Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6620 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. I, 29 Aprile 1992, n. 5147. Est. Morelli.


Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Cessazione - Concordato fallimentare - Assuntore - Beni del fallito - Trasferimento all'assuntore - Subordinazione all'esecuzione degli obblighi da questo assunti - Clausola - Effetti - Assuntore - Atti di disposizione dei beni del fallito - Efficacia - Concordato - Annullamento - Conseguenze.



In tema di concordato fallimentare, la clausola che differisca il trasferimento dei beni del fallito all'assuntore del concordato stesso, subordinandolo all'esecuzione, da parte sua, degli obblighi ai quali si è assoggettato, comporta che l'assuntore debba procedere al soddisfacimento dei creditori con moneta propria, rimanendo detti beni, "medio tempore", nella massa fallimentare, con la conseguenza che eventuali atti di disposizione su di essi compiuti da parte dell' assuntore sono sospensivamente condizionati nell'efficacia al verificarsi del detto evento, che costituisce oggetto della clausola di differimento. Pertanto, ove divenga impossibile l'avveramento di tale condizione - come nel caso di annullamento del concordato - l'atto dispositivo non acquista efficacia ed il bene rimane nella disponibilità del curatore del fallimento (riaperto). (massima ufficiale)


Massimario, art. 123 l. fall.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giancarlo MONTANARI VISCO Presidente
" Alfredo ROCCHI Consigliere
" Rosario DE MUSIS "
" Vincenzo CARBONE "
" M. Rosario MORELLI Rel. "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
RIZZO GIUSEPPE, res. in Catania ed elett.te dom.to in Roma, Via Callazia 2 F presso l'avv. Vincenzo Galatà, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Basile, giusta delega a margine del ricorso;
Ricorrente
contro
CALARESE ANDREA E SALVATORE;
Intimati
E sul secondo ricorso n. 9169-86 proposto:
da
CALARESE ANDREA E CALARESE SALVATORE res.ti a Catania, ed elett.te dom.ti in Roma Via Porta Pinciana 6 presso l'avv. Giovanni Magnano, rappresentati e difesi dall'avv. Marcello Vagliasindi giusta delega a margine del ricorso;
Ricorrenti
contro
RIZZO GIUSEPPE;
Intimato
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania del 28.3.86;
Udita - nella pubblica udienza tenutasi il giorno 10.5.1991 - la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Dr. Morelli;
Sentito il P.M. nella persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Lanni che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 17 marzo 1981, Giuseppe Rizzo conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Catania la curatela del fallimento di Andrea e Salvatore Calarese, deducendo di avere, in data 26 ottobre 1966, stipulato con Francesco Grasso, allora assuntore del concordato fallimentare dei Calarese, omologato con sentenza del 28 giugno 1966, un preliminare di vendita di un appartamento in Via Rasà, in Catania, per un corrispettivo di L. 4.400.000.
Aggiungeva che l'atto definitivo non era stato stipulato, essendo sopravvenuta la cessazione dell'assuntoria, per effetto della procedura fallimentare; e che più volte aveva inutilmente richiesto alla curatela il trasferimento dell'appartamento promesso in vendita del quale aveva già conseguito il possesso.
Ciò premesso, chiedeva dichiararsi la curatela tenuta ad ottemperare al preliminare di vendita e disporsi, con sentenza in luogo dell'atto pubblico, il trasferimento in suo favore dell'appartamento oggetto del preliminare, per cui si diceva pronto a pagare il residuo prezzo con gli interessi legali.
La curatela, costituitasi in giudizio, deduceva l'inopponibilità nei suoi confronti del preliminare, sia perché l'assuntore del concordato non aveva la proprietà dell'immobile ne' il potere di venderlo prima del totale adempimento degli obblighi nascenti dal concordato, sia perché il concordato era stato annullato dal Tribunale con sentenza del 24 febbraio 1967.
Riconvenzionalmente chiedeva la condanna dell'attrice al rilascio dell'appartamento e al pagamento di congrua somma quale corrispettivo per il godimento dell'immobile.
Con comparsa del 9 febbraio 1982, intervenivano in giudizio Andrea Calarese e Salvatore Calarese, i quali, premettendo che nelle more del giudizio il fallimento era stato dichiarato chiuso, facevano proprie le eccezioni difensive e le domande riconvenzionali della curatela.
2. Con sentenza del 31 ottobre 1983, il Tribunale rigettava la domanda e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava l'attore al rilascio dell'immobile.
