Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6910 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 26 Gennaio 1996, n. 611. Est. Borrè.


Società - Di capitali - Società per azioni - Costituzione - Modi di formazione del capitale - Modificazioni dell'atto costitutivo - Contenuto delle modificazioni - Aumento del capitale - Nuove azioni - In genere - Negozio di sottoscrizione dell'aumento di capitale - Natura - Consensuale.



Il negozio di sottoscrizione dell'aumento di capitale di una società per azioni ha natura consensuale, e non reale, essendo il versamento dei tre decimi del valore nominale delle azioni sottoscritte, previsto dall'art. 2439 cod. civ., come quello da effettuare al momento della costituzione della società (art. 2329 n. 2 cod. civ.) - rispetto al quale è ipotizzata la mora (art. 2334 comma secondo) e la cui mancanza dà luogo, se l'atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla cosiddetta nullità della società (art. 2332 n. 6) - un'obbligazione derivante dal contratto e non elemento costitutivo dello stesso. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Michele CANTILLO Presidente
" Giuseppe BORRÈ Rel. Consigliere
" Angelo GRIECO "
" Ernesto LUPO "
" Ugo VITRONE "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
BULFERETTI GIOVANNI, el.te dom.to in Roma, Via Messedaglia 36, presso l'avv. Giovanna Dettori Masala che unitamente all'avv. Tullio Bresciani lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso. Ricorrente
contro
S.I.T. - SOCIETÀ IMPIANTI TURISTICI, in persona del legale rappresentante in carica, el.te dom.ta in Roma, Via XX Settembre 1, presso l'avv. Pietro Rescigno che insieme all'avv. prof. Giovanni Panzarini la rappresenta e difende per procura a margine del controricorso.
Controricorrente
e
CONSORZIO BACINO IMBRIERO MONTANO DI VALLE CAMONICA - B.I.M. -, in persona del presidente in carica, el.le dom.to in Roma, Via Cosseria 5, presso l'avv. Enrico Romanelli che insieme all'avv. Giacomo Bonomi lo rappresenta e difende per procura a margine del controricorso. Controricorrente
Avverso la sentenza n. 695 del 16 luglio 1992 della Corte di appello di Brescia.
Udita nella pubblica udienza del 4 novembre 1994 la relazione del cons. Giuseppe Borrè;
Uditi gli avv. Recigno e Romanelli i quali hanno chiesto il rigetto del ricorso;
Sentito il P.M., in persona del S.P.G. Eduardo Di Salvo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Il 26 febbraio 1978 l'assemblea straordinaria della s.p.a. SIT - Società Impianti Turistici deliberò l'aumento del capitale sociale mediante emissione a pagamento di 1.365.000 azioni da offrire in opzione ai soci. Il consiglio di amministrazione, delegato dall'assemblea, successivamente stabilì che il diritto di opzione doveva essere esercitato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 1978.
Con citazione del 13 aprile 1979 Giovanni Bulferetti, premesso di aver esercitato il diritto di opzione, nonché quello di prelazione per l'acquisto delle azioni non optate, purché in numero non inferiore a 910.000, convenne in giudizio la SIT innanzi al Tribunale di Brescia, chiedendo a questo di accertare il proprio acquisto delle azioni non optate o, in subordine, di pronunciare sentenza costitutiva dell'acquisto delle stesse, in ogni caso condannando la società al risarcimento del danno.
La SIT si costituì e rilevò che il Consorzio Imbrifero Montano di Valle Canonica (d'ora in avanti Consorzio BIM) aveva esercitato il diritto di opzione il 2 gennaio 1979 (giorno di proroga del termine suddetto a causa delle festività del 31 dicembre 1978, domenica, e di Capodanno) presentando il mandato di pagamento, emesso il 28 dicembre 1978 a favore della SIT, alla sede di Breno della Banca di Valle Camonica, ad un tempo tesoriere dell'ente e incaricata delle operazioni di sottoscrizione dell'aumento di capitale; concluse, quindi, che, a seguito di tale opzione, le azioni non sottoscritte erano rimaste in numero assai inferiore al minimo richiesto dal Bulferetti.
L'attore replicò che la delibera del consiglio di amministrazione prevedeva la consegna di ricevuta in conto sottoscrizione, per cui l'opzione doveva ritenersi perfezionata solo a seguito del versamento dell'importo corrispondente al valore nominale delle azioni sottoscritte; e che il versamento del Consorzio BIM era in realtà avvenuto il 3 e 19 gennaio 1979, ben oltre il termine di decadenza stabilito.
Il Consorzio BIM, chiamato in causa, si costituì e, premesso che in quanto ente pubblico non poteva eseguire pagamenti se non a mezzo della tesoreria, osservò che il mandato di pagamento alla SIT per la sottoscrizione delle azioni era stato consegnato il 31 dicembre 1978 al tesoriere, Agenzia di Breno della Banca S. Paolo, e da questa trasferito in pari data alla Banca di Valle Camonica, sede di Breno, incaricata delle operazioni di sottoscrizione.
Con altra citazione notificata alla SIT il 3 aprile 1980 il Bulferetti impugnò ai sensi dell'art. 2378 c.c., davanti al Tribunale di Brescia, la deliberazione assembleare del 21 ottobre 1979 che aveva revocato l'aumento di capitale in quanto non interamente sottoscritto (non considerandosi il diritto di prelazione esercitato in forma condizionata dal Bulferetti). Domandò l'attore l'annullamento della delibera per violazione del diritto acquisito da esso socio e, ove del caso, la dichiarazione di nullità della stessa per illiceità della causa.
Riunite le cause, il Tribunale rigettò tutte le domande proposte dal Bulferetti.
