Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6634 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 20 Marzo 2009, n. 6870. Est. Ragonesi.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Amministrazione controllata - Ammissione - Provvedimento - In genere - Rigetto - Contestuale dichiarazione di fallimento - Legittimità - Nuova convocazione del debitore - Necessità - Esclusione - Condizioni.



Il tribunale fallimentare, nel disattendere la domanda di ammissione dell'imprenditore all'amministrazione controllata, ha il potere-dovere, su istanza dei creditori, ovvero anche d'ufficio, a norma dell'art.6 del r.d. 16 marzo 1942 n.267, di dichiarare contestualmente il fallimento, nel concorso delle prescritte condizioni, senza che si renda a tal fine necessaria, ove detta declaratoria venga resa sulla base degli elementi già acquisiti (e sui quali sia stato sentito il debitore), una nuova convocazione dell'imprenditore in camera di consiglio, purché attraverso quella già ricevuta egli sia stato posto in grado di acquisire la compiuta conoscenza dei problemi e delle conseguenze che l'iniziativa comporta a suo carico e gli elementi necessari a contestare la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, onde stabilire le opportune linee difensive. (massima ufficiale)


Massimario, art. 192 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario - Presidente -
Dott. NAPPI Aniello - Consigliere -
Dott. BERNABAI Renato - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO DELLA INDUSTRIA E COMMERCIO DEL LEGNO - AZIENDA TECNICA - I.C.L.A.T. S.R.L., in persona del Curatore Dott. SUPINO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI 11, presso l'avvocato TIRONE MASSIMO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
I.C.L.A.T. S.R.L. - INDUSTRIA E COMMERCIO DEL LEGNO - AZIENDA TECNICA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 64, presso l'avvocato CARLETTI DANIELA, rappresentato e difeso dall'avvocato PIETRUNTI GIOVANNI, giusta procura speciale per Notaio dott. FIORITA PUZONE di CAMPOBASSO - Rep. n. 92285 del 06.02.09, depositata in udienza;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 208/2004 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 15/07/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2009 dal Consigliere Dott. RAGONESI VITTORIO;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato TIRONE MASSIMO, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l'Avvocato GIOVANNI PIETRUNTI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA AURELIO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Iclat srl - Industria e Commercio del Legno - Azienda Tecnica proponeva appello contro la sentenza n. 361 del 24 giugno 2002, con la quale il Tribunale di Campobasso aveva rigettato l'opposizione proposta da essa appellante, contro la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dallo stesso Tribunale in data 11 aprile 2001. A sostegno del gravame, l'appellante deduceva che:
a) la sentenza dichiarativa di fallimento era nulla per violazione del diritto di difesa della società, dichiarata fallita all'esito di un'audizione del suo legale rappresentante in funzione di mera illustrazione dell' istanza di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, in assenza di alcuna convocazione ad altro fine, o di ricorsi dei creditori o di alcuna contestazione dello stato di insolvenza, sì che la società non era stata posta in grado di approntare difese e controdeduzioni sui diversi presupposti della dichiarazione di fallimento; b)la sentenza dichiarativa di fallimento era del pari nulla in relazione alla non corretta formazione dei collegi giudicanti; c) il provvedimento unitario di non ammissione alla procedura di amministrazione controllata e di contestuale dichiarazione di fallimento aveva pregiudicato, in concreto, le facoltà di impugnazione da parte della società fallita; d) la contestualità del rigetto dell' istanza di amministrazione controllata e della dichiarazione di fallimento aveva impedito alla società dichiarata fallita di prospettare altre soluzioni, come proporre una domanda di concordato; e) la sentenza dichiarativa di fallimento era nulla perché pronunciata al di fuori dei casi (previsti dalla legge) in cui poteva essere esercitato il potere d'ufficio di cui alla L. Fall., art. 6; f) nel merito, erroneamente il primo Giudice aveva ritenuto l'inadeguatezza del piano di risanamento e la irreversibilità delle difficoltà finanziarie prospettate nell'istanza di amministrazione controllata. Nel costituirsi in giudizio, la curatela fallimentare chiedeva il rigetto dell'appello, ritenendo che fossero pienamente soddisfatte tutte le condizioni di merito e di rito per la declaratoria di fallimento.
