Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6235 - pubb. 01/08/2010

.

Cassazione civile, sez. I, 05 Aprile 2006, n. 7886. Est. Panzani.


Società - Di persone fisiche - Società in nome collettivo - Rapporti tra soci - In genere - Azione giudiziaria nei confronti della società - Instaurazione del contraddittorio nei confronti dei soci - Sufficienza - Fondamento - Distinzione della volontà e dell'interesse della società da quello dei soci - Esclusione - Fattispecie in tema di annullamento della cessione di quote tra i soci.



Nelle società di persone, l'unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l'attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un'amministrazione e di una rappresentanza) e l'autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell'insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell'ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità (dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell'unicità esclusiva di un "ens tertium". Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che la proposizione della domanda di annullamento di un atto di cessione delle quote sociali intervenuto tra i soci di una società in nome collettivo richiedesse l'instaurazione del contraddittorio anche nei confronti della società). (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CONSOLINI Giordano e CONSOLINI Pietro, elettivamente domiciliati in Roma, piazza Cola di Rienzo 92, presso l'avv. Carlini Franco, che li rappresenta e difende con l'avv. Boem Fabio del foro di Brescia, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
PALINI Eleonora;
- intimata -
SALERI Faustina o Fausta ved. CONSOLINI e CONSOLINI Lucia;
- intimate -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 271/02 del 20 aprile 2002;
Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 8/02/06 dal Relatore Cons. Panzani Luciano;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Cafiero Dario che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ileonora Palini conveniva in giudizio Giordano e Consolini Pietro esponendo che essa e i convenuti, soci con quote uguali nella s.n.c. Consolini Giacomo & C. avevano sottoscritto nel luglio 1989 un documento denominato "preliminare di sistemazione d'interessi" nel quale era prevista la cessione da parte sua della propria quota del 25% nella società a favore degli altri due contraenti. Era inoltre stabilito che si facesse luogo alla divisione degli immobili intestati in via Marsala ed era determinata la somma da corrispondere a suo favore in lire 200 milioni, di cui 40 alla sottoscrizione e 160 al momento del perfezionamento formale degli accordi. Osservava la Palini che nel redigere il documento non si era tenuto conto del fatto che il numero dei soci, originariamente di quattro, si era ridotto a tre a seguito del recesso di Bortolo Consolini, sicché la sua quota non corrispondeva più al 25%, ma al 33%. Ciò aveva inciso sul calcolo del corrispettivo pattuito. L'attrice chiedeva al tribunale di dichiarare nullo, annullabile, inefficace il contratto preliminare sottoscritto dalle parti e che, determinata la sua quota di partecipazione nel 33%, procedesse alla corretta liquidazione della somma corrispondente al valore di detta quota. I convenuti si costituivano in giudizio osservando che la quota era stata computata in misura pari al 25% perché al momento della redazione del preliminare non si era ancora liquidato il socio Consolini Bortolo, già receduto. Aggiungevano di aver dato puntuale esecuzione al contratto. Chiedevano il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la rifusione delle spese legali sostenute per resistere all'istanza di sequestro.