3. Detta sentenza, su appello del Rizzo veniva confermata dalla Corte di Catania.
La quale osservava che la cessione dell'attivo fallimentare all'assuntore Francesco Grasso era stata, nella specie, effettivamente subordinata "all'adempimento" del concordato; che per effetto di tale condizione, l'assuntore non aveva ancora, al momento della stipula del preliminare, la disponibilità dell'immobile promesso in vendita, ne' ne aveva acquistato successivamente la proprietà, essendo pacifico che il concordato era stato annullato con sentenza del 24 febbraio 1967; che, "in ogni caso, anche a ritenere un potere del Grasso di disporre delle attività fallimentari, tale potere era condizionato all'acquisto delle attività stesse, sicché, non verificatosi tale acquisto, anche il preliminare di vendita è stato travolto dal mancato verificarsi della condizione"; che infondato era poi l'assunto che il preliminare fosse opponibile alla curatela (e quindi ai falliti) per avere quella chiesto all'assuntore, dopo l'annullamento del concordato, il rendiconto della sua gestione anche per le somme percepite in forza del detto preliminare, poiché, con tale richiesta il curatore non aveva inteso ratificare il negozio concluso dal Grasso, ma solo avere conto della sua gestione, come era confermato dal fatto che il giudizio di rendiconto era stato proposto contro l'assuntore, mentre la volontà di ratifica avrebbe dovuto essere rivolta al Rizzo ed esternata con le forma dell'atto scritto, ex art. 1350 cod. civ. 4. Contro tale sentenza, depositata il 30 aprile 1986, ricorre, appunto ora il Rizzo, con tre mezzi di cassazione.
Resistono gli intimati con controricorso e propongono, a loro volta ricorso incidentale condizionato.
I Calarese hanno anche depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo mezzo del ricorso - incentrato sulla dedotta violazione degli artt. 1351 ss., 1357, 2932 cod. civ., in relazione agli artt. 123. 123 della legge fallimentare (r.d. 19 marzo 1942 n. 267) - il Rizzo critica, in sostanza, la sentenza impugnata per avere erroneamente a suo avviso, sovrapposto e confuso gli effetti della chiusura del procedimento concorsuale - im esito al quale, se resta ancora qualcosa dell'attivo dopo il pagamento di tutti i creditori, tale residuo è acquistato iure proprio dall'assuntore - con il momento precedente e dinamico della vicenda.
Ciò, infatti, avrebbe impedito alla Corte di Catania di avvedersi che la su riferita condizione (subordinante il trasferimento dell'attivo all'adempimento del concordato) riguardava, appunto, tale acquisto, in proprio, del residuo della massa ex fallimentare, da parte dell'assuntore, e non già si riferiva (nè avrebbe potuto riferirsi) ai "poteri" immediati di disposizione (al fine di liquidazione) che la legge attribuisce al medesimo assuntore in ordine ai beni della massa fallimentare, per l'assolvimento della sua "funzione" di pagare i creditori "secondo le percentuali convenute". Indipendentemente dal (previo) acquisto della proprietà sui ben predetti beni (nella specie sub condicione), l'assuntore - in altre parole - avrebbe comunque potuto (e dovuto) disporne, in sede e in funzione della liquidazione dell'attivo.
E ciò avrebbe validamente fatto - con riguardo all'immobile in questione - promettendolo in vendita al Rizzo.
Per cui, stante la validità di tale preliminare - efficace (sempre secondo il ricorrente) anche nei confronti del fallimento poi riaperto - il curatore di questo avrebbe "avuto l'onere di esercitare l'azione revocatoria", ove avesse voluto impedirne l'operatività. 1-bis. La complessa censura così (pur suggestivamente) formulata è, però, sotto ogni profilo infondata.
L'errore giuridico di fondo, che ne vizia la premessa ed i passaggi logici conseguenziali, sta invero nel ritenere che l'assuntore sia titolare di una "funzione" nel contesto della procedura fallimentare e che all'esercizio di questa siano coessenziali "poteri" di disposizione e liquidazione dei beni della massa.
