Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 612 - pubb. 08/09/2007

Fallimento e notifica al debitore del decreto di convocazione

Appello Palermo, 18 Maggio 2007. Est. Melisenda Giambertoni.


Fallimento – Notificazione del ricorso e del decreto di convocazione – Competenza dell’ufficiale giudiziario – Sussistenza – Violazione – Inesistenza.



Il termine “notificazione” di cui al terzo comma dell’art. 15 della legge fallimentare deve essere inteso in senso giuridico di notificazione effettuata per il tramite di ufficiale giudiziario. Pertanto, ove tale formalità venga eseguita da soggetti diversi (nella specie ufficiali di PG) la stessa è inesistente e comporta la nullità di tutti gli atti del procedimento e della relativa sentenza di fallimento nonchè la rimessione degli atti al primo giudice. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


Massimario Ragionato



Segnalazione dell'Avv. Alessandro Palmigiano


omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 35/07 in data 7 marzo 2007 il Tribunale di Palermo, ad istanza del Pubblico Ministero, dichiarava falliti la “Z. B. e figli s.n.c.” con sede legale in Palermo, i soci illimitatamente responsabili P. Z. e G. Z. ed i soci receduti illimitatamente responsabili B. Z. ed A. Z., rilevando che:

§   Il decreto di convocazione ex art. 15 L.F. era stato regolarmente notificato nel termine abbreviato in esso indicato (tre giorni liberi prima dell’udienza di comparizione, fissata per il 6 marzo 2007) a P. Z. e G. Z. in proprio e nella qualità di legali rappresentanti della società, mentre A. Z. si era reso irreperibile, non operando, dunque, nei suoi riguardi l’onere della notifica;

§   nel decreto predetto, per una mera svista, non era stato abbreviato il termine per il deposito di memorie difensive e documenti, e però l’indicazione del termine minimo ordinario (sino a sette giorni prima dell’udienza), per quanto incompatibile con la tempistica della comparizione, non aveva prodotto conseguenze di sorta, trattandosi di termine meramente ordinatorio e dunque non implicante alcuna decadenza per la parte;

§   anche B. Z. e A. Z. erano assoggettabili al fallimento, non essendo ancora decorso alla data della sentenza (7 marzo 2007) l’anno da momento in cui la cessazione della loro qualità di soci era divenuta opponibile ai terzi a mente dell’articolo 147 comma secondo 147 L. F.;

§   ed invero, come emerso dalla visura camerale in atti, i predetti avevano ceduto le proprie quote di partecipazione in data 8 febbraio 2006 con atto iscritto presso la Camera di Commercio in data 9 marzo 2006;

§   l’insolvenza della società era comprovata da una rilevante esposizione debitoria (di gran lunga superiore al limite minimo di legge di 25.000 euro), dalla circostanza che l’attività era cessata da tempo ed infine dall’esistenza di numerose procedure esecutive a carico della stessa “Z. B. e Figli s.n.c.” e di tutti i suoi soci;

§   la società resistente non aveva fornito alcuna prova in ordine all’eventuale mancato superamento della soglia di fallibilità stabilita dall’art. 1 LF, né alcun rilievo aveva sollevato sul punto G. Z., unico socio illimitatamente responsabile ad essersi costituito in sede prefallimentare.

Con distinti ricorsi, rispettivamente depositati in data 23 marzo 2007 e 6 aprile 2007, A. Z., nonché B., P. e G. Z. (questi ultimi due in proprio e quali soci ed amministratori della “Z. B. e Figli s.n.c.”) proponevano appello avverso detta sentenza, invocandone la dichiarazione di nullità o comunque la revoca sulla base delle articolate doglianze di cui si dirà appresso.

Notificati i ricorsi, si costituiva in entrambi i procedimenti il Curatore del fallimento, che resisteva alle impugnazioni contestando la fondatezza delle censure dedotte dagli appellanti.

All’udienza del 18 maggio 2007 le cause sono state discusse dalle parti e la Corte ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo, con riserva di deposito della motivazione entro il termine di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve, preliminarmente, essere disposta, a mente dell’articolo 335 c.p.c., la riunione delle impugnazioni separatamente proposte da A. Z. e dai suoi congiunti avverso la sentenza dichiarativa del fallimento.

