Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6487 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 18 Settembre 2003, n. 13746. Est. Rordorf.


Società - Di capitali - Società per azioni - Scioglimento - Liquidazione - Liquidatori - Poteri - In genere - Potere di rappresentanza della società - Decorrenza dalla data di iscrizione della nomina nel registro delle imprese - Conseguenze - Procura alle liti rilasciata, prima di detta data, dall'amministratore della società - Validità.



In tema di scioglimento di società, l'art. 2310 cod. civ., richiamato, quanto alle società per azioni, dall'art. 2452, primo comma, del codice medesimo, prevede espressamente che il liquidatore è investito del potere di rappresentare la società, anche in giudizio, non già dal momento della sua nomina (assembleare o giudiziale che sia), bensì dalla data dell'iscrizione di tale nomina nel registro delle imprese. Pertanto, prima che l'iscrizione sia stata eseguita, il potere di rappresentanza dell'ente resta in capo all'amministratore, cui già in precedenza spettava (non potendosi ipotizzare al riguardo alcuna soluzione di continuità), ed è quindi valida la procura alle liti da quest'ultimo rilasciata, non incidendo, peraltro, in alcun modo sul corso successivo di un giudizio il mutamento nella persona del legale rappresentante di un ente, avvenuto in pendenza del giudizio precedentemente ben instaurato da chi disponeva dei poteri necessari per farlo. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAGGIO Antonio - Presidente -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TERMALE ALÌ SOC., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA VIA VENETO 7, presso l'avvocato PAOLO TARTAGLIA, rappresentato e difeso dall'avvocato ANGELO FALZEA, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
FRENI NUNZIATO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA E. TAZZOLI 6, presso l'avvocato ANTONIO BRIGUGLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO MICHELE TRIMARCHI, giusta procura speciale per Notaio Lillo Fleres di Messina rep. n. 44139 del 15/11/02;
- controricorrente -
nonché contro
FENI O FRENI STERRANTINO GIUSEPPE, FREMI STERRANTINO SALVATORE, FRENI STERRANTINO ANTONIO, FRENI ITALO VITTORIO, LANZA GIANNI NELLA QUALITÀ DI CURATORE FALLIMANETARE DEL FALLITO VITTORIO FRENI;
- intimati -
avverso la sentenza, n. 488/99 della Corte d'Appello di MESSINA, depositata il 23/12/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/05/2003 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;
udito per il resistente l'Avvocato Briguglio che ha chiesto l'inammissibilità il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per l'inamissibilità del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Società Termale Ali s.p.a. (in prosieguo indicata come STA), poiché al momento dell'entrata in vigore della legge 16 dicembre 1977, n. 904, disponeva di un capitale inferiore a quello minimo di duecento milioni di lire richiesto da detta legge per le società azionarie, con deliberazione assunta a maggioranza dall'assemblea straordinaria il 18 novembre 1980, deliberò la trasformazione in società a responsabilità limitata con le conseguenti (e con ulteriori) modificazioni statutarie.
La deliberazione, in un primo tempo, fu omologata dal competente tribunale di Messina, ma successivamente la locale corte d'appello, pronunciando sul reclamo proposto dal pubblico ministero, ne negò l'iscrizione nel registro delle imprese, perché non era stata assunta con la maggioranza qualificata dell'80% del capitale richiesta dall'art. 16 dello statuto sociale.
Alcuni anni dopo, con citazione del maggio 1988, la medesima società, in persona del legale rappresentante (nonché socio) sig. Giuseppe Tavilla, evocò in giudizio tutti gli altri soci dinanzi al tribunale di Messina. Chiese che fosse dichiarata la nullità della clausola contenuta nel citato art. 16 dello statuto e che, di conseguenza, fosse accertata la validità della deliberazione con cui era stata disposta la trasformazione della società. Si costituirono in giudizio i soci, sigg. Nunziato ed Italo Freni, i quali, nella contumacia degli altri convenuti, si opposero alle domande della società e chiesero, in via riconvenzionale, che fosse invece dichiarata nulla l'anzidetta deliberazione assembleare del 18 novembre 1980, con l'emissione di ogni provvedimento consequenziale all'avvenuto scioglimento della società.