La Corte d'appello di Campobasso, con sentenza del 29.6.04, in parziale accoglimento dell'appello e in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità della sentenza 11 aprile 2001, n. 13, con la quale il Tribunale di Campobasso aveva dichiarato il fallimento della Iclat e con separata ordinanza provvedeva per il prosieguo del giudizio.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il fallimento della ICLAT srl sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria, cui resiste con controricorso la ICLAT srl.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso il fallimento ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che fosse stato violato nel caso di specie il diritto di difesa di cui alla L. Fall., art. 15, perché il decreto di convocazione del debitore non riportava che la situazione finanziaria del debitore sarebbe stata valutata non solo ai fini dell'ammissione alla amministrazione controllata ma, in caso di esito negativo, anche ai fini della dichiarazione di fallimento. Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente sull'assunto che il motivo di ricorso non sarebbe inquadrarle nell'art 360 c.p.c., n. 4, come indicato dal ricorrente poiché non risulterebbe denunciato alcun vizio di attività del Giudice d'appello bensì un vizio di giudizio. Il motivo è infondato.
In primo luogo, a prescindere da ogni valutazione - di cui si dirà - circa il vizio effettivamente fatto valere con il motivo di ricorso se, cioè, un vizio attinente al procedimento o al giudizio, è sufficiente considerare che la costante giurisprudenza di questa Corte che ripetutamente affermato che ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la esatta indicazione delle disposizioni di legge delle quali viene lamentata l'inosservanza, ne' la corretta menzione dell'ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il Giudice di legittimità, purché si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia. (Cass. 6671/06; Cass. 26091/05 Cass. 10816/00).
L'indicazione, infatti, delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell'ammissibilità del ricorso, ma come elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti dell'impugnazione. Pertanto la mancata o non corretta indicazione delle disposizioni di legge non comporta l'inammissibilità del gravame, qualora gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano di individuare le norme e i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione delle questioni sollevate. (Cass. 20091/05).
In applicazione dei detti principi, ad esempio, è stato ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti l'omessa pronuncia da parte del Giudice del merito ai sensi dell'art. 112 c.p.c., ancorché la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), anziché sotto il profilo dell'"error in procedendo" (in relazione al citato art. 360 c.p.c., n. 4). (Cass. 6671/06).
Nel caso di specie, il motivo proposto dal fallimento ricorrente delimita con assoluta chiarezza la questione che viene proposta all'esame di questa Corte lamentandosi dell'errore del Giudice di appello nell'avere ritenuto violato la L. Fall., art. 15, per la mancata espressa menzione nell'avviso di convocazione per l'esame della istanza di ammissione alla procedura di amministrazione controllata della circostanza che il rigetto della istanza stessa avrebbe potuto comportare la dichiarazione di fallimento. Sotto tale profilo non rileverebbe dunque una erronea indicazione dell'indicazione del motivo nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4, anziché art. 360 c.p.c., n. 3. A prescindere da tutto ciò, comunque, non può non osservarsi che la censura proposta concerne effettivamente un vizio del procedimento rientrante nell'ipotesi di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4. La questione giuridica che si pone all'esame di questa Corte attiene, infatti, ad un vizio del procedimento inerente la dichiarazione di fallimento riguardante l'avvenuta o meno garanzia del diritto di difesa tramite l'indicazione nell'avviso di convocazione del debitore delle eventuali conseguenze del rigetto della propria istanza di ammissione alla procedura di amministrazione controllata. È del tutto ovvio che nel momento in cui la dichiarazione di fallimento viene impugnata sotto il profilo dianzi accennato dapprima il Tribunale, quale Giudice dell'opposizione alla sentenza di fallimento, e successivamente la Corte d'appello (se investita del gravame avverso la sentenza del Tribunale) emanano un giudizio circa l'esistenza o meno del vizio del procedimento. Ciò però non sta a significare che il vizio originariamente dedotto sotto il profilo di vizio dell'attività processuale del Giudice si trasformi, a seconda di come il Giudice o i Giudici del gravame decidono, in vizio di giudizio. Ciò che rileva infatti è la natura originaria del vizio che viene fatta valere e sulla quale i Giudici dei diversi gradi di impugnazione si pronunciano e che, nel caso di specie, consiste sempre nel valutare se vi sia stata violazione o meno della L. Fall., art. 15, e, quindi se vi sia stato o meno un vizio nel procedimento volto alla dichiarazione di fallimento.