Con il ricorso iscritto al n. 642/2007 R.G. P. e G. Z. – in proprio e nelle spiegate qualità – e B. Z. hanno esposto che:

§               l’istanza di fallimento avanzata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo in data 2 febbraio 2007 aveva tratto origine dalla relazione del 5 dicembre 2006 con cui il Curatore del fallimento di altra società, la “Z. P. e Z. G. s.d.f.”, aveva prospettato lo stato di insolvenza della “Z. B. e Figli s.n.c.”;

§               con decreto emesso il 27 febbraio 2007, notificato il 28 febbraio 2007 alla società ed a P., G. e B. Z. a mezzo della Polizia Giudiziaria, il giudice delegato dal Tribunale aveva disposto la convocazione delle parti per l’udienza del 6 marzo 2007, assegnando termine ai debitori sino a sette giorni prima per depositare documenti e memorie, ed onerando Pubblico Ministero istante di notificare copia del ricorso e del decreto di convocazione alla società ed ai soci almeno tre giorni prima;

§               soltanto a seguito dell’esame della sentenza impugnata essi appellanti erano venuti a conoscenza del fatto che il Presidente della Sezione fallimentare del Tribunale, con separato decreto, loro non notificato, aveva disposto l’abbreviazione dei termini a comparire previsti dall’art. 15 L.F. da quindici a tre giorni.

Tanto premesso, i predetti appellanti hanno eccepito la nullità del decreto di convocazione e della sua notificazione, e dunque di tutti gli atti successivi e della sentenza, deducendo che:

§               era stato violato il termine a comparire di quindici giorni liberi previsto dal terzo comma dell’art. 15 L.F., così come il termine di sette giorni per il deposito di memorie e documenti assegnato nel decreto di convocazione a mente del successivo quarto comma del medesimo art. 15, cosa che aveva loro impedito di predisporre le proprie difese;

§               l’eccezione non era superabile, come invece aveva ritenuto il Tribunale, sul rilievo che il termine di 15 giorni liberi era stato abbreviato con decreto presidenziale ai sensi dell’art. 15 quinto comma L.F.;

§               il decreto, infatti, non era stato loro notificato unitamente al provvedimento di convocazione, mentre avrebbe dovuto essere steso in calce all’atto originale ed alle copie, dal momento che la struttura della fase prefallimentare – formalmente camerale ma sostanzialmente contenziosa, ispirata all’esigenza di garantire il contraddittorio tra le parti – avrebbe postulato l’applicazione delle disposizioni del codice di rito e, dunque, dell’art. 163 bis c.p.c.;

§               sul piano sostanziale, essi appellanti non avevano avuto conoscenza della disposta abbreviazione del termine di comparizione, e dunque, ritenendo leso il loro diritto di difesa, si erano legittimamente astenuti dal compimento di attività difensive, né era loro onere ricercare ed accertare aliunde le ragioni della  apparente erroneità del termine di tre giorni indicato nel decreto loro notificato;

§               l’abbreviazione del termine a comparire era stata illegittimamente disposta in assenza di specifica richiesta del Pubblico Ministero istante, e pertanto con un provvedimento ultra petita;

§               radicalmente nulla doveva considerarsi la notificazione del decreto di convocazione, in quanto eseguita dalla Polizia Giudiziaria e non a ministero dell’Ufficiale Giudiziario, e quindi compiuta in violazione delle norme di cui agli artt.137 e ss. c.p.c. e dell’art. 106 del D.P.R. 15/12/1959 n. 1229;

§               il Pubblico Ministero istante, infine, era del tutto carente di legittimazione, dal momento che l’asserita insolvenza della società non gli era stata segnalata da un Giudice che l’avesse rilevata nel corso di un giudizio civile, come prescritto dall’art. 7 n. 2 L.F., ma risultava da una relazione presentata dal curatore di altro fallimento.

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A. Z. ha affidato le proprie censure a cinque motivi di impugnazione

Con il primo motivo ha dedotto che il 7 marzo 2007, data della sentenza dichiarativa di fallimento, la sua qualità di socio della Z. B. s.n.c. era cessata da oltre un anno, e pertanto il Tribunale avrebbe errato nel dichiararlo fallito.

