Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6263 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. I, 19 Settembre 2000, n. 12412. Est. Ferro.


Arbitrato - Compromesso e clausola compromissoria - In genere - Controversie assoggettabili - In materia societaria - Configurabilità - Limiti - Fattispecie in tema di scioglimento della società.



Le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi; pertanto non sono compromettibili e devolvibili al giudizio di arbitri le controversie riguardanti lo scioglimento della società; tale principio si applica anche in ipotesi di società di persone, la quale costituisce, sia sul piano sostanziale che processuale, un centro autonomo di rapporti intersoggettivi diversi e distinti da quelli facenti capo ai singoli soci. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo ROCCHI - Presidente -
Dott. Vincenzo FERRO - Rel. Consigliere -
Dott. Giovanni VERUCCI - Consigliere -
Dott. Donato PLENTEDA - Consigliere -
Dott. Giuseppe Maria BERRUTI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
APICELLA FILIPPO, APICELLA GERARDO, APICELLA ALFONSO, APICELLA EMANUELA, APICELLA MARIA PIA, APICELLA EUGENIA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA APPENNINI 47, presso l'avvocato MENNA F., rappresentati e difesi dall'avvocato COLARIETI MARIA, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
APICELLA ALFONSO, APICELLA ERASMO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DI RIPETTA 151, presso l'avvocato DE DONATO ANDREA, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
contro
DITTA APICELLA DI ERASMO E GUGLIELMO APICELLA Sas, APICELLA GUGLIELMO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 412/98 della Corte d'Appello di SALERNO, emessa il 06/03/97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2000 dal Consigliere Dott. Vincenzo FERRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Orazio FRAZZINI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato in data 27 settembre-1° ottobre 1991, Apicella Alfonso (di Erasmo) nella dichiarata qualità di socio della s.a.s. "Apicella di Erasmo e Guglielmo Apicella e C." -della quale erano soci accomandatari Apicella Guglielmo e Apicella Erasmo- conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, gli altri soci Apicella Guglielmo, Apicella Filippo, Apicella Emanuela, Apicella Eugenia, Apicella Maria Pia, Apicella Gerardo e Apicella Alfonso (fu Raffaele), chiedendo declaratoria dello scioglimento della società per non essere stato reintegrato il capitale sociale (di lire 69.000.000) dopo che il bilancio per l'anno 1989 aveva fatto registrare una perdita di esercizio (di lire 93.967.417) superiore alla misura del 75% del capitale stesso, prevista dall'art. 15 dello statuto, e per essere la società
nell'impossibilità di conseguire la realizzazione dell'oggetto sociale. Si costituivano in giudizio Apicella Filippo, Apicella Emanuela, Apicella Eugenia, Apicella Maria Pia, Apicella Gerardo e Apicella Alfonso (fu Raffaele), i quali:
eccepivano pregiudizialmente l'improponibilità della domanda in relazione alla clausola compromissoria contenuta nell'art. 16 dello statuto; eccepivano inoltre il difetto di legittimazione attiva dell'attore del quale contestavano la qualità di socio, attesa la intrasmissibilità della posizione di accomandatario per atti inter vivos (donazione effettuata in suo favore da Apicella Erasmo, prima dell'usufrutto e poi della nuda proprietà della quota sociale); e nel merito negavano sia che si fosse verificata la causa di scioglimento contemplata dall'art. 15 dello statuto sia che fosse in atto una situazione tale da impedire il perseguimento dello scopo sociale. Costituendosi in giudizio, Apicella Guglielmo, sia in nome proprio sia nella dichiarata qualità di amministratore unico della società, eccepiva l'inammissibilità della domanda per carenza di legittimazione attiva dell'attore e per la mancata notifica della citazione all'amministratore della società e all'altro socio accomandatario Apicella Erasmo; e peraltro proponeva a sua volta domanda per la declaratoria giudiziale dello scioglimento della società sull'autonomo presupposto della sussistenza delle circostanze di fatto da lui allegate. Apicella Erasmo interveniva volontariamente in giudizio e dichiarava di fare propria la domanda del figlio Apicella Alfonso subordinatamente al riconoscimento della sua legittimazione attiva.
