Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6255 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 29 Agosto 1997, n. 8187. Est. Baldassarre.


Società - Di persone fisiche - Società irregolare e di fatto - Prova - Scritta - Mancanza - Ininfluenza - Rapporti tra soci - Elementi di prova - Comportamenti tenuti dai soci nei confronti dei terzi - Rilevanza - Accertamento del giudice di merito - Sindacabilità - Esclusione.



La concreta mancanza della prova scritta di un contratto societario relativo ad una società di fatto o irregolare (non richiesta, peraltro, dalla legge ai fini della sua validità), non impedisce, al giudice del merito, l'accertamento, "aliunde", della esistenza di una struttura societaria, all'esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l'esercizio in comune di una attività imprenditoriale nonché l'esistenza di una "affectio societatis" ("id est" l'intenzione pattizia dei contraenti di vincolarsi e collaborare per tale esercizio), potendo legittimamente desumersi tale rapporto sociale dai comportamenti tenuti, anche nei confronti dei terzi, da ciascuno dei soci nell'esercizio collettivo dell'impresa. Tale indagine, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Renato SGROI - Presidente -
Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Rel. Consigliere -
Dott. Pasquale REALE - Consigliere -
Dott. Mario Rosario VIGNALE - Consigliere -
Dott. Vincenzo PROTO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
D'ALBA PASQUALE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FORO TRAIANO 1/A, presso l'avvocato E. BUGLIELLI, rappresentato e difeso dall'avvocato VITTORIO MITOLO, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
D'ALBA FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA V. VENETO 7, presso l'avvocato D. BRUNO, rappresentato e difeso dall'avvocato NICOLA PUTIGNANO, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 369/94 della Corte d'Appello di BARI, depositata il 17/05/94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/03/97 dal Relatore Consigliere Dott. Vincenzo BALDASSARRE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo MACCARONE che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Foggia, con sentenza del 29 giugno 1991, accogliendo in parte la domanda proposta da Francesco D'Alba, dichiarava l'esistenza di una società di fatto, denominata "Ingral Ingrosso Alimentari", tra l'istante e il fratello Pasquale limitatamente al periodo tra il 1 ottobre 1980 e il 5 febbraio 1982; determinava in L. 2.930.000 il valore della metà dei beni aziendali spettanti all'attore, in L. 500.000 la metà del valore di un sopralzo in ferro, in L. 8.696.000 la metà degli utili e in L. 500.000 la quota dell'avviamento commerciale; dichiarava inammissibile, perché tardiva, la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto all'udienza di precisazione delle conclusioni e lo condannava a pagare la somma complessiva di L. 15.595.449 con gli interessi dalla domanda, e le spese.
La sentenza, impugnata da Pasquale D'Alba e, in via incidentale, da Francesco, è stata riformata dalla Corte d'appello di Bari che, con la pronuncia ora gravata per cassazione, ha portato la condanna di pagamento a complessive L. 16.233.083 con gli interessi legali dal 19 maggio 1982 e condannato l'appellante principale ai due terzi delle spese del doppio grado, con compensazione del terzo rimanente. La corte territoriale ha ritenuto che l'esistenza della società di fatto fosse dimostrata dalle risultanze della consulenza tecnica di ufficio e dai riscontri offerti dalla prova orale, senza che potessero rivestire decisiva rilevanza in contrario l'assunzione di obbligazioni bancarie da parte del solo appellante principale, data la breve durata della società, e la deposizione dell'avv. Angelo Materangelis, difensore dell'istante nella fase iniziale del giudizio.
Ha tenuto fermi l'accertamento relativo ai beni aziendali e la determinazione dell'avviamento in L. 500.000, in considerazione della breve durata della società e dell'attività svolta; mentre per la rettifica degli utili in L. 12.313.083 ha dato rilievo alle correzioni apportate dall'appellato alle valutazioni del consulente d'ufficio e alle precisazioni fornite all'appellante ralativamente all'ultimo periodo (1 gennaio - 5 febbraio 1982) del rapporto societario.
Ha escluso l'utilizzabilità della documentazione già disattesa dal Tribunale, perché contestata e priva di sottoscrizioni. Ha ritenuto infine che la somma di L. 16.000.000, che l'appellato aveva dichiarato di avere incassato per conto della Ingral e non versato, dovesse ritenersi inclusa nella maggior somma che l'attore aveva riconosciuto, in citazione, di avere ricevuto dal fratello. Pasquale D'Alba affida il ricorso a tre motivi, resistiti da controricorso dell'intimato.
V'è memoria del ricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) - Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art. 2247 cod. civ., violazione dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, e addebita alla Corte d'appello di avere, senza motivare, ritenuto inattendibili le dichiarazioni rese da Pasquale D'Alba in sede di interrogatorio formale; dato valenza probatoria alla lettera in data 22 maggio 1982; ritenuto irrilevanti le circostanze relative all'assunzione di obbligazioni presso la Cassa di risparmio da parte del solo ricorrente e alla fideiussione prestata dalla moglie di questi; ritenuto inverosimile la dichiarazione dell'avv. Materangelis; trascurato la deposizione della moglie del ricorrente, sebbene avesse riferito fatti rilevanti.
