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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6833 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 10 Settembre 2001. Est. Panzani.

Società - Di capitali - Società per azioni - Organi sociali - Amministratori - Responsabilità - Verso la società - Azione sociale - Disciplina - Società cooperativa a responsabilità limitata - Applicabilità - Azione - Delibera dell'assemblea d'autorizzazione - Necessità - Verifica d'ufficio - Necessità - Sussistenza della delibera al momento della sentenza - Sufficienza.


Anche nella società cooperativa a responsabilità limitata l'autorizzazione dell'assemblea al promovimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, richiesta dall'art. 2393 c.c., costituisce una condizione dell'azione, la cui esistenza va verificata d'ufficio dal giudice; è sufficiente, peraltro, che tale autorizzazione sussista nel momento della pronuncia della sentenza che definisce il giudizio. (massima ufficiale)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MUSIS Rosario - Presidente -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROMANO Vincenzo, elettivamente domiciliato in Roma, via Pietro Cossa 13, presso gli Avv.ti DE VINCENTI Angelo e MALDONATO Franco, che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
VERDEROMA S.c.r.l., in persona del Presidente del consiglio di amministrazione Dott. CHIARANDINI Luigi, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Adriana 15, presso l'avv. ROMANO Nicola, che la rappresenta e difende con l'avv. PETRAGLIA Franco, giusta delega in atti;
- controricorrente ricorrente incidentale -
MALTEMPI Claudio, elettivamente domiciliato in Roma, via Flaminia 213, presso l'avv. REBOA Romolo, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
- controricorrente -
GASPARRI Luciano;
- intimato -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 660/03 dell'11 febbraio 2003.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/6/2007 dal Relatore Cons. PANZANI Luciano;
Udito l'avv. ROMANO per la controricorrente VERDEROMA s.c.r.l, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento dell'incidentale;
Udito l'avv. REBOA per il controricorrente MALTEMPI, che ha concluso per il rigetto del ricorso incidentale;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 12 e 13 aprile 1995, la Cooperativa VERDEROMA conveniva in giudizio i suoi ex amministratori Vincenzo ROMANO, Claudio MALTEMPI e Luciano GASPARRI per sentirne accertare la responsabilità per inosservanza dei doveri inerenti le cariche rivestite (fino al 7.6.1993 il GASPARRI e fino al 29.4.1994 gli altri due).
Per quanto ancora interessa, l'attrice esponeva, fra l'altro, quanto segue.
Con contratto 3.11.1984 aveva conferito l'appalto dei servizi di "stazione appaltante" al consorzio CO.LA.CO., costituito da MALTEMPI Claudio, all'epoca già componente del consiglio di amministrazione di essa cooperativa, per un corrispettivo pari all'1% dei costi dell'intero programma sociale. In data 11.3. 1989, quand' erano in carica i tre convenuti, il contratto era stato trasferito ad altro consorzio, il CO.RE.C., di cui era sempre presidente il MALTEMPI, essendo stato estinto il CO.LA.CO. Nella circostanza, il MALTEMPI aveva sottaciuto la evidente situazione di conflitto di interessi in cui si trovava, che non era stata rilevata neanche dagli altri due amministratori.
Il 21.2.1992 era stato concluso un accordo, rivelatosi pregiudizievole, diretto ad evitare interferenze da parte del consorzio SER.AS.CO., cui il CO.RE.C. aveva subappaltato l'attività affidatagli. Quest'ultimo, in risposta ad una diffida ad adempiere, aveva però disconosciuto sia il contratto 21.2.1992 che l'offerta di rinegoziazione del prezzo che aveva formulato il 4.9.1992, ed aveva introdotto un giudì zio arbitrale nel quale essa attrice era stata costretta a chiedere la risoluzione del contratto 11.3.1989. In data 28.7.1992, senza neppure consultare la stazione appaltante, nei cui compiti era compreso quello di espletare gare di appalto e stipulare contratti, il medesimo consiglio di amministrazione composto dai tre convenuti aveva affidato all'avv. BERCHICCI Giancarlo la predisposizione del contratto di appalto per la costruzione delle abitazioni sociali poi concluso con la SIRIM s.r.l., gravando la cooperativa del compenso del professionista che avrebbe dovuto far carico al CO.RE.C..
Lo stesso consiglio aveva anche consentito (ed il pagamento era stato materialmente disposto dal presidente Vincenzo ROMANO) il versamento alla SABA Costruttori s.p.a., appaltatrice delle opere di urbanizzazione, della somma di L. 608.982.898 oltre all'importo maturato dei SAL approvati dalla Direzione Lavori. Tale somma era divenuta irrecuperabile perché la SABA era fallita senza portare a termine i lavori.
