Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6445 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. II, 21 Febbraio 1995, n. 1884. Est. Cristarella Orestano.


Società - Di persone fisiche - Società in accomandita semplice - Soci accomandatari - Amministrazione della società - In genere - Socio accomandatario - Poteri di rappresentanza - Limitazioni risultanti dall'atto costitutivo - Mancata iscrizione nei registri di cancelleria presso il Tribunale - Conseguenze - Fattispecie.



Per il disposto dell'art. 2298 cod. civ. - riguardante le società in nome collettivo, ma applicabile anche alla società in accomandita semplice in forza del richiamo contenuto nell'art. 2315 dello stesso codice - le limitazioni dei poteri di rappresentanza del socio accomandatario risultanti dall'atto costitutivo non sono opponibili ai terzi se non siano iscritte nei registri di cancelleria presso il Tribunale - che a norma dell'art. 100 disp. att. cod. civ. sostituiscono il registro delle imprese sino alla sua attuazione - non essendo all'uopo sufficiente il deposito dell'atto costitutivo presso la cancelleria a norma dell'art. 2296 cod. civ., salvo che la società provi che il terzo conosceva dette limitazioni (nella specie l'atto costitutivo di una società in accomandita semplice limitava il potere di rappresentanza del socio accomandatario richiedendo per le vendite immobiliari la firma congiunta di entrambi gli accomandatari e il preventivo consenso scritto del socio accomandante. La S.C., nell'affermare il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto l'eccezione della società di difetto di rappresentanza). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Girolamo GIRONE Presidente
" Antonio PATIERNO Consigliere
" Raffaele MAROTTA "
" Giuseppe MOSCATO "
" Francesco CRISTARELLA ORESTANO Rel. "
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
S.A.S. CRISTINA; elettivamente domiciliata in Roma, Via Vincenzo Tiberio n. 64, presso l'avvocato Alberto Taddei, che la difende unitamente all'avvocato Gian Marco Civallero, per delega a margine del ricorso;
Ricorrente
contro
BLANGETTI MARIO; elettivamente domiciliato in Roma, Via Germanico n. 197, presso l'avvocato Vincenzo Marone che lo difende unitamente all'avvocato Bartolomeo Blangetti, per delega a margine del controricorso;
Controricorrente
per la cassazione della sentenza n. 1340-91 della Corte di Appello di Torino dell'11.10.1991-15.11.1991;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30.9.1994 dal Consigliere Cristarella;
è comparso l'avvocato Vincenzo Marone difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Paolo Dettori che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel novembre 1985 Mario Blangetti convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Saluzzo, la s.a.s. Cristina, in persona del suo socio accomandatario Claudio Bertola, esponendo: che la stessa, con scrittura privata 27.8.1983, aveva promesso di vendergli alcune unità immobiliari, ubicate nello stabile di via Don Orione n. 26 di Saluzzo, per il prezzo di L. 118.000.000 da pagarsi mediante la fornitura di un certo quantitativo di materiali da costruzione alla S.A.S. Bertola di Cuneo, cioè con l'intesa che questa avrebbe pagato solo il 30% dell'importo dei materiali, mentre il restante 70% sarebbe stato compensato con il prezzo suddetto; che esso Blangetti aveva già eseguito forniture per L. 91.481.530, al netto di quanto dovutogli direttamente dalla s.a.s. Bertola la quale, per questa parte, gli era ancora debitrice di L. 20.000.000.
Ciò premesso, l'attore, assumendo di avere appreso che la società convenuta stava trattando la vendita degli immobili di cui sopra ad un certo Corrado, chiese dichiararsi tenuta la medesima a trasferirgli tali immobili e darsi atto del già avvenuto pagamento da parte sua della somma di L. 91.481.530 a titolo di prezzo e del credito di L. 20.000.000 da lui vantato nei confronti della s.a.s. Bertola.