2. Con successivo atto di citazione notificato il 19 marzo 1992, Apicella Alfonso (di Erasmo) e Apicella Erasmo impugnavano la deliberazione con la quale l'assemblea della società il 26 febbraio 1992, ritenuta non spettante ad Apicella Alfonso la qualità di socio, era stata decisa l'esclusione dalla società di Apicella Erasmo, ed erano state assunte altre determinazioni ai fini della prosecuzione dell'attività: di tale deliberazione deducevano la illegittimità per essere stata la stessa assunta in pendenza dello stato di liquidazione conseguente allo scioglimento ipso jure verificatosi della società a norma dell'art. 15 dello statuto; e chiedevano la condanna dei convenuti (Apicella Guglielmo in proprio e quale amministratore della società, Apicella Filippo, Apicella Emanuela, Apicella Eugenia, Apicella Maria Pia, Apicella Alfonso e Apicella Gerardo) al risarcimento del danno. Apicella Filippo, Apicella Alfonso e Apicella Gerardo, congiuntamente resistenti, opponevano: il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria dovendo la controversia essere deferita ad arbitri a norma dell'art. 16 dello statuto; la nullità della citazione per incertezza del requisito di cui all'art. 163 n. 3 C.P.C., la carenza di legittimazione attiva di Apicella Alfonso (di Erasmo), e, nel merito, l'infondatezza dell'impugnazione. Apicella Guglielmo, in proprio e in qualità di amministratore, deduceva a sua volta il difetto di legittimazione attiva di Apicella Alfonso, la carenza di interesse all'impugnazione da parte di Apicella Erasmo, l'inammissibilità e l'infondatezza dell'azione. Apicella Eugenia, Apicella Emanuela, e Apicella Maria Pia restavano contumaci. 3. Previa riunione dei procedimenti, il Tribunale di Salerno con sentenza non definitiva 20 maggio/29 giugno 1993 n. 1570/1993 dichiarava avvenuto alla data del 15 settembre 1990 lo scioglimento della società ai sensi dell'art. 15 dello statuto, e dichiarava illegittima e inefficace la impugnata deliberazione 26 febbraio 1992 sia nella parte relativa alla esclusione del socio Apicella Erasmo sia nelle parti aventi ad oggetto l'approvazione del bilancio sociale del 1990, l'inventario al 31 dicembre 1991, l'integrazione della perdita del capitale, e la continuazione dell'attività sociale; e disponeva con separata ordinanza per l'ulteriore corso del giudizio in ordine alla restante materia del contendere e specificamente alla domanda risarcitoria. Il Tribunale rilevava anzitutto la carenza di legittimazione attiva di Apicella Alfonso (di Erasmo), dovendosi ritenere inefficace nei confronti della società e degli altri soci la donazione, come sopra effettuata in suo favore da Apicella Erasmo, della quota sociale, per essere applicabile il disposto dell'art. 2252 C.C. (da intendersi implicitamente richiamato in base agli art. 2318, 2315, 2293 C.C.) e inapplicabile invece la previsione dell'art. 13 dello statuto;
riconosceva la legittimazione alla richiesta di scioglimento al solo Apicella Erasmo, intervenuto; riconosceva ad Apicella Alfonso la qualità di interveniente adesivo in quanto portatore di un interesse giuridicamente rilevante. Il Tribunale negava l'operatività della clausola compromissoria di cui all'art. 16 dello statuto sociale, sia perché questa riguardava le sole controversie tra soci e non anche quelle tra i soci e la società, sia perché la controversia relativa allo scioglimento della società non era suscettibile di deferimento ad arbitri, sia infine per l'incompatibilità del procedimento binario di nomina degli arbitri con la pluralità delle posizioni configurabili nella fattispecie. Nel merito, il Tribunale affermava essersi verificata la causa di scioglimento prevista dall'art. 15 dello statuto (perdita di oltre il 75% del capitale), ritenendo irrilevante al riguardo la consistenza del patrimonio sociale attesa la mancata tempestiva reintegrazione del capitale (deliberata solo il 26 febbraio 1992, e dando atto dell'assenza dell'unanimità dei consensi necessaria per la eventuale revoca della ormai incoata fase di liquidazione; riteneva quindi assorbita in quanto inutile l'indagine sulle altre cause di scioglimento prospettate; ed escludeva la necessità della nomina dei liquidatori. Quanto alla seconda causa, il Tribunale escludeva anzitutto la dedotta nullità della citazione per incertezza del petitum;
escludeva la riconducibilità della causa alla clausola compromissoria sia per le ragioni precedentemente esposte sia per essere l'operatività della clausola circoscritta alla fase attiva della società e non estesa a quella successiva allo scioglimento;
dichiarava illegittima la deliberazione di esclusione di Apicella Erasmo per il rilievo -assorbente rispetto al comportamento del socio il cui sollecitato accertamento era perciò ritenuto irrilevante- che la stessa era stata adottata nella pendenza della fase liquidatoria;
dichiarava altresì illegittime le ulteriori deliberazioni preordinate alla prosecuzione dell'attività sociale, sia perché incompatibili con lo stato di liquidazione sia perché risultanti (attesa la ritenuta illegittimità dell'esclusione di Apicella Erasmo) assunte solo a maggioranza.