Vero è invece:
che nessuna funzione viene o può essere demandata
all'assuntore, il quale non è ne' in alcun momento mai diviene organo del fallimento;
che ancor meno può configurarsi un suo dovere od obbligo di far fronte al soddisfacimento dei creditori concorsuali col ricavato della vendita dell'attivo fallimentare, essendo viceversa l'assuntore arbitro di scegliere di pagare i creditori con denaro attinto dal proprio patrimonio in luogo che con le somme ottenute dalla liquidazione dell'attivo. E ciò pur quando il concordato (rectius la sentenza di omologazione) comporti il trasferimento in suo favore dei beni del fallito;
che, per altro - essendo tale trasferimento, come già puntualizzato, uno soltanto dei possibili effetti della sentenza di omologazione (il quale deve essere coordinato con quello principale e tipico che consiste nella composizione giudiziale del dissesto dell'imprenditore mediante un regolamento negoziato ed omologato che ponga termine alle operazioni fallimentari: (cfr. Cass. 1977 n. 4159) - è per l'appunto valida, in virtù del principio di autonomia negoziale, la clausola che (come nella specie) differisca il trasferimento dei beni all'assuntore, subordinandolo all'esecuzione, da parte sua, degli obblighi cui si è assoggettato (cfr. ivi e Cass. 1987 n. 4715);
che, in presenza di una clausola siffatta - dovendo escludersi un reingresso medio termine del fallito nella titolarità e disponibilità dei beni caduti nel fallimento (cfr. Cass. 1987 n. 4715 cit.) - la condizione dei beni stessi è, conseguentemente, quella di immanente indisponibilità e permanenza nella sfera del fallimento: onde diviene obbligata per l'assuntore la scelta del pagamento dei creditori con moneta propria;
che, in tale contesto, l'atto di disposizione di beni del fallito, eventualmente posto in essere dall'assuntore, può al più generare un vincolo sussumibile nel paradigma dell'art. 1357 cod. civ..
Con la conseguenza che - ove sia divenuto impossibile l'avveramento della condizione (come, nella specie, a seguito dell'annullamento del concordato) - l'atto dispositivo non acquista efficacia ed il bene rimane nella massa, nella disponibilità cioè del curatore del fallimento (riaperto): al di fuori, quindi, di ogni ipotesi di esercizio di revocatoria (di cui difettano, evidentemente, in radice, i presupposti).
Tali principi appunto sono stati correttamente applicati nella sentenza di appello, sia in punto di esegesi della clausola concordataria, sia ai fini delle correlative implicazioni sulla sorte del preliminare concluso medio tempore dal Grasso.
E per ciò essa si sottrae alle critiche di cui è stata fatta oggetto con il primo motivo del ricorso.
2. Del pari infondato è per altro, anche il successivo secondo mezzo, con il quale si lamenta dal ricorrente che sia stata erroneamente esclusa la dedotta ratifica del comportamento dell'assuntore da parte del curatore e comunque omessa la valutazione del contenuto della statuizione conclusiva del giudizio di conto, in ordine al giudicato che si sarebbe formato "sulla legittimazione dell'assuntore a stipulare il compromesso per cui è causa". Sotto il primo profilo la censura è, infatti, assolutamente generica, esaurendosi in una apodittica asserzione di erroneità della valutazione (in punto di inesistenza della ratifica) operata dalla Corte di Appello e che per essere sorretta da articolata motivazione (. narrativa) ineccepibile sia sul piano logico che giuridico, sfugge al sindacato di legittimità.
E, quanto all'eccezione di giudicato (esterno), questa (a prescindere dalla sua tardiva formulazione) è stata comunque implicitamente già confutata dalla Corte di Catania: là dove questa ha escluso (anche in questo caso con apprezzamento di merito correttamente motivato e perciò non sindacabile in sede di legittimità) che il predetto giudizio di conto abbia avuto oggetto diverso od ulteriore da quello del mero rendiconto delle somme riscosse dall'assuntore, fuori da ogni valutazione sulla validità od efficacia degli atti dal medesimo posti in essere con riguardo ai beni del fallito.
3. Nè a miglior sorte va incontro il residuo terzo motivo dell'impugnazione, con il quale (oltretutto assertivamente) si assume l'erroneità del disposto rilascio dell'immobile: che è viceversa statuizione giuridicamente ineccepibile, nella sua logica conseguenzialità rispetto al rigetto della domanda (ex art. 2932 c.c.), volta ad ottenere la costituzione giudiziaria del titolo di proprietà sull'immobile detenuto dal promissario acquirente. 4. Il ricorso va pertanto integralmente respinto: restando, di conseguenza, assorbito il ricorso incidentale condizionato dei Calarese.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.
Spese compensate.
Deciso in Roma il 10 maggio 1991.