Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6327 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. II, 21 Gennaio 2000, n. 642. Est. Vella.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Rapporti tra soci - Partecipazione ai guadagni e alle perdite - Patto leonino - Configurabilità - Limiti.



Il cosiddetto patto leonino, vietato ai sensi dell'art. 2265 cod. civ., presuppone la previsione della esclusione totale e costante del socio dalla partecipazione al rischio d'impresa o dagli utili, ovvero da entrambi. Esula, pertanto, da tale divieto le clausole che contemplino la partecipazione agli utili e alle perdite in una misura diversa dalla entità della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in misura difforme da quella inerente ai poteri amministrativi, sia che condizionino in alternativa la partecipazione o la non partecipazione agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti. (Nella fattispecie, alla stregua di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione della Corte di merito che aveva escluso la configurabilità del patto leonino, in quanto la esclusione di un socio dagli utili e dalle perdite era perfettamente bilanciata dal suo esonero, come socio d'opera, dall'obbligo di sopperire al fabbisogno finanziario della società, posto a carico esclusivo dei soci di capitale in proporzione delle loro quote). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vittorio VOLPE - Presidente -
Dott. Antonio VELLA - rel. Consigliere -
Dott. Antonino ELEFANTE - Consigliere -
Dott. Giovanna SCHERILLO - Consigliere -
Dott. Ettore BUCCIANTE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
ROLANDO GIANNI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CHELINI 5, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRO BERLIRI, che lo difende unitamente all'avvocato PIERGIACOMO GUGLIELMINETTI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
ENRIEL S.S. IN PERS SOCI GRAGLIA GUALTIERO E LOSO SIMONA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA NAZIONALE 204, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRO BOZZA, che la difende unitamente all'avvocato MARENGO PIER LUIGI, giusta delega in atti;
- controricorrenti -
nonché contro
GRAGLIA GUALTIERO;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1240/96 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 05/10/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/06/99 dal Consigliere Dott. Antonio VELLA;
udito l'Avvocato BOZZA, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ennio Attilio SEPE che ha concluso per l'inammissibilità del 1^ e 4^ motivo del ricorso, in subordine per il loro rigetto, accoglimento del 5^, assorbimento del 6^; rigetto degli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 2 aprile 1987 Gianni Rolando, nella qualità di crede testamentario di Valentino Tallia, il quale aveva costituito insieme con Gualtiero Graglia e Simona Losio la società semplice Enriel, propose contro quest'ultima al Tribunale di Torino domanda di liquidazione della quota sociale del proprio dante causa. A tale fine promosse anche azione di simulazione del contratto di compravendita con il quale il "de cuius" risultava avere trasferito come conferimento la nuda proprietà di un immobile alla società, mentre, secondo il suo assunto, glielo aveva donato con un negozio di cui chiese l'accertamento della nullità, perché concluso in forma pubblica, ma non in quella solenne (presenza di testimoni) prescritta per gli atti di liberalità, sebbene tale forma dovesse rispettarsi anche in caso di qualificazione giuridica della convenzione come negotium mixtum cum donatione in considerazione della prevalenza dell'animus donandi, rivelata dalla sproporzione enorme tra il prezzo indicato e il valore effettivo della nuda proprietà. E Rolando chiese anche la declaratoria di nullità, per violazione dell'art. 2265 cod.civ., della clausola dell'atto costitutivo con la quale il proprio dante causa era stato esentato dalle perdite e ammesso a percepire gli utili nella misura irrisoria dell'uno per cento, con il limite massimo di centomila lire.
Costituitasi in giudizio la società si oppose all'accoglimento di tutte le istanze eccependone l'infondatezza.
I soci Graglia e Losio ai quali la citazione era stata notificata rimasero invece contumaci.
