neppure la dedotta violazione del disposto dell'art. 2425 c.c., ult. comma. Infatti le "speciali ragioni" previste dalla citata disposizione consentono la deroga ai criteri di valutazione degli elementi dell'attivo delineati dai precedenti commi dello stesso articolo e non soltanto, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti, ai criteri massimi di valutazione, e trovano giustificazione, come avvenuto nel caso di specie, in peculiari esigenze del caso concreto, che rendano inadeguato il valore legale del bene e ne impongano la rivalutazione al fine di poter rilevare l'impresa nella sua dimensione effettiva (Cass. 1973/3314; 2000/9068).
5. Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso e le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 2.600,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2008