A seguito di impugnazione del soccombente la Corte di appello di Brescia, con sentenza del 16 luglio 1992, rigettò il gravame, così argomentando:
a) diversamente da quanto ritenuto dal Bulferetti, il Tribunale non aveva affermato che il versamento del Consorzio BIM sarebbe avvenuto il 3 gennaio 1979, ma aveva soltanto precisato che, mentre l'ordine di accredito alla SIT era stato impartito il 2 gennaio 1979 dalla sede di Breno della Banca di Valle Camonica, la materiale esecuzione dell'accredito stesso era avvenuta il 3 gennaio; infatti il mandato di pagamento n. 332 del 31 dicembre 1978, relativo all'intero importo di lire 61.200.000 per la sottoscrizione delle nuove azioni, era stato portato il 2 gennaio 1979 prima alla Banca S. Paolo, per la firma di tesoreria, e poi alla Banca di Valle Camonica per l'accredito alla SIT e quello stesso giorno l'importo era stato accreditato sul conto della società;
b) il versamento era da ritenersi tempestivo perché la Banca di Valle Camonica rivestiva il doppio ruolo di tesoriere del Consorzio BIM e di istituto incaricato dalla SIT delle operazioni di sottoscrizione dell'aumento di capitale, dal che discendeva la contemporaneità tra ordine di pagamento e versamento e, quindi, la tempestività della sottoscrizione;
c) in ogni caso il versamento del prezzo di acquisto non costituiva condizione di perfezionamento del contratto di sottoscrizione delle nuove azioni, avendo questo natura consensuale e non reale, sì che il versamento atteneva al suo adempimento e non alla sua formazione;
d) le particolari condizioni di offerta delle nuove azioni stabilite dal consiglio di amministrazione della SIT, che prevedevano il versamento del denaro in unica soluzione contro il ritiro di ricevuta in conto sottoscrizione, non potevano trasformare tale contratto consensuale in reale, ciò costituendo una inammissibile interferenza dell'autonomia privata nella disciplina legale della circolazione dei beni.
Concluse perciò la Corte di appello che il versamento del Consorzio BIM doveva in ogni caso considerarsi utile, essendo stata la decadenza evitata con la dichiarazione di volontà di sottoscrivere le azioni, certamente giunta alla SIT entro il termine:
donde la inesistenza della condizione (non meno di 910.000 azioni inoptate), alla quale il Bulferetti aveva subordinato la prelazione da lui esercitata.
Contro tale sentenza il Bulferetti ha proposto ricorso per cassazione, articolando quattro mezzi. Il Consorzio BIM e la società SIT hanno resistito con controricorso. Ricorrente e SIT hanno depositato memoria.
DIRITTO
1. Con il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell'art. 2439, primo comma, c.c., dolendosi che la Corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa Corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l'opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639-1976).
La lettera dell'art. 2439, primo comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l'espressione nell'atto della sottoscrizione", riferita al "dovere" del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo "dovere", usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sè libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: artt. 1766, 1803, 1813 ecc.).
Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell'aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l'immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa.
La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 legge fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l'impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell'altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall'interprete.
Non mancano, d'altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l'interpretazione consensualistica dell'art. 2439, ricavabili dall'ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329 n. 2 c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi(art. 2334, secondo comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l'atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332 n. 6 c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell'ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall'obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, terzo comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest'ultima soluzione non trova conforto ne' in una sicura esegesi ne' in un'esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell'operazione, e la dotazione dell'ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione.
Tali considerazioni confermano dunque, anche per l'art. 2439, la interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.
2. Segue ora, nell'ordine logico, l'esame della prima parte del quarto motivo, con cui il Bulferetti, deducendo insufficienza e contraddittorietà di motivazione su punto decisivo, si duole che la Corte di appello, rigettando la sua tesi subordinata, abbia escluso che le parti potessero, nella loro autonomia, costruire come reale il negozio (supposto consensuale) di sottoscrizione dell'aumento, come esse avrebbero fatto prevedendo il versamento in unica soluzione contro il ritiro di ricevuta in conto sottoscrizione. La censura è infondata.
Intanto essa non si regge come è formulata, cioè in termini di insufficienza o contraddittorietà della motivazione in fatto. Ma non avrebbe miglior sorte anche ammettendo di poterla interpretare come censura di falsa applicazione di norme di diritto.
Infatti, mentre si riconosce che, prevedendo la legge un contratto reale, le parti possano in luogo di esso elaborare, con effetti minori, un corrispondente contratto consensuale atipico (è questo il fenomeno che la dottrina chiama "progressiva erosione" del modello del contratto reale), è invece da escludere che, essendo dalla legge previsto, per un certo assetto negoziale, il meccanismo regolatore della consensualità, vera e propria "via maestra" nella produzione degli effetti giuridici, le parti possano ad esso derogare, creando un modello reale atipico.
A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, che sfugge perciò a censura.
3. Il riconoscimento della natura consensuale del negozio di sottoscrizione dell'aumento di capitale e la esclusione che le parti potessero ad esso derogare implicano che il Consorzio BIM, manifestando la propria volontà di sottoscrivere il 2 gennaio 1979, ha tempestivamente esercitato il proprio diritto e acquisito la titolarità delle azioni, non rilevando che il controvalore di queste sia pervenuto alla società nello stesso giorno o in giorni successivi.
Rimangono perciò travolti dalla conclusione testè raggiunta (e resi inammissibili perché non gioverebbero anche se fondati) gli altri motivi del ricorso del Bulferetti (il primo, il secondo e la seconda parte del quarto), con i quali la sentenza è censurata, sotto il profilo del difetto di motivazione, nella parte in cui identifica nel 2 gennaio 1979 (e non in un momento successivo) la data del versamento.
4. Il ricorso, complessivamente considerato, deve dunque essere respinto.
5. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma il 4 novembre 1994.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 GENNAIO 1996