La convenuta, costituitasi, eccepì che la promessa di vendita non era per essa vincolante poiché l'aveva stipulata il suo socio accomandatario Claudio Bertola eccedendo dai limiti dei poteri di rappresentanze conferitigli con l'atto costitutivo; questo, infatti, prescriveva che l'alienazione di immobili avvenisse con la firma congiunta dei due soci accomandatari e con il consenso del socio accomandante.
Con sentenza del 16.2.1989 il tribunale adito respinse la domanda. Proposto gravame dal Blangetti, la Corte d'appello di Torino, con la sentenza precisata in epigrafe, nella resistenza della società appellata, ha dichiarato tenuta quest'ultima a trasferire al primo le unità immobiliari oggetto del contratto preliminare di vendita 27.8.1983, dietro contestuale pagamento del residuo prezzo pattuito, respingendo, invece, la domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 cod. civ.
Nel disattendere l'eccezione della società, accolta dal primo giudice, relativa alla mancanza di poteri di rappresentanza nel socio accomandatario che aveva stipulato il contratto preliminare col Blangetti, la Corte piemontese ha osservato che la limitazione di detti poteri, risultante dall'atto costitutivo della società che richiedeva specificamente, per le vendite immobiliari, la firma congiunta di entrambi i soci accomandatari Claudio Bertola e Roberto Bertola e il preventivo consenso scritto del socio accomandante Pier Luigi Ponte -, non era opponibile al terzo Blangetti, occorrendo a tal fine, ai sensi dell'art. 2298 cod. civ. (riguardante le società in nome collettivo ma applicabile anche alle società in accomandita semplice in forza del richiamo contenuto nell'art. 2315 dello stesso codice) che la limitazione fosse iscritta nel Registro delle Imprese e, in mancanza di questo, perché non ancora istituito, nei Registri di Cancelleria presso il Tribunale ai sensi dell'art. 100 disp. att. e trans. cod. civ.). E nel caso di specie doveva escludersi che la iscrizione fosse avvenuta (non risultando essa dal prodotto foglio 173 del Registro della Cancelleria del Tribunale di Saluzzo), ne' poteva condividersi l'opinione del giudice di primo grado secondo cui il Blangetti aveva l'ulteriore onere, non previsto da alcuna disposizione di legge, di andare a consultare l'atto costitutivo e l'altra documentazione depositata presso la Cancelleria al fine di accertarsi della sussistenza di eventuali limitazioni del potere di rappresentanza di chi aveva contrattato con lui.
Ricorre per cassazione la s.a.s. Cristina sulla base di tre motivi, poi illustrati con memoria, ai quali il Blangetti replica con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo - denunziandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 2193, 2298 e 2315 cod. civ., 99, 100 e 101 Disp. att. cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. - si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto inopponibili al Blangetti le limitazioni dei poteri di rappresentanze di Claudio Bertola risultanti dall'atto costitutivo della s.a.s. Cristina, sebbene tale atto fosse regolarmente depositato nella cancelleria del Tribunale di Saluzzo ed iscritto nel registro delle società ivi tenuto.
Si insiste, cioè, sulla tesi, condivisa dal primo giudice ma disattesa dalla Corte d'appello, secondo cui non occorreva una specifica iscrizione delle limitazioni in detto registro, argomentandosi che tornava applicabile l'art. 2193 cod. civ. a tenere del quale "i fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione (nella specie: atto costitutivo - o contratto sociale - contenente, tra l'altro, i limiti dei poteri di rappresentanza dell'amministratore della società - artt. 2296 e 2298), se iscritti, possono essere opposti ai terzi (efficacia c.d. positiva dell'iscrizione)"; ne' valeva dire che l'onere di consultare l'atto costitutivo, pur regolarmente depositato, non è previsto da alcuna norma di legge, poiché tale onere e in re ipsa, non comprendendosi, altrimenti, quale scopo il legislatore abbia inteso perseguire imponendo l'obbligo del deposito stesso.
