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Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 3684 - pubb. 01/08/2010.

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Cassazione civile, sez. I, 20 Gennaio 2011. Est. Mercolino.

Fallimento ed altre procedure concorsuali - Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Vendita di immobili - Modalità - Sospensione della liquidazione dell'attivo conseguente a proposta di concordato - Facoltà del giudice delegato - Esercizio - Limiti - Emanazione del decreto di trasferimento - Fondamento.

Impugnazioni civili - Cassazione (ricorso per) - Deposito di atti - Di documenti nuovi - Decreti di trasferimento di beni posti in vendita dal giudice delegato - Giudizio di legittimità - Produzione - Ammissibilità - Fondamento - Conseguenze.

Impugnazioni civili - Cassazione (ricorso per) - Provvedimenti dei giudici ordinari (impugnabilità) - Provvedimenti in materia fallimentare - Decreti di trasferimento di beni posti in vendita dal giudice delegato - Giudizio di legittimità - Produzione - Ammissibilità - Fondamento - Conseguenze.


Il potere del giudice delegato al fallimento di sospendere la liquidazione dell'attivo, a seguito della proposta di concordato fallimentare ed ai sensi dell'art. 125 legge fall. (nel testo "ratione temporis" vigente), può essere esercitato, relativamente all'incanto di beni immobili acquisiti alla procedura, solo fino a quando, intervenuto il versamento del prezzo, non sia stato pronunciato il relativo decreto di trasferimento, ai sensi dell'art. 586 cod. proc. civ., in favore dell'aggiudicatario, atto dal quale soltanto consegue l'effetto traslativo, con trasformazione delle legittime aspettative del predetto soggetto in definitiva acquisizione del diritto di proprietà; ne consegue che da tale momento sono precluse la modifica o la revoca dei precedenti provvedimenti preordinati alla liquidazione, invero suscettibili di tali interventi fino al momento in cui abbiano avuto esecuzione. (massima ufficiale)

In sede di legittimità, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., è consentita la produzione da parte del curatore fallimentare, unitamente al controricorso, dei decreti di trasferimento dei beni posti in vendita a seguito del rigetto dell'istanza di sospensione proposta dal ricorrente, trattandosi di documenti relativi all'ammissibilità del ricorso; tale produzione comporta il venir meno dell'interesse all'impugnazione dell'ordinanza - oggetto di ricorso per cassazione - confermativa, da parte del tribunale, del provvedimento con cui il giudice delegato ha negato la sospensione dell'attività liquidatoria. (massima ufficiale)

Massimario, art. 125 l. fall.

Massimario, art. 107 l. fall.