Ciò premesso, la VERDEROMA chiedeva la condanna di ROMANO Vincenzo al risarcimento della somma di L. 608.982.898, e dello stesso, in solido con Claudio MALTEMPI, al risarcimento degli altri danni subiti per la stipulazione e la cattiva gestione del contratto relativo ai servizi di stazione appaltante concluso l'13.1989 con il CO.RE.C, ivi compreso l'onere del giudizio arbitrale e quello che le fosse derivato per le pretese avanzate dall'avv. BERCHICCI Giancarlo. Luciano GASPARRI restava contumace.
Claudio MALTEMPI e Vincenzo ROMANO (per quanto ancora interessa) contestavano le domande.
Il Tribunale di Roma condannava Vincenzo ROMANO a rimborsare alla attrice la somma di L. 608.982.898 pagata oltre il dovuto alla SABA Costruttori s.p.a., e respingeva le altre pretese spiegate contro i convenuti.
La Corte d'appello di Roma con sentenza 11.2.2003 respingeva l'appello del ROMANO. Osservava che non era fondata la tesi da questi sostenuta, secondo la quale il danno subito dalla cooperativa per i pagamenti effettuati in favore della SABA senza preventiva approvazione dei SAL, doveva considerarsi limitato a quanto la VERDEROMA non avesse potuto recuperare tramite l'insinuazione al passivo del Fallimento di SABA. Il Fallimento di tale società era obbligato al rimborso del corrispettivo ricevuto dalla cooperativa a fronte dei lavori non eseguiti sullo stesso piano del ROMANO, sia pur per diverso titolo di responsabilità.
Non era necessaria la partecipazione di SABA al giudizio per l'accertamento del credito risarcitorio vantato dalla cooperativa ed era legittima la condanna del ROMANO al risarcimento del danno nei confronti di VERDEROMA per l'intero ammontare della somma erogata a SABA, salva la possibilità dell'ex amministratore di rivalersi nei confronti del Fallimento di SABA, eventualmente in via di surroga ex art. 1203 c.c., n. 3.
La pretesa del ROMANO poi che la condanna pronunciata nei suoi confronti fosse estesa ai co-amministratori GASPARRI e MALTEMPI, era inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c., per non essere stata azionata in primo grado.
Quanto all'appello proposto dalla cooperativa, che si doleva dell'assoluzione del ROMANO e del MALTEMPI dall'azione di danni per quanto concerneva la stipulazione e la gestione del contratto di appalto di servizi di "stazione appaltante" conferito al COREC, in presenza di conflitto di interessi del MALTEMPI, la Corte d'appello osservava che il Tribunale aveva escluso che il contratto di appalto di servizi fosse stato stipulato dal MALTEMPI in conflitto d'interessi perché la cooperativa era socia del Consorzio CO.RE.C ed in esso era rappresentata proprio dal MALTEMPI. La cooperativa con l'appello aveva sostenuto che la sua partecipazione al Consorzio non era mai stata formalizzata, ma la circostanza in sè non era rilevante perché la situazione di conflitto d'interessi non era fonte di danno di per se stessa, danno di cui il Tribunale aveva escluso la sussistenza.
E dalla ricostruzione della vicenda contenuta nel lodo arbitrale risultava che la responsabilità degli ex amministratori, per aver esposto la cooperativa alle pretese del SER.AS.CO per il compenso di attività che erano contrattualmente dovute dal CO.RE.C., era indipendente dall'inadempimento del Consorzio in parola. Era però mancata, in concreto, ogni prova del pregiudizio che gli inadempimenti degli ex amministratori avrebbero cagionato alla cooperativa.