La censura manca di pregio.
L'art. 2298 cod. civ., invero, stabilisce chiaramente che le limitazioni - risultanti dall'atto costitutivo o dalla procura - dei poteri dell'amministratore che ha la rappresentanza della società sono inopponibili ai terzi, a meno che non siano iscritte nel registro delle imprese (sostituito, sino alla sua attuazione, dai registri di cancelleria presso il Tribunale ex art. 100 disp. att. cod. civ.) oppure non venga fornita la prova che i terzi ne hanno avuto comunque conoscenza.
In altri termini, l'iscrizione dà luogo ad una presunzione iuris et de iure di conoscenza delle limitazioni, mentre dalla sua assenza deriva una presunzione iuris tantum di ignoranza, superabile soltanto con la prova che esse erano effettivamente conosciute dal terzo nel momento in cui contrattava con l'amministratore della società. Orbene, la tesi secondo cui a fondare la prima di dette presunzioni sarebbe sufficiente il deposito presso la cancelleria del Tribunale, ex artt. 2296 del codice civile e 101 delle relative disposizioni di attuazione, dell'atto costitutivo della società dal quale risultano le limitazioni in parola, non ha alcun supporto ne' letterale ne' logico ed è solo frutto di una consapevole confusione tra il concetto di iscrizione e quello di deposito, come è reso evidente dal fatto che la ricorrente, nel tentativo di coonestare il suo assunto, è costretta a parlare ripetutamente di atto costitutivo "iscritto" (v. pg. 5, 6 e 7 del ricorso), il che è totalmente errato, in quanto l'atto costitutivo non va iscritto ma soltanto depositato, entro trenta giorni dalla sua stipulazione, presso la cancelleria del Tribunale, ai sensi del citato art. 2296 c.c., ai fini della iscrizione della società, con i suoi dati essenziali di identificazione (ragione sociale, ditta, oggetto, sede, generalità degli amministratori), nei registri di cancelleria. D'altro canto, poiché le limitazioni dei poteri di rappresentanza dell'amministratore non possono che risultare dall'atto costitutivo (o dalla procura), come recita espressamente lo stesso art. 2298 cod. civ., non avrebbe avuto alcun senso logico richiedere, ai fini della loro opponibilità ai terzi, il deposito di quell'atto, essendo tale deposito già insito nel fatto di essere esso il presupposto indispensabile per l'iscrizione della società nei registri e riferendosi indubbiamente detto art. 2298 alle sole società iscritte, mentre per quelle non iscritte valgono le diverse regole dettate dall'art. 2297 cod. civ.
È chiaro, dunque, che il legislatore, parlando di limitazioni non opponibili se non iscritte nel registro delle imprese (salve a provarne l'effettiva conoscenza), ha inteso imporre l'onere di una specifica annotazione che consenta al terzo di averne immediata notizia con la sola consultazione dei registri, senza dover usare l'ulteriore diligenza di prendere visione dell'atto costitutivo depositato; e ove ne abbia preso visione, venendo così a conoscenza di limitazioni non iscritte, sarà pur sempre l'altra parte a dover fornire la prova di tale avvenuta conoscenza.
Del tutto inconferente è, poi, il richiamo al disposto dell'art. 2193 cod. civ., poiché tale norma, lungi dal suffragare la tesi propugnata nel ricorso, non fa che confermarne l'infondatezza. Basti pensare che essa parla di "fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione", sancendo la loro inopponibilità ai terzi ove non siano iscritti e non se ne provi l'effettiva conoscenza (proprio come l'art. 2298), il che fornisce la riprova, ove ce ne fosse ancora bisogno, che sono i "fatti" ad essere iscritti su domanda dell'interessato (art. 2189 c.c.) e non l'atto costitutivo o altri documenti, per i quali solo tralaticiamente può parlarsi di iscrizione, nel senso di annotazione nei registri dei loro estremi e del loro contenuto essenziale.