4. Proponevano appello con unico atto Apicella Alfonso (fu Raffaele), Apicella Gerardo, Apicella Filippo, Apicella Emanuela, Apicella Eugenia, Apicella Maria Pia, reiterando quali motivi di impugnazione tutti gli assunti prospettati nel giudizio di primo grado. Si costituivano in giudizio Apicella Erasmo e Apicella Alfonso, congiuntamente tra loro, i quali resistevano al gravame e riproponevano in via di appello incidentale la domanda per la nomina dei liquidatori e la determinazione dei loro poteri; e la s.a.s. Ditta Apicella di Erasmo e Guglielmo Apicella in persona del socio accomandatario amministratore e legale rappresentante Apicella Filippo, che dichiarava di aderire all'appello anche in via di impugnazione incidentale. Rimaneva contumace Apicella Guglielmo. 5. La Corte di appello di Salerno, con sentenza 6 marzo 1997/23 settembre 1998 n. 412/1998, così decideva: "in parziale accoglimento dell'appello incidentale proposto avverso il capo della sentenza impugnata avente ad oggetto la domanda di accertamento dell'avvenuto scioglimento della società proposta da Apicella Alfonso e fatta propria dall'interventore Apicella Erasmo, rigetta la domanda medesima per come proposta dal primo di essi; dichiara nullo l'appello incidentale avverso lo stesso capo della sentenza proposto dagli appellati; in accoglimento dell'appello principale proposto avverso il capo della sentenza impugnata avente ad oggetto la opposizione alla delibera societaria del 26 febbraio 1992 dichiara la incompetenza del giudice ordinario per essere la stessa deferita ad arbitri a termini dell'art. 16 dell'atto costitutivo della società".
6. Avverso la suddetta sentenza Apicella Filippo, Apicella Gerardo, Apicella Alfonso, Apicella Emanuela, Apicella Maria Pia e Apicella Eugenia propongono il presente ricorso per cassazione, con deduzione di tre motivi. Apicella Erasmo e Apicella Alfonso (di Erasmo) resistono con controricorso. Apicella Guglielmo e la Apicella s.a.s., ai quali il ricorso è stato ritualmente notificato, non svolgono attività difensiva nel presente giudizio. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo dedotto a sostegno del presente ricorso ha ad oggetto denuncia di "violazione e falsa applicazione degli articoli 806 C.P.C., 1966, 2252 2272 e seguenti C.C. in relazione all'art. 16 del contratto; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al punto decisivo della compromettibilità dei giudizi di accertamento della causa di scioglimento secondo quanto contenuto all'art. 16 del contratto".