Il tribunale, con sentenza depositata il 9 gennaio 1998, rigettò le domande della società attrice ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarò nulla la più volte richiamata deliberazione assembleare di trasformazione della società. Con sentenza emessa il 23 dicembre 1999, la corte d'appello di Messina rigettò il gravame proposto dalla STA. La corte osservò che la contestata clausola dello statuto sociale, richiedente un quorum qualificato dell'80% per la costituzione e la deliberazione di ogni tipo di assemblea, benché illegittima per le assemblee ordinarie (come incidentalmente già rilevato dal tribunale), era pienamente valida per le assemblee straordinarie, atteso il carattere dispositivo della regola dettata in proposito dall'art. 2369, comma 3, c.c. La validità di detta clausola - aggiunse la corte - non poteva esser messa in discussione neppure traendo argomento dall'inderogabilità del principio maggioritario e dalla conseguente impossibilità di prevedere deliberazioni assembleari da assumere all'unanimità, non essendo una tale ipotesi equiparabile a quella in esame. Infine, la corte escluse che l'operatività della clausola di cui trattaci fosse impedita, noi caso di specie, dal carattere cogente dalla disposizione contenuta nell'art. 11 della legge n. 904 del 1997, nulla in tal senso potendosi ricavare dal tenore di siffatta disposizione.
Par l'annullamento di tale decisione ha proposto ricorso la STA, sempre in persona dell'amministratore sig. Tavilla, articolando in tre punti la propria doglianza.
Ha depositato controricorso il sig. Nunziato Freni, preliminarmente eccependo il difetto, in capo al sig. Tavilla, del potere di rappresentare la società ricorrente, avendo frattanto il presidente del tribunale nominato un liquidatore in persona del Dott. Domenico Amagliani.
Poiché il ricorso non risultava essere stato notificato ad uno degli intimati, il sig. Italo Vittorio Freni, con ordinanza emessa in data 11 dicembre 2002 questa corte ha disposto l'integrazione del contraddittorio. Eseguito tempestivamente tale adempimento, mediante notifica al curatore del sopravvenuto fallimento del sig. Freni, il ricorso è stato discusso all'odierna udienza ed il collegio si è riservato la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve essere esaminata in via preliminare - perché attiene all'ammissibilità del ricorso - l'eccezione con cui è stato contestato che il sig. Tavilla, già amministratore della STA, avesse i poteri occorrenti a rilasciare la procura a margine del ricorso medesimo, qualificandosi in quell'atto legale rappresentante della società della quale era stato invece frattanto nominato liquidatore il Dott. Amagliani.
1.1. Non v'è dubbio che la rappresentanza legale di una società di capitali - non importa qui se per azioni o a responsabilità limitata - competa al liquidatore quando, verificatasi una causa di scioglimento, detta società sia stata posta in liquidazione. Cessa perciò, correlativamente, il potere di rappresentanza che precedentemente spettava all'amministratore (o, in caso di amministrazione pluripersonale, a quello tra gli amministratori cui esso era stato conferito).
Il medesimo effetto consegue alla nomina del liquidatore da parte del presidente del tribunale, quando ricorrano le condizioni a tal fine richieste dal terzo comma dell'art. 2450 c.c.. Nè rileva, a tal riguardo, l'esistenza di un'eventuale controversia sullo stato di liquidazione della società, perché il liquidatore così nominato - fin quando non venga eventualmente accertato in sede contenziosa il difetto dei presupposti che hanno giustificato la sua nomina - resta comunque, a tutti gli effetti, il solo legale rappresentante della società.
1.2. Il mutamento nella persona del legale rappresentante di un ente, in pendenza di un giudizio precedentemente bene instaurato da chi in principio disponeva dei poteri necessari per farlo, non incide però in alcun modo sul corso successivo del medesimo giudizio. Per stabilire, dunque, se nel caso in esame il ricorso sia corredato da una idonea procura alle liti, è decisivo individuare il momento in cui detta procura è stata rilasciata dal sig. Tavilla, nella veste di amministratore della STA, e verificare se, a quella data, la nomina del liquidatore giudiziale della società avesse già prodotto i suoi effetti ed i poteri rappresentativi della società fossero quindi già passati in capo ad una persona diversa dal predetto sig. Tavilla.
La procura, in difetto di una diversa indicazione, prende data dal ricorso cui è apposta, il quale reca la data del 3 luglio 2000 ed è stato notificato il successivo 5 luglio 2000.
Dalla documentazione prodotta da parte controricorrente risulta, invece, che il liquidatore della STA è stato nominato con decreto del presidente del Tribunale di Messina in data 27 giugno 2000 e notificato alla società il 12 luglio 2000. Si ignora, però, in quale momento il liquidatore così nominato ha accattato la carica a quando ha provveduto al deposito par l'iscrizione nel registro delle imprese del decreto di nomina, a norma dell'art. 2450-bis c.c. (oltre che a depositare la propria firma autografa, a termini del secondo comma del medesimo articolo, allora non ancora abrogato dalla successiva legge 24 novembre 2000. n. 340).