Egli, infatti:

§                           aveva ceduto la propria quota di partecipazione a G. Z. in data otto febbraio 2006, come risultava dall’autentica notarile delle firme apposte in calce all’atto di cessione, dal certificato della CCIAA di Palermo- Ufficio del Registro delle Imprese e dallo stesso ricorso del Pubblico ministero istante;

§                           aveva, inoltre, osservato le formalità per rendere nota ai terzi la cessione delle quote, curando il deposito dell’atto presso il registro delle Imprese di Palermo in data 13 febbraio 2006, prot. 4163, con la conseguenza che l’iscrizione dello scioglimento del rapporto sociale aveva avuto efficacia dopo cinque giorni dal deposito, ossia dal 18 febbraio 2006.

Operavano, dunque, per un verso, il disposto dell’art. 147 secondo comma L.F., secondo cui <<il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati…>>; per altro verso, la previsione dell’articolo 11 comma 8, del D.P.R. n. 581/95 (Regolamento di attuazione dell’art. 8 della l. 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all’art. 2188 del codice civile), secondo cui le iscrizioni richieste devono essere eseguite entro il termine di cinque giorni dalla data di deposito in via telematica.

Peraltro, la richiesta di iscrizione era perfettamente conoscibile da tutti gli Uffici Giudiziari, grazie alla interconnessione telematica operante tra il sistema informatico delle Camere di commercio e il sistema informatico dell’Amministrazione della giustizia. Qualsiasi interessato, inoltre, avrebbe potuto richiedere idonea attestazione all’Ufficio del Registro delle Imprese circa l’esistenza e la data di una richiesta di tal fatta.

Il Tribunale, dunque, pur muovendo dalla corretta premessa che l’anno dallo scioglimento del rapporto sociale di cui all’art. 147 L.F. decorre dall’esecuzione delle formalità atte a rendere noto lo scioglimento stesso ai terzi, ne aveva tratto una conseguenza erronea, e cioè che solo la data d’iscrizione nel Registro delle imprese potesse costituire il momento da cui far decorrere il termine annuale per l’estensione del fallimento all’ex socio.

In tal modo, hanno soggiunto gli appellanti, era stata operata un’indebita commistione della disciplina della dichiarazione del fallimento dell’imprenditore cessato (per il quale l’art. 10 L.F. individua espressamente la decorrenza del termine annuale nella data di cancellazione dal registro delle imprese) e del socio cessato (nei cui riguardi, ancorata ex art. 147 L.F. all’osservanza delle <<formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati>>).

Con il secondo motivo di appello A. Z. ha lamentato che il Tribunale avrebbe errato nel ritenerlo irreperibile sulla scorta delle mere indicazioni contenute nella relazione di servizio in data 2 marzo 2007 della sezione di P. G. Carabinieri della Procura della Repubblica di Palermo, prodotta all’udienza del 6 marzo 2007 dal Pubblico Ministero.

La Polizia Giudiziaria, infatti, aveva dato atto di avere “cercato” esso appellante a casa (il giorno 28 febbraio di pomeriggio), presso i genitori e presso il luogo della sua attività lavorativa senza rintracciarlo, e di avere ripetutamente chiamato il numero del suo telefono cellulare, senza che nessuno rispondesse.

Orbene, la necessaria applicazione delle norme del codice di rito in tema di notificazioni avrebbe imposto, nel caso di mancato rinvenimento del debitore (e di altre persone abilitate a ricevere l’atto) presso l’abitazione risultante dai registri anagrafici, constatato dall’ufficiale giudiziario, di effettuare la notificazione nelle forme prescritte dall’art. 140 c.p.c..

Nell’ipotesi, poi, in cui vi fossero stati elementi idonei ad evidenziare il verificarsi di un trasferimento in altro luogo sconosciuto, la notifica del decreto di convocazione avrebbe dovuto essere fatta con il rito degli irreperibili.

Poiché, in concreto, come emerso dalla citata relazione della Polizia Giudiziaria, erano noti sia l’abitazione che il domicilio di esso appellante, il Pubblico Ministero istante avrebbe dovuto curare la notifica nelle forme di cui all’articolo art. 140 c.p.c.: il non averlo fatto aveva determinato un insanabile vizio del procedimento.

Con il terzo motivo di appello è stato dedotto che il Pubblico Ministero si sarebbe limitato a chiedere, col proposto ricorso, il fallimento della <<Z. B. e figli s.n.c.” e dei singoli soci illimitatamente responsabili>>, e non anche quello degli ex soci A. e B. Z., dichiarato, pertanto, in violazione dell’articolo 6 L.F., e cioè in difetto del ricorso del debitore, di uno o più creditori o del Pubblico Ministero stesso.