Con successiva citazione Pietro e Giordano Consolini convenivano in giudizio la Palini rilevando di aver provveduto a formalizzare l'offerta reale del residuo corrispettivo di 160 milioni dovuto in forza del preliminare e, di fronte al rifiuto della Palini, chiedevano che il tribunale convalidasse l'offerta. Il Tribunale di Brescia, riuniti i giudizi, nei quali erano intervenuti Lucia Consolini e Franca Saleri, eredi del frattanto deceduto Bortolo Consolini, assumendo conclusioni dirette al rigetto della domanda proposta dalla Palini, con sentenza 12.2.1998 accertava la nullità del preliminare in quanto stipulato senza la partecipazione all'atto di Bortolo Consolini. Interpretava la domanda di liquidazione della quota da parte della Palini come recesso e quantificava il valore della quota in L. 335.000.000 maggiorando tale importo degli interessi legali e condannando i convenuti al pagamento della somma di L. 523.471.918. La domanda riconvenzionale veniva conseguentemente respinta e così pure la domanda di rimborso delle spese processuali relative al procedimento di sequestro. Su appello di Pietro e Consolini Giordano nonché di Lucia Consolini e Franca Saleri., la Corte d'appello di Brescia riteneva che il tribunale avesse errato nel ritenere la nullità del preliminare perché Bortolo Consolini doveva ritenersi già receduto alla data della stipulazione per quanto concerneva i rapporti interni tra i soci, ancorché il recesso dovesse essere reso ancora opponibile nei confronti dei terzi. Riteneva peraltro che la Palini avesse riproposto ex art. 346 c.p.c. del giudizio d'appello la domanda di annullamento per vizio del consenso e specificamente per errore nella determinazione dell'oggetto del contratto. Errore riconoscibile ed essenziale, relativo alla determinazione della quota di spettanza dell'attrice, posto che non era stato tenuto conto del recesso del Consolini Bortolo.
La Corte rigettava la prima domanda riconvenzionale riproposta dagli appellanti perché l'offerta reale da essi effettuata si riferiva ad un contratto annullato. Osservava che la prova testimoniale da essi dedotta e della cui mancata ammissione si erano doluti con il terzo motivo di gravame, era inammissibile perché non formulata per capitoli separati come previsto dall'art. 244 c.p.c.. La Corte peraltro confermava la liquidazione della quota della Palini effettuata dal tribunale, essendosi sul punto formato il giudicato interno, ancorché tale quota fosse determinata sulla base del 25% e non del 33%.
Infine i Giudici del gravame ritenevano che l'appello proposto da Giordano e Pietro Consolini per quanto concerneva il rigetto da parte del tribunale della domanda di condanna della Palini alle spese legali relative al procedimento di sequestro giudiziario fosse inammissibile perché la ratio decidendi del tribunale, essere nei procedimenti in materia cautelare nel rito previgente esclusa ogni statuizione in ordine alle spese - non era stata in alcun modo impugnata. Gli appellanti avevano avanzato una domanda di risarcimento dei danni che era nuova, in quanto non proposta in primo grado.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione Giordano e Pietro Consolini con nove motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 324, 329, 346 in relazione agli artt. 342 e 343 c.p.c. e dell'art. 1444 c.c.. Affermano che la Palini non aveva impugnato con appello incidentale la sentenza di primo grado in ordine alla determinazione della quota di sua spettanza della s.n.c. Di qui l'implicita acquiescenza della Palini non soltanto alla determinazione della quota, ma anche alla validità del contratto preliminare. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e del diritto di difesa perché essendosi formato il giudicato sui punti ora detti, la pronuncia della Corte Territoriale avrebbe violato il diritto di difesa degli appellanti.
Con il terzo motivo si deduce vizio di ultrapetizione e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, perché la Palini si era limitata a chiedere il rigetto dell'appello e non aveva domandato la determinazione dell'entità della quota. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in ordine ai principi di riconoscibilità ed essenzialità dell'errore e violazione dell'art. 2697 c.c..
La Corte di merito avrebbe pronunciato l'annullamento del contratto in difetto di prova in ordine ai requisiti ora detti e senza che la domanda fosse stata riproposta dalla Palini in appello. Con il quinto motivo si deduce l'ingiustizia manifesta della sentenza perché la Palini si era sempre rifiutata di adempiere al preliminare e n'è risultata premiata vedendosi riconoscere valore alla quota di entità superiore a quanto le sarebbe spettato.
Con il sesto motivo si deduce l'omessa considerazione di un aspetto decisivo della controversia e cioè del contenuto dell'appello proposto dalle intervenute Consolini Lucia e Saleri Fausta, con cui esse sottolineavano che nella redazione del preliminare si era tenuto conto che il Consolini Bortolo era receduto, ma la sua quota non era stata ancora liquidata, si che la quota della Palini non poteva che essere determinata nel 25%.