Quanto poi all'ulteriore addebito di negligenza mosso dalla cooperativa agli ex amministratori per aver incaricato l'avv. BERCHICCI di un'attività legale che avrebbe dovuto pretendersi dal CO.RE.C a fronte del corrispettivo forfettario pattuito per l'appalto dei servizi di "stazione appaltante", i giudici di appello osservavano che la cooperativa aveva riproposto la domanda senza criticare quanto affermato dal Tribunale e cioè che tale attività non era compresa tra le prestazioni dovute dal Consorzio. La cooperativa nel gravame aveva sostenuto che gli ex amministratori avevano riconosciuto nel verbale del consiglio di amministrazione del 28.7.1992 che la spesa doveva essere sopportata dal CO.RE.C.. Tale rilievo non era però idoneo ad inficiare l'interpretazione del contratto di appalto di servizi data dal Tribunale, mancando nel verbale 28.7.1992 l'esposizione dei motivi sui quali si fondava la diversa interpretazione proposta con l'appello.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione ROMANO Vincenzo articolando cinque motivi. Resiste con controricorso la cooperativa VERDEROMA che ha anche proposto ricorso incidentale con unico motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso anche il MALTEMPI. Il ROMANO ha proposto controricorso avverso il ricorso incidentale della cooperativa ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., GASPARRI Luciano non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c.. Con il primo motivo il ricorrente principale deduce violazione dell'art. 2393 c.c.. Lamenta che l'azione di responsabilità nei suoi confronti non fosse stata autorizzata dall'assemblea della coop. VERDEROMA. La controricorrente ha obiettato in proposito che l'eccezione non era stata proposta con i motivi d'appello e per questo motivo non era stata esaminata dalla Corte territoriale. Ha replicato il ROMANO osservando che si tratta di questione rilevabile d'ufficio.
Il motivo non è fondato.
L'autorizzazione dell'assemblea all'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, richiesta dall'art. 2393 c.c., costituisce una condizione dell'azione, la cui sussistenza va verificata d'ufficio dal giudice (Cass. 26.8.2004, n. 16999; Cass. 11 novembre 1996, n. 9849) e che, come tale, è sufficiente che sussista al momento della pronuncia della sentenza che definisce il giudizio. Nel caso di specie la cooperativa VERDEROMA a fronte dell'eccezione sollevata dal ROMANO, che aveva dedotto sin dal primo grado il difetto della delibera assembleare di autorizzazione dell'azione di responsabilità per il danno derivante dai pagamenti effettuati in favore del Consorzio appaltatore al di fuori degli stati avanzamento lavori, aveva provveduto ad adottare una successiva delibera di integrazione di quella precedentemente assunta. A seguito di tale delibera la cooperativa aveva proposto separato giudizio nei confronti degli amministratori, che poi era stato riunito al primo.
Il ricorrente nel ricorso sostiene che le deliberazioni assunte dall'assemblea di Verderoma il 23.1.1995 avevano ad oggetto "temi diversi e più limitati di quelli prospettati in citazione". La Corte d'appello avrebbe omesso di verificare la sussistenza di una deliberazione assembleare che autorizzasse l'esercizio dell'azione di responsabilità in termini corrispondenti alla domanda spiegata nei suoi confronti.
Il ricorrente non solo non precisa quale sarebbe stato il contenuto, più limitato, della delibera del 23.1.1995 rispetto alla domanda di danni spiegata dalla cooperativa, ma omette di considerare quanto da lui stesso esposto nella narrativa del ricorso, e cioè che l'assemblea della cooperativa del 6.6.1995 aveva esteso l'autorizzazione all'azione di responsabilità " per tutte quelle negligenze ed addebiti che emergono nel corso del giudizio". Tale delibera era stata assunta dopo che nel primo giudizio di danni proposto dalla cooperativa i convenuti avevano eccepito il difetto di idonea delibera assembleare di autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità perché l'azione originariamente proposta concerneva temi estranei a quelli che avevano formato oggetto dell'azione. La cooperativa aveva quindi radicato un secondo giudizio dì danni, che era stato poi riunito al primo, riproponendo le medesime domande risarcitorie già in precedenza formulate. È dunque evidente che la denunciata carenza della delibera assembleare di autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità non sussiste.
Con il primo motivo il ricorrente principale ha ancora dedotto che la Corte d'appello non avrebbe pronunciato sulla responsabilità degli altri amministratori, coobbligati solidali, e dei sindaci che avrebbero omesso di vigilare sull'operato degli amministratori. Egli si duole che la Corte d'appello sul punto abbia adottato una motivazione a suo dire laconica ed evasiva. In particolare osserva che la Corte non avrebbe risposto alle censure formulate contro la sentenza di primo grado, con cui si rilevava, con riferimento all'indebito pagamento effettuato a favore di SABA, che la delega rilasciata dal consiglio di amministrazione al ROMANO a firmare gli assegni di conto corrente (era stato il ROMANO materialmente a provvedere al pagamento di SABA) rappresentava soltanto un segno di fiducia nei suoi confronti, mentre la responsabilità ricadeva su tutti gli amministratori; che la sua responsabilità era in ogni caso da escludere in quanto i pagamenti "in eccesso" erano ben noti al consiglio di amministrazione, che al fine di prevenire ogni maggior onere finanziario aveva stipulato una garanzia fideiussoria; che infine i sindaci non avevano mai sollevato rilievi, con ciò dimostrando un implicito consenso alla sua condotta. La censura è ripresa con il quarto ed il quinto motivo del ricorso, che possono pertanto essere esaminati congiuntamente. Il ROMANO deduce violazione degli artt. 2392 e 2393 c.c., e contraddittorietà della motivazione.