1.1. La censura dei ricorrenti si rivolge contro la ratio decidendi in base alla quale la Corte territoriale ha confermato - pur con diversa motivazione- la reiezione dell'eccezione di incompetenza del giudice ordinario adito in relazione alla domanda di accertamento della verificatasi causa di scioglimento della società, per essere la controversia sottratta a compromettibilità in quanto involgente diritti non disponibili. La Corte di merito ha disatteso, in base a una diversa interpretazione della volontà negoziale delle parti compromittenti, l'opinione del Tribunale il quale, in considerazione del tenore letterale della clausola compromissoria, ne aveva ritenuto, sotto un primo profilo, circoscritta l'operatività alle controversie relative a conflitti insorti tra i soci con esclusione di quelle relative a conflitti tra uno o più soci e la società, e sotto diverso aspetto, ne aveva ritenuto limitato l'ambito di applicabilità alla "fase di vita attiva" della società" e non anche alla fase di liquidazione", e ciò con riferimento sia all'una che all'altra delle cause riunite.
E peraltro, procedendo ulteriormente all'esame della problematica della compromettibilità in arbitri in relazione all'oggetto della controversia, mentre ha riconosciuto la sussistenza della cognizione arbitrale -già ritenuta dal primo giudice- in ordine alla controversia concernente l'annullamento della deliberazione 26 febbraio 1992 (con decisione non impugnata in questa sede), ha affermato invece la competenza del giudice ordinario in ordine alla controversia riguardante lo scioglimento della società, non in funzione del contenuto specifico della clausola, bensì in applicazione del principio, enunciato in termini generali, della esclusione della compromettibilità delle controversie "nelle quali viene in gioco non già e non solo il personale interesse dei soci, di per sè disponibile, ma quello generale al mantenimento in vita della società per la rilevanza esterna che esso presenta". 1.2. La suesposta ratio decidendi risulta giuridicamente corretta e si sottrae ai profili di censura che trovano espressione nel motivo in esame.
1.2.1. I ricorrenti assumono anzitutto che "le società di persone non hanno autonomia patrimoniale, con la conseguenza che contitolari delle situazioni giuridiche attive e passive costituenti il patrimonio sono sempre e soltanto i soci";
l'argomentazione riceve integrazione dall'ulteriore assunto che "la decisione è altresì censurabile sotto il profilo della coerenza e sufficienza della motivazione, fondandosi sull'argomento incongruo sotto il profilo sia logico che giuridico che la società di persone costituisca una entità distinta dai soci al pari delle società di capitali, che tale controversia involga i diritti della società o dei creditori o interessi collettivi dei soci". È necessario e sufficiente richiamare, al riguardo, il principio, ormai consolidato in giurisprudenza e in dottrina, della alterità unificata della società di persone rispetto alla sfera giuridica di ciascuno dei singoli soci, in virtù della quale, ferma restando l'assenza nelle società di persone di quella piena ipostatizzazione formale che contraddistingue le società di capitali con l'attribuzione a queste della personalità giuridica, la società viene a porsi, sia sul piano del diritto sostanziale sia sul piano del diritto processuale, come centro autonomo di rapporti intersoggettivi diversi e distinti da quelli facenti capo ai singoli soci, e quindi di diritti e di obblighi scaturenti dalla diretta riferibilità all'ente sociale dell'attività posta in essere dalle persone fisiche agenti in nome dello stesso in situazione di immedesimazione organica. Ne consegue la configurabilità di rapporti e anche di conflitti giuridici non solo tra due o più società ma anche tra la società e uno o più singoli soci: in tale ordine di idee si colloca anche la recentissima sentenza 26 aprile 2000 n. 291 con la quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la domanda di liquidazione della quota di una società di persone, da parte del socio receduto o escluso, ovvero degli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci ma della società. Sulla base di tali premesse, va precisato, per quanto rilevante in ordine alla questione in esame, che il carattere di trascendenza, rispetto agli interessi particolari dei soci, degli interessi della società, esponenziali agli interessi della collettività dei soci -primo fra questi l'interesse correlato alla realtà giuridica della permanente sussistenza o meno della società, risalente alla costituzione della società stessa attuata con l'unanime manifestazione di volontà collettiva espressa nel contratto sociale e sottratto all'incidenza del principio maggioritario- e con esso il carattere di indisponibilità da parte dei singoli soci delle situazioni giuridiche in cui essi trovano realizzazione, si ravvisa non solo nei confronti della società personalizzata ma anche nei confronti della società dotata di autonomia patrimoniale che, pur non attingendo la piena personalità giuridica, è presente nell'ordinamento come ens tertium.