Con il settimo motivo si deduce violazione di legge per la mancata partecipazione al giudizio di primo e secondo grado della s.n.c. Consolini.
Con l'ottavo motivo si deduce illogicità della sentenza in ordine al rigetto della riconvenzionale proposta dai ricorrenti e violazione dell'art. 2043 c.c.. La statuizione della Corte territoriale sarebbe incomprensibile e contraddittoria perché all'epoca in cui era stato proposto il procedimento di sequestro non era possibile ottenere la liquidazione delle spese in sede cautelare. La Corte non avrebbe considerato che la domanda formulata in primo grado era stata avanzata ai sensi dell'art. 2043 c.c..
Con il nono motivo si deduce ingiustizia manifesta in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali dedotte dai ricorrenti. La Corte non avrebbe considerato che nei verbali le prove erano state articolate per capi specifici.
2. Va preliminarmente esaminato il settimo motivo per la sua pregiudizialità logica, in quanto investe la rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti legittimati. Esso non è fondato.
I ricorrenti si dolgono che la Corte Territoriale abbia pronunciato l'annullamento del contratto 31.7.1989, senza che fosse parte del giudizio la s.n.c. Consolini Giacomo & C., che sarebbe stata contraddittore necessario nel giudizio.
Va osservato che, come già si è accennato, il contratto intervenuto tra le parti è il preliminare con cui la Palini ed i ricorrenti avevano convenuto, tra l'altro, la cessione in favore di Giordano e Pietro Consolini della quota della s.n.c. intestata all'odierna intimata.
Di tale contratto non era parte la società, si che deve escludersi, nel caso di specie, la sussistenza di un'ipotesi di litisconsorzio necessario con la società stessa.
Nè può sostenersi che, incidendo il trasferimento della quota sulla distribuzione delle quote sociali e sulla stessa composizione del gruppo sociale; la società avrebbe dovuto partecipare al giudizio. Se è vero, infatti, che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato (Cass., n. 4226/91; Cass., n. 863/86; Cass., n. 3466/80) che la controversia diretta al riconoscimento della qualità di socio ( ma non era questo il caso in esame) in una società personale implica necessariamente una diversa distribuzione della quota sociale, venendo ad interessare direttamente la componente stessa del gruppo sociale, va subito aggiunto che questa Corte ha anche stabilito (Cass., n. 3692/80) che, non essendo la società di persone dotata di personalità giuridica e godendo soltanto di autonomia patrimoniale, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti di tale società, normalmente accompagnandosi alla rappresentanza negoziale anche quella processuale, è sufficiente che siano presenti in giudizio tutti i soci, nei quali, infatti, sia dal punto di vista sostanziale che formale, si esaurisce la società. Il principio è stato successivamente ribadito (Cass., n. 1799/90; Cass. 13438/03) nel senso che nelle società di persone, l'unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l'attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un'amministrazione e di una rappresentanza) e l'autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell'insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell'ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità (dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nella unicità esclusiva di un ens tertium. Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale, è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia, nei confronti di questi emessa, anche nei riguardi della società stessa.
Nel caso in esame hanno partecipato al giudizio tutti i soci, atteso che, anche a prescindere dall'efficacia del recesso del Consolini Bortolo, è pacifico che questi è deceduto in data anteriore all'instaurazione della controversia e deve darsi atto che gli eredi non assumono la qualità di socio già posseduta dal defunto. 3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi. Con essi i ricorrenti lamentano che la Corte Territoriale non abbia considerato che la Palini non aveva proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva determinato la sua quota di partecipazione alla s.n.c. nel 25% e non nel 33%. Di tanto si dolgono anche sotto il profilo del vizio di ultrapetizione e della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Entrambi i motivi sono inammissibili.