Lamenta ancora che la sentenza impugnata dopo aver ammesso la responsabilità di tutti gli amministratori, abbia condannato il solo ROMANO, autore materiale dei pagamenti indebiti in favore del subappaltatore.
Insiste nel rilevare che con l'appello egli aveva sostenuto che tale pagamento costituiva soltanto un mero atto esecutivo, che prescindeva dai compiti di vigilanza e amministrazione che riguardavano tutti gli amministratori. Si duole che la Corte d'appello non si sia pronunciata sul punto.
Analogamente con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 2407 c.c., e difetto di motivazione. Torna a dolersi che la Corte d'appello non abbia pronunciato sul motivo d'appello con cui egli lamentava la responsabilità solidale dei sindaci per non aver vigilato sull'operato degli amministratori ai sensi dell'art. 2407 c.c..
In realtà la Corte d'appello ha pronunciato, sia pur in termini sintetici, su queste eccezioni rilevando, nel dichiarare inammissibile ex art. 345 c.p.c., l'azione di rivalsa proposta dal ROMANO nei confronti dei co-amministratori GASPARRI e MALTEMPI, che costoro erano responsabili insieme al ROMANO, nei cui confronti soltanto aveva agito la cooperativa per l'indebito pagamento, in quanto la responsabilità discendeva dall'aver partecipato alla delibera del consiglio di amministrazione che aveva autorizzato il pagamento stesso. La Corte d'appello ha dunque ben chiarito che la responsabilità del GASPARRI e del MALTEMPI si aggiungeva, semmai, a quella del ROMANO, ma certo non valeva ad escluderla. Va sottolineato in proposito che il giudice del merito assolve l'onere di motivazione indicando le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. ex multis Cass. 20.4.2006, n. 9234).
2. Con l'ultima parte del primo motivo e con il secondo motivo di ricorso il ricorrente principale lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto di poter porre sullo stesso piano, quali obbligati solidali, il subappaltatore che era tenuto alla restituzione dei pagamenti ricevuti dall'appaltatore senza SAI e quindi senza titolo giustificativo, e l'ex amministratore. Ad avviso del ricorrente il danno provocato alla cooperativa dal pagamento senza titolo effettuato dal ROMANO poteva essere accertato soltanto all'esito dell'insinuazione della cooperativa al passivo del Fallimento del subappaltatore, sotto pena altrimenti di un indebito arricchimento della cooperativa, che avrebbe potuto ricevere dai due obbligati più dell'esborso indebitamente effettuato.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione dell'art. 2932 c.c.. Non sarebbe sufficiente per il sorgere della responsabilità del ROMANO che si sia verificato un danno a carico della cooperativa e che tale danno sia riferibile alla condotta degli amministratori, occorrendo anche che l'inadempimento del subappaltatore possa essere imputato agli amministratori come conseguenza immediata e diretta del danno subito dalla società. Il ROMANO aveva pagato su indicazione del direttore dei lavori, per opere urgenti ed indifferibili. La circostanza che le opere non siano state eseguite non potrebbe ricadere su chi si è limitato ad eseguire i pagamenti.
Non sussisterebbe quindi la eadem causa obligandi che giustificherebbe la ritenuta solidarietà passiva del ROMANO e del subappaltatore.
La censura non è fondata. Ai sensi dell'art. 1294 c.c., i condebitori sono tenuti in solido, ove dalla legge non risulti altrimenti. Ed è insegnamento di questa Corte che la solidarietà può aversi anche quando i titoli della responsabilità facente capo ai coobbligati siano diversi, l'uno di natura contrattuale e l'altro di natura extracontrattuale (Cass. 21.12.1995, n. 13022), mentre l'affermazione che il danno subito dalla cooperativa per effetto del pagamento indebito non sarebbe conseguenza immediata e diretta dell'illecito posto in essere dagli amministratori, perché non era prevedibile l'inadempimento di SABA alle obbligazioni derivanti dall'appalto, costituisce censura di fatto inammissibile in questa sede di legittimità.