Massimario, art. 108 l. fall.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere -
Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere -
Dott. MERCOLINO Guido - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CRIFÒ CONCETTA e CRIFÒ SANTA, elettivamente domiciliate in Roma, via Lucrezio Caro n. 62, presso l'avv. SABINA CICCIOTTI, rappresentate e difese dall'avv. STAITI Giulio e dal prof. avv. FABRIZIO GUERRERA del foro di Messina, in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrenti -
e
CRIFÒ GIOVANNI, elettivamente domiciliato in Roma, via della Conciliazione n. 44, presso l'avv. GIANZI DANIELA rappresentato e difeso dall'avv. VISALLI DONATI GIUSEPPE del foro di Messina, in virtù di procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
FALLIMENTO DI CRIFÒ GASPARE, RESTUCCIA PLACIDO, LA NUOVA TINDARI S.N.C., e dei soci illimitatamente responsabili CRIFÒ GIOVANNI e RESTUCCIA PLACIDO. RE.CRI. UNIVERSAL S.R.L. e CRISMARKET S.R.L., in persona del curatore avv. Maiorana Nicola, elettivamente domiciliato in Roma, viale Giulio Cesare n. 109, presso l'avv. LUCIANO D'ANDREA, rappresentato e difeso dal l'avv. MAZZEI ANTONINO in virtù di procure speciali a margine dei controricorso;
- controricorrente -
avverso l'ordinanza del Tribunale di Messina n. 2551/2005, pubblicata il 24 marzo 2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19 ottobre 2010 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, il quale ha concluso per la dichiarazione d'inammissibilità o il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Nel fallimento di Gaspare Crifò, di Placido Restuccia, della La Nuova Tindari S.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili Giovanni Crifò e Placido Restuccia, della Re.Cri. Universal S.r.l. e della Crismarket S.r.l., il Tribunale di Messina, con ordinanza del 24 marzo 2005. ha rigettato i reclami proposti da Concetta Crifò, Santa Crifò e Giovanni Crifò avverso il decreto del 3 dicembre 2004, con cui il Giudice delegato aveva rigettato l'istanza di sospensione dell'attività liquidatoria avanzata dai reclamanti.
Premesso che l'istanza era motivata dalla contestuale presentazione di una proposta di concordato fallimentare con cui era stato offerto il pagamento dilazionato di Euro 400.000.00, a saldo integrale delle spese di procedura e dei crediti privilegiati ed a soddisfazione di quelli chirografari nella misura del 10%, il Tribunale ha osservato che tale proposta risultava meno conveniente della vendita dei beni, dalla quale era stata già ricavata la somma di Euro 606.316,00. aggiungendo che questa valutazione non era sovvertita dall'ulteriore obbligo, assunto dai proponenti, di corrispondere anche il residuo ove il fabbisogno concordatario fosse risultato superiore alla somma offerta, in quanto quest'ultima era di gran lunga inferiore al fabbisogno calcolato dal curatore, ed il pagamento era assicurato solo da garanzie personali.
Il Tribunale ha inoltre escluso che sulla convenienza della proposta concordataria potesse incidere positivamente la domanda di ammissione al passivo avanzata dai proponenti per i crediti derivanti dall'impresa familiare costituita con il padre Crifò Giovanni, osservando che l'intervenuto fallimento dell'impresa consentiva di ritenere che non fossero residuati utili da distribuire. Quanto alla proposta di concordato avanzata con riferimento al fallimento del defunto Gaspare Crifò, ha affermato che la stessa equivaleva ad accettazione tacita dell'eredità di quest'ultimo da parte dei reclamanti, con la conseguente estinzione per confusione dei crediti da loro vantati nei confronti del de cujus.
2. - Avverso la predetta ordinanza propongono distinti ricorsi per cassazione Concetta Crifò e Santa Crifò, per cinque motivi, e Giovanni Crifò, per tre motivi. Il curatore del fallimento resiste con controricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi proposti rispettivamente da Concetta e Santa Crifò e da Crifò
Giovanni, in quanto aventi ad oggetto l'impugnazione del medesimo provvedimento.
2. - Con il primo motivo d'impugnazione, Concetta e Crifò Santa deducono la nullità dell'ordinanza impugnata, per carenza del requisito di cui all'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 5, osservando che la stessa, sostanzialmente equiparabile ad una sentenza, non reca l'indicazione della data della deliberazione in camera di consiglio, ma solo quella del deposito in cancelleria.
3. - Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione dell'art. 125, anche in relazione al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, agli art. 25, u.c., e art. 26 sostenendo che il Tribunale non avrebbe potuto pronunciarsi in ordine alla convenienza della proposta di concordato, non essendo stati preventivamente acquisiti i pareri del curatore e del comitato dei creditori, e non essendo intervenuto al riguardo un provvedimento del Giudice delegato, il quale si era limitato a rigettare l'istanza di sospensione della vendita. 4. - Con il terzo motivo, le ricorrenti denunciano la violazione c/o la falsa applicazione della L. Fall., art. 113, n. 4, artt. 124 e 125, nonché il travisamento dei fatti e la contraddittorietà e l'insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto insufficienti le garanzie personali da loro offerte, sul presupposto che l'omologazione del concordato avrebbe sottratto i beni immobili non ancora liquidati alla garanzia dei creditori concorsuali.
A loro avviso, infatti, il Tribunale non ha tenuto conto che la proposta da loro avanzata integrava non già un concordato con assunzione, con conseguente liberazione del fallito, ma un concordato con garanzia ai sensi dell'art. 124 cit., nell'ambito del quale le garanzie da loro offerte andavano ad aggiungersi a quella rappresentata dagli immobili compresi nel fallimento. Tale equivoco ha condotto ad una errata valutazione della proposta anche sotto il profilo quantitativo e dei tempi di esecuzione, non avendo il Tribunale considerato che l'impegno da loro assunto non era limitato all'importo delle garanzie personali, ma copriva l'intero fabbisogno concordatario, che le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo non avrebbero potuto essere distribuite immediatamente ai creditori, e che comunque la proposta di concordato si riferiva esclusivamente al fallimento di Gaspare Crifò, della La Nuova Tindari S.n.c. e del socio Giovanni Crifò.