1.2.2. Si deduce, ancora: che le singole cause di scioglimento sono riferibili o alla volontà dei soci o alla volontà della legge; che, ove si prospetti una causa di scioglimento riconducibile alla volontà dei soci, solo i soci sono legittimati a farla valere; che resta attribuito ai soci il potere di eliminare la causa di scioglimento e di revocare lo stato di liquidazione. Osservasi che l'attribuzione ai soci, quale manifestazione di autonomia negoziale, del potere di rimuovere la causa di scioglimento e di revocare la liquidazione, non riveste rilevanza probante in senso contrario alla indisponibilità a cui è correlata la esclusione della compromettibilità delle controversie inerenti allo scioglimento della società, giacché la possibilità di rimozione della causa di scioglimento è rimessa all'unanimità dei soci, il che dimostra il carattere generale dell'interesse ad essa sotteso. 1.2.3. Non giova ai ricorrenti richiamare, a questo proposito, dottrina e giurisprudenza le quali riconoscono -come è stata riconosciuta dalla stessa Corte di appello nella sentenza in relazione ad altro oggetto di materia del contendere autonomamente deciso- la compromettibilità delle controversie relative all'esclusione dei soci. Invero, il rilievo esige di essere completato nel senso che, se le controversie in materia di esclusione del socio sono state ritenute in se stesse, compromettibili in arbitri, ciò non è stato ritenuto possibile quando dall'esclusione del socio derivi necessariamente lo scioglimento della società (v. in proposito: Cass. 30 marzo 1984 n. 2084, e Cass. 20 aprile 1985 n. 2611). Anche a questo proposito, infatti, non può non venire in considerazione la differenziata rilevanza della natura degli interessi sottesi alle controversie che possano qualificarsi genericamente sociali, quale criterio selettivo delle controversie compromettibili.
1.2.4. Prive di apprezzabile significato appaiono, poi, le ulteriori considerazioni svolte dai ricorrenti i quali ricordano:
che con il verificarsi della causa di scioglimento i soci acquistano il diritto all'attuazione della fase liquidatoria; che la società non si estingue, ma continua ad esistere fino all'esaurimento della liquidazione, con preclusione agli amministratori del compimento di atti di gestione non correlati alla liquidazione; che il Presidente del Tribunale nell'esercizio delle funzioni di cui all'art. 2275 C.C. non ha il potere di accertare se siasi verificata o meno la prospettata causa di scioglimento.
1.3. In definitiva, non sussistono la denunciata violazione di legge e la lamentata carenza di motivazione. Alla fattispecie in esame risulta correttamente applicato, ratione materiae, il disposto dell'art. 806 C.P.C. per il quale "le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte tranne quelle ......... che non possono formare oggetto di transazione" in coordinazione con l'art. 1966 C.C. ove la esclusione dalla transigibilità è correlata alla nozione di indisponibilità. E, atteso il carattere generale e assoluto della rilevata ragione di indisponibilità, risulta non decisiva al riguardo l'eventuale diversa volontà delle parti che possa ritenersi individuabile in sede di interpretazione dell'art. 16 del contratto sociale, destinato a risultare in tal caso affetto da nullità in parte qua, di cui quindi non è denunciabile ai sensi dell'art. 360 n. 5 C.P.C. l'omessa specifica considerazione. 2. Nel secondo motivo i ricorrenti deducono "violazione e falsa applicazione degli art. 1362, 1363, 1369 C.C. in relazione all'interpretazione dell'art. 15 dello statuto; omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione in relazione ai criteri ermeneutici adottati per l'interpretazione dell'art. 15 dello statuto." 