Di conseguenza ben poteva la cooperativa domandare il ristoro dell'intero pregiudizio subito nei confronti del ROMANO, salva la facoltà di questi di rivalersi, anche in via di surroga, nei confronti del Fallimento del subappaltatore per le somme pagate. 3. Con il terzo motivo il ricorrente ROMANO deduce violazione dell'art. 345 c.p.c., e contraddittorietà della motivazione. Si duole che la Corte d'appello abbia dichiarato inammissibili le domande del ROMANO nei confronti dei co-amministratori GASPARRI e MALTEMPI, affermando che si trattava di domande non proposte in primo grado.
La sentenza del Tribunale si sarebbe pronunciata sulla responsabilità degli ex amministratori, si che l'oggetto dell'eccezione già apparteneva al processo.
Il motivo non è fondato.
Dall'esame delle conclusioni assunte dal ricorrente in primo grado ed in appello risulta che la domanda di condanna in solido, ed in via subordinata, del MALTEMPI e del GASPARRI fu proposta soltanto in appello, si che correttamente la Corte territoriale l'ha qualificata come domanda nuova, come tale inammissibile. Nè rileva che il Tribunale abbia fatto riferimento alla responsabilità solidale dei co-amministratori, trattandosi chiaramente di un obiter dictum (si è già detto che la cooperativa per il pagamento indebito aveva agito nei confronti del solo ROMANO), inidoneo ad ampliare il thema decidendum.
4. Con il ricorso incidentale la cooperativa VERDEROMA deduce violazione degli artt. 278 e 112 c.p.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria. La cooperativa aveva chiesto la condanna in solido del ROMANO e del MALTEMPI per la nomina quale stazione appaltante per i lavori, in conflitto d'interessi, dei consorzi CO.RE.C e SERASCO. Lamenta che la Corte territoriale non abbia ritenuto provato il danno ed abbia pertanto rigettato la domanda, anziché pronunciare condanna generica, come richiesto. In proposito il MALTEMPI ha eccepito l'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata per quanto concerne il capo relativo al rigetto dell'appello proposto nei suoi confronti, affermando di aver notificato la sentenza alla cooperativa VERDEROMA presso il domicilio eletto il 19.11.2003, senza che la cooperativa proponesse impugnazione nel termine di legge.
In proposito è sufficiente rilevare che il MALTEMPI non ha provato quanto asserito. Come osservato dal controricorrente, infatti, i documenti prodotti con il controricorso (docc. nn. 2 e 4) sono una fotocopia della sentenza impugnata incompleta e priva della data di notificazione e una copia informe ed anch'essa incompleta di un certificato di non proposto appello, rilasciato dalla cancelleria della Corte d'appello di Roma, dal quale non risulta a quale sentenza ci si riferisca.
Il motivo è tuttavia inammissibile.
La Corte di merito ha escluso che il danno fosse stato provato nella sua esistenza, osservando che era documentata la richiesta alla cooperativa di L. 1.832.074.628 da parte del SERASCO, ma che questa pretesa non poteva essere collegata senza incertezze all'attività di progettazione e direzione lavori che dovevano essere prestate dal CO.RE.C. Nè risultava provato che a quella pretesa fossero seguiti pagamenti.
Quest'affermazione della sentenza impugnata non è censurata dalla ricorrente ed è da sola sufficiente ad escludere che i giudici d'appello potessero pronunciare condanna generica, che prescinde dalla prova del danno nella sua concreta entità, ma richiede pur sempre la prova che il pregiudizio si sia verificato. Invero ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 278 c.p.c., non è sufficiente accertare l'illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chiede anticipatamente la tutela, non può essere configurato. Nel caso di condanna generica, infatti, ciò che viene rinviato al separato giudizio è soltanto l'accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l'esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa devono essere accertati nel giudizio relativo all'"an debeatur" e di essi va data la prova sia pure sommaria e generica, in quanto costituiscono il presupposto per la pronuncia di condanna generica (Cass. 1.8.2001, n. 10453).
5. Il ROMANO va condannato alle spese del giudizio di cassazione in favore della cooperativa Verderoma in ragione della prevalente soccombenza, spese liquidate in Euro 8.100,00, di cui Euro 8.000,00, per onorari. La cooperativa va condannata alle spese nei confronti del MALTEMPI, liquidate in Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00, per onorari.
P.Q.M.
La Corte:
Riuniti i ricorsi, li rigetta; Condanna il ricorrente principale alle spese in favore della cooperativa VERDEROMA, liquidate in Euro 8.100,00, di cui Euro 8.000,00, per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge; Condanna la cooperativa alle spese nei confronti del MALTEMPI, che liquida in Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00, per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 20 giugno 2007
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2007