Senonché, l'art. 2310 c.c., richiamato dal successivo art. 2452, comma 1, espressamente indica che il liquidatore è investito del potere di rappresentare la società, anche in giudizio, non già dal momento della sua nomina (assembleare o giudiziale che sia), bensì proprio dalla data dell'iscrizione di tale nomina nel registro delle imprese. Prima che l'iscrizione sia stata eseguita, dunque, il potere di rappresentare l'ente resta in capo all'amministratore, cui già in precedenza spettava, non potendosi ovviamente ipotizzare al riguardo alcuna soluzione di continuità.
Stando così le cose, deve concludersi che parte controricorrente ha sì documentato una circostanza (la nomina di un diverso liquidatore) astrattamente idonea a far vanire meno il potare rappresentativo del precedente legale rappresentante della società, da cui è stata sottoscritta la procura a margine del ricorso, ma non ha provato che tale circostanza abbi* prodotto effetti in epoca anteriore alla sottoscrizione di quella procura ed alla notifica di quel ricorso. L'eccezione deve perciò essere disattesa.
2. Non è fondata neppure l'ulteriore eccezione preliminare del oontroricorrente, secondo cui - non essendo stata impugnata specificamente la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda riconvenzionale volta a far dichiarare nulla la deliberazione assembleare di trasformazione della società - si sarebbe formato sul punto un giudicato.
La domanda riconvenzionale era speculare e contraria a quella con cui la società attrice aveva invece chiesto l'accertamento della validità della medesima deliberazione. È perciò di tutta evidenza che l'appello proposto contro la decisione del tribunale di rigettare tale ultima domanda ha investito anche la pronuncia sulla corrispondente domanda riconvenzionale.
3. Può dunque senz'altro procedersi all'esame del ricorso, nel quale anzitutto si sostiene che, essendo di fonte legale l'obbligo di trasformare la società in difetto di aumento del capitale entro i minimi fissati dalla legge n. 904 del 1977, la relativa deliberazione assembleare avrebbe ben potuto essere assunta con i quorum deliberativi e costitutivi previsti direttamente dalla legge. Non avrebbe dovuto trovare invece applicazione la diversa clausola statutaria che imponeva quorum più elevati, potendo questa riferirsi solo alle de-liberazioni rimesse alla libera volontà dei soci. 3.1. L'assunto è infondato.
L'art. 11 della citata legge prevedeva che le società per azioni con capitale inferiore all'importo di duecento milioni di lire dovessero, entro tre anni, aumentare il proprio capitale sino a quel livello minimo, oppure trasformarsi in società a responsabilità limitata;
ove non lo avessero fatto, essendo da considerarsi ormai sciolte, avrebbero dovuto designare un liquidatore, o altrimenti vi avrebbe provveduto il presidente del tribunale.
Il vincolo legale operava dunque, in caso di società sfornite del capitale richiesto, solo nel senso di rendere necessaria per l'assemblea la scelta di una tra più possibili deliberazioni, prevedendosi altrimenti lo scioglimento della società. Restavano però, in tutti i casi, immutati sia la natura sia gli effetti tipici delle deliberazioni in questione, destinate ad incidere sulla struttura e sulle regole di funzionamento dell'ente collettivo, modificandoli. E restava intatta la discrezionalità dei soci nell'operare simili scelte, decisive per il futuro assetto degli interessi coinvolti nella società. Non si trattava, cioè, di deliberazioni a contenuto legale vincolato, e ciò spiega la ragione per la quale, nella stessa legge del 1977, non fu introdotta alcuna regola volta a semplificare il procedimento assembleare, o comunque ad incidere sui modi usuali di formazione e di espressione della volontà dei soci, riuniti in assemblea, cosi implicitamente confermandosi la necessità che tali deliberazioni - in quanto destinate a modificare l'atto costitutivo della società - fossero assunte con le maggiori garanzie formali dell'assemblea straordinaria e con le diverse regole che, anche e proprio in funzione della natura della deliberazione (ed, in taluni casi, del suo oggetto), sono prescritte per questo tipo di assemblea.