Con sentenza del 28 dicembre 1993 il Tribunale respinse le domande. Propose impugnazione il soccombente insistendo nel chiedere l'accoglimento delle sue pretese, ma la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 5 ottobre 1996 ha confermato la decisione di primo grado osservando che:
A.- i soci Graglia e Losio non erano parti del processo avendo l'attore agito soltanto contro la società e perciò la domanda proposta nel loro confronti per la prima volta in appello era vietata ai sensi dello art.345 cod.proc.civ.;
B.- inammissibile era la prova per testimoni dedotta dall'attore per dimostrare che il contratto di compravendita, con il quale il proprio dante causa (Vincenzo Tallia) risultava avere trasferito la nuda proprietà dell'immobile alla società, era relativamente simulato perché mascherava una donazione. Secondo la più recente condividibile giurisprudenza della Corte di Cassazione, nei rapporti tra le parti e in quelli tra i loro eredi la prova testimoniale della simulazione relativa è soggetta ai limiti rigorosi fissati dall'art. 2725 cod. civ. secondo cui tale mezzo istruttorio se sia riferito, come nella specie, a un negozio per il quale sia prescritta la forma scritta ad substantiam consentito solo se vi sia stato lo smarrimento incolpevole del documento, evento non invocato (art.2724 n.3 cod.civ.) dall'attore;
C.- il giuramento decisorio era anch'esso inammissibile, essendo un mezzo probatorio non documentale e, quindi, inidoneo a sostituire lo atto scritto richiesto dall'art. 1350 del codice civile a pena di nullità per le convenzioni aventi come oggetto diritti reali immobiliari;
D.- il contratto concluso tra il dante causa del Rolando e la società convenuta era un negotium mixctum cum donatione essendosi con esso trasferita la nuda proprietà di un immobile del valore di 295.048.733 milioni di lire per il prezzo esiguo di cento milioni di lire, con evidente sproporzione tra le prestazioni corrispettive, giacché si era voluta con esso conseguire, oltre alla finalità dello scambio, quella dell'arricchimento della società per spirito di liberalità; tuttavia l'assenza della forma solenne prescritta per il contratto di donazione non ne aveva causato la nullità dovendo questo essere stipulato. nella forma della compravendita, cioè del negozio che le parti avevano in concreto adottato, come deciso dalla giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione in contrasto della quale era stata emanata soltanto la sentenza n.7666 del 1995 per la quale la forma deve rispettarsi nel caso di attribuzione patrimoniale disposta per prevalente spirito di liberalità;
E.- la clausola del contratto societario secondo cui il Tallia doveva essere escluso dalle perdite della società e riscuotere gli utili in misura non eccedente la somma di centomila lire, non integrava gli estremi del patto leonino di cui l'art.2265 del codice civile commina la nullità, essendosi determinata una situazione bilanciata, tenuto conto del quadro complessivo della sua posizione nella società. F.- rispetto alla domanda proposta dal Rolando la legittimazione passiva spettava alla società e non ai singoli soci.
Il Rolando ricorre per cassazione con sei motivi illustrati con una memoria. Resistono con due separati controricorsi la società Enriel e la Losio.
Il Graglia non ha depositato controricorso ne' ha partecipato alla discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per omessa motivazione su un punto decisivo della causa (art.360 n.5 cod. proc. civ.), adducendosi che la Corte d'appello ha negato che il Rolando abbia dato la prova della simulazione, mentre avrebbe dovuto ritenere che essa si desumeva da alcuni documenti prodotti dal medesimo in giudizio, il cui esame ha, invece, trascurato (contratto di compravendita della proprietà dell'immobile e contestuale atto costitutivo della società; verbale di udienza del procedimento di primo grado contenente le dichiarazioni con le quali il Graglia, nella qualità di rappresentante legale della Enriel aveva affermato che questa al momento della sua costituzione non disponeva "di liquidità" essendo il capitale sociale soltanto di un milione di lire; dichiarazioni delle parti attestanti che la somma di cento milioni di lire era stata versata all'alienante come prezzo della compravendita immobiliare prima della costituzione della società). E in proposito si precisa che la Corte, escludendo che la simulazione sia stata dimostrata, ha omesso di considerare che la prova scritta dell'accordo simulatorio non deve necessariamente risultare da una specifica e inequivoca controdichiarazione sottoscritta dalle parti del contratto simulato, ma può derivare anche indirettamente da uno o più documenti nei quali siano esposti dei fatti e delle circostanze che la presuppongano, purché si tratti, ovviamente di scritti promananti da tutte le parti del contratto simulato o, almeno, da quella alla quale la simulazione sia stata opposta. Il motivo è infondato.
