Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6841 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione Sez. Un. Civili, 12 Novembre 1997, n. 11151. Est. Genghini.


Avvocato e procuratore - Albo - In genere - Esercizio della professione - Incompatibilità con impieghi privati retribuiti - Opera di assistenza e consulenza legale espletata da professionista in qualità di socio di cooperativa di produzione e lavoro - Incompatibilità - Esclusione - Condizioni - Fattispecie.



L'art. 3 comma terzo del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, convertito, con modificazioni, in legge 22 gennaio 1934 n. 36, che prevede l'incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato o procuratore con impieghi privati retribuiti, anche se consistenti nella prestazione di assistenza o consulenza legale (che non abbia carattere scientifico o letterario), si riferisce alle attività svolte in regime di subordinazione. Tale incompatibilità, pertanto, non è ravvisabile in relazione alla opera di assistenza e consulenza legale, che venga espletata da un avvocato o procuratore in qualità di socio di una cooperativa di produzione e lavoro, qualora difetti il presupposto per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato coesistente con il rapporto sociale e cioè, qualora si tratti di prestazioni che, indipendentemente dalla coincidenza con gli scopi sociali, si inseriscano nella comune attività economica, restando così inquadrabili, nell'ambito del rapporto societario, fra gli apporti occorrenti alla realizzazione della causa sociale (nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha confermato la decisione del Consiglio nazionale forense che ha respinto la domanda di iscrizione all'albo di un soggetto che prestava la sua attività nell'ufficio legale di una società cooperativa di produzione e lavoro; il Consiglio lo definiva, infatti, come lavoro subordinato, in quanto la prestazione resa era estranea all'oggetto sociale, per essa era percepita una retribuzione mensile, il dipendente timbrava il cartellino d'ingresso al lavoro, era inquadrato nel settimo livello, percepiva un rimborso forfetario per il lavoro straordinario e dipendeva dall'ufficio servizi della società stessa). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Aldo VESSIA - Primo Presidente F.F. -
Dott. Francesco FAVARA - Presidente di sezione -
Dott. Michele CANTILLO - Presidente di Sezione -
Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Consigliere -
Dott. Francesco AMIRANTE - Consigliere -
Dott. Massimo GENGHINI - Rel. Consigliere -
Giancarlo BIBOLINI - Consigliere -
Dott. Mario Rosario VIGNALE - Consigliere -
Dott. Antonio VELLA - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
BIGI CLAUDIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI CAPUANA 175, presso lo studio dell'avvocato MARIO PALOMBI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIORGIO CUGURRA, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI E PROCURATORI DI REGGIO EMILIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO S. PIO V 16, presso lo studio dell'avvocato BENITO SPACCAPELO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ALFONSO PORRETTA, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
nonché contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE;
- intimati -
avverso la decisione n. 126/96 del Consiglio Nazionale Forense di Roma, depositata il 09/10/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/97 dal Relatore Consigliere Dott. Massimo GENGHINI;
udito l'Avvocato Mario PALOMBI per il ricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio LEO che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decisione 2 maggio 1994 il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia rigettava la domanda del dott. Claudio Bigi di essere iscritto all'Albo, in quanto egli presta la sua attività nella struttura denominata "ufficio legale" della s.c.r.l. Coopsette, società cooperativa di produzione e lavoro. Tale rapporto era definito di lavoro subordinato, perché la prestazione resa era estranea all'oggetto sociale, ed in quanto percepiva una retribuzione fissa mensile, timbrava il cartellino pur essendo a disposizione della cooperativa ben oltre le otto ore, ed era inquadrato nel settimo livello, percependo un rimborso forfaitario per il lavoro straordinario, dipendendo sostanzialmente dall'ufficio servizi della Coopsette. Tale ufficio aveva organizzato un proprio ufficio legale interno, in contrasto con l'inquadramento del ricorrente nel settore amministrativo: si accertava infatti che la soc. cooperativa intendeva curare all'interno le pratiche legali fino ad allora preparate dai soci dipendenti e poi necessariamente affidate ad avvocati esterni.
Contro questa decisione negativa il dott. Bigi proponeva ricorso al Consiglio nazionale forense, che il 9 ottobre 1996 confermava la esposta decisione.
Propone ricorso il dott. Bigi, al quale resiste con controricorso il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Reggio Emilia. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso il ricorrente si duole perché la decisione sfavorevole sarebbe inficiata da eccesso di potere per aver ritenuto la incompatibilità ai sensi dell'art. 3, comma terzo, della Legge Professionale in presenza di un rapporto di "impiego retribuito", senza considerare che, nell'ambito di un rapporto societario cooperativo, ogni socio attraverso le sue prestazioni a favore della cooperativa e in relazione agli incarichi ricoperti, partecipa non solo al raggiungimento delle finalità sociali, ma alle determinazioni conseguenti. La motivazione della decisione implicherebbe un accertamento di fatto nei casi nei quali l'autonomia del professionista possa essere compressa da ingerenze inopportune e disdicevoli.