D’altra parte, non avrebbe potuto essere invocato il disposto dell’articolo 147 L.F. secondo cui il fallimento di una società in nome collettivo produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, essendo egli un ex socio, assoggettabile al fallimento solo a condizione che i debiti fossero sorti antecedentemente al suo recesso.

Sotto altro profilo – è stato dedotto con il quarto motivo di appello, coincidente con una delle doglianze spiegate da P., G. e B. Z. – l’iniziativa del Pubblico Ministero era stata sollecitata dal curatore di altro fallimento e non da un Giudice che avesse rilevato l’insolvenza nel corso di un giudizio civile, come, invece, prescritto dall’articolo 7 comma secondo L.F..

Infine, con il quinto motivo di appello è stata sostenuta l’insussistenza dei requisiti dimensionali previsti dall’articolo 1 L.F., dal momento che la società era inattiva da anni, e dunque nell’ultimo triennio non aveva conseguito alcun ricavo, mentre gli investimenti non avevano raggiunto i 300.000 euro.

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Esigenze di priorità logica inducono ad esaminare, innanzitutto, le censure riguardanti la notifica del decreto di convocazione delle parti, omessa nei confronti di A. Z. perché ritenuto colpevolmente irreperibile ed effettuata nei riguardi degli altri appellanti non a ministero dell’Ufficiale Giudiziario, ma a mezzo della Polizia Giudiziaria e su autonomo impulso del Pubblico Ministero istante.

Benchè non constino specifici precedenti in termini, ritiene questo collegio che il tenore letterale del novellato articolo 15 comma terzo L.F.<(“Tra la data della notificazione, a cura di parte, del decreto di convocazione e del ricorso…”) non consenta di dichiarare il fallimento in difetto di una notificazione in senso giuridico del decreto in parola; indicazione, questa, coerente con i principi ispiratori della nuova istruttoria prefallimentare, volta a garantire la piena realizzazione del principio del contraddittorio, pur se nelle forme camerali.

In questa prospettiva, è stato persuasivamente sostenuto che il rischio di atti distrattivi o di fuga del debitore, ovvero la prossimità del consolidamento di ipoteche, della scadenza del termine annuale ex artt. 10 o 147 L.F. o della irrevocabilità dei pagamenti concretano le “particolari ragioni di urgenza” previste dall’articolo 15 quinto comma L.F.. Si giustifica, dunque, in presenza di eventualità siffatte, l’abbreviazione del termine a comparire sino a tre giorni liberi, così come la prescrizione di modalità semplificate di notifica autorizzate dal giudice a mente dell’articolo 151 c.p.c.; non è consentito, però, di prescindere dall’onere della notifica.

L’articolo 15 L.F. in altri termini, non prevede deroghe, espresse o implicite, nelle ipotesi, precedentemente delineate dalla prassi giurisprudenziale in sintonia con la sentenza della Corte Costituzionale n. 140 del 1970, di irreperibilità derivante dal comportamento del debitore e non superabile se non tramite complesse indagini; ipotesi nelle quali le esigenze di celerità della procedura fallimentare e gli eventuali effetti pregiudizievoli derivanti da una convocazione non immediata possono trovare rimedio, quando non si determinano decadenze, nella adozione dei provvedimenti cautelari o conservativi atipici previsti dall’articolo 15 comma ottavo L.F..

Nel caso di specie, è pacifico che nessuna forma di notifica del decreto di convocazione delle parti è stata fatta ad A. Z., nei cui confronti, come risulta dalla già citata relazione di servizio in data 2 marzo 2007 della sezione di P.G. Carabinieri della locale Procura della Repubblica, vennero effettuate delle mere ricerche.

Dalla materiale inesistenza della notifica discende la nullità di tutti gli atti successivi al decreto di convocazione, e dunque della sentenza dichiarativa del fallimento dello stesso A. Z., che comporta la rimessione degli atti al Tribunale.