Venendo all'esame del ricorso, lo stesso si rivela fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il tribunale fallimentare, nel disattendere la domanda di ammissione dell'imprenditore all'amministrazione controllata, ha il potere - dovere, su istanza dei creditori, ovvero anche d'ufficio, a norma del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 6, di dichiarare contestualmente il fallimento, nel concorso delle prescritte condizioni, senza che si renda a tal fine necessario, ove detta declaratoria venga resa sulla base degli elementi già acquisiti (e sui quali sia stato sentito il debitore), una nuova convocazione dell'imprenditore in Camera di consiglio. (Cass. 555/01; Cass. 2619/85; Cass. 161/72). Naturalmente, al fine di garantire al debitore l'effettivo esercizio del diritto di difesa, se è indispensabile che egli sia informato dell'iniziativa assunta nei suoi confronti, è altresì necessario che la relativa convocazione, per svolgere la funzione di garanzia che le è propria, sia da lui ricevuta prima della audizione nella sede giudiziale competente e contenga la precisa ed adeguata rappresentazione delle ragioni e delle finalità della stessa, affinché il debitore medesimo sia posto in grado di acquisire la compiuta conoscenza dei problemi e delle conseguenze che l'iniziativa comporta a suo carico e gli elementi necessari a contestare la sussistenza dei presupposti (soggettivi ed oggettivi, positivi e negativi) per la dichiarazione di fallimento, onde stabilire le opportune linee difensive. (Cass. 8091/04).
Nel caso di specie tale obbligo di garanzia deve ritenersi sia stato rispettato. Risulta infatti dagli atti che il decreto di convocazione della Iclat per essere sentita in Camera di consiglio in ordine alla istanza di amministrazione controllata, emesso dal presidente del tribunale in data 21.2.01, testualmente recita che veniva fissata l'udienza del 21.3.01 "per la comparizione del debitore avanti al giudice relatore già nominato, Dott. Russo Michele, al fine di verificare se sussistano i requisiti e le condizioni per l'ammissione della richiedente all'amministrazione controllata ovvero se la società versi in stato d'insolvenza".
Dal citato tenore letterale dell'avviso di convocazione non può essere messo in dubbio la circostanza che il riferimento all'eventuale accertamento dello stato d'insolvenza non poteva non significare che, in caso di mancanza dei requisiti per l'ammissione alla procedura di amministrazione controllata, il tribunale avrebbe valutato la sussistenza delle condizioni per la dichiarazione di fallimento.
Sotto tale profilo non corretta e del tutto formalistica appare la valutazione della Corte d'appello secondo la quale nell'avviso in questione si sarebbe dovuto espressamente chiarire che l'accertamento dello stato d'insolvenza avrebbe comportato la dichiarazione di fallimento.
A prescindere dal fatto che chi svolge l'attività imprenditoriale non può non essere a conoscenza di elementari principi giuridici che concernono lo svolgimento dell'attività imprenditoriale, tra cui quello che la sussistenza dello stato d'insolvenza comporta la dichiarazione di fallimento, non può non rilevarsi che all'udienza di comparizione ebbero a comparire con l'imprenditore anche il commercialista e l'avvocato difensore (circostanza non contestata dal controricorrente) onde appare contrario a principi elementari di logica ritenere che la Iclat srl non fosse stata messa in condizione di conoscere le eventuali conseguenze che potevano derivare dal rigetto della istanza di ammissione all'amministrazione controllata. Il motivo va pertanto accolto, la sentenza impugnata va di conseguenza cassata, con rinvio anche per le spese alla Corte d'appello di Campobasso in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese alla Corte d'appello di Campobasso in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2009