La Corte d'Appello, dopo aver pronunciato l'annullamento del contratto preliminare, ha peraltro mantenuta ferma la liquidazione del corrispettivo della quota della Palini in misura corrispondente al 25% del patrimonio sociale. Ciò perché, ad avviso della Corte, si era formato il giudicato interno in ordine alla statuizione del Giudice di primo grado secondo il quale l'istanza di liquidazione giudiziale della quota avanzata dall'attrice costituiva implicita manifestazione della volontà di recesso. E, sempre secondo i giudici d'appello, si era formato il giudicato interno anche in ordine alla determinazione dell'ammontare del corrispettivo della quota, stabilito dal tribunale in L. 335.000.000 alla data del 6.12.1991, corrispettivo commisurato alla quota del 25% in luogo di quella del 33,3% effettivamente spettante alla Palini.
Questa statuizione della Corte di merito non è stata oggetto di censure in questa sede.
Ne deriva che i ricorrenti non hanno interesse a dolersi dell'annullamento del contratto preliminare e della determinazione della quota nella misura del 33,3% effettuata dalla Corte d'appello, perché tale pronuncia non ha ih alcun modo inciso sulla determinazione del corrispettivo da essi dovuto, fissato in misura corrispondente alla quota del 25% per effetto della pronuncia del tribunale, sulla quale per questa parte si è formato il giudicato interno.
Per gli stessi motivi ora esposti sono inammissibili il quarto ed il sesto motivo.
Con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza per aver ritenuto che sussistesse errore sull'oggetto del contratto, vale a dire sull'ammontare della quota di partecipazione della Palini, essenziale e riconoscibile. Osservano a tale proposito che la parte era stata assistita in sede di stipulazione del contratto da un professionista che non poteva ignorare che la quota era stata determinata considerando che la quota di Consolini Bortolo non era stata ancora liquidata.
Con il sesto motivo i ricorrenti formulano le medesime censure lamentando che la Corte di merito non abbia tenuto conto che le intervenute con l'atto d'appello avevano sottolineato che nella predisposizione del contratto annullato si era determinata la quota nel 25% perché il Consolini Bortolo non era stato ancora liquidato. È sufficiente ripetere che la pronuncia di annullamento del contratto preliminare e la determinazione della quota della Palini nel 33% non hanno inciso sulla quantificazione del corrispettivo operata dal tribunale, dovuto non a fronte del contratto annullato, ma del recesso.
Analoghe conclusioni valgono per il quinto motivo di ricorso, con cui i ricorrenti lamentano la "ingiustizia manifesta" della sentenza impugnata osservando che la Palini si era sempre rifiutata di dare adempimento al preliminare e che di ciò i Giudici d'appello non avevano tenuto conto.
L'ottavo motivo è pure inammissibile. I ricorrenti deducono che la domanda relativa al rimborso delle spese del procedimento di sequestro giudiziario, svoltosi prima dell'instaurazione del presente giudizio, era stata proposta, sin dal giudizio di primo grado ai sensi dell'art. 2043 c.c.. La Corte di merito, nel rilevare che il rigetto della domanda di rimborso delle spese non era stata a suo tempo impugnata, ha affermato che la domanda di risarcimento dei danni era stata proposta per la prima volta in appello e, come tale, era inammissibile. Sul punto i ricorrenti non hanno svolto alcuna censura, si che il motivo, non involgendo la statuizione della Corte, è inammissibile. Il nono motivo è del pari inammissibile. Nel dolersi della pronuncia della Corte che ha ritenuto inammissibili le prove testimoniali dedotte perché non formulate per articoli separati ai sensi dell'art. 244 c.p.c., i ricorrenti affermano che dai verbali d'udienza risulta che, al contrario, tali prove erano state ritualmente dedotte. Tuttavia essi non indicano ne' il contenuto dei capi di prova, riproducendone il testo, ne' lo specifico atto in cui tali prove sarebbero state riformulate. Ne deriva che per questo profilo non è soddisfatto il requisito di autosufficienza del ricorso.
Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati esime dalla pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 febbraio 2006.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2006