In giurisprudenza, invero, è stato chiarito che per i procedimenti che iniziano con citazione non si fa luogo a rimessione al primo giudice, ai sensi dell’articolo 354 c.p.c., quando la notifica dell’atto introduttivo non sia nulla, ma sia addirittura omessa o inesistente, dovendo il giudice di appello limitarsi a dichiarare la nullità dell’intero giudizio (Cass. 99/259 Cass. 91/5368).

Viceversa, con riferimento ai procedimenti che iniziano con ricorso, il giudice di appello che rilevi l’inesistenza della notificazione, una volta perfezionata la fase dell’ “editio actionis” con il tempestivo deposito del ricorso stesso, deve dichiarare la nullità della sentenza impugnata, non essendosi in quella fase instaurato il contraddittorio per mancata attuazione della “vocatio in ius” e, in applicazione analogica dell’art. 354 cod. proc. civ., rimettere la causa al primo giudice.

Sarà il primo giudice ad assegnare termine perentorio per la notificazione, da eseguire o da rinnovare, onde consentire il realizzarsi del contraddittorio con la controparte, non rilevando che l’inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo non sia (a differenza della nullità della notificazione) contemplata dall’art. 354 cod. proc. civ., atteso che tale articolo fa riferimento ai procedimenti introdotti con citazione. In questi ultimi, infatti, l’iscrizione della causa a ruolo presuppone che sia intervenuta la notifica della citazione stessa, e non tiene conto della scissione tra “editio actionis e vocatio in jus”, che si verifica nei procedimenti introdotti con ricorso (in termini, Cassazione civile, sez. lav., 8 settembre 2004, n. 18081).

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Il riferimento all’ipotesi di omessa notifica del ricorso e del decreto di convocazione offre il destro per esaminare la censura – proposta da B., P. e G. Z. (gli ultimi due anche nella spiegata qualità) – riguardante il difetto assoluto di competenza della Polizia Giudiziaria ad effettuare la notificazione di quegli atti.

Giova premettere, in punto di fatto, che il Pubblico Ministero non era stato autorizzato né dal Presidente del Tribunale, né dal Tribunale, né dal Giudice relatore delegato, ad effettuare la notifica del decreto di convocazione ex art. 15 comma terzo L.F. a mezzo della Polizia Giudiziaria, vale a dire in una delle possibili forme speciali che l’organo giudicante può prescrivere a mente dell’art. 151 c.p.c..

Ora – ribadito che il già menzionato riferimento testuale contenuto nell’articolo 15 comma terzo L.F. evoca la fattispecie della notificazione in senso giuridico – deputato alla notificazione degli atti processuali civili, “quando non è disposto altrimenti” (art. 137 c.p.c.) è l’Ufficiale Giudiziario, tanto che, ove vi provveda un soggetto diverso ed estraneo al suo ufficio, l’attività di notifica deve considerarsi inesistente, e cioè eccentrica rispetto al suo modello legale.

In particolare, con la sentenza n. 1195 del 1999 (si esprime nei medesimi termini la sentenza n. 2635 del 1999, resa con riguardo ad identica fattispecie) la Corte Suprema di Cassazione ha ritenuto giuridicamente inesistente e non suscettibile di sanatoria, né per mezzo della rinnovazione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c., né mediante la costituzione in giudizio dell’altra parte, <<la notificazione dell’atto processuale che, fuori dai casi espressamente previsti dalla legge(…) lungi dall’essere eseguita dall’ufficiale giudiziario, sia effettuata da un altro soggetto, non importa se pubblico ufficiale, non essendo tale diverso soggetto legittimato a svolgere la funzione>>.

Nella motivazione di detta sentenza, dopo l’indicazione in via esemplificativa di alcuni tra <<i casi espressamente previsti dalla legge>> in deroga alla esclusiva potestà notificatoria dell’Ufficiale Giudiziario, si fatto espressamente salve <<le diverse modalità che possono essere disposte dal giudice a norma dell’art. 151 c.p.c.>>; norma processuale in bianco nella indicazione dei presupposti e dello sviluppo del procedimento notificatorio.

In termini ancora più espliciti, con la sentenza n. 5392 del 2004 la Corte di nomofilachia ha dichiarato inammissibile il ricorso per cessazione proposto dal Ministero dell’Interno e dal Prefetto di Milano – notificato a mezzo di un Ufficiale di Polizia Giudiziaria – avverso il provvedimento con cui il Tribunale aveva dichiarato illegittima l’espulsione di un extracomunitario.