Del pari vano è il minuzioso richiamo, fatto nella memoria della società ricorrente, alla normativa anteriore al vigente codice, poiché, se è vero che l'art. 1OO disp. att. stabilisce che, fino all'attuazione del registro delle imprese, le iscrizioni vanno fatte nei registri di cancelleria presso il Tribunale secondo le modalità stabilite melle leggi anteriori, è altrettanto vero che, a tenore della stessa norma transitoria, il contenuto, i termini e gli effetti delle iscrizioni sono, "tuttavia", determinati dal codice. Con il secondo motivo - denunziandosi violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. - si lamenta che sia stata accolta una domanda che il Blangetti non aveva mai proposta autonomamente dato che aveva chiesto la pronuncia di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e soltanto come necessaria premessa di tale domanda aveva invocato l'accertamento dell'obbligo della società di trasferirgli l'immobile.
Anche questa doglianza manca di fondamento.
Si evince, infatti, dall'impugnata sentenza e dal diretto esame degli atti processuali compiuto in questa sede che il Blangetti, nel precisare le conclusioni in primo e in secondo grado, ebbe a chiedere che la s.a.s. Cristina fosse dichiarata tenuta a trasferirgli l'immobile oggetto della promessa di vendita, aggiungendo poi, con separata proposizione, che la sentenza venisse dichiarata sostitutiva del contratto non concluso.
Si tratta, pertanto, come ha correttamente ritenuto la Corte torinese, di due distinte domande, anche se, ovviamente, in implicita posizione di alternatività o di subordinazione.
Nè può condividersi l'assunto della ricorrente che la prima era soltanto la premessa o l'antecedente logico-giuridico della seconda, poiché, al contrario, la sentenza ex art. 2932 cod. civ. non ha affatto quale propria premessa, neppure implicita, la declaratoria che il promittente dovrà addivenire alla conclusione del contratto, essendo ciò antinomico col fatto che è essa stessa a dare esecuzione specifica all'obbligo assunto, producendo con valore costitutivo, gli effetti del contratto non concluso. Con il terzo motivo - denunziandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - si lamenta che la domanda di accertamento dell'obbligo di trasferire l'immobile sia stata accolta senza che vi fosse alcuna prova della controprestazione e senza che i fatti allegati al riguardo dal Blangetti potessero considerarsi pacifici, dal momento che la convenuta non li aveva esplicitamente ammessi ne' aveva impostato la propria difesa su elementi od argomenti logicamente incompatibili col disconoscimento dei medesimi. Neppure questa censura merita accoglimento.
È decisivo ed assorbente considerare in proposito che la Corte piemontese, nel dichiarare tenuta la s.a.s. Cristina a trasferire al Blangetti le unità immobiliari oggetto del preliminare, non ha per nulla dato atto, nemmeno in motivazione, dell'avvenuto pagamento, ad opera del promissario acquirente, della somma di L. 91.481.503 e tanto meno di quella di L. 20.000.000 rappresentata dal credito insoluto verso la s.a.s. Bertola, ma si è limitata a statuire che l'obbligo del trasferimento andava adempiuto "dietro contestuale pagamento del residuo prezzo pattuito", senza dare affatto per pacifico il quantum della controprestazione già eseguita. Nessuna ragione di doglianza, quindi, può avere la ricorrente, spettando al Blangetti, allorquando andrà a pretendere l'adempimento dell'obbligazione di cui sopra, giudizialmente dichiarata, provare l'entità della parte di prezzo già versata e, correlativamente, di quella ancora da versare.
Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.
Consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del presente procedimento, liquidate come in dispositivo, a favore del resistente.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al rimborso delle spese del procedimento di Cassazione a favore della parte resistente, liquidandole in L. 3.184.250, ivi comprese L. 3.000.000 per onorario. Così deciso in Roma il 30 settembre 1994.