Con il secondo motivo del ricorso si impugna la decisione per violazione di legge, avendo ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, pur trattandosi della attività di un socio svolto a favore della cooperativa per la realizzazione dei suoi scopi istituzionali.
Il ricorso, i cui motivi possono esaminarsi congiuntamente data la loro connessione, è infondato.
Il R.D. 27 novembre 1933 n. 1578 all'art. 3, che riguarda le incompatibilità all'esercizio della professione, prevede, al terzo comma: è infine incompatibile con ogni altro impiego retribuito che non abbia carattere scientifico o letterario.
Questa Suprema Corte ha già ritenuto in questa materia che la facoltà di avvocati e procuratori, alle dipendenze di enti, di esercitare l'attività professionale in favore esclusivo del datore di lavoro e previa iscrizione negli appositi elenchi speciali annessi agli albi, è riconosciuta dall'art. 3 del R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 soltanto con riguardo agli enti pubblici (S.U. 12 gennaio 1987 n. 115, 6 agosto 1990 n. 7951, 9 dicembre 1992 n. 13005, 26 novembre 1996 n. 10490).
Ben vero che, proprio con riguardo alle società cooperative, questo Supremo Collegio ha ritenuto (sent. 29 marzo 1989 n. 1530) non ravvisabile la detta incompatibilità in relazione all'opera di assistenza e consulenza legale, che venga espletata da un avvocato in qualità di socio di una cooperativa di produzione e lavoro, qualora difetti il presupposto per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato coesistente con il rapporto sociale, e, cioè, quando si tratti di prestazioni che, indipendentemente, dalla coincidenza con gli scopi sociali, si inseriscano nella comune attività economica, restando così inquadrabili, nell'ambito del rapporto societario, fra gli apporti occorrenti alla realizzazione della causa sociale (salva la loro assimilazione al lavoro subordinato ai soli fini fiscali, a norma dell'art. 47 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597.
La impugnata decisione, invece, ha accertato che il rapporto esistente tra il ricorrente e la società era, con riguardo alla prestazione della attività legale, rapporto di lavoro subordinato distinto da quello societario ed estraneo alle finalità specifiche della società cooperativa rispetto alle quali l'attività legale aveva carattere del tutto accessorio e residuale, ... tale da potersi in concreto considerare estranea all'oggetto sociale. Contro tale accertamento di fatto non sono mosse censure specifiche, limitandosi il ricorrente ad affermare la esistenza di un eccesso di potere, ed addirittura la pericolosità di un siffatto accertamento, che implicherebbe la valutazione delle situazioni che in concreto comportano la possibilità che la autonomia del professionista possa essere compressa da ingerenze inopportune e disdicevoli. Ma in tal modo si trascura di considerare che la legge ha già presunto la esistenza di una compromissione della indispensabile autonomia del professionista, per il solo fatto della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e retribuito; e l'accertamento compiuto dalla decisione impugnata era appunto in ordine alla esistenza di un siffatto rapporto, del tutto distinto ed estraneo al rapporto societario. Neppure sussiste la lamentata violazione di legge nell'aver compiuto la impugnata sentenza l'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, atteso che questo non è incompatibile ed anzi può coesistere con il rapporto societario proprio nel caso che l'attività oggetto del vincolo sociale sia del tutto diversa da quella oggetto del rapporto subordinato retribuito; ne' può esservi confusione tra utilità a favore della società ed inerenza del conferimento lavorativo all'oggetto sociale, atteso che sovrapponendo i due concetti ne deriverebbe, posto che da qualunque prestazione lavorativa la società ne riceve una qualche utilità, la generale ed assoluta inammissibilità di un rapporto di lavoro subordinato del socio nei confronti della cooperativa. Nè vale invocare la sentenza n. 30 del 1996 della Corte Costituzionale, che ha sottolineato la diversità dell'apporto del socio di cooperativa, dalla prestazione del lavoratore subordinato, posto che quest'ultima è caratterizzata dall'alienità sia del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, sia dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce. Invero, come si evince dalla motivazione, in quella ipotesi, si versava in una fattispecie di prestazione resa dal socio rientrante nelle finalità della società cooperativa. Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso; le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, decidendo a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in lire 410.000 oltre lire 4.000.000 (quattromilioni) per onorario. Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione il 3 luglio 1997.