2.1. Viene in considerazione dell'interpretazione dell'art. 15 dello statuto, il quale stabilisce che "sarà causa di scioglimento della società, oltre quelle previste dall'art. 2323, la perdita di oltre il 75% del capitale sociale, se non sarà immediatamente reintegrato dai soci in proporzione delle quote", e in particolare l'individuazione del significato da attribuirsi al termine "perdita". Contro la tesi degli appellanti, i quali sostenevano il citato art. 15 non potersi intendere come riferito a una perdita di esercizio eccedente il 75% del capitale sociale, la Corte di merito ha affermato: che per capitale sociale si intende il valore nominale dei conferimenti eseguiti o promessi dai soci quale risultante dall'atto costitutivo a norma dell'art. 2295 n. 6 C.C. (applicabile in tema di società in accomandita semplice in base al rinvio di cui all'art. 2315 C.C.) e destinato a restare invariato fino a che una modificazione dell'atto costitutivo non ne determini l'aumento o la riduzione; che, per contro, il patrimonio sociale è costituito dal complesso dei rapporti giuridici (attivi e passivi) facenti capo alla società, variabile nella sua espressione pecuniaria in relazione agli utili conseguiti o alle perdite subite;
e che "la clausola la quale prevede come di causa di scioglimento la perdita di oltre il 75% del capitale sociale se non sarà immediatamente reintegrato non può essere interpretata se non riferita al caso in cui il rendiconto annuale evidenzi una perdita di misura pari al 75% del valore nominale attribuito al capitale sociale nell'atto costitutivo e non a quello in cui il patrimonio sociale scenda al di sotto del valore nominale del capitale per oltre detta misura".
2.2. La riferita interpretazione sarebbe, secondo i ricorrenti, "censurabile sia sotto il profilo della corretta applicazione dei criteri ermeneutici fissati dalla legge per l'interpretazione dei contratti che della congruità degli argomenti addotti in relazione all'individuazione della volontà effettiva delle parti considerato altresì l'oggetto del contratto e il complesso delle pattuizioni in esso contenute." Valgono in contrario le seguenti considerazioni. 2.2.1. Osservasi anzitutto che l'interpretazione del dato contrattuale è riservata al giudice del merito, e non è sindacabile in sede di legittimità se ed in quanto adeguatamente motivata, esente da errori di diritto, e non viziata da carente o distorta applicazione dei canoni ermeneutici; e non può la parte ricorrente pretendere di vederla sostituita, ad opera della Corte di Cassazione, con altra meglio rispondente alla tesi dalla stessa prospettata. Ora, la riferita ratio decidendi appare ispirata a corretta comparazione delle nozioni di capitale sociale e di patrimonio sociale: invero, la perdita di esercizio si identifica, quale fatto rilevante nel suo aspetto patrimoniale (specularmente opposto all'utile di esercizio), nel saldo del negativo del conto economico; e vede trasferita la sua rilevanza nel contenuto dello stato patrimoniale nel quale viene iscritta, al passivo, quale componente algebricamente negativa del patrimonio netto;
costituendo il capitale la misura di riferimento della garanzia dei creditori, si pone l'esigenza della conservazione della corrispondenza minimale tra il valore nominale del capitale e il valore reale del patrimonio; in funzione di questa esigenza, si pone la correlazione -posta dalla clausola societaria in esame, mediante uno strumento di garanzia non dissimile nel funzionamento (salva la variante quantitativa) da quello previsto nell'art. 2447 C.C- tra l'entità nominale del capitale e l'entità della perdite, dalla quale è destinata a risultare la misura in cui il capitale, e non già il patrimonio sociale, abbia subito erosione. E la traslazione dei suddetti principi sul piano decisionale nella fattispecie risulta affidata ad una argomentazione esauriente e intrinsecamente coerente.