Secondo questa Corte la prova della simulazione tra le parti non può risultare indirettamente da elementi contenuti in documenti, neanche se si tratti dello stesso atto impugnato, ne' da particolari fatti e situazioni, ma deve essere fornita con la produzione in giudizio della scrittura contenente la controdichiarazione firmata dalle parti o comunque dalla parte contro la quale è esibita. Non può, pertanto, aderirsi alla tesi sostenuta con il motivo di ricorso perché si contrasterebbe l'ineccepibile principio di diritto, più volte affermato, secondo cui la prova della simulazione relativa, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, rientra nella previsione dell'art.2725 cod. civ. ed esige, pertanto, l'atto scritto, salvo che si sia verificata la perdita incolpevole del documento, nel qual caso è consentito il ricorso alle testimonianze. e alle presunzioni (sent. nn. 1690 del 1991, 7021 del 1994). Con il secondo motivo, denunziandosi la violazione degli art. 1417, 2697, 2724, 2725, 2739 del codice civile in relazione all'art. 360 del codice di procedura civile, si censura la sentenza impugnata per avere il Giudice d'appello dichiarato inammissibile la prova per testimoni della simulazione citando erroneamente a sostegno della sua decisione alcune pronunce della Corte di Cassazione estranee al caso in esame perché riguardanti la diversa ipotesi del negozio simulato non concluso in forma scritta, in presenza della quale soltanto l'esperibilità della prova orale è subordinata alla dimostrazione della perdita incolpevole del documento. Nella specie, invece, è stato prodotto in giudizio il contratto apparente, concluso per atto pubblico, per cui in esso esiste del negozio mascherato di donazione il requisito di forma richiesto (anche se poi l'atto di liberalità è nullo per la mancanza di testimoni), e, quindi, è inapplicabile l'art. 2725 del codice civile. L'esattezza di questa conclusione si evincerebbe dall'art. 1414 del codice civile il quale, disponendo che "se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma", ha inteso affermare ché, quando il negozio dissimulato "è formale", è sufficiente che l'elemento formale sia presente nel negozio simulato. Si critica, inoltre, la sentenza d'appello rilevandosi che:
a)- la Corte del merito avrebbe dovuto ammettere la prova per testimoni quanto meno per dimostrare la simulazione del contratto di compravendita, il cui accertamento era stato chiesto dall'attore anche a prescindere da quello del negozio dissimulato. I prescritti limiti probatori riguardano, infatti, soltanto il contratto dissimulato, dato che nessuna differenza sostanziale sussiste tra simulazione assoluta e relativa in ordine alla prova della simulazione del contratto apparente;
b)- il Giudice d'appello avrebbe dovuto anche ritenere che lo onere della prova del rispetto della forma richiesta per la validità della donazione incombe sul destinatario della liberalità, il quale ha uno specifico interesse in tal senso potendo altrimenti essergli sottratto il bene ricevuto in conseguenza dell'accertata simulazione dell'atto apparente e della dichiarata nullità di quello dissimulato.
Le tre censure di cui si compone il motivo esposto sono tutte infondate.