Ha, se nulla consente di affermare che le deliberazioni in questione fossero sottratte al regime proprio delle deliberazioni di assemblea straordinaria, nulla ugualmente permette di ipotizzare che, essendo consentito dal legislatore un qualche spazio all'autonomia statutaria in tema di quorum costitutivi o deliberativi per questo tipo di assemblea, tale maggiore spazio fosse venuto meno sol perché si trattava di modificazioni statutarie che avevano il loro presupposto in una previsione legale, come quella di cui alla citata legge n. 904 del 1997. Anche in simili casi le modificazioni dell'assetto degli interessi sociali su cui l'assemblea era chiamata a decidere potevano essere altrettanto radicali ed implicare perciò quella particolare regola di composizione degli interessi che i soci hanno liberamente voluto darsi disponendo tali quorum come condizione per assumere cosi rilevanti decisioni.
Non v'è dunque alcuna ragione per sostenere che la previsione statutaria richiedente una maggioranza di almeno l'80% del capitale sociale per le deliberazioni modificative dell'atto costitutivo non dovesse trovare applicazione anche nel caso di specie. Nè vale contrapporre a ciò il principio di conservazione del contratto, fissato dall'art. 1367 c.c., giacche - anzi - la contrapposta tesi propugnata dalla ricorrente condurrebbe a privare la clausola contrattuale (statutaria) in esame della propria possibilità di applicazione, e non certo a preservarne gli effetti. 4. Il secondo punto in cui il ricorso è articolato investe la validità della citata clausola 16 dello statuto sociale, concernente i quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea ordinaria e straordinaria.
La ricorrente rileva che già il tribunale aveva individuato una ragione di nullità di detta clausola, nella parte in cui stabilisce per l'assemblea ordinaria un quorum costitutivo non consentito dal terzo comma dell'art. 2369 c.c.. Ne deduce che tale declaratoria di nullità avrebbe dovuto estendersi all'intera clausola. 4.2. La doglianza è infondata, non solo e non tanto perché non risulta esservi stata nella sentenza di primo grado alcuna declaratoria di nullità parziale della clausola in esame, bensì unicamente un'affermazione incidentale al riguardo, quanto soprattutto per l'arbitrarietà dell'assunto secondo cui la nullità della previsione statutaria concernente il quorum costitutivo dell'assemblea ordinaria dovrebbe necessariamente investire l'intera clausola/ anche nelle parti in cui essa si riferisce all'assemblea straordinaria.
Premessa l'applicabilità del disposto dell'art. 1419 c.c., in via di principio, anche alle clausole dell'atto costitutivo o dello statuto di società (cfr., in argomento, Cass. n. 5735 del 1992), e pur dovendosi adoperare principalmente criteri oggettivi nell'interpretazione di siffatte clausole (cfr. Cass. n. 10970 del 1996), non è sostenibile che l'eventuale contrarietà a norme imperative di uno specifico precetto contenuto in una clausola dell'atto costitutivo di una società travolga sempre e comunque anche gli altri distinti precetti espressi dalla medesima clausola. Si tratta, evidentemente, di valutare se e quali nessi logici e giuridici di volta in volta sussistano tra le diverse disposizioni di cui la clausola si compone. Tale è stata, appunto, l'operazione ermeneutica compiuta nel caso in esame dalla corte d'appello, che è pervenuta alla conclusione della piena autonomia della previsione statutaria circa i quorum dell'assemblea straordinaria rispetto a quella riguardante l'assemblea ordinaria.
La società ricorrente si limita a prospettare sul punto un'opposta opinione, ma ciò non vale ad identificare ne' un errore di diritto in cui il giudice di merito sarebbe incorso, ne' un vizio logico o giuridico da cui la motivazione dell'impugnata sentenza sarebbe affetta.
5. Da ultimo, la ricorrente censura la decisione della corte territoriale per non aver tenuto conto della sostanziale equivalenza tra una previsione statutaria come quella in esame, che richiede un quorum costitutivo e deliberativo dell'assemblea pari all'80% del capitale sociale, e l'imposizione di una regola unanimistica contraria al principio maggioritario che vige inderogabilmente in questo campo.
5.1. Neppure questa censura coglie però nel segno, per l'evidente arbitrarietà dell'equiparazione così prospettata. Nulla, infatti, sul piano logico, consente di affermare che un quorum pur elevato, come quello dell'80%, equivalga ad una previsione di unanimità. Ed è appena il caso di aggiungere che su ciò non potrebbe neppure incidere la configurazione della compagine sociale in un determinato momento storico, perché la contingente diversa composizione del numero dei soci non può avere alcuna rilevanza rispetto alle regole di funzionamento generale di una società il cui capitale sia frazionato in una pluralità di azioni naturalmente destinate alla circolazione.
6. Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori secondo legge.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.000,00 (quattromila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori secondo legge.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2003.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2003