Il motivo non è fondato.
Invero, quando non sia richiesta dalla legge (come nell'ipotesi di società di fatto o irregolare) e manchi in concreto la prova scritta del contratto sociale, l'accertamento sull'esistenza tra più persone della società personale, non costituita nelle forme di legge, deve essere condotta dal giudice del merito tenendo conto per quanto attiene ai rapporti tra i soci del complesso delle circostanze idoneea rivelare l'esercizio in comune di un'attività imprenditoriale e l' affectio societatis (vale a dire l'intenzione pattizia dei contraenti di vincolarsi e collaborare per tale esercizio), potendo desumersi il rapporto sociale dei comportamenti tenuti dai soci, anche nei confronti dei terzi, nell'esercizio collettivo dell'impresa. E tale indagine, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e giuridicamente corretta (v. tra le altre sent. 7 dicembre 1989 n. 5408, 28 marzo 1987, n. 3029).
Nella specie a tale principio risulta ispirata la motivazione della sentenza impugnata che, nella sua sinteticità espositiva, denota il compiuto esame delle risultanze processuali e l'apprezzamento degli elementi significativi, senza che la conclusione sul punto resti smentita dalle argomentazioni esposte nel motivo in esame. Esse tendono, nella sostanza, ad una inammissibile revisione del giudizio di merito, più che a dimostrarne le asserite deficienze di motivazione; posto che il giudice del merito legittimamente recepisce gli accertamenti e il parere del consulente tecnico di ufficio, valorizza fatti sfavorevoli alla parte risultanti da proprie scritture e pretermette le deposizioni testimoniali che reputi inattendibili o superate dalle altre concorrenti emergenze. Ne deriva il rigetto del primo motivo.
2) - Con il secondo mezzo, denunciando violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 342, nonché vizio di motivazione per mancato esame e valutazione della documentazione prodotta, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia motivato in ordine al secondo motivo di appello (testualmente trascritto nel mezzo in esame) riguardante la determinazione della quota di utili, nè dato coerenti risposte circa l'incasso da parte di Francesco D'Alba di L. 16 milioni, di cui alla dichiarazione scritta, e di L. 31.594.975, risultanti dal conteggio dalla stesso prodotto. Anche tale motivo incontra i limiti delle censure ex art. 360 n. 5 cod. proc. Civ., non avendo la Corte d'appello tralasciato l'esame delle doglianze mosse dall'appellante in ordine alla liquidazione della quota di utili spettante all'attore (quota che ha ridemensionato rispetto alla determinazione operata dal Tribunale) e avendo valorizzato invece gli accertamenti portati dalla consulenza, della quale non ha ritenuto, per tanto, necessaria la rinnovazione. Al tempo stesso ha rilevando, legittimamente, la non utilizzabilità della documentazione prodotta in fotocopia e, in particolare, la invocata dichiarazione dell'appellato di avere incassato per conto della INGRAL la somma di lire 16.000.000, somma che ha ritenuto compresa in quella maggiore che lo stesso attore aveva ammesso di avere ricevuto dal fratello.
Il motivo va, per tanto, respinto.
3) - Il terzo motivo reca la censura di violazione dell'art. 2697 cod. civ., oltre che di contraddittorietà di motivazione, per avere la Corte del merito liquidato in lire 500.000 l'avviamento, che non è elemento costitutivo dell'azienda, pur avendo riconosciuto che la società era durata soltanto 16 mesi, svolgendo attività in massima parte aventi capo allo stesso appellato.
Il precedente citato in ricorso (sent. 8 novembre 1983 n. 6608), dal quale il collegio non ritiene di discostarsi, se sottolinea che l'avviamento non costituisce essenziale elemento costitutivo dell'azienda, porta, d'altra parte, ad esempio situazioni (azienda che non abbia ancora iniziato a funzionare o che abbia sospeso l'attività) che sono caratterizzate dall'eccezionalità, affermando altresì che l'avviamento è dell'azienda elemento rivelatore. Nel caso in esame la Corte del merito menziona le circostanze della breve durata della società e della rilevanza, nell'attività espletata, dell'intraprendenza e genialità del titolare, che, secondo un attendibile apprezzamento, non sono tali da determinare l'assenza dell'avviamento, ma soltanto la sua ridotta rilevanza. Di qui il ricorso alla liquidazione equitativa con la conferma dell'esiguo importo di cui alla sentenza di primo grado. Consegue il rigetto del terzo mezzo e con esso dell'intero ricorso. A norma dell'art. 92 cod. proc. civ., si compensano per intero le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 1997.