2.2.2. D'altro canto, nel contenuto della critica svolta dai ricorrenti non si ravvisano elementi anche solo potenzialmente idonei a costituire supporto logico alla conclusione prospettata nel senso che "non possa ritenersi espressa una volontà delle parti che la mancata reintegrazione della perdita d'esercizio quantitativamente superiore al 75% del capitale sociale costituisca causa di scioglimento". E nemmeno viene posta in evidenza una apprezzabile situazione di dubbio interpretativo circa l'effettivo significato del testuale tenore della clausola, che esiga il ricorso agli invocati criteri complementari al fine di rettificare il risultato ermeneutico risultante dal riferimento al significato letterale e tecnico-giuridico delle locuzioni ivi contenute. Osservasi in particolare: che nessun rilievo assume l'art. 9 dello statuto che regola le modalità di ripartizione tra i soci degli utili e delle perdite, al quale sia il giudice del merito sia i ricorrenti fanno riferimento sotto diversi profili, ma nella sostanziale coincidente constatazione della rispondenza allo stesso criterio della distribuzione dell'onere di reintegrazione del capitale di cui all'art. 15; che fuorviante si palesa la commistione tra la nozione di perdita del capitale sociale e quella di perdita del socio, quest'ultima derivando dal ben diverso fenomeno della ripercussione dell'andamento variabile del patrimonio sociale sul valore reale della quota intesa come componente del patrimonio del socio stesso; che non è giuridicamente significativo il riferimento introdotto dai ricorrenti alle pretese "attività effettive", se ed in quanto non coincidenti con le poste attive di cui al bilancio, nella determinazione del saldo negativo da cui deriva la perdita da raffrontare al capitale nominale.
3. Nel terzo motivo i ricorrenti prospettano "violazione e falsa applicazione degli art. 114 e 116 C.P.C. avendo la Corte omesso di esaminare documenti decisivi; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine a documenti ritenuti decisivi ai fini della decisione; omesso esame di documenti decisivi".
3.1. Si afferma al riguardo che, nel ritenere provata la asserita perdita di esercizio di lire 93.967.417 in esito al bilancio relativo all'esercizio del 1990, la Corte di merito ha pretermesso la considerazione della circostanza, comprovata con relazione tecnica esperita nel corso dello stesso giudizio successivamente alla sentenza parziale, che il valore della quota di pertinenza di Erasmo Apicella al 15 settembre 1990 era di lire 83.303.334, e come tale superiore al capitale sociale nominale da lui investito all'atto della costituzione della società (lire 63.000.000). E si assume che tale dato di fatto doveva essere valutato al fine di accertare se si fosse determinata una perdita del capitale sociale, e che quindi risulta incongrua e insufficiente la motivazione nel senso che la prova doveva essere acquisita sulla base del bilancio. 3.2. La censura è infondata. È sufficiente richiamare quanto precedentemente osservato, in senso più generale, sub 2.2.2., per rilevare ulteriormente che altro è la perdita riferibile alla società che, se ed in quanto incidente sul capitale nel senso e nella misura di cui sopra, viene a costituire causa di scioglimento della società, e altro è la ripercussione patrimoniale positiva o negativa che può subire il socio sotto specie di incremento o diminuzione del valore reale della sua quota societaria in vista della sua partecipazione agli utili o alle perdite della gestione sociale. Perciò l'elemento segnalato dai ricorrenti non riveste carattere di decisività, e la omessa specifica considerazione dello stesso non rileva quale vizio di motivazione deducibile nella presente sede. Quanto poi al ritenuto conseguimento della prova dell'avvenuta perdita in base alle risultanze di bilancio, la censura di insufficienza e incongruenza di motivazione appare del tutto apodittica, in assenza di specifica indicazione di qualsiasi aporia o anomalia nella ratio decidendi della sentenza impugnata. Giova infine dare atto che nessuna censura viene formulata dai ricorrenti contro l'accertamento, da parte del giudice del merito, della mancata tempestiva reintegrazione del capitale sociale, di fatto deliberata a distanza di oltre un anno e mezzo, quando tra l'altro già era stata proposta la domanda giudiziale per la declaratoria dell'avvenuto scioglimento della società. 4. Il ricorso riceve pertanto totale reiezione. Consegue la condanna delle parti ricorrenti, in via solidale tra loro, al rimborso in favore delle controparti costituite, delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti Apicella Filippo, Apicella Gerardo, Apicella Alfonso, Apicella Emanuela, Apicella Maria Pia, Apicella Eugenia, in via solidale tra loro, al rimborso in favore dei resistenti Apicella Erasmo e Apicella Alfonso (di Erasmo) delle spese del presente giudizio, che liquida in lire 235.000 per esborsi e in lire 4.000.000 per onorari.
Roma, 9 maggio 2000.
Depositata in cancelleria il 19 settembre 2000.