La rilevata inesistenza della notifica del ricorso è stata fatta derivare dalla considerazione che <<l’Ufficiale di P. G. è assolutamente incompetente a compiere notifiche di atti processuali civili e, ove vi provveda, non ha nè veste né poteri diversi da quelli di un qualsiasi privato cittadino che si arroghi la medesima funzione. Tale incompetenza – si ripete, assoluta – non consente di ravvisare una ipotesi di nullità, sanabile con il rinnovo della notifica in forma rituale, perché, non provenendo l’atto da persona investita del potere di certificazione, non assume nessun rilievo né quanto la “relata” attesta, né il fatto che l’atto scritto sia, materialmente, pervenuto nella sfera del destinatario. La legittimazione di chi provvede alla notifica è infatti condizione essenziale perché la notificazione esplichi, almeno in parte, gli effetti che le sono propri>> (nei medesimi termini, Cass. 19921/2004, resa con riguardo ad analoga fattispecie, nella quale il ricorso per cassazione del Prefetto di Salerno, riguardante una contestazione per eccesso di velocità, era stato “notificato” a mezzo del locale Commissario di P. S.).

Venendo al caso di specie, l’ipotesi che la Polizia Giudiziaria possa esercitare una generale potestà notificatoria degli atti civili in forza di un ordine del Pubblico Ministero, impartitole al di fuori di una speciale autorizzazione del giudice ex art. 151 c.p.c., non trova alcun avallo nelle norme del R. D. 30 gennaio 1941 n. 12 sull’ordinamento giudiziario (segnatamente, nell’articolo 83, a mente del quale <<Il Procuratore Generale esercita la sorveglianza sull’osservanza delle norme relative alla diretta disponibilità della Polizia Giudiziaria da parte dell’AG>>) né, tanto meno, in quelle del codice di procedura civile.

Tale potere, del resto, è espressamente limitato ad ipotesi specifiche anche nell’ambito del procedimento penale, se si considera che gli articoli 58 e 59 del codice di rito – rispettivamente riguardanti la disponibilità della Polizia Giudiziaria da parte delle Procure della Repubblica e delle Procure Generali e le subordinazione delle relative sezioni ai magistrati che dirigono gli uffici presso cui le stesse sono istituite – non valgono ad ampliare l’ambito applicativo dell’articolo 151 c.p.p. (“Notificazioni richieste dal Pubblico ministero”), che recita al primo comma: << Le notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari sono eseguite dall’ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire>>.

In concreto, il Pubblico Ministero istante ha fatto “notificare” il decreto di convocazione a P. Z. e G. Z., sia in proprio che nella qualità di legali rappresentanti della “Z. B. e figli s.n.c.” ed al socio receduto B. Z., alla stregua di una mera prassi, che – forgiata dai Tribunali nell’ambito della disciplina precedente alla entrata in vigore del D. lgs n. 5 del 9 gennaio 2006 – non può, oggi, trovare cittadinanza in difetto di una specifica autorizzazione del giudice, emessa ai sensi dell’articolo 151 c.p.c.; autorizzazione idonea a radicare, nel singolo caso, il potere di notifica in testa alla Polizia Giudiziaria.

Rilevata, dunque, la giuridica inesistenza della notificazione del decreto di convocazione – non sanabile e non sanata dalla costituzione, nella fase prefallimentare, di G. Z. – e dunque la nullità di tutti gli atti successivi, l’appellata sentenza va dichiarata nulla anche nei confronti di P. Z. e G. Z., sia in proprio che nella qualità di legali rappresentanti della “Z. B. e figli s.n.c.” e del socio receduto B. Z..

Per le medesime ragioni esposte nella trattazione dell’appello proposto da A. Z., la causa va rimessa al primo giudice.

Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità delle fattispecie all’esame di questa Corte, per dichiarare interamente compensate le spese tra le parti le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte, definitivamente pronunciando, uditi i procuratori delle parti,

dichiara la nullità della sentenza n. 35/07 in data 7 marzo 2007 del Tribunale di Palermo dichiarativa del fallimento della Z. B. e Figli s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili Z. P., Z. G., nonché dei soci receduti illimitatamente responsabili Z. B. e Z. A. e rimette la causa al primo giudice. Compensa integralmente tra le parti le spese di questo grado del giudizio.

Palermo, 18 maggio 2007