In ordine alla prima censura si osserva che le limitazioni probatorie. sono operanti in tutte le ipotesi di simulazione relativa non essendo le ragioni addotte nel motivo di ricorso idonee a circoscriverne F applicazione al caso in cui le parti non si siano servite della forma scritta per il contratto simulato, e alla tesi riduttiva non risulta che abbia mai aderito questa Corte dalle cui decisioni si evince il convincimento contrario (v.sent. citate). Nè argomento a favore della menzionata tesi si trae dalla norma dell'art. 1414 del codice civile, in quanto questa non disciplina la materia della prova della simulazione, ma sul presupposto che questa sia stata accertata con l'applicazione delle regole probatorie prescritte, dispone che il contratto dissimulato produce i suoi effetti tra le parti, purché di esso sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
Con riguardo alla seconda censura si rileva che colui il quale propone la domanda di simulazione relativa, oltre a chiedere l'accertamento dell'inesistenza del contratto apparente, come avviene nell'ipotesi di simulazione assoluta, agisce anche per dimostrare che le parti avevano voluto concludere un contratto diverso (negozio dissimulato). E ciò o allo scopo di porre in risalto la sua invalidità o illiceità ovvero, come si verifica spesso, al fine di esperire l'azione di riduzione se si tratti di un erede legittimario interessato a dimostrare che un contratto di compravendita mascheri una donazione lesiva dei suoi intangibili diritti alla quota di riserva. Pertanto, interesse di chi promuove l'azione di simulazione relativa è inscindibile e non è possibile conseguentemente risolvere il problema dei limiti probatori distinguendo la prova diretta a dimostrare la simulazione del contratto apparente da quella volta ad evidenziare il negozio dissimulato. Ed è per questa ragione che la giurisprudenza applica una disciplina differenziata alla simulazione assoluta (caso in cui l'oggetto dei mezzi di prova è l'inesistenza del contratto apparente) e a quella relativa senza, però, prevedere ulteriori disparità di trattamento nell'ambito di quest'ultima.
Infine la terza censura è assolutamente inconsistente perché in base ai principii dell'onere della prova (art.2697 cod.civ.) compete sempre all'attore dimostrare che la domanda è fondata ai fini del suo accoglimento al quale, in tema di simulazione, ha interesse per potere rientrare nella disponibilità del bene oggetto dell'alienazione.
Con il terzo motivo, denunziandosi la violazione degli art. 782 e 809 del codice civile, in relazione all'art.360 del codice di procedura civile, si censura la sentenza impugnata per avere la Corte d'appello ritenuto valido il contratto qualificato giuridicamente come negotium mixtum cum donatione concluso per iscritto, sull'erroneo rilievo che per esso era sufficiente la forma della compravendita immobiliare, cioè dello schema negoziale effettivamente adoperato in concreto dalle parti. In contrario si sostiene che la Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullità del contratto in applicazione del cd. principio della prevalenza in base al quale, per la giurisprudenza più recente, al negotium mixtum cum donatione deve estendersi la disciplina, anche formale, della donazione se l'attribuzione patrimoniale risulti dovuta prevalentemente a spirito di liberalità, e la disciplina dell'atto oneroso qualora invece l'attribuzione sia eseguita in funzione di corrispettivo.
Il motivo è infondato.
Sulla questione della disciplina da applicare al negotiu mixtum cum donatione la Corte di Cassazione non ha avuto un orientamento univoco in quanto ha a volte seguito il criterio della "prevalenza" (sent.nn.1545 del 1981, 8446 del 1990, 7666 del 1995) e a volte quello dello schema negoziale adottato. Tuttavia, contrariamente a quel che si afferma nel ricorso, con le pronunce meno remote si è accolto quest'ultimo criterio (sent. nn. 1214 e 4231 del 1997) dal quale non vi è ragione di discostarsi. Infatti esso si basa sulla corretta considerazione che l'atto in questione è una donazione indiretta per la quale è sufficiente la forma dell'atto da cui essa risulta, giacché l'art.782 cod.civ., che prescrive P atto pubblico per la donazione diretta, non si estende a quella indiretta non costituendo l'arricchimento l'effetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo.
Con il quarto motivo, denunziandosi la violazione dell'art. 2265 del codice civile in relazione all'art.360 del codice di procedura civile, si critica la sentenza impugnata per non avere la Corte d'appello dichiarato la nullità della clausola del contratto costitutivo della società Enriel, integrante gli estremi del patto leonino perché prevedeva la esclusione del Tallia dalle perdite e il suo diritto a una minima partecipazione agli utili.
Anche questo, motivo è destituito di fondamento.