5. - Con il quarto motivo, le Crifò deducono la violazione c/o la falsa applicazione della L. Fall., artt. 124 e 125, anche in relazione all'art. 230 bis cod. civ. ed alla L. Fall., art. 101, nonché l'omessa e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, osservando che nella valutazione della convenienza della proposta concordataria il Tribunale non ha tenuto conto dell'eventuale incremento del passivo derivante dall'esito di cinque giudizi di insinuazione tardiva promossi nei confronti della curatela, ed ha anticipato in senso negativo il giudizio sull'istanza proposta da esse ricorrenti, senza considerare che, una volta accertata l'esistenza di un'impresa familiare, non poteva escludersene la fondatezza, quanto meno relativamente al loro diritto al pagamento della retribuzione.
6. - Con il quinto motivo, le ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 1253 cod. civ. e della L. Fall., art. 12, censurando l'ordinanza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto estinto per confusione il credito da loro vantato nei confronti del defunto Giovanni Crifò.
Sostengono infatti che il Tribunale non ha considerato che la dichiarazione di fallimento aveva determinato la creazione di un nuovo centro d'imputazione dei rapporti giuridici, non coincidente con la persona del de cuius, che impediva l'estinzione del predetto credito, e che l'erede del fallito, che debba intendersi accettante l'eredità con beneficio d'inventario e che non sia unico, non è soggetto al principio generale di responsabilità che coinvolge tutto il suo patrimonio e che lo obbliga al pagamento nei confronti di tutti i creditori del de cujus per l'intera esposizione di quest'ultimo.
7. - Con il primo motivo d'impugnazione, Giovanni Crifò denuncia la violazione e l'erronea applicazione dell'art. 230 bis cod. civ., censurando l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha escluso che a seguito della dichiarazione di fallimento di Gaspare Crifò fossero residuati utili dell'impresa familiare suscettibili di distribuzione, senza considerare che, non avendo l'impresa familiare carattere associativo, la dichiarazione di fallimento coinvolge soltanto l'imprenditore, con la conseguenza che i beni acquistati con gli utili dell'impresa possono essere assoggettati alla procedura concorsuale solo per la quota di comproprietà dello stesso e dell'impresa in quanto tale, non potendo gli altri componenti rispondere con il loro patrimonio, sia pure indiviso. 8. - Con il secondo motivo, il Crifò deduce la violazione e l'erronea applicazione della L. Fall., artt. 11 e 12, e dell'art. 1253 cod. civ., censurando l'ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto estinti per confusione i crediti vantati dagli eredi di Gaspare Crifò, senza considerare che, per effetto della dichiarazione di fallimento, il patrimonio dell'imprenditore fallito resta separato da quello degli eredi, la cui posizione e identica a quella di qualunque altro creditore che si insinui, sia pure tardivamente, al passivo fallimentare, con la conseguente inopponibilità dell'estinzione del credito per confusione. 9. - Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e l'erronea applicazione della L. Fall., artt. 52 e 101, e delle norme sulla par candido credi forum.
A suo avviso, infatti, il Tribunale, anticipando in senso negativo la decisione in ordine alla fondatezza dell'istanza di insinuazione tardiva da lui proposta, non ha considerato che, poiché il ritardo nella presentazione dell'istanza non era a lui imputabile, in quanto determinato dalla dichiarazione di fallimento pronunciata nei suoi confronti, e poi revocata dalla Corte d'Appello di Messina, egli aveva diritto a partecipare al concorso, prelevando sull'attivo non ripartito anche le quote che gli sarebbero spettate nelle precedenti ripartizioni, con la conseguenza che, a tutela del suo credito, la vendita avrebbe dovuto essere sospesa fino all'esito del giudizio relativo all'istanza di insinuazione.
10. - I ricorsi sono entrambi inammissibili.
Il curatore del fallimento ha infatti depositato, unitamente al controricorso, tre decreti emessi l'11 aprile 2005, con cui il Giudice delegato, anteriormente alla notifica dei ricorsi per cassazione, ha disposto il trasferimento dei beni posti in vendita a seguito del rigetto dell'istanza di sospensione proposta dai ricorrenti. La pronuncia di tali provvedimenti, la cui produzione deve ritenersi consentita nel presente giudizio ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ. trattandosi di documenti relativi all'ammissibilità dei ricorsi, ha comportalo il venir meno dell'interesse all'impugnazione dell'ordinanza con cui il Giudice delegato ha negato la sospensione dell'attività liquidatoria. Il potere del giudice delegato di sospendere la liquidazione dell'attivo, ai sensi della L. Fall., art. 125, comma 3, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla sostituzione disposta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 115), a seguito della presentazione della proposta di concordato, può infatti essere esercitato, con riguardo alla vendita all'incanto di beni immobili acquisiti al fallimento, soltanto tino a quando, intervenuto il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario, non sia stato emanato a favore di quest'ultimo il decreto di trasferimento di cui all'art. 586 cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 1^, 3 aprile 2002, n. 4760; 23 maggio 1979, n. 2991). L'emissione di tale provvedimento, per effetto del quale le semplici aspettative dell'assegnatario si traducono in definitiva acquisizione del diritto di proprietà, preclude definitivamente la revoca o la modifica dei precedenti provvedimenti preordinati alla liquidazione dell'attivo ed al trasferimento dei beni oggetto della liquidazione, essendo gli stessi revocabili o modificabili, sia d'ufficio che ad istanza di parte, soltanto fino al momento in cui abbiano avuto esecuzione. L'eventuale accoglimento dell'impugnazione, con la conseguente revoca dell'ordinanza che ha negato la sospensione, non consentirebbe pertanto di porre nel nulla gli effetti già verificatisi del procedimento liquidatorio, non risultando d'altronde neppure che i ricorrenti abbiano autonomamente impugnato i decreti di trasferimento che ne costituiscono l'esito.
11.- Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE
riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano a carico di Crifò Concetta e Crifò Santa in Euro 2.200.00. ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, ed a carico di Crifò Giovanni nella medesima misura. Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011