Innanzi tutto deve escludersi che il Rolando abbia interesse alla declaratoria di nullità della clausola societaria per la mancata partecipazione del suo dante causa alle perdite, potendo avere semmai interesse alla sua conservazione. Del patto leonino vietato mancano, comunque, i presupposti. Questa Corte ha avuto occasione di precisare che si. ha patto leonino quando sia prevista la esclusione totale e costante del socio dalla partecipazione al rischio d'impresa e dagli utili, ovvero da entrambi. E che, pertanto, "esulano dal divieto sancito dall'art.2265 cod.civ. le clausole le quali contemplino la partecipazione agli utili e alle perdite in misura diversa dall'entità della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in una misura difforme da quella inerente ai poteri amministrativi (situazione di rischio attenuato), sia che condizionino in alternativa la partecipazione o la non partecipazione agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti" (sent. n. 8927 del 1994). Il Giudice d'appello si è correttamente uniformato a questo principio di diritto avendo negato nel caso concreto la configurazione del patto leonino vietato in quanto la esclusione dalle perdite e la limitata partecipazione agli utili del Tallia erano perfettamente bilanciate anche dal suo esonero, come socio d'opera, dall'obbligo di sopperire al fabbisogno finanziario della società il quale era stato posto a carico esclusivo dei soci di capitale in proporzione delle loro quote.
Con il quinto motivo, denunziandosi la violazione dello art.2284 del codice civile, si censura la sentenza impugnata sostenendosi che la Corte d'appello è incorsa in errore nel ritenere che la domanda di liquidazione della quota sociale del defunto Valentino Tallia si sarebbe dovuta proporre contro i singoli soci e non nei confronti della società come aveva fatto, invece, l'attore.
Questo motivo è fondato.
Anche su detta questione si è formato un contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione essendosi con alcune sentenze ritenuta la legittimazione passiva dei singoli soci (sent. nn. 4821 del 1993, 3842 del 1994, 2226 del 1996) e con altre pronunce quella della società (sent. nn.1027 e 11956 del 1993, 3773 del 1994, 5757 del 1998). Quest'ultima soluzione è tuttavia quella da condividere per le perspicue considerazioni che si rinvengono nella fondamentale sentenza n. 1027 del 1993, richiamate anche nelle successive decisioni favorevoli a tale orientamento e che si possono riassumere affermando che con la conclusione del contratto di società e il conferimento dei beni da parte dei singoli soci si costituisce, con un suo patrimonio autonomo, un nuovo soggetto di diritto, il quale è il titolare esclusivo delle situazione attive e passive derivanti dall'esercizio dell'attività sociale, e nei cui confronti, pertanto, ali eredi del socio defunto devono promuovere le azioni per la liquidazione della sua quota. E legittimata passiva è sempre la società, anche se, come la "Enriel", abbi, a natura personale in quanto, essendo titolare di un patrimonio, pur se priva di personalità giuridica, è comunque un soggetto di diritto, in base al principio per cui "ogni persona è soggetto ma non ogni soggetto è persona" (v.sent.n.3773 del 1994 cit.).
Consegue l'accoglimento del quinto motivo del ricorso, l'assorbimento del sesto e ultimo motivo - da considerarsi superato, essendosi con esso addotto che la Corte di appello avrebbe dovuto, comunque, ritenere che la domanda di liquidazione della quota del socio defunto era stata proposta anche nei confronti dei singoli soci - la cassazione della sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione relativa al motivo accolto e il rinvio della causa ad altra sezione della stessa Corte d'appello di Torino la quale provvederà sulle spese di questo giudizio e, nel decidere, si adeguerà al seguente principio di diritto: "Nell'ipotesi di morte di un socio della società semplice il diritto dei suoi eredi alla liquidazione della quota, costituisce un credito nei confronti della società la quale è, pertanto, passivamente legittimata rispetto alla domanda dal medesimi proposta per ottenere tale liquidazione". Gli altri motivi (I^, 2^, 3^, 4^) devono essere, invece, tutti rigettati.
P. T. M.
la Corte rigetta i primi quattro motivi del ricorso, accoglie il quinto motivo e dichiara assorbito il sesto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'appello di Torino che si uniformerà all'enunciato principio